Legge 8 Agosto 2018 nr 104

30 Agosto 2018

Variazione al Bilancio di Previsione dello Stato per l’esercizio finanziario 2018 e modifiche alla L 21 Dicembre 2017 nr 147

Si allega testo completo della Legge nr 104 dell’8 Agosto 2018 ricordando che le principali novità riguardano:

  • la proroga della comunicazione del titolare effettivo al 31 12 18
  • esenzione dell’imposta di bollo del 3% sulla pubblicità e sull’elaborazione dati per i codici operatori economici che hanno nell’oggetto della licenza tali attività
  • aumento del II ACCONTO IGR in scadenza al 30 11 18 dal 35% al 55% dell’imposta dovuta

L 104 dell’8 Agosto 2018

 

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Scadenziario Settembre 2018

30 Agosto 2018

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Legge 30 Luglio 2018 nr 93 – Legge su crediti monofase e crediti d’imposta alle banche

3 Agosto 2018

Si allega testo completo della Legge 30 Luglio 2018 nr 93 il cui obiettivo è porre l’attenzione sui crediti monofase non recuperati negli anni dallo Stato per i quali ora  esercita azione di responsabilità.

L 93 del 30 Luglio 2018

 

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Furto di dati aziendali, così la stretta dei giudici

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 2 LUGLIO 2018 di Valentina Pomares

Le sentenze ampliano la portata delle sanzioni fino al licenziamento La semplice copia senza divulgazione configura una condotta sleale

Tutela dei dati aziendali rafforzata. Nell’interpretazione dei giudici, infatti, hanno assunto via via rilevanza disciplinare non solo le più classiche ipotesi di divulgazione di informazioni riservate all’esterno del perimetro aziendale, ma anche le condotte che – seppur non si concretizzino in un danno all’attività datoriale – ledono comunque le prerogative di riservatezza del datore di lavoro, il cui perimetro è da interpretarsi in senso ampio ed elastico ricomprendendo anche informazioni e dati non protetti e nella disponibilità del lavoratore.
Nell’ampia giurisprudenza sull’appropriazione dei dati aziendali da parte del lavoratore, particolare importanza assume la pronuncia della Corte di cassazione n.25147 del 20 ottobre 2017 (si veda il Sole 24 Ore del 26 ottobre 2017), relativa a un dipendente che aveva ricopiato su una chiave Usb una mole consistente di documenti aziendali. I giudici hanno stabilito che é legittimo il licenziamento del dipendente e ciò indipendentemente dalla protezione delle informazioni attraverso una password e dalla loro divulgazione a terzi perché questa condotta viola il dovere di fedeltà sancito dall’articolo 2105 del Codice civile.
Questa decisione acquisisce particolare rilevanza alla luce dell’entrata in vigore del Gdpr che ha introdotto più stringenti adempimenti in materia di trattamento e sicurezza dei dati personali, ponendo così una rinnovata attenzione sul tema della riservatezza in ambito aziendale. In particolare, dato l’obbligo in capo alle aziende di porre in essere specifiche misure per garantire la sicurezza dei dati oggetto di trattamento (pena l’applicazione di esose sanzioni) si pone la necessità di individuare puntualmente le condotte dei dipendenti lesive degli obblighi di riservatezza e quindi rilevanti sotto il profilo disciplinare.
Il contesto
La sentenza si pone nell’ambito della giurisprudenza relativa ai casi in cui il lavoratore si appropri di informazioni aziendali; in questo contesto, tuttavia, non sempre è chiaro quando risulti integrata la violazione dell’articolo 2105 Codice civile, in particolar modo con riferimento sia alla natura dei dati/informazioni rilevanti, che alla necessità o meno di una divulgazione degli stessi. Nel caso di specie, il giudice ha interpretato i suddetti requisiti nel senso dell’irrilevanza sia della natura non riservata delle informazioni apprese che della mancata divulgazione delle stesse: la circostanza che per il dipendente l’accesso ai dati fosse libero, infatti, non lo autorizzava ad appropriarsene creandone copie idonee a far uscire le informazioni al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro. Pertanto, la condotta del dipendente integrava violazione del dovere di fedeltà sancito dall’articolo 2105 Codice civile che si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenziale lesività.
Il precedente
Nella stessa direzione si pone una pronuncia della Corte di Cassazione (13 febbraio 2017, n. 3739) avente ad oggetto il caso di un lavoratore che si era abusivamente impossessato di appunti contenenti informazioni confidenziali, con la finalità di trasmetterle a un concorrente. In tale ipotesi, chiarivano i giudici, era irrilevante che la divulgazione all’esterno non fosse avvenuta perché impedita dall’intervento del datore di lavoro, dovendo ricondursi al dovere di fedeltà anche situazioni che non presentino tutti i requisiti dell’articolo 2105 Codice civile, atteso che il contenuto del suddetto obbligo è più ampio, dovendosi integrare questa norma con gli articoli 1175 e 1375 Codice civile, che impongono al lavoratore condotte rispettose di canoni generali di correttezza e buona fede.
La giurisprudenza
Con riferimento alla natura delle informazioni violate, un’interessante pronuncia di merito (Corte di appello di Ancona, 9 gennaio 2012, n. 1136) ha specificato come le informazioni la cui apprensione è rilevante ai fini della sussistenza della suddetta violazione sono quelle relative alle modalità produttive e al “know how” dell’azienda che – per il loro apporto e originalità – il datore di lavoro abbia interesse a preservare.
Dinanzi a tale inadempimento, proseguiva la Corte, le eventuali intenzioni del lavoratore, se non corroborate da circostanze obiettive, rilevano ben poco al fine di escludere la sussistenza di una condotta avente rilevanza disciplinare: infatti, seppur la valutazione delle intenzioni del lavoratore non può essere elusa, in quanto necessaria al fine di un corretto esercizio del potere disciplinare, tuttavia la violazione dei canoni di riservatezza costituisce di per sé un inadempimento, indipendente dal possibile esito di un “processo alle intenzioni”.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Ritenuta sui compensi in Italia del residente a San Marino

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 2 LUGLIO 2018 Esperto Risponde di Alfredo Calvano

Un medico dipendente e residente nella Repubblica di San Marino ha ricevuto una Certificazione unica per una prestazione effettuata in Italia, con ritenuta del 30 per cento. È obbligato a fare la dichiarazione dei redditi, perché ha redditi fondiari da immobili in locazione in Italia. È anche tenuto a inserire questa Certificazione unica in dichiarazione? In caso negativo, può inserirla ugualmente, in maniera da recuperare la ritenuta, poiché ha molte detrazioni che derivano da ristrutturazioni sugli immobili?
M.C.SIRACUSA
I compensi professionali conseguiti in Italia da un soggetto fiscalmente residente all’estero sono sottoposti – dal sostituto italiano – a ritenuta del 30% a titolo d’imposta, in base all’articolo 25, comma 2, Dpr 600/73. Questa modalità di tassazione alla fonte esonera il percettore dei compensi da ogni ulteriore incombenza dichiarativa e impositiva. Non c’è dunque la possibilità che egli possa optare, in alternativa, per l’imposizione ordinaria, allo scopo di recuperare la ritenuta a compensazione delle imposte dovute su ulteriori redditi conseguiti in Italia.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

La start–up a San Marino deve essere gestita in loco

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore del 23 LUGLIO 2018 Esperto Risponde di Gabriele Ferlito

Sto creando una start–up nel settore foodtech e creerò contestualmente un sito e–commerce, per la vendita di prodotti alimentari, solo in Italia. Poiché San Marino dista solo pochi chilometri dalla città in cui vivo, e avendo letto che la Repubblica è stata cancellata dalla black list dell’agenzia delle Entrate, posso aprire la società a San Marino pur mantenendo la residenza in Italia? Mi hanno riferito che, per le aziende italiane che aprono come start–up a San Marino, esiste un’agevolazione quinquennale sulle tasse in loco, ma solo se la società ha sede nella Repubblica. Però non vorrei spostare la residenza. Esiste una normativa aggiornata al riguardo?
M.C.RIMINI
Con il Dm del 12 febbraio 2014 San Marino è stata esclusa dalla cosiddetta black list dei Paesi considerati a fiscalità privilegiata contenuta nel Dm 4 maggio 1999. Inoltre, nel luglio 2013 è stata ratificata la Convenzione sottoscritta tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni. A seguito di questi due interventi normativi, oggi San Marino è considerato un Paese trasparente e collaborativo sotto il profilo fiscale ed è pertanto venuta meno l’operatività di alcuni obblighi di comunicazione al Fisco italiano degli investimenti effettuati in loco, nonché di alcune norme fiscali di carattere presuntivo (come quella sulla residenza fiscale in Italia delle persone fisiche che l’hanno trasferita in un Paese della black list). Premesso questo, nulla vieta di costituire una società a San Marino (così come in qualsiasi altro Paese) nonostante i soci siano residenti in Italia ai fini fiscali. La società è in effetti un soggetto giuridico del tutto autonomo dai propri soci. Ad assumere maggiore rilevanza ai fini fiscali è, tuttavia, il fatto che la società sia effettivamente amministrata nel Paese in cui ha sede. In caso contrario, l’agenzia delle Entrate potrebbe considerare la società estera come residente ai fini fiscali in Italia, con conseguente recupero in Italia delle imposte e irrogazione delle relative sanzioni.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Fuori Iva l’auto extra Ue guidata dallo straniero

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 2 LUGLIO 2018 di Giorgio Emanuele Degani e Damiano Peruzza

DOGANE

Dazi e imposta non dovuti dal conducente che circola in Italia per meno di 6 mesi

Per i veicoli a uso privato immatricolati in un Paese extra Ue a nome di persone anch’esse stabilite fuori dal territorio doganale, è possibile circolare negli Stati membri in regime di ammissione temporanea e senza assolvere ai dazi doganali e all’Iva, salvo che l’agenzia delle Dogane competente fornisca la prova della mancanza dei requisiti richiesti dalla normativa doganale. Si è espressa in tal senso la Ctp di Varese 120/3/2018 (presidente Soprano, relatore Greco) che ha rilevato la temporanea importazione di una autovettura targata Svizzera, di proprietà di una persona fisica lì residente, condotta da un soggetto anch’egli svizzero.
Occorre innanzitutto rilevare che il reato di contrabbando nell’importazione di autoveicoli è stato depenalizzato dall’articolo 1, comma 1, Dlgs 8/2016, in linea con l’obiettivo di deflazione del sistema penale e l’introduzione di sanzioni proporzionate; ad oggi è prevista la sanzione amministrativa unica compresa tra 5mila e 50mila euro.
Con specifico riferimento agli autoveicoli ad uso privato, cioè destinati ad usi non commerciali, in base agli articoli 232 e 233 delle disposizioni di applicazione del Codice doganale comunitario (regolamento Ce 2454/93), per i mezzi immatricolati al di fuori del territorio eurounionale è prevista l’esenzione dal pagamento dei diritti di confine al ricorrere di due condizioni.
e Il veicolo deve essere immatrcolato al di fuori del territorio doganale unionale, a nome di una persona stabilita (rectius residente) non in uno Stato membro.
r Il mezzo deve essere utilizzato dall’intestatario, oppure da un congiunto entro il terzo grado di parentela parimenti stabilito al di fuori del territorio doganale unionale; da un’altra persona anch’essa residente extra Ue, purché debitamente autorizzata dal titolare; da ultimo, da una persona stabilita nel territorio unionale, a condizione che il titolare si trovi a bordo del veicolo.
Sussistendo ambedue le condizioni, il veicolo che varca la frontiera del territorio doganale unionale, si considera ammesso temporaneamente: ciò comporta l’applicazione del regime di temporanea importazione, senza dover assolvere i dazi e l’Iva.
La circolazione non è temporalmente illimitata, ma può avvenire per un massimo di sei mesi, anche non consecutivi, a decorrere dal primo ingresso.
Nel caso di specie, l’accertamento muove dall’errato assunto secondo cui il conducente del veicolo fosse residente in Italia, con la conseguente contestazione del delitto di contrabbando.
Tuttavia, nel corso del giudizio il conducente ha provato l’utilizzo occasionale del veicolo e l’assoluta inesistenza del collegamento con lo Stato italiano mediante la produzione delle movimentazioni giornaliere con carte di credito in territorio elvetico, nonché con la certificazione del Comune italiano con cui si comunicava che il conducente era completamente sconosciuto all’anagrafe.
Queste circostanze non sono smentite né contestate dall’agenzia delle Dogane e hanno portato all’annullamento dell’atto di contestazione da parte della Ctp di Varese.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Veto sull’aumento di capitale di Srl con il conferimento di criptovaluta

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 31 LUGLIO 2018 di Angelo Busani

TRIBUNALE DI BRESCIA

La moneta sotto esame scambiata in una piattaforma ristretta

Dubbi sul pignoramento: esistono dispositivi che bloccano l’esproprio

Non è legittimo l’aumento di capitale di una Srl mediante il conferimento di criptovaluta, in quanto «una moneta virtuale ancora in fase sostanzialmente embrionale (per il fatto che la sua quotazione «sulle principali piattaforme di conversione sarebbe un progetto» ancora «in cantiere») non presenta i requisiti minimi per essere assimilata a un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile».
Lo decide il tribunale di Brescia (decreto 7556/2018 del 18 luglio 2018 nel procedimento di volontaria giurisdizione rg 2602/2018), respingendo l’istanza di omologazione della società che aveva effettuato l’operazione di aumento del capitale, a fronte del rifiuto di iscrizione opposto dal notaio incaricato di verbalizzare la decisione dei soci.
Il caso
Non si è trattato di un giudizio in astratto sull’idoneità delle criptovalute a essere oggetto di conferimento, bensì di un giudizio sul punto se il bene concretamente fatto oggetto di conferimento rispondesse alle caratteristiche prescritte dalla legge (l’articolo 2464 del Codice civile, per il quale «possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica»).
Nel caso concreto affrontato dal tribunale di Brescia, è stato dunque oggetto di giudizio un aumento di capitale sociale del valore di 1,4 milioni di euro, liberato mediante un conferimento in natura: per metà del valore, in opere d’arte e, per l’altra metà, appunto in una criptovaluta. Nella perizia giurata redatta a servizio del conferimento (articolo 2465 del Codice civile) era stata valorizzata la criptovaluta, era stata individuata la piattaforma sulla quale la criptovaluta era scambiabile ed era stato attestato che, in capo alla società conferitaria, era stata trasferita la disponibilità delle credenziali (transaction password) per l’utilizzo della criptovaluta.
Il tribunale (premettendo che, nel giudizio di omologa, non viene sindacato il merito delle affermazioni del perito, ma la completezza, la logicità, la coerenza e la ragionevolezza della perizia) ha ritenuto le motivazioni contenute nel ricorso per l’omologa «non convincenti» e la perizia dell’esperto non dotata di «un livello di completezza e affidabilità sufficiente» (il tribunale ha rilevato, tra l’altro, che il perito non aveva esplicitato i criteri di determinazione del valore della criptovaluta, essendosi limitato a «prestare una incondizionata adesione» al valore risultante dal sito ove la critpovaluta era utilizzata).
Le piattaforme di scambio
Al riguardo, il tribunale ha rilevato che la criptovaluta in questione non era presente in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, «con la conseguente impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili in quanto discendenti da dinamiche di mercato».
Inoltre, ha osservato che l’unica piattaforma ove la criptovaluta oggetto di conferimento veniva scambiata era un sito dedicato «alla fornitura di beni e servizi riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta», nel cui «ristretto ambito» la criptovaluta fungeva da mezzo di pagamento accettato. Insomma, si sarebbe trattato di una caratteristica autoreferenziale, «incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato».
La valutazione
Il tribunale ha anche affermato che, affinché un dato bene sia idoneo a essere conferito nel capitale di una società, deve essere oggetto di valutazione, in un dato momento storico e deve, di conseguenza, esistere un mercato del bene in questione; e, ancora, che il bene deve essere suscettibile di esecuzione forzata da parte dei creditori sociali. Al riguardo, è vero che parte della dottrina giuridica afferma che la funzione di garanzia del capitale sociale andrebbe letta «in senso giuridico-contabile e non già» in senso «materiale», ma è anche vero – secondo il tribunale – che l’osservazione del bene conferito non può prescindere dalla concreta esigenza della sua economica valutabilità.
L’esecuzione

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Oltre la presunzione: si può provare la residenza black list

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 27 LUGLIO 2018 di Marco Croce e Valerio Vallefuoco

CASSAZIONE

Sono elementi utili: il contratto di affitto e le spese per le utenze

La Corte di Cassazione (sentenza 19410 del 20 luglio 2018) ritorna a pronunciarsi sul delicato tema del trasferimento della residenza fiscale all’estero sancendo il principio secondo cui la presunzione di residenza italiana in caso di Paesi a fiscalità privilegiata in giudizio non regge se il contribuente fornisce validi elementi di fatto a prova contraria. Vediamo come.
Ai fini dell’articolo 2, comma 2 del Tuir «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile». Tuttavia, secondo il consolidato orientamento di prassi e giurisprudenza, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione all’Aire non è un requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio italiano.
Oltretutto, nei casi in cui la residenza venga trasferita in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (black list Dm 4 maggio ’99), la norma rubricata nell’articolo 2, comma 2-bis del Tuir introduce una presunzione legale di residenza in Italia, invertendo, altresì, l’onere della prova a discapito del contribuente. Ricordiamo, però, che tale presunzione, può essere sempre legittimamente superata, fornendo validi elementi di fatto, quali il contratto di affitto relativo a un appartamento nel Paese estero, la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze e contratti bancari, che possano essere positivamente valutati dall’Amministrazione.
È proprio sulla possibilità del contribuente di fornire elementi utili ad individuare la propria effettiva residenza che si fonda la sentenza 19410. La Cassazione ha, infatti, affermato che tutti gli elementi di fatto rilevanti, e attinenti ai legami personali e professionali dell’interessato, debbano essere presi in debita considerazione e la relativa valutazione espressa nelle motivazioni di merito.
I fatti discussi riguardano un tennista che dal 1998 aveva spostato nel principato di Monaco la propria residenza. Le Entrate avevano sottoposto il contribuente ad accertamento fiscale per l’anno 2000 proprio in virtù del comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir. I giudici di merito avevano sostenuto la tesi erariale. Con la decisione in commento, però, i giudici di Piazza Cavour hanno rimandato il giudizio ai giudici della Ctr, accogliendo, così, i motivi del ricorso presentato dal contribuente.
La Cassazione ha ritenuto, infatti, che l’insieme dei dati fattuali esposti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad una appartamento sottoscritto a nome dello stesso, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alla varie utenze in uso in detto appartamento, l’utilizzo da parte dello stesso delle strutture di allenamento Atp del principato, nonché l’evidenza che il principato fosse la base abituale dei trasferimenti del contribuente, frutto dell’espletamento della sua attività, fossero elementi decisivi al fine di individuare la residenza effettiva dello stesso.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Abusiva la consulenza tributaria e aziendale senza abilitazione

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 19 LUGLIO 2018 di P.Mac.

Commercialisti

Ininfluente l’avvertimento alla clientela di agire solo in base all’esperienza

Esercizio abusivo della professione di commercialista per il titolare di una società che svolge consulenza aziendale e tributaria senza abilitazione. La Cassazione (sentenza 33464/2018) respinge il ricorso contro la condanna a un mese di reclusione e al risarcimento danni in favore dell’Ordine dei commercialisti, parte civile nel processo a carico del “capo” di una Srl che esercitava abusivamente prestazioni per le quali era richiesta l’iscrizione all’albo.
La Suprema corte respinge tutte le obiezioni della difesa. Per l’imputato, la Corte d’appello ha illegittimamente sottratto la generica attività di consulenza tributaria e aziendale al raggio d’azione della legge 4/2013 che ha liberalizzato le professioni senza albo. Il criterio da individuare, per la regolamentazione dello svolgimento dell’attività, era dunque quello della libertà di iniziativa economica, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione, rispetto alla quale, sempre ad avviso del ricorrente, si doveva leggere la disciplina contenuta nell’articolo 33, quinto comma della Carta costituzionale, nella parte in cui subordina l’esercizio della professione al conseguimento dell’abilitazione. Un’ipotesi limitata soltanto alle professioni per le quali la legge prescrive l’iscrizione ad Albi a tutela della clientela.
L’attività contestata sarebbe invece rientrata tra quelle liberamente esercitabili, in linea con la legge 4/2013. L’imputato sottolinea anche di aver informato i suoi clienti di essere privo di abilitazione e di agire in virtù di un’esperienza maturata con gli anni, evitando così di violare l’affidamento dei terzi come interpretato dalle Sezioni unite con la sentenza 11545/2012. Per finire, a riprova della buona fede, c’era l’autorizzazione a operare nel servizio telematico dell’agenzia delle Entrate.
Tesi tutte respinte dalla Cassazione, che basa il suo verdetto proprio sui principi affermati dalle Sezioni unite nel 2012. Correttamente la Corte d’appello, per sostenere la rilevanza penale delle condotte contestate, ha analizzato i meccanismi con i quali lavorava la ditta. La Srl, priva di dipendenti e riconducile all’imputato, si relazionava direttamente con i clienti finali e nel suo centro studi aziendali non c’erano lavoratori abilitati. I giudici ricordano che l’abuso scatta in presenza di una pluralità di atti che, pur non riservati in esclusiva alla competenza specifica di una professione, «nel loro continuo coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di appartenenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela». In questo quadro è dunque ininfluente la pretesa, e non provata, avvertenza data ai clienti.
La Corte territoriale ha correttamente compreso le attività svolte dal ricorrente tra quelle tipiche in base al Dlgs 139/2005, sulla «costituzione dell’ordine dei dottori commercialisti» riserva a questi ultimi. Anche se per la Cassazione non c’è, nello specifico, differenza tra tipiche e riservate. Lo stesso vale per le norme sull’ordinamento dei consulenti del lavoro dettate dalla legge 12/1979.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy