Mese: Agosto 2017
DECRETO – LEGGE 11 luglio 2017 n.82
7 Agosto 2017
INTERVENTI URGENTI IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI E SOSTENIBILITÀ ALL’OCCUPAZIONE, E DI TRATTAMENTO PREVIDENZIALE ANTICIPATO
Art. 1
(Indennità di disoccupazione: disposizioni straordinarie)
1. Le prestazioni di cui all’articolo 23, comma 2, della Legge 31 marzo 2010 n. 73 sono prorogabili per tutti i cittadini sammarinesi, i residenti o titolari di permesso di soggiorno ordinario che abbiano già beneficiato dell’indennità economica speciale, i quali si trovino involontariamente disoccupati e che matureranno i requisiti per l’accesso al trattamento previdenziale entro il termine del periodo massimo di legge per fruire degli ammortizzatori sociali o al più nel semestre successivo alla scadenza di tale termine, nelle modalità di cui all’articolo 2 e nei termini di cui al comma 4.
2. L’indennità di disoccupazione di cui al comma 1 è erogata per un periodo massimo di nove mesi e calcolata secondo la percentuale prevista all’articolo 23, comma 1, lettera b), ultimo
capoverso della Legge n. 73/2010, per coloro che abbiano svolto attività negli ultimi due anni precedenti il licenziamento, da oltre 12 mesi a 24 mesi pari almeno a 243 giorni di contribuzione validi agli effetti pensionistici.
3. L’indennità di disoccupazione di cui al comma 1 è erogata per un periodo massimo di sei mesi e calcolata secondo la percentuale prevista all’articolo 23, comma 1, lettera a) della Legge n. 73/2010, per coloro che abbiano svolto attività, negli ultimi due anni precedenti il licenziamento, da oltre 6 mesi a 12 mesi pari almeno a 121 giorni di contribuzione validi agli effetti pensionistici.
4. Hanno diritto di accesso all’indennità di cui al comma 1 i lavoratori che soddisfano i seguenti requisiti:
a) essere soggetti ad accordo di mobilità sottoscritto a partire dall’1 luglio 2017 ed entro il 30 giugno 2018;
b) aver maturato il diritto alla pensione di anzianità ordinaria o di vecchiaia ordinaria al termine del periodo di erogazione della superiore indennità di disoccupazione straordinaria o al più nel semestre successivo;
c) aver compiuto, in riferimento alla pensione di anzianità ordinaria, almeno 56 anni e 9 mesi per i soggetti di cui al comma 2, o 57 anni per i soggetti di cui al comma 3, al tempo della sottoscrizione dell’accordo di mobilità.
d) aver compiuto, in riferimento alla pensione di vecchiaia ordinaria, almeno 62 anni e 3 mesi per i soggetti di cui al comma 2, o 62 anni e 6 mesi, per i soggetti di cui al comma 3, al tempo della sottoscrizione dell’accordo di mobilità.
Art. 2
(Profili applicativi)
1. Il lavoratore che al tempo dell’accordo di mobilità esprime la volontà di accedere alla pensione di anzianità ordinaria o di vecchiaia ordinaria prevista dalle norme vigenti nel corso o al termine del periodo per cui ha diritto agli ammortizzatori sociali o al più nel semestre successivo alla scadenza di tale termine e che non revochi tale volontà entro i 15 giorni successivi alla stipula dell’accordo, rinuncia alla possibilità di essere riavviato al lavoro e accede all’indennità di disoccupazione straordinaria di cui all’articolo 1.
2. La volontà espressa come sopra obbliga il lavoratore a presentare la domanda di pensione all’ufficio competente entro il 30 giugno 2018 che ne trasmette copia, ai fini del diritto all’erogazione dell’indennità di disoccupazione straordinaria di cui all’articolo 1 con gli effetti di cui al presente decreto – legge, all’ufficio a ciò deputato.
3. Ai sensi e per gli effetti di cui al comma 2, il lavoratore è posto in pensione d’ufficio al termine dell’erogazione degli ammortizzatori sociali o al più entro il semestre successivo ai sensi dell’articolo 1, comma 1.
4. In deroga al comma 3, il lavoratore è posto in pensione d’ufficio durante il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali qualora maturi i seguenti requisiti per l’accesso al trattamento: 60 anni di età e almeno 40 anni di contribuzione, ovvero 65 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione e, a decorrere dal primo gennaio 2019, 65 anni e sei mesi di età e almeno 20 anni di contribuzione; conseguentemente non ha più diritto a percepire gli ammortizzatori sociali di legge di cui stia beneficiando al tempo del pensionamento. Resta salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore di richiedere l’accesso al trattamento pensionistico, anche prima della maturazione dei superiori requisiti anagrafici e contributivi, qualora questi venga a soddisfare, durante il periodo di erogazione degli ammortizzatori sociali, i requisiti minimi per il diritto alla prestazione previdenziale di cui alla normativa vigente.
5. In ogni caso, il lavoratore durante il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali di legge e, successivamente, decorso il termine per il diritto all’indennità di disoccupazione straordinaria non può essere più riavviato al lavoro.
6. Dal momento di accoglimento della domanda di pensione di cui al comma 2, l’ufficio competente lo comunica all’Ufficio del Lavoro che procede alla cancellazione dalle liste di avviamento al lavoro e l’iscrizione in un elenco separato ai fini e per gli effetti di cui al comma 5.
Art. 3
(Accesso al trattamento previdenziale per anzianità anticipato)
1. Il presente articolo disciplina le norme per l’accesso al diritto al pensionamento in deroga alle disposizioni di cui alle Leggi 11 febbraio 1983 n.15, 8 novembre 2005 n. 157, 5 ottobre 2011 n. 158 ed all’articolo 51 della Legge 21 dicembre 2012 n.150 per i soggetti di cui all’articolo 1 che non siano stati, nell’anno precedente al termine dell’erogazione degli ammortizzatori sociali, titolari di un reddito complessivo, al netto delle detrazioni previste dalla legislazione vigente, di alcuna natura o provenienza di importo superiore a euro 12.000,00 (dodicimila/00) annui, oppure qualora il nucleo familiare di fatto dell’avente diritto sia composto da almeno due persone, il reddito pro-capite non deve superare l’importo annuo di euro 9.000,00 (novemila/00) al netto degli abbattimenti e delle passività dedotte analiticamente come previsto dalla legislazione vigente, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 151 comma 5, della Legge 16 dicembre 2013 n. 166. Dal reddito determinato a norma del presente articolo, non sono deducibili le passività di cui all’articolo 14, comma 1, alla lettera a) della Legge 16 dicembre 2013 n.166 (Smac Card).
2. Per accedere all’erogazione del trattamento previdenziale anticipato devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:
a) avere compiuto i 59 anni e sei mesi di età al termine dell’erogazione di tutti gli ammortizzatori sociali di legge, inclusa l’indennità di cui all’articolo 1, e almeno 40 anni di contribuzione, ovvero, in alternativa, almeno 35 anni di contribuzione. In tale ultimo caso vengono applicati i disincentivi di cui all’articolo 7 della Legge n. 157/2005 così come modificato dall’articolo 9 della Legge 18 marzo 2008 n. 47;
b) essere in possesso della cittadinanza sammarinese, della residenza nella Repubblica di San Marino o titolari di permesso di soggiorno ordinario.
3. Ai fini del calcolo della contribuzione di cui al comma 2, lettera a), sono cumulabili, a quelli sammarinesi, i periodi contributivi maturati nei sistemi previdenziali di Paesi con i quali la Repubblica di San Marino ha stipulato convenzioni o accordi in materia, ove sia prevista la totalizzazione degli stessi.
Art. 4
(Pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. In deroga ai disposti di cui all’articolo 6, comma 4, della Legge n. 157/2005 ed in presenza dei requisiti di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, ad esclusione della lettera a), è previsto l’accesso alla Pensione ordinaria di vecchiaia anticipata qualora siano presenti i seguenti ulteriori requisiti:
a) 65 anni di età, e dal primo gennaio 2019, 65 anni e sei mesi di età, al termine dell’erogazione di tutti gli ammortizzatori sociali di legge inclusa l’indennità di cui all’articolo 1;
b) almeno 20 anni di contribuzione.
2. Ai fini della maturazione del requisito di cui al comma 1, lettera b), sono cumulabili, a quelli sammarinesi, i periodi contributivi maturati nei sistemi previdenziali di Paesi con i quali la Repubblica di San Marino ha stipulato convenzioni o accordi in materia, ove sia prevista la totalizzazione degli stessi.
Art. 5
(Domanda del trattamento previdenziale per anzianità anticipato e della pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. Per accedere al trattamento previdenziale anticipato e alla pensione ordinaria di vecchiaia anticipata, il lavoratore, al tempo dell’accordo di mobilità, è tenuto ad esprimere la volontà di accedervi ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2.
2. I documenti necessari per la presentazione della domanda sono:
a) certificato di nascita – certificato di residenza – stato di famiglia;
b) copia dell’ultima busta paga percepita prima dell’accordo di mobilità.
3. I certificati di cui alla lettera a) del comma 2 possono essere sostituiti da autocertificazione di cui alla Legge 5 ottobre 2011 n. 159, da effettuarsi presso l’Ufficio Prestazioni Economiche dell’ISS. Per la documentazione di cui alla lettera b) del comma 2 l’ufficio ricevente accederà direttamente alle banche dati in possesso del settore pubblico allargato.
Art. 6
(Misure del trattamento previdenziale di anzianità anticipato)
1. L’importo del trattamento previdenziale anticipato viene calcolato sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della Legge n. 157/2005 ed all’articolo 17 della Legge n. 158/2011 e ridotto di una quota pari al 10% da destinare alla Cassa Ammortizzatori Sociali.
2. La pensione viene erogata per l’ammontare calcolato sulla base delle disposizioni previste dal comma 1, fino al compimento dell’età prevista per la pensione di anzianità. Dal primo giorno del mese successivo al compimento dell’età pensionabile, la pensione, se più favorevole, verrà erogata nella misura stabilita dal calcolo effettuato sulla base dell’articolo 3, comma 3, della Legge n. 157/2005, così come modificato dall’articolo 17, comma 1, della Legge n. 158/2011. Dalla stessa data non viene più applicata la riduzione di cui al comma 1.
3. Viene fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 8 della Legge n.157/2005 e successive modifiche.
Art. 7
(Misura della pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. L’importo della pensione ordinaria vecchiaia anticipata è calcolato sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della Legge n. 157/2005 ed all’articolo 17 della Legge n. 158/2011 e ridotto di una quota pari al 10% da destinare alla Cassa Ammortizzatori Sociali.
2. La pensione è erogata, per l’ammontare calcolato sulla base delle disposizioni previste dal comma che precede, fino al compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Dal primo giorno del mese successivo al compimento dell’età pensionabile la pensione, se più favorevole, viene erogata nella misura stabilita dal calcolo effettuato sulla base dell’articolo 3, comma 3, della Legge n. 157/2005, così come modificato dall’articolo 17, comma 1, della Legge n. 158/2011. Dalla stessa data non verrà più applicata la riduzione di cui al comma 1.
3. Viene fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 8 della Legge n.157/2005 e successive modifiche.
Dato dalla Nostra Residenza, addì 11 luglio 2017/1716 d.F.R
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Dazi sulle royalties se sono richieste nel contratto
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 31 Luglio 2017 di Luca Benigni e Ferruccio Bogetti
Dogane. I diritti di licenza vanno inclusi nell’importo da dichiarare se rappresentano una condizione per la produzione e la vendita delle merci
Il costo delle royalties non sempre è da includere nella determinazione del valore di dogana da dichiarare all’importazione delle merci nell’Unione europea. I dritti di licenza devono essere sommati al valore della merce solo se è provato che sono richiesti all’acquirente/importatore dal licenziante estero e/o dal venditore/esportatore quale condizione per la vendita delle merci importate. Sono queste le conclusioni emerse dalle sentenze 2389/9/2017 e 2390/9/2017 della Ctr Lombardia (presidente Micheluzzi, relatore Taviano).
A seguito dell’importazione in Italia da parte di una Spa di una partita di giocattoli oggetto del proprio commercio, l’amministrazione delle Dogane notifica un accertamento suppletivo e di rettifica per parziale mancato pagamento dei dazi doganali, seguito da un atto di irrogazione sanzioni.
Secondo l’amministrazione la società contribuente non ha correttamente dichiarato il valore di dogana, non avendo incluso nel valore dei prodotti importati il costo delle royalties pagate al licenziante estero titolare del marchio.
La società propone un primo ricorso contro il tributo e un secondo contro le sanzioni. Secondo la contribuente, l’amministrazione non ha provato che il preventivo pagamento dei diritti di licenza sia condizione per il perfezionamento della vendita e neppure la connessione contrattuale tra il licenziante estero titolare del marchio e il fabbricante estero. In ogni caso la situazione di incertezza normativa esime dalle sanzioni.
L’amministrazione resiste e sottolinea che i diritti di licenza sono riferibili alla merce importata, costituiscono condizione di vendita della merce e, infine, sono richiesti dal licenziante estero titolare del marchio al fabbricante estero per il perfezionamento della vendita all’importatore/contribuente. Ecco perché, secondo l’ufficio, le sanzioni irrogate sono perciò legittime.
La Ctp riunisce i ricorsi, respinge quello sui tributi e accoglie quello sulle sanzioni. Appellano la sentenza di primo grado sia la società sia l’amministrazione, ognuno per la propria soccombenza.
La Ctr accoglie il primo, rigetta il secondo. In particolare, i giudici affermano che i diritti di licenza devono essere sommati al valore della merce da dichiarare in dogana solo se è provato che sono richiesti all’acquirente/importatore dal licenziante estero e/o dal venditore/esportatore quale condizione per la vendita delle merci importate.
Pertanto la maggiorazione del valore di dogana per diritti di licenza è legittima solo se l’importatore/contribuente, in caso di loro mancato pagamento prima dell’esportazione, può sottostare, a tutela del licenziante estero, al blocco della produzione, della logistica e della consegna delle merci da parte del fabbricante estero.
Inoltre, sempre secondo i giudici, i diritti di licenza pagati dall’acquirente/importatore dopo la rivendita delle merci successiva all’introduzione nel territorio comunitario non costituiscono di per sé presupposto che impone all’ufficio la rettifica del valore di dogana.
La commissione ricorda che il regime daziario applicabile deve sempre essere coerente con il regime Iva interno: essendo i corrispettivi per i diritti di licenza generalmente soggetti all’Iva, il pagamento ulteriore del dazio potrebbe dare luogo a una doppia imposizione.
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Società estera fittizia? La dichiarazione diventa fraudolenta
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 28 Luglio 2017 di Antonio Iorio
Cassazione. Ricavi trasferiti fuori dall’Italia
La costituzione di società estere ritenute fittizie che fatturano in luogo di una impresa nazionale, trasferendo così i ricavi fuori dall’Italia, può integrare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. L’eventuale avvenuto pagamento delle imposte estere, che farebbe scendere al di sotto della soglia di punibilità l’importo ritenuto evaso, deve essere provato dall’imputato e non dall’accusa.
È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione sez. 3 penale con la sentenza 37422 depositata ieri
Il rappresentante legale ed i soci di una Snc erano condannati nei due gradi di giudizio perché ritenuti responsabili del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del Dlgs 74/2000). Nella specie, secondo la tesi accusatoria, gli imputati avevano costituito fraudolentemente delle società schermo con sede in Inghilterra che esercitavano l’attività imprenditoriale utilizzando l’organizzazione aziendale della società italiana ed omettendo di registrare nella contabilità dell’impresa nazionale tutti i corrispettivi, surrettiziamente attribuiti alle società estere.
Nel ricorso per cassazione, tra i vari motivi, la difesa eccepiva che la tesi contenuta nella sentenza, secondo cui le società estere sarebbero state create al fine esclusivo di ottenere un’agevolazione od un risparmio di imposta, integrava, al più, il diverso, e meno grave, reato di dichiarazione infedele ma non quello di dichiarazione fraudolenta. In particolare non era stato dedotto nulla sull’idoneità del mezzo ad ostacolare l’accertamento dell’evasione richiesto dalla fattispecie contestata. La costituzione delle società estere e l’imputazione ad esse di attività riconducibili all’impresa italiana non era infatti sufficiente ad integrare il delitto in questione. Non erano poi state considerate le imposte assolte in Inghilterra. La sentenza, infatti, riteneva onere degli imputati dimostrare il versamento di tali somme. Secondo la difesa, invece, poiché la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo del reato, doveva essere l’accusa a dimostrarne la sussistenza.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso.
Secondo la pronuncia non vi è dubbio che la nozione di mezzo fraudolento, che contraddistingue il delitto in esame, non possa identificarsi in mere condotte di mendaci indicazioni di componenti attivi, né in sottofatturazioni, pertanto è pacifico che la semplice violazione degli obblighi di fatturazione, per quanto finalizzati ad evadere le imposte, non integri il delitto di dichiarazione fraudolenta.
È invece necessaria la sussistenza di un quid pluris che consente di attribuire all’elemento oggettivo una insidiosità tale da costituire un ostacolo all’accertamento.
Nella specie, la simulazione realizzata attraverso l’interposizione fittizia delle società inglesi, appositamente costituite nella fatturazione alla clientela delle prestazioni aventi ad oggetto le attività svolte dall’impresa italiana, che così sottraeva ricavi all’imposizione, costituisce in campo penal-tributario l’artificio idoneo a indurre in errore l’amministrazione finanziaria ostacolando l’accertamento della falsità contabile.
Per quanto concerne, invece, la prova dell’avvenuto pagamento delle imposte al fisco inglese, da decurtare conseguentemente dalla imposta ritenuta evasa in Italia, secondo i giudici di legittimità l’onere incombente sull’accusa (relativo al superamento della soglia di rilevanza penale) era stato abbondantemente assolto.
Incombeva quindi sulla difesa, che invocava la minore entità di tale somme, provare gli importi versati all’estero eventualmente da decurtare.
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La donazione con bonifico senza notaio è nulla
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 28 Luglio 2017 di Angelo Busani Emanuele Lucchini Guastalla
Sezioni unite. Tracciato il confine tra la liberalità diretta, per cui serve l’atto pubblico, e quella indiretta che non richiede formalità
È una donazione nulla, per mancanza di atto pubblico, il bonifico di una somma di denaro effettuato per spirito di liberalità, e cioè senza che l’operazione bancaria sia motivata dal fatto di essere il pagamento di un prezzo di un bene acquistato o di un servizio ricevuto dal beneficiario del bonifico.
Lo affermano le Sezioni unite della Corte di cassazione con una sentenza 18725 del 27 luglio 2017 destinata a essere menzionata nei manuali universitari perché effettua una netta linea di demarcazione tra due situazioni il cui confine è spesso assai sfumato: la donazione «diretta», per la quale il Codice civile prescrive la forma dell’atto pubblico a pena di nullità, al fine di costringere il donante a pensare a ciò che sta facendo; la donazione «indiretta», con la quale si arricchisce il patrimonio del donatario senza formalismi. È, quest’ultimo, il caso classico dei genitori che pagano il prezzo dovuto dal figlio per comprare un appartamento.
Un’evidente conseguenza di una donazione nulla è che se poi il donante muore, i suoi eredi hanno diritto a farsi restituire la somma donata dal donatario, a prescindere dal fatto che la donazione sia, o meno, lesiva dei diritti di legittima: donazione nulla infatti significa che il bene donato non è mai uscito dalla sfera giuridica del donante e che, quindi, egli (o, appunto, il suo erede) ha il diritto di pretenderne la restituzione. Se invece si abbia una donazione valida – come accade nel caso della donazione indiretta o della donazione diretta stipulata con atto pubblico – occorre che essa sia lesiva della quota di legittima per poter essere contestabile dagli eredi del donante.
Si spera ora che della sentenza tengano conto anche i giudici tributari e i funzionari fiscali e che, dunque, non si abbiano più sentenze come quelle (ad esempio le sentenze di Cassazione 634/2012 e 22118/2010) che hanno ritenuto dovuta l’imposta di donazione nel caso di trasferimento informale di denaro tra nonni e nipoti (anche minorenni !) o tra genitori e figli: se la donazione è nulla per mancanza del prescritto requisito formale, nemmeno si può pretendere l’applicazione dell’imposta di donazione, per manifesto difetto di capacità contributiva.
Né si può affermare che l’imposta di donazione si deve applicare, come l’imposta di registro, anche agli atti nulli (articolo 38, Dpr 131/1986), in quanto queste imposte presuppongono appunto un “atto”, ciò che appunto manca nel caso del trasferimento di denaro mediante bonifico.
Per le Sezioni unite si ha dunque donazione “diretta” (e, pertanto, la necessità dell’atto pubblico) quando ci sia un «passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto a un altro»: questa situazione è evidente nel caso del bonifico bancario, nel quale la banca agisce come mero esecutore di un ordine impartito da un suo correntista.
Altra situazione nella quale è evidente il carattere diretto della donazione è quella della consegna brevi manu di un titolo al portatore (ad esempio, un libretto bancario o postale) oppure nella emissione di un assegno, bancario o circolare, a favore del donatario.
Si ha invece – secondo le Sezioni unite – una donazione indiretta, priva del requisito formale (la sentenza 18725/2017 ha infatti anche il merito di contenere una articolata elencazione di tutti questi casi, ben motivati uno per uno):
con il cosiddetto contratto a favore di terzo che si configura, ad esempio, versando una somma su un conto cointestato e, quindi, in sostanza, arricchendo il cointestatario che beneficia dell’altrui versamento;
con il pagamento di un debito altrui (si pensi al genitore che paga il mutuo del figlio);
con il pagamento di un prezzo dovuto da altri (si pensi al genitore che paga il prezzo dell’appartamento che viene intestato al figlio);
con la vendita di un bene a un prezzo irrisorio (che è una donazione per la differenza tra il valore del bene e il prezzo pagato);
con la rinuncia a un credito a favore del debitore.
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La fattura non conservata è «occultata»
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 19 Luglio 2017 di Laura Ambrosi
Cassazione. Anche solo la mancata stampata del documento è reato
Commette il reato di occultamento delle scritture contabili obbligatorie il commercialista che emette e consegna fatture attive a terzi, ma non le conserva e annota sui registri.
A fornire questa interpretazione è la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 35173 depositata ieri.
Un commercialista veniva condannato alla pena di 6 mesi di reclusione per aver occultato o distrutto le scritture contabili obbligatorie (articolo 10 Dlgs 74/2000).
La Corte di appello confermava la decisione del Tribunale e l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando che i giudici territoriali avevano erroneamente paragonato l’omessa esibizione dei documenti mai detenuti, all’eliminazione fisica degli stessi. Inoltre, mancava la prova del dolo specifico con la conseguenza che la condotta non poteva integrare la fattispecie delittuosa.
L’articolo 10 del Dlgs 74/2000 prevede che salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
La Suprema Corte, confermando sul punto la sentenza, ha innanzitutto rilevato che in tema di reati tributari l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari a causa della distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, non va intesa in senso assoluto. Sussiste, infatti, anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante.
Tale delitto tutela il bene giuridico della trasparenza fiscale ed è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni. Va escluso il reato solo quando il risultato economico può essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire ulteriori elementi di prova.
Nella specie la documentazione non era stata rinvenuta presso l’imputato, ma presso terzi, con la conseguenza che il reato risultava integrato.
Il contribuente aveva emesso delle fatture che non erano però state conservate e annotate, con la conseguenza che la contabilità obbligatoria era stata istituita, ma non era nella sua disponibilità.
I giudici di legittimità hanno precisato che anche la sola condotta di non stampare la documentazione, costituisce occultamento della stessa agli accertatori.
Particolarmente rigorosa poi la considerazione sulla sussistenza del dolo: la Cassazione, condividendo la decisione di merito, afferma che la professione di commercialista, in un simile reato, di per sé configura il dolo.
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Polizze vita «unit linked» senza euro-ritenuta
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 18 Luglio 2017 di Primo Ceppellini e Roberto Lugano
Ctp Firenze. Escluso l’occultamento di capitali all’estero
«Una polizza assicurativa sulla vita che, in quanto tale, non è soggetta alla applicazione dell’euro-ritenuta» La Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza n. 646 dell’11 maggio 2017, si è pronunciata in merito ai profili fiscali generali delle polizze vita unit linked. È una delle prime volte in cui vengono analizzati questi aspetti, mentre finora si era sviluppata una corposa giurisprudenza dei tribunali italiani, nonché della Corte di cassazione, su temi di diritto civile quali la sequestrabilità e l’impignorabilità. Vediamo di riepilogare la questione esaminata dalla Commissione tributaria di Firenze e le conclusioni a cui essa è giunta.
La tesi delle Entrate
L’amministrazione finanziaria è ben consapevole che in taluni casi è stato fatto ricorso a usi distorti dello strumento. Non a caso, nel quaderno dell’Uif (Unità di informazione finanziaria) dedicato all’antiriciclaggio viene rammentato che «le polizze vita unit linked possono essere utilizzate per garantire un’intestazione sostanzialmente fiduciaria di attività già detenute dai sottoscrittori delle polizze con finalità di mera dissimulazione dell’effettiva proprietà».
L’agenzia delle Entrate si è espressa sul tema delle polizze unit linked estere nell’ambito della voluntary disclosure (circolare 10/E del 13 marzo 2015), ove si faceva riferimento alla possibilità di ricorrere alla collaborazione volontaria da parte del «contribuente italiano che ha proceduto a “schermare” il proprio rapporto presso una banca estera, mediante la sua intestazione ad una società localizzata in un Paese black list, o a “mascherarlo” sotto la forma di polizza assicurativa estera, riservandosi comunque la possibilità di movimentare lo stesso direttamente in qualità di procuratore speciale o indirettamente attraverso un proprio gestore di fiducia».
Nel procedimento esaminato dai giudici di primo grado di Firenze, l’ufficio contesta proprio questo aspetto, ovvero il fatto che i prodotti finanziari sottoscritti avrebbero solo formalmente natura assicurativa, mentre nella sostanza si tratterebbe di occultamento di capitali all’estero (cosa che avverrebbe con il versamento di quello che formalmente costituisce il premio). Lo strumento assicurativo sarebbe stato usato per evitare l’applicazione dell’euro ritenuta sulla fiscalità del risparmio e per evitare l’assoggettamento a tassazione in Italia. L’Ufficio, in conseguenza, ha recuperato in capo al contribuente, a titolo di redditi da capitale, i premi versati.
La sentenza
Di diverso avviso si è dimostrata la Commissione provinciale, che si è espressa in termini estremamente decisi: «Il contratto sottoscritto dal ricorrente è un normale contratto di assicurazione, del quale produce tutti gli effetti tipici: così, l’obbligo dell’assicuratore di pagare all’assicurato un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana contro il versamento di un corrispettivo (premio); la durata è prevista fino al decesso del soggetto assicurato o fino al riscatto totale della polizza; in caso di morte dell’assicurato sono previsti uno o più beneficiari, ovvero in caso di mancanza di tutti i beneficiari gli eredi del soggetto assicurato. Dunque, si tratta di una polizza assicurativa sulla vita, che – in quanto tale – non è soggetta alla applicazione dell’euro ritenuta».
Prescindendo dall’aspetto specifico legato all’applicazione dell’euro ritenuta, sottolineiamo come la conclusione raggiunta dai giudici sia basata esclusivamente sulle caratteristiche contrattuali “di base” del prodotto. In altri termini, non sono stati presi in considerazione tutti gli elementi caratterizzanti il contratto (durata, trasferimenti di rischi, presenza di garanzie, regolamentazione dei fondi sottostanti alla polizza) che invece hanno sempre formato oggetto delle cause civili.
Non è però prudente sorvolare su questi elementi, per cui anche ai fini fiscali riteniamo che sia sempre più importante strutturare il rapporto tra contraente e società di assicurazione nel modo più attento possibile, avendo riguardo anche a quanto emerso dai filoni giurisprudenziali della giustizia civile, in modo che il contribuente sia sempre in grado di respingere concretamente contestazioni di simulazione e di dimostrare la natura previdenziale della polizza sottoscritta.
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Per gli utili black list vale l’incasso
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 13 Luglio 2017 dia cura di Primo Ceppellini e Roberto Lugano
Redditi di capitale. Il dividendo va qualificato in base alle disposizioni in vigore al momento della percezione
I «paradisi» hanno un livello di tassazione inferiore al 50% di quella italiana
La tassazione dei dividendi da società estere è stata interessata da diverse modifiche nel tempo. Può essere quindi opportuno un riepilogo generale di sintesi delle diverse situazioni che si possono presentare.
Le modifiche
Ci sono quattro aspetti importanti che sono cambiati non solo per quanto riguarda i dividendi, ma anche pe questioni collaterali comunque rilevanti ai fine della loro corretta classificazione. Facciamo riferimento ai seguenti elementi.
È cambiata la nozione di Paesi a fiscalità privilegiata. Dopo le modifiche introdotte dalla legge 208/2015 all’articolo 167, comma 4 del Tuir, infatti, bisogna ora fare riferimento non più a uno specifico elenco, quanto piuttosto a una situazione di fatto. Sono da considerare Paesi a fiscalità privilegiata (che per semplicità continueremo a indicare come Black list) quelli in cui il livello nominale di tassazione risulta inferiore al 50% di quello applicabile in Italia;
Le norme di penalizzazione sui dividendi percepiti da Paesi black list sono state oggetto di modifica con una definizione più chiara di utili “provenienti” da enti residenti in tali territori. Si tratta di una disposizione (introdotta dal Dlgs 147/15 nell’articolo 47,comma 4 del Tuir) che riguarda le strutture in cui tra il soggetto italiano e quello black list non vi è una partecipazione diretta, ma viene interposta una società localizzata in territori white list;
L’interpello disapplicativo ha perso il carattere di obbligatorietà, per cui diventa possibile, rispettando alcune condizioni di compilazione della dichiarazione dei redditi, disattendere la disciplina prevista per i dividendi black list senza passare attraverso la presentazione dell’interpello stesso.
Èstata estesa ai dividendi provenienti dai paesi a fiscalità privilegiata la possibilità di fruire del credito per le imposte pagate all’estero.
Alla luce di tutte queste modifiche, possiamo considerare le seguenti ipotesi:
dividendi provenienti da società estere white list;
dividendi da Paesi black list;
dividendi da Paesi black list da società soggette alla disciplina Cfc;
dividendi da società conduit controllate;
dividendi da società estere conduit non controllate.
Dividendi white list
Per questa categoria non è cambiato nulla, per cui i dividendi percepiti da distribuzioni da parte di società residenti in territori non fiscalmente privilegiati continueranno a essere assoggettati al regime ordinario, sintetizzabile nell’esenzione al 95% per le società di capitali, nel concorso al reddito per il 49,72 % (58,14 % dal 2018) del relativo ammontare per le partecipazioni qualificate delle persone fisiche e nella tassazione a titolo di imposta del 26 % per le partecipazioni non qualificate.
Dividendi black list
In prospettiva, data la nuova definizione e la struttura delle imposte sui redditi italiane (Ires e Irap), sono da considerare territori privilegiati (fuori dalla Ue e dallo Spazio economico europeo) quelli in cui gli utili delle società scontano una tassazione inferiore al 50% della somma delle aliquote di tali imposte.
Tuttavia è bene ricordare che per l’agenzia delle Entrate, dal 1° gennaio 2016, il criterio da adottare è quello che gli utili debbano essere qualificati sulla base delle disposizioni in vigore al momento della percezione del dividendo e qualora sulla base delle disposizioni ratione temporis siano qualificabili come non provenienti da un regime fiscale privilegiato è necessario verificare tale condizione anche con riferimento al momento in cui vi è stata l’effettiva formazione dell’utile distribuito (si veda la circolare 35/E del 2016 ai paragrafi 3.2 e 3.3 e la risposta all’interrogazione parlamentare del 19 gennaio 2017). Consideriamo inizialmente il caso in cui la partecipazione estera black list non è soggetta alla disciplina Cfc (perché non vi è il requisito del controllo): in questa ipotesi la regola di base è il concorso integrale dei dividendi (quindi al 100 % del loro ammontare) alla formazione del reddito del soggetto percipiente. Per evitare la tassazione integrale, occorrerebbe invocare la cosiddetta seconda esimente (articolo 167, comma 5, lettera b del Tuir) e dimostrare che dalla partecipazione non si consegue l’effetto, sin dall’inizio del periodo di possesso, di localizzare i redditi in Paesi con regimi fiscali privilegiati. Verificata quest’ultima condizione, ai dividendi si applicherebbe il regime ordinario di tassazione.
In ogni caso, grazie alle novità del Dlgs 147/2015, al soggetto residente spetta un credito per le imposte assolte nel Paese estero.
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Dividendi, il prelievo Irpef aumenta
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 12 Luglio 2017 di Marco Piazza e Chiara Resnati
Redditi di capitale. Il decreto del Mef pubblicato ieri in «Gazzetta» aggiorna le percentuali alla riduzione dell’aliquota Ires al 24%
Utili nell’imponibile dei soci per il 58,14% – Per plus e minus nuove regole dal 2018
Fissate le nuove percentuali di partecipazione al reddito imponibile degli utili e delle plusvalenze derivanti da partecipazioni, strumenti finanziari equiparati e contratti di associazione e cointeressenza con apporto diverso dalle opere e servizi conseguiti da soggetti diversi dalle società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia e da stabili organizzazioni di enti non residenti (Dm Economia 26 maggio 2017 pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri).
La rideterminazione delle percentuali si è resa necessaria a seguito della riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24% a decorrere dal 1° gennaio 2017, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2016. La percentuale è calcolata in modo tale che la somma dell’Ires pagata dalla società e dell’Irpef pagata dal socio sia pari al 43% del reddito della società al lordo dell’Ires. Questo, però, comporta un incremento del prelievo Irpef sul socio.
Per quanto riguarda i dividendi e proventi assimilati, le nuove percentuali si applicano a quelli formati con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 da parte della società che distribuisce il dividendo. In particolare concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 58,14%:
gli utili e proventi derivanti da partecipazioni “qualificate”, strumenti finanziari e contratti di associazione in partecipazione assimilati detenuti da persone fisiche non nell’esercizio di impresa; resta ferma l’imposta sostitutiva del 26% sull’utile lordo per le partecipazioni non qualificate;
gli utili derivanti da partecipazioni qualificate e non qualificate detenute da persone fisiche nell’esercizio dell’impresa, società in nome collettivo e società in accomandita semplice.
Sono confermate le vecchie percentuali di imponibilità per i dividendi formati con utili prodotti in esercizi precedenti ed è confermato che i dividendi distribuiti si considerano prioritariamente formati con utili prodotti dalla società o ente partecipato fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 (40%), e poi fino all’ esercizio in corso al 31 dicembre 2016 (49,72%).
Se il percettore degli utili è un ente non commerciale residente, la nuova percentuale di imponibilità passa dal 77,78% al 100% (matematicamente sarebbe stato il 104,17%, il che dovrebbe far riflettere sull’eccesso di severità del legislatore nei confronti di questi enti).
Per le plusvalenze e minusvalenze le nuove aliquote si applicano, invece, a quelle realizzate a partire dal 1° gennaio 2018; in caso di percezione dilazionata di corrispettivi derivanti da cessioni fatte prima di tale data, continua ad applicarsi la vecchie percentuale. In questo caso si è data rilevanza al momento del realizzo e non a quello della percezione del reddito, come normalmente accade quando cambia il regime fiscale dei redditi diversi di natura finanziaria.
Per le plusvalenze realizzate al di fuori dell’esercizio d’impresa, la nuova quota di imponibilità è la stessa applicata agli utili (58,14%).
Per quelle realizzate nell’esercizio d’impresa con i requisiti per l’applicazione della participation exemption è prevista una percentuale di esenzione del 41,86% (corrispondente all’imponibilità del 58,14%).
Il decreto stabilisce che in caso di utili e proventi equiparati erogate da società o enti non residenti, i dati sulla stratificazione degli utili devono essere forniti, all’intermediario eventualmente obbligato ad operare la ritenuta d’ingresso, dal soggetto partecipante residente, previa attestazione da parte della società o dell’ente estero; attestazione che sarà, in realtà molto difficile ottenere se l’emittente è una società ad azionariato diffuso.
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Money transfer e giochi sotto sorveglianza
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 8 Luglio 2017 di Ranieri Razzante
Gli obiettivi. Gli altri elementi delle istruzioni delle Fiamme gialle
Money transfer e settore giochi sorvegliati speciali dalla Guardia di Finanza in materia di regolamentazione antiriciclaggio. È questo il nucleo centrale della Circolare con cui il Comando Generale ha comunicato le novità introdotte dal dlgs 90/17. I nuclei speciali di polizia valutaria e i reparti che svolgeranno ispezioni avranno come riferimento la Circolare in questione, che va ad integrare una serie di comunicazioni già effettuate dalla Gdf.
La polizia valutaria viene investita, dal nuovo articolo 9 del decreto, di ulteriori poteri di vigilanza, o meglio di un’estensione della platea dei soggetti sottoposti alle attività ispettive: gli istituti di moneta elettronica; i punti di contatto centrale degli istituti di pagamento; le succursali insediate in Italia di intermediari finanziari aventi sede legale e amministrazione centrale in altri Stati Ue o in Stati terzi; gli intermediari assicurativi che operano nei rami vita.
Per quanto riguarda i money transfer e gli agenti comunque denominati, la circolare ricorda che presso l’Oam (Organismo degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi ) è istituto un registro pubblico informatizzato che conterrà i dati identificativi e logistici degli agenti e dei soggetti convenzionati, dati a loro volta comunicati dai punti di contatto centrale degli intermediari Imel e Isp. È opportuno ricordare infatti che il «punto di contatto centrale» è la persona fisica o la struttura, stabilita in Italia, atta a rappresentare istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento che vogliano operare, sempre nel nostro territorio, senza succursali, ma solo tramite soggetti convenzionati (es. esercizi commerciali) oppure agenti (diversi da quelli in attività finanziaria già regolamentati dal Testo unico bancario). Questi soggetti, senza l’obbligo istituito dalla legge antiriciclaggio all’articolo 43, comma 3, non hanno avuto finora un riferimento univoco e una soggettività propria, per cui sfuggivano ai controlli antiriciclaggio nel nostro Paese. La Gdf avrà ora la possibilità di vigilare ispettivamente sui ripetuti punti di contatto, i quali, a loro volta, dovranno ricevere dagli agenti tutti i dati sulle operazioni svolte (compreso il titolare effettivo) entro 20 giorni dall’effettuazione delle stesse, così come ogni informazione e circostanza rilevanti per valutare l’inoltro di una segnalazione di operazione sospetta. La Gdf fa rilevare comunque che, essendo l’operatività del registro Oam subordinato a un dm Finanze, fino alla sua emanazione queste regole non saranno applicabili. Nonostante ciò, vengono richiamati i reparti ispettivi ad effettuare controlli sistematici sulle comunicazioni da parte degli agenti ai punti di contatto, e la loro conservazione per 12 mesi.
Per quanto riguarda i giochi, si ricorda che la vigilanza si estende di fatto a esercenti e distributori, anche se non ricompresi nell’elenco dei soggetti obbligati. Anche qui, operando questi soggetti per conto dei concessionari, la cui responsabilità per l’inosservanza delle norme antiriciclaggio resta primaria, alla Gdf va il controllo sui punti territoriali.
Il paragrafo 8 della circolare sottolinea, infine, che l’articolo 9 del nuovo decreto permette l’utilizzo a fini fiscali dei dati e delle informazioni acquisite nell’ambito di attività svolte in materia di antiriciclaggio.
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Dichiarazione infedele, amministratore di fatto concorrente nel reato
7 Agosto 2017
Il Sole 24 Ore 04 Luglio 2017 di Laura Ambrosi
Cassazione. Il padre aiutava la figlia
Concorre nel reato di dichiarazione infedele il padre che aiuta la figlia nella gestione dell’impresa individuale: il suo ruolo è paragonabile all’amministratore di fatto, configurabile anche se le funzioni riguardano solo alcune attività. A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 31906 depositata ieri.
La vicenda
Una persona fisica veniva condannata dal Tribunale a un anno e quattro mesi di reclusione per dichiarazione infedele, relativamente a violazioni commesse dalla ditta individuale intestata alla figlia. Più precisamente, veniva considerato amministratore di fatto e correo nel delitto contestato. La decisione era confermata anche dalla Corte d’Appello: pertanto l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando che, pur avendo la firma sui conti, era estraneo alla tenuta della contabilità. Si limitava a una collaborazione con la giovane per aiutarla a intrattenere i rapporti commerciali. La Corte, ritenendo inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza, ha fornito interessanti chiarimenti sulla qualificazione di un amministratore di fatto.
Nel corso della verifica, i militari avevano dato atto, innanzitutto dell’intervento del padre per qualunque richiesta di delucidazione, nonostante la titolarità dell’impresa fosse solo della figlia. Quest’ultima si era mostrata poco informata sulla gestione non solo commerciale (incassi e pagamenti), ma anche contabile. Inoltre, alcune fatture non contabilizzate erano state incassate sul conto personale del padre, dimostrando la piena disponibilità delle attività aziendali. Per queste ragioni, i verificatori prima e il giudice territoriale poi, avevano ritenuto che fosse l’amministratore di fatto e gestore dell’impresa intestata alla figlia e, quindi, corresponsabile del reato di dichiarazione infedele per aver sottratto elementi attivi superando la soglia di punibilità.
Le indicazioni dei giudici
I giudici di legittimità hanno precisato che in tema di reati tributari, per l’attribuzione a un soggetto della qualifica di amministratore di fatto, pur non occorrendo l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta non occasionalmente. Occorre continuità delle funzioni (di tutte, di alcune o una di esse) proprie degli amministratori. Tra questi compiti va considerato in primo luogo il controllo contabile e amministrativo, poi l’organizzazione interna ed esterna costituente l’oggetto della società. Con riferimento a quest’ultima, va verificata anche la funzione di rappresentanza eventualmente rivestita. La Cassazione ha così affermato che l’amministratore di fatto è chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti a qualifica o funzione: non è necessario l’esercizio di tutti i poteri, poiché è sufficiente «un’apprezzabile attività gestoria» non occasionale. Nella specie la conferma dell’intervento del padre emergeva anche dalla sua difesa. Il padre aveva riconosciuto l’omessa registrazione di operazioni attive realmente avvenute, peraltro incassate su propri conti correnti personali.