Mese: Gennaio 2020
Scadenziario Febbraio 2020
31 Gennaio 2020
entro il 20 Febbraio
- Scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S. F.S.S. e FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di gennaio.
entro il 29 Febbraio
- Scade il termine per il versamento della ritenuta del 5% sugli utili (anche eventualmente accantonati a Riserva) prelevati nel bimestre di novembre e dicembre dell’esercizio precedente (ritenuta da applicarsi sulla distribuzione utili formatisi dall’anno 2014 in avanti);
- il pagamento delle ritenute a titolo definitivo per lavoro autonomo relativi al bimestre di novembre e dicembre dell’esercizio precedente;
- il pagamento dell’imposta speciale di bollo sui servizi di agenzia e rappresentanza (3% – 6%) relativi al bimestre di novembre e dicembre dell’esercizio precedente;
- il pagamento dell’imposta speciale di bollo sui servizi di elaborazione dati e pubblicità (3%) relativi al bimestre di novembre e dicembre dell’esercizio precedente;
- scade il termine per la richiesta di rimborso per l’acquisto di benzina e di gasolio usato come carburante nel periodo 01/07/2019 – 31/12/2019 come da Decreto Delegato del 6 agosto 2012 n. 114.
- La presentazione della richiesta al Fondo Servizi Sociali finalizzata al rimborso delle spese obbligatorie inerenti la sicurezza di cui all’Accordo del 14/02/2006 fra la Confederazione Sindacale e le Associazioni Datori di Lavoro per il settore INDUSTRIA. Alla richiesta vanno allegate le relative fatture di spesa;
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Decreto Delegato 2 dicembre 2019 nr 160 – Regolamentazione dei flussi di migrazione per motivi di lavoro e per esigenze straordinarie per l’anno 2020
13 Gennaio 2020
Si allega testo completo del Decreto che regolamenta i permessi speciali di soggiorno che potranno essere rilasciati a stranieri nell’anno 2020 per motivi di lavoro e per esigenze straordinarie.
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Circolare nr 146875 del 30/12/2019 – Disposizioni attuative riguardanti il Titolo IV, Capo II della Legge n. 166/2013 “Incentivi fiscali per il sostegno all’occupazione”
13 Gennaio 2020
Si allega Circolare nr 146875 dell’Ufficio Tributario riguardante alcune precisazioni circa gli incentivi fiscali per il sostegno all’occupazione segnalando che eventuali variazioni sui profili dei dipendenti ai fini del diritto all’incentivo, riguardanti l’anno di incremento, possono essere effettuate entro e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo .
Circolare_art 70_L166-2013_BIS
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Circ. Ufficio Tributario nr 146812 del 30/12/2019 – Modalità di richiesta superamento limiti deducibilità dei costi, così come previsti dall’art. 50 Legge n.166/2013
13 Gennaio 2020
Si allega la Circolare nr 146812 del 30/12/2019 dell’Ufficio Tributario che prevede la modalità di richiesta di superamento dei limiti alla deducibilità dei costi previsti dall’art. 50 L166/2013 (pubblicità e sponsorizzazioni max 8% dei ricavi; elaborazione dati e ricerche di mercato max 10% dei ricavi; spese di rappresentanza max 5% dei ricavi) presentando apposita domanda per ogni periodo fiscale per il quale s’intenda chiedere deroga completa di alcuni documenti, agli sportelli della Segreteria dell’Ufficio Tributario entro il 31 maggio.
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Il ravvedimento blocca il penale se c’è uso di fatture per operazioni inesistenti
13 Gennaio 2020
Quotidiano del Fisco 5 DICEMBRE 2019 di Lorenzo Lodoli e Benedetto Santacroce
Non punibilità penale per il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti con ricorso al ravvedimento operoso che estingue il debito tributario e conferma implicita dell’ammissibilità dello specifico strumento deflattivo per sanare le connesse violazioni amministrative.
Queste sono due importanti conseguenze che derivano dalle modifiche introdotte dalla Commissione Finanze della Camera all’articolo 39 del Dl 124/2019.
In particolare, l’intervento legislativo introduce una ulteriore lettera q-bis) con cui viene ampliata la platea dei reati non punibili prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 ricomprendendo, in caso di integrale pagamento del debito, anche le fatture inesistenti.
Inoltre, dà, legislativamente, conferma della possibilità di fruire del ravvedimento operoso per sanare le violazioni fiscali amministrative derivanti dall’utilizzo di fatture inesistenti.
Causa di non punibilità
Nel corso dell’esame in sede referente è stata prevista un’integrazione del comma 2 dell’articolo 13 del Dlgs 74/2000, che consente la non punibilità di alcuni reati tributari a fronte del tempestivo pagamento del debito tributario. In particolare l’articolo 13, al comma 2, prevede la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e omessa dichiarazione (articolo 5) se i debiti tributari (comprese sanzioni e interessi), sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, purché ciò avvenga prima che il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o penale.
Il provvedimento interviene sul comma 2 per aggiungere – tra i reati che si estinguono con l’integrale pagamento del debito tributario prima che l’interessato abbia notizia dell’apertura del procedimento a suo carico – il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2) e il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3).
Si tratta di fattispecie di reato che sino ad oggi, per la loro intrinseca gravità, erano soggette, in caso di versamento integrale del dovuto, solo ad una riduzione di pena (articolo 13-bis) e che invece diventano non più punibili.
Ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità non si chiede solo il pagamento integrale del debito tributario, essendo altresì necessaria l’ulteriore condizione della volontaria resipiscenza, in quanto il contribuente non deve essere a conoscenza di accessi o ispezioni. Solo in presenza di tali circostanze, infatti, il legislatore ha escluso la necessità dell’applicazione di una sanzione.
Ravvedimento per le fatture inesistenti
Con le modifiche al comma 2 dell’articolo 13 il legislatore ha altresì confermato che è possibile usufruire del ravvedimento operoso per sanare la violazione fiscale derivante dalla deduzione di costi e/o dalla detrazione dell’Iva su fatture inesistenti. Sul punto ricordiamo che l’agenzia delle Entrate (circolare 180/1998 e Telefisco 2018) e la Guardia di Finanza (circolare 1/2018) hanno un approccio negativo in quanto non si rientrerebbe nel concetto di “errore od omissione” rilevante ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs 472/97 ma si tratterebbe di un comportamento connotato da intrinseca antigiuridicità. La questione era stata, di recente, affrontata anche dalla Corte di cassazione (sentenza 5448/2018) che, invece, partendo dall’evoluzione normativa proprio del Dlgs 74/2000 ed evidenziando l’importanza riconosciuta al ravvedimento ai fini del riconoscimento dei benefici penali (ad esempio, patteggiamento e riduzione pena articolo 13-bis), aveva concluso che tale istituto doveva avere rilevanza anche per il reato di cui all’articolo 2.
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I beni in natura sono da tassare
13 Gennaio 2020
Il Sole 24 Ore 17 DICEMBRE 2019 di Giovanni Renella
L’INTERPELLO
Niente categoria omogenea se solo un amministratore su tre riceve dei soldi
Non fa realizzare una categoria omogenea la presenza di amministratori (due su tre) che per l’incarico svolto percepiscono esclusivamente compensi in natura. In questo caso, i benefit assolvono infatti una funzione essenzialmente remunerativa da assoggettare a tassazione come reddito di lavoro dipendente.
È questa una delle risposte fornite dall’agenzia delle Entrate – risposta 522 del 13 dicembre 2019 – ad un interpello presentato da una società di consulenza che intende attivare un piano di welfare aziendale on top, da riservare a due categorie di beneficiari costituite da:
alcuni lavoratori dipendenti;
i tre membri del CdA, di cui un componente percepisce compensi in danaro inquadrabili tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lettera c-bis, Tuir) mentre gli altri due amministratori svolgono l’incarico a titolo gratuito.
In linea generale sia gli emolumenti in denaro che i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere percepiti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituiscono redditi imponibili e concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (cd. principio di onnicomprensività).
Come già chiarito in altre documenti di prassi (circolare 28/E/2016) condizione per l’applicazione del regime di non imponibilità (articolo 51, comma 2, Tuir) è che l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente e in una violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione. In altri termini non devono essere alterati nè le regole di tassazione dei redditi di lavoro dipendente (e assimilati) nè il connesso principio di capacità contributiva che comunque attrae nella base imponibile anche le retribuzioni erogate in natura.
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Le fotografie non bastano per dedurre la sponsorizzazione
12 Gennaio 2020
Quotidiano del Fisco 03/01/2020 di Alessandro Borgoglio
Qualora il Fisco contesti l’inesistenza della sponsorizzazione, i cui costi sono stati dedotti dal contribuente, a quest’ultimo non basta opporre la dimostrazione dei pagamenti e l’allegazione delle fotografie dell’evento sponsorizzato per contrastare la contestazione dell’Erario. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 29707/2019 .
Secondo il costante orientamento di legittimità, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero che sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’Iva e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari; a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate: tale ultima prova non può, tuttavia, consistere nell’esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (da ultimo, Cassazione 6865/2019).
Sulla base di tali principi, qualche tempo fa i giudici di merito avevano stabilito che, ai fini della prova di cui il Fisco è onerato, è necessario che vengano forniti precisi elementi di prova, o quantomeno indizi precisi e concordanti, che possano chiarire se vi sia stata sovrafatturazione e in che quantità; all’assenza di tali elementi indiziari o probatori dell’Ufficio non può supplire il richiamo a verifiche e a dichiarazioni formulate nel corso di accertamenti verso altre società clienti di quella che avrebbe reso le prestazioni, e la mancanza di elementi gravi, precisi e concordanti rende l’avviso di accertamento illegittimo (Ctr Venezia, sentenza 35/3/18 del 10 gennaio 2018).
In merito alla prova contraria di cui è gravato il contribuente, invece, altri giudici di merito hanno recentemente stabilito che, qualora l’Ufficio contesti l’inesistenza delle sponsorizzazioni, con conseguente recupero a tassazione delle relative spese dedotte, il contribuente può validamente dimostrare l’esistenza delle operazioni e la legittimità della deduzione attraverso l’esibizione dei contratti di sponsorizzazione, delle fotografie e degli articoli della stampa specializzata attestanti la sponsorizzazione, dei bonifici di pagamento e della regolare documentazione contabile, atteso che tali elementi sono sufficienti a provare la concreta effettuazione delle prestazioni di sponsorizzazione richieste (Ctr Bologna, sentenza 627/01/19 del 28 marzo 2019).
Non pare essere, però, dello stesso avviso la Cassazione, che, con la sentenza qui commentata, ha bocciato la decisione dei giudici di merito a favore della società sponsor, in quanto basata su elementi totalmente privi di valenza presuntiva, quali i documenti bancari attestanti il versamento del corrispettivo in denaro dell’operazione, inoltre richiamando genericamente le riproduzioni fotografiche dell’evento sponsorizzato, senza individuarne il contenuto e specificarne il contesto e la collocazione spazio temporale, tralasciando invece di considerare la genericità del contenuto dei contratti di sponsorizzazione stipulati e la presenza di precedenti sentenze emesse contro la associazione sportiva dilettantistica sponsorizzata, concernenti la violazione degli obblighi dichiarativi e l’emissione di fatture false per altre sponsorizzazioni.
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Sì a investigatori privati per illeciti dei dipendenti
12 Gennaio 2020
Il Sole 24 Ore 30 DICEMBRE 2019 di Simona Destefani e Annamaria Pedroni
CONTENZIOSO
Le indagini non devono verificare l’adempimento contrattuale del lavoratore
Tra le motivazioni ammesse le truffe sulla malattia e la concorrenza all’azienda
Il Tribunale di Padova, con il decreto 6031 del 4 ottobre 2019 ha fatto il punto sulle condizioni di liceità delle investigazioni sui dipendenti. Il ricorso ad agenzie private da parte del datore di lavoro e l’utilizzabilità in giudizio del loro operato richiede un’attenta osservanza di limiti, che sono in costante aggiornamento, data l’evoluzione delle normative che disciplinano gli interessi coinvolti e l’interpretazione che la giurisprudenza ne offre.
L’indagine commissionata dal datore di lavoro ad agenti investigativi rientra nell’ipotesi di «impiego di personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa», rispetto alla quale l’articolo 3 dello Statuto dei lavoratori delimita la sfera di intervento del datore (l’articolo 3 prevede infatti che i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbano essere comunicati ai lavoratori interessati).
Secondo l’interpretazione estensiva che la giurisprudenza ormai consolidata ha elaborato di questa disposizione, il divieto di controllo occulto sancito dalla norma non opera quando il ricorso alle investigazioni private sia diretto a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite o anche solo il sospetto della loro realizzazione (Cassazione, sentenze 4984/2014 e 15094/2018).
Il controllo delle agenzie investigative non deve sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria del dipendente. In particolare, non deve consistere nel controllo dell’adempimento diligente delle mansioni, che è riservato direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Le indagini devono invece riguardare comportamenti che abbiano rilevanza non come mero inadempimento contrattuale, ma come autonome fattispecie illecite: civili, amministrative o penali. La giurisprudenza riconosce come verifiche di condotte illecite (perpetrate o sospettate) che consentono il ricorso all’agenzia investigativa:
quelle relative all’attività extralavorativa svolta dal dipendente violando il divieto di concorrenza, che sia fonte di danni per il datore di lavoro (Cassazione, sentenza 12810/2017);
quelle riguardanti l’uso improprio da parte del dipendente dei permessi previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992 (Cassazione sentenza 4984/2014);
i comportamenti adottati nel corso di una malattia, laddove i controlli non devono riguardare gli aspetti sanitari (preclusi dall’articolo 5 dello Statuto dei lavoratori) ma le condotte extralavorative che attestano l’insussistenza della malattia o dello stato di incapacità lavorativa (Cassazione, sentenza 12810/2017);
quelle relative allo svolgimento durante l’orario di lavoro di attività retribuita in favore di terzi (Cassazione, sentenze 5269 e 14383 del 2000);
le attestazioni con le quali il dipendente afferma la propria presenza in servizio a fronte di prestazione lavorativa resa invece a orario ridotto (Cassazione, sentenza 14975/2018).
Il principio è quello dei cosiddetti controlli difensivi, che la giurisprudenza ha poi esteso all’interpretazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori sui controlli a distanza, nel testo anteriore alla riforma avvenuta con l’articolo 23 del Dlgs 151/2015.
I controlli a distanza
Le considerazioni relative al rapporto tra la nuova formulazione dell’articolo 4 e i controlli difensivi non coinvolgono l’articolo 3 dello Statuto dei lavoratori e quindi il tema del ricorso ad agenzie investigative. Il sistema normativo previsto dal riformulato articolo 4 riguarda infatti gli specifici controlli dei lavoratori tramite l’istallazione di impianti audiovisivi e strumenti tecnologici. Tra l’altro, il testo dell’articolo 3 non è stato modificato dalla riforma.
Il differente campo di applicazione porta a escludere che l’utilizzazione in giudizio del materiale fotografico della relazione investigativa sia normato dall’articolo 4, comma 1, dello Statuto, che riguarda impianti «installati» dal datore di lavoro.
I requisiti dell’incarico
È essenziale che l’incarico alle agenzie investigative sia conferito per iscritto. Il loro operato deve essere conforme alla normativa sulla privacy e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia.
Le verifiche tramite investigatori devono rispondere all’esigenza di assicurare la protezione di diritti. L’attività di controllo non deve essere frutto di un’iniziativa arbitraria del datore di lavoro e non deve riguardare indistintamente un gruppo di lavoratori.
Lo strumento di indagine usato deve essere il meno invasivo fra quelli disponibili e i controlli devono essere attuati con strumenti proporzionati al fine conseguito. Infine, i dati raccolti devono essere trattati da chi riceve e da chi conferisce l’incarico e le indagini devono concludersi in un termine ragionevole prestabilito.
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Caccia agli italiani attivi in Svizzera tra il 2015 e il 2017
12 Gennaio 2020
Il Sole 24 Ore 19 DICEMBRE 2019 di Michela Folli e Marco Piazza
In cooperazione con Berna
Verifiche su chi non ha aderito al programma di voluntary disclosure
Prosegue la collaborazione dell’Amministrazione federale svizzera con l’agenzia delle Entrate per individuare gli italiani che detenevano fra il 2015 e il 2017 attività in Svizzera non dichiarate e non hanno aderito al programma italiano di voluntary disclosure (si veda “Il Sole 24 Ore” del 14 dicembre).
Questa forma di assistenza amministrativa era prevista dalla roadmap siglata in corrispondenza alla firma, il 23 febbraio 2015, del protocollo di modifica del trattato Italia – Svizzera (poi ratificato in Italia con la legge 69 del 2016), che ha sbloccato lo scambio d’informazioni su richiesta riferito a contribuenti individuati.
La roadmap prevedeva una ulteriore facoltà dell’agenzia delle Entrate: la possibilità di presentare alle autorità svizzere particolari “richieste di gruppo”, riferite, cioè, a categorie di contribuenti non individuati singolarmente perché ignoti al fisco italiano ma accomunate da un definito schema di comportamento. Lo scopo era di intercettare gli individui che, nel periodo intercorrente fra la data della firma del protocollo (23 febbraio 2015) e l’efficacia dello scambio automatico di informazione (operativo dal 2017, in base all’accordo fra Ue e Svizzera del 27 maggio 2017), avessero inteso svuotare i loro conti in Svizzera per evitare di aderire alla procedura di collaborazione volontaria: i cosiddetti correntisti recalcitranti.
L’intento è stato realizzato con lo specifico accordo sulle «richieste di gruppo» firmato dalla Svizzera il 2 marzo 2017. L’accordo individua lo schema di comportamento dei contribuenti sospettati di non aver adempiuto alle loro obbligazioni fiscali da inserire nelle richieste di gruppo e i casi di esclusioni.
Sulla base di questo accordo, l’amministrazione federale svizzera invia agli interessati, attraverso la loro banca, una lettera con cui chiede il consenso (procedura semplificata) a trasmettere alle autorità italiane le generalità del correntista e il saldo del conto al 28 febbraio 2015 e al 31 dicembre 2016.
Se l’interessato non darà il consenso entro 20 giorni, l’Autorità federale emetterà una propria decisione impugnabile presso il Tribunale amministrativo federale. Non pare che negare il consenso possa produrre altri effetti se non quelli di dilatare i tempi della trasmissione dei dati.
Molto probabilmente la richiesta di gruppo intercetterà casi in cui il contribuente anziché aderire alla voluntary abbia legittimamente preferito accedere al ravvedimento operoso. In questi casi sarebbe possibile non prestare il consenso e opporsi alla decisione dell’autorità federale, ma è forse più pratico dare il consenso e prepararsi a documentare la regolarità della posizione qualora l’agenzia avviasse un’indagine.
La richiesta di gruppo intercetterà anche i comportamenti di chi si sia sottratto alla voluntary chiudendo i conti svizzeri dopo il 23 febbraio 2015.
Intercetterà anche coloro che abbiano ritenuto di eludere la procedura trasferendo la residenza in Svizzera nel 2015. I falsi trasferimenti di residenza sono, peraltro monitorati anche in base ai dati presenti in anagrafe tributaria (provvedimento 43999 del 3 marzo 2017).
Va ricordato che in base all’articolo 12 del decreto legge 78/09 le attività illecitamente detenute in Paesi black list (fra i quali vi è ancora la Svizzera) si presumono, salvo prova contraria, costituite mediante redditi sottratti a tassazione.
Il Fisco potrà quindi assoggettare ad aliquota progressiva Irpef e addizionali l’intero saldo risultante al 23 febbraio 2015. In tal caso le sanzioni sono raddoppiate. Potrebbe anche capitare che gli uffici presumano – sempre salvo prova contraria ? che il saldo sia stato mantenuto all’estero per tutti i precedenti periodi d’imposta ancora accertabili (è in scadenza il periodo 2008 sia per il quadro RW che per i redditi in caso di dichiarazione omessa e il periodo 2010 per i redditi in caso di dichiarazione infedele).
Andrà quindi considerata con attenzione la scelta di aderire all’ultima chance consentita: il ravvedimento operoso, che consentirebbe di beneficiare di sanzioni ridotte.
Il ravvedimento operoso sarà comunque molto più oneroso della voluntary disclosure, non solo perché non sono più applicabili gli importanti sconti di sanzione del regime speciale, ma soprattutto in presenza di conti cointestati o con delegati. Ciascuno degli interessati, infatti, dovrà pagare le sanzioni sull’intero importo della relazione e non, come in occasione della procedura di collaborazione volontaria, sulla quota del conto di propria pertinenza.
Le richieste di gruppo potrebbero riservare sorprese anche per chi ha aderito alla voluntary, ove emergesse che la disclosure non è stata completa. Secondo l’agenzia delle Entrate (circolare 10/15, paragrafo 9.2), però, qualora dopo il perfezionamento della procedura emergano ulteriori attività estere o redditi non dichiarati, è fatta comunque salva l’efficacia degli atti perfezionatisi nell’ambito della procedura stessa. Gli Uffici dovranno però interessare l’Autorità giudiziaria per l’eventuale applicazione delle sanzioni penali di cui all’articolo 5-septies del decreto legge 167/90.
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Per la videosorveglianza non basta l’ok dei dipendenti
12 Gennaio 2020
Il Sole 24 Ore 18 DICEMBRE 2019 di Giuseppe Bulgarini d’Elci
TUTELA PRIVACY
Sempre necessario l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro
Il consenso dei lavoratori all’installazione di un impianto di videosorveglianza nei locali dell’impresa non vale a sanare la mancata attivazione della procedura prevista dall’articolo 4 della legge 300/1970, la quale impone l’accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’ispettorato territoriale del lavoro.
L’interesse collettivo sotteso alla disciplina statutaria sull’installazione delle telecamere o di altri strumenti da cui possa derivare il controllo a distanza sull’attività dei lavoratori impedisce di attribuire ai singoli dipendenti, benché il consenso sia stato espresso dalla totalità delle persone che prestano la propria attività in azienda, la facoltà di sanare eventuali irregolarità del datore.
La Cassazione ha raggiunto queste conclusioni (sentenza n. 50919, depositata ieri) per il caso di un datore condannato in sede penale a 1.000 euro di ammenda per avere installato 16 telecamere nella propria struttura aziendale, senza previamente raggiungere un accordo con la rappresentanza sindacale interna e neppure avere ottenuto l’avallo dell’ispettorato.
Il datore si era difeso sostenendo, tra l’altro, che i lavoratori avevano espresso ex post il proprio consenso sulla presenza del sistema di videosorveglianza in azienda, con ciò superando i profili di illiceità penale connessi alla mancata attivazione della procedura di cui all’articolo 4 della legge 300/1970.
La Cassazione non concorda con questa tesi e ritiene, discostandosi da un precedente indirizzo, che l’esistenza di una dichiarazione sottoscritta da tutti i dipendenti in cui sia stato affermato di liberare il datore dagli obblighi del previo accordo sindacale e dell’autorizzazione dell’ispettorato, non abbia portata esimente rispetto alla produzione dell’illecito penale.
Le disposizioni dell’articolo 4 in materia di installazione di impianti da cui possa derivare il controllo a distanza sull’esercizio delle mansioni risponde, per la Cassazione, al superiore interesse collettivo alla tutela della dignità dei lavoratori. Per tale ragione, solo le rappresentanze sindacali dei lavoratori, in quanto espressione dell’interesse collettivo e superindividuale alla tutela dei diritti fondamentali in cui si sviluppa il rapporto di lavoro, sono deputate ad esprimere il consenso rispetto all’installazione dei sistemi di videosorveglianza. Il consenso dei lavoratori che operano nell’impresa non risulta idoneo a sanare l’illecito, ad avviso della Cassazione, anche in considerazione del ruolo di parte debole che connota il lavoratore rispetto alla parte datoriale. «Le diseguaglianze di fatto» e la «indiscutibile» sproporzione nei rapporti di forza economico-sociali a vantaggio del datore impone di ritenere inderogabile il confronto con le rappresentanze sindacali e, in mancanza di accordo, l’autorizzazione dell’ispettorato per la valida installazione dei sistemi di sorveglianza.