Decreto Legge nr 20 del 19 Febbraio 2022 – Allentamento delle disposizioni per il contrasto alla diffusione del contagio da COVID-19

4 Marzo 2022

Si allega il testo completo dell’ultimo Decreto COVID che rimarrà in vigore fino al 31 marzo 2022 evidenziando i seguenti  punti:

DL020-2022+All

  • La fine dell’emergenza sanitaria viene fissata al 31 marzo 2022 (art. 1)
  • Il green pass non ha scadenza per coloro che hanno ricevuto la dose “booster” oppure per coloro che sono guariti dopo il ciclo vaccinale primario (art. 2)
  • Attività di somministrazione cibo e bevande: l’accesso è consentito con possesso di Green pass base. Obbligatorio l’utilizzo della mascherina durante gli spostamenti. Distanza non inferiore a 1 metro tra i tavoli. Nessun limite di persone al tavolo. (art. 10)
  • L’accesso alle strutture sanitarie pubbliche e private è libero, senza green pass (art. 13)
  • La partecipazione a congressi, conferenze, convegni e meeting è consentita solamente per coloro in possesso del green pass base e con mascherina FFP2 (art. 16)
  • L’accesso ad attività commerciali, di servizio alla persona e uffici pubblici è consentito senza alcuna documentazione. (art. 18)
  • L’accesso a centri benessere, sale giochi, bowling  è consentita solo con green pass base (art. 18)
  • L’accesso a strutture sportive pubbliche e private è consentito con green pass base (art. 23)

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Decreto Legge nr 18 dell’ 11 Febbraio 2022 – Conservazione dei benefici di cui all’art. 73 Legge 16 Dicembre 2013 nr 166 e succ. mod.

4 Marzo 2022

Con il Decreto n.18/2022 è stata disposta la prosecuzione dei benefici alle nuove imprese di cui all’articolo 73 della Legge 16 dicembre 2013 n.166 per le società di capitali che non abbiano soddisfatto i requisiti occupazionali o non li abbiano mantenuti nell’anno 2022; tali vincoli occupazionali dovranno essere soddisfatti entro il 31 dicembre 2022.

DL18-2022

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Protocollo nr 658/DG Direzione Generale Istituto Sicurezza Sociale – Adempimenti per i lavoratori frontalieri titolari di assegni familiari erogati dall’I.S.S.

4 Marzo 2022

La Circolare nr 658 del 17 febbraio 2022 emessa dall’Istituto di Sicurezza Sociale è rivolta a tutti i lavoratori  frontalieri avvisando l’incompatibilità dell’assegno unico e universale italiano,  per il quale dal 1° gennaio 2022 è possibile farne richiesta all’I.N.P.S, con la percezione di assegni familiari erogati dall’ISS.

S’invitano  pertanto tutti i datori di lavoro a informare tempestivamente i propri dipendenti frontalieri e, nel caso questi o i loro coniugi abbiano presentato domanda di assegno unico e universale, occorre comunicarlo all’Ufficio Assegni Familiari dell’ISS al fine di evitare eventuali futuri contenziosi  con l’I.N.P.S. per indebiti accessi ad entrambi gli strumenti di sostegno.

Circolare Prot. 658

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Nel mirino del Fisco gli 8mila italiani residenti a Montecarlo

4 Marzo 2022

Il Sole 24 Ore16 febbraio 2022 di Angelo Mincuzzi

Domicili fittizi. Le Entrate hanno avviato gli accertamenti e alcune posizioni sono già state sanate. Ora obiettivo Dubai, Lussemburgo e Svizzera

Sono giorni di fibrillazione tra gli italiani residenti a Montecarlo. Gli 8mila connazionali che vivono nel Principato di Monaco sono finiti, infatti, nel mirino dell’agenzia delle Entrate. Il Fisco è partito alla ricerca dei falsi residenti nella Rocca dei Grimaldi e sta passando al setaccio le posizioni di tutti gli iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero.

Il passaparola nel piccolo Stato, che conta 39mila abitanti su una superficie di due chilometri quadrati, è partito immediatamente tra i vip che vi risiedono (nel 2021 erano, per la precisione, 7.894), soprattutto perché in questi giorni i primi italiani hanno già regolarizzato la propria posizione versando all’Erario cifre dell’ordine di parecchi milioni di euro.

Più di metà degli italiani residenti a Montecarlo provengono dalla Lombardia e dalle aree limitrofe. Si tratta soprattutto di imprenditori, finanzieri, professionisti, vip e campioni sportivi che nel Principato non pagano nessuna imposta sui redditi delle persone fisiche. A loro toccherà l’onere di dimostrare che la residenza a Montecarlo è reale e che lì si trova davvero il centro dei loro “interessi vitali”.

Monaco è però soltanto il primo passo, perché gli uomini dell’agenzia delle Entrate stanno lavorando anche sui nominativi dei residenti in altri paesi, come Lussemburgo (30.933 italiani secondo l’ultimo censimento Aire relativo al 2021), Dubai (10.795 contando anche gli altri Emirati), Svizzera (639.508) e Liechtenstein (1.824 italiani iscritti).

L’accelerazione dell’agenzia delle Entrate sugli italiani residenti nel Principato di Monaco è stata agevolata dal recente accordo tra Fisco, Comando regionale della Lombardia della Guardia di Finanza e Comune di Milano, firmato il 13 gennaio 2022 dal direttore delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, dal generale Stefano Screpanti, dal sindaco Giuseppe Sala e dal direttore della Direzione specialistica incassi e riscossioni del capoluogo lombardo, Monica Mori.

Il numero degli ex residenti a Milano che si sono iscritti all’Aire è salito dagli 80.140 del 2016 ai 93.230 del 2020, con un aumento del 12,6%. Di questi, 721 risultavano residenti a Montecarlo, altri 1.022 in Lussemburgo, 12.314 in Svizzera, 901 negli Emirati Arabi e 5 in Liechtenstein.

Il protocollo prevede una cooperazione rafforzata per il contrasto all’evasione fiscale con controlli mirati su particolari tipologie di «soggetti, attività e operazioni», per consentire al Comune di Milano un’efficace segnalazione di fenomeni legati all’evasione fiscale. È da sottolineare il fatto che quando la segnalazione qualificata arriva dal Comune, il gettito recuperato finisce totalmente nelle casse dell’amministrazione locale.

La collaborazione consentirà alla Direzione regionale della Lombardia dell’agenzia delle Entrate, guidata da Antonino Di Geronimo, di focalizzare il lavoro su obiettivi particolarmente concreti visto che provengono dall’incrocio di banche dati, anche catastali, con l’attività svolta dal Comune di Milano sul suo territorio. Protocolli di intesa simili sono stati firmati con quasi la metà dei 1.506 comuni della Lombardia e rappresentano un passo importante per rendere più efficace la lotta all’evasione fiscale.

Un “modello Lombardia” che potrebbe essere presto replicato in altre regioni e con altri grandi comuni italiani, soprattutto per gli effetti positivi per le casse comunali a caccia di risorse.

A Milano l’iniziativa contro i falsi residenti all’estero si era aperta già nel 2017 grazie al cosiddetto “modello Milano” sviluppato dall’ex procuratore della Repubblica, Francesco Greco, che aveva costituito all’interno della procura il “Pool latitanti fiscali” con l’obiettivo di dare la caccia proprio ai finti residenti all’estero. Anche perché la Lombardia è la regione dalla quale è arrivato il maggior numero di istanze di adesione alla prima voluntary disclosure, il 49,07% del totale.

Il decreto legislativo 90/2017 ha modificato in modo rilevante sia la normativa sulla prevenzione e sul contrasto del riciclaggio sia la disciplina sul monitoraggio fiscale. In particolare, la segnalazione periodica all’Anagrafe tributaria – a differenza di quella da inviare all’Uif – non è più subordinata al sospetto di un’evasione o di un’elusione d’imposta. Deve essere, in pratica, quasi automatica. Le categorie dei soggetti “monitorabili” restano invece le stesse, ma viene meno il requisito della residenza in Italia, per cui anche l’ordine di trasferimento per conto o a favore di un soggetto non residente ricade nel campo di applicazione della disciplina.

Questa modifica ha consentito alle autorità fiscali l’acquisizione di informazioni utili a contrastare il trasferimento fittizio all’estero della residenza delle persone fisiche. Casi, per esempio, come la maxi-condanna delle sorelle Gucci al pagamento di oltre 100 milioni di euro al termine dell’istruttoria dell’Ucifi (l’Unità centrale per il contrasto all’evasione internazionale) del Settore contrasto illeciti dell’agenzia delle Entrate.

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La società operativa non equivale a uno schermo

4 Marzo 2022

Il Sole 24 Ore 4 febbraio 2022 di Alessandro Galimberti

Operazione esente gli interessi passivi alla controllata

Non può escludersi la «titolarità effettiva» di una società controllata basata in un Paese a fiscalità privilegiata in relazione a pagamenti di interessi per operazioni infragruppo. L’amministrazione fiscale per escludere la controllata come beneficial owner deve verificare tutti i presupposti, a cominciare dalla inesistenza di obblighi giuridici di ritrasferimento delle poste ricevute.

I fatti contestati dall’Agenzia si innestano su una complessa operazione triangolare di ristrutturazione del debito (350 milioni di euro) mediante l’emissione di obbligazioni, operazione risalente ai primi anni 2000.

La società madre, Arnoldo Mondadori, aveva corrisposto gli interessi passivi (circa sette milioni) alla controllata lussemburghese – a sua volta obbligata con i sottoscrittori americani – considerando il trasferimento neutro dal punto di vista fiscale (articolo 26-quater del Dpr 600/1973) e quindi senza applicarvi la ritenuta alla fonte del 12,50 per cento. L’esito finale del pagamento però, secondo l’amministrazione finanziaria, e cioè il successivo trasferimento della cifra corrispondente alla società statunitense, avrebbe prodotto l’aggiramento dell’obbligo in capo al sostituto d’imposta mediante l’utilizzo, appunto della società-veicolo basata nel Granducato lussemburghese. A questa interpretazione, condivisa dalla Ctr Lombardia, si è opposta la contribuente con il ricorso in Cassazione risolto dall’ordinanza 3380/22 della Quinta sezione, depositata ieri.

I giudici di legittimità, che hanno cassato con rinvio la decisione della Ctr lombarda, hanno ripercorso l’iter storico di formazione del concetto di beneficial owner e di società conduit per validare l’operazione fiscalmente neutra della contribuente. La giurisprudenza europea ha più volte escluso dal perimetro del beneficial owner (titolare effettivo) le società interposte e le fiduciarie, dotate di poteri molto limitati sui redditi imputati (da ultimo, Causa C 115/16), e le regole Ocse dal 2014 hanno poi individuato la figura nel soggetto giuridico che ha obblighi giuridici – legali, contrattuali ma anche evincibili da situazioni di fatto- di ritrasferimento dei flussi di reddito. In tale contesto, in sostanza, la società conduit viene costituita senza motivazioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale.

La Corte non esclude neppure che una subholding possa essere considerata titolare effettivo, a condizione che i flussi siano appostati a bilancio e aggredibili dai creditori, oltreché essere liberamente utilizzabili.

Nel caso specifico la Quinta sezione sottolinea che la storia cinquantennale di Mondadori International Sa, la sua struttura operativa «reale», l’oggetto sociale congruente, le caratteristiche corrette dell’operazione finanziaria in questione, l’iscrizione a bilancio degli interessi percepiti, le garanzie proprie poste nell’operazione di finanziamento degli americani e infine l’assenza di obblighi di ritrasferimento degli interessi ricevuti, sono tutti elementi che fanno escludere la qualificazione di società conduit o di società relais.

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Decreto Delegato 8 febbraio 2022 nr 15 – Modifica all’art.7 c.4 D.D.nr 196 del 14/12/2011 – Vendite di liquidazione, di fine stagione, promozionali e straordinarie

4 Marzo 2022

Si allega il testo completo del Decreto Delegato nr 15 relativo alle vendite promozionale straordinarie di liquidazione e fine stagione.

DD15-2022

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Protocollo nr 20984 Ufficio Attività Economiche – Prestazioni di Lavoro Occasionale lavoratori non iscritti D.D. NR 130 15/7/2021

4 Marzo 2022

Dal 1° marzo è stata soppressa la procedura di iscrizione alle liste di disponibilità al lavoro occasionale dei lavoratori non iscritti e non iscrivibili presso gli sportelli delle Politiche Attive.

Si allega la Circolare relativa

CIRCOLARE n. 01 – 2022 – Prestazione Occasionale Lav. Non Iscritti

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Una sola email dai toni forti può costare il posto al dirigente

4 Marzo 2022

Il Sole 24 Ore lunedì 28 febbraio 2022 di Marcello Floris e Valentina Pomares

La nozione di giustificatezza del recesso è più ampia di quella di giusta causa

Il rapporto di fiducia che lega il dirigente al datore è particolare e accentuato

Basta un solo episodio di intemperanza perchè il licenziamento di un dirigente sia considerato legittimo. Nel caso esaminato dalla Cassazione nell’ordinanza 2246 pubblicata il 26 gennaio scorso, si è trattato di una email in cui il dirigente accusava la proprietà della società datrice di lavoro di aver tradito la propria fiducia e buona fede. Il licenziamento è stato riconosciuto legittimo, a esito dei tre gradi di giudizio. Nel messaggio di posta elettronica che ha causato il recesso, il dirigente licenziato aveva sottolineato così il deteriorarsi del rapporto con la società: «Non so quanto ancora potrò sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile».

A fronte di queste esternazioni, il dirigente era stato licenziato per giusta causa. In primo grado la sussistenza della giusta causa era stata esclusa, ma il licenziamento è stato comunque ritenuto giustificato e la pronuncia è stata confermata in appello e in Cassazione. Sono state respinte le domande di risarcimento danni per mobbing e dequalificazione e la domanda di indennità supplementare.

La nozione di giustificatezza applicata dalla Corte non è contenuta nella legge, ma trova origine nella contrattazione collettiva e nella elaborazione giurisprudenziale. Il concetto di giustificatezza non coincide con quello di giusta causa e giustificato motivo oggettivo o soggettivo, ma è molto più ampio ed è applicabile solo al rapporto di lavoro dirigenziale. Fatti o condotte non idonee a integrare la giusta causa o il giustificato motivo possono invece valere a giustificare il licenziamento del dirigente.

In generale, il licenziamento del dirigente, per essere giustificato, deve essere motivato da ragioni non discriminatorie né arbitrarie, ma oggettive e concretamente accertabili o comunque tali da ledere il particolare e accentuato rapporto di fiducia che lega il dirigente al datore di lavoro. Secondo la giurisprudenza della Cassazione alla quale fa riferimento l’ordinanza 2246/2022, «ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso». Assume così rilevanza qualsiasi motivo che sorregga il recesso, con motivazione coerente, fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto.

Nel caso specifico, la motivazione è stata giudicata idonea a escludere l’arbitrarietà del recesso per effetto della rilevanza del fatto contestato in termini di turbamento del vincolo fiduciario, tanto più intenso quanto più elevato è il ruolo dirigenziale del dipendente. La Corte ha quindi respinto l’assunto difensivo secondo cui un singolo episodio non sarebbe sufficiente a fondare il licenziamento. Parimenti è stato giudicato privo di rilevanza il fatto che il messaggio che ha originato il recesso sia stato una reazione a un preciso accadimento.

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Reati tributari, no alla confisca dell’immobile donato ai figli

4 Marzo 2022

Il Sole 24 Ore 10 febbraio 2022 di Laura Ambrosi

A meno che non è provato che si tratti di un trasferimento fittizio

Nei reati tributari, non è confiscabile il bene immobile donato ai figli se non esistono prove che si tratti di un trasferimento fittizio volto a sottrarre garanzie in danno all’erario. Ad affermarlo è la Corte di cassazione, con la sentenza n. 4456 depositata ieri.

Il legale rappresentante di una società veniva condannato dalla Corte di appello per il reato di omesso versamento Iva ed era disposta la confisca per equivalente su alcuni beni immobili. La decisione veniva impugnata in Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, la conferma della confisca da parte del giudice territoriale nonostante i relativi beni fossero stati donati ai figli dell’interessato. Più precisamente, gli immobili risultavano di proprietà dei figli già prima del sequestro in quanto donati dal padre in epoca precedente.

La Cassazione ha innanzitutto ricordato che per i reati tributari è sempre ordinata la confisca diretta del prezzo o del profitto o quando ciò non sia possibile, per equivalente. Essa non può riguardare beni di un terzo estraneo al reato o dei quali il condannato non ha la disponibilità.

I giudici di legittimità hanno anche precisato che la «disponibilità», non è la formale titolarità, ma la concreta relazione con il bene. La definizione ai fini penali, non coincide con quella civilistica di proprietà, ma con il possesso, includendo così tutte le situazioni nelle quali il bene è nella sfera degli interessi economici del reo. Tale condizione si verifica anche quando il potere dispositivo sia esercitato tramite terzi, ma in concreto è in capo al reo (Cassazione, sentenza 34602/2021).

Nella specie, secondo la Cassazione, il giudice di merito aveva confermato la misura cautelare nel presupposto di una donazione strumentale, volta cioè alla sottrazione di garanzie all’erario, escludendo la buona fede del donante e dei donatari. Tale conclusione, però, non era supportata da prove o da un’adeguata indagine, fondandosi solo sul rapporto di parentela tra coloro che avevano ricevuto gli immobili e il reo.

Tuttavia, per i giudici di legittimità, il padre poteva aver realmente trasferito il bene ai figli, senza mantenerne l’effettiva disponibilità. Nella specie, non vi erano indizi idonei a dimostrare del fatto l’effettuazione della donazione in danno del creditore erariale. Peraltro, ove, il trasferimento fosse stato fittizio e non reale, doveva essere contestato il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 del decreto legislativo 74/2000). La decisione della Corte di appello era pertanto meramente assertiva e priva di affidabilità.

La pronuncia è interessante poiché pare rimarcare la necessità di un’accurata valutazione soprattutto nell’ipotesi in cui il bene da confiscare non sia di proprietà del condannato. Sebbene, infatti, sia possibile quando esista il possesso del bene a prescindere dalla titolarità, occorre pur sempre un’analisi sull’effettività dell’esercizio dei poteri dispositivi.

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Per il Fisco l’amministratore unico non è dipendente

4 Marzo 2022

Il Sole 24 Ore lunedì 7 febbraio 2022 di Pasquale Dui

Anche per la V sezione incarichi incompatibili Vale anche per il presidente

Se manca la subordinazione il relativo costo è indeducibile dal reddito della società

Assoluta incompatibilità, in tema di imposte sui redditi, tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa. Sul punto interviene anche la sezione tributaria (la V) della Cassazione con le sentenze del 23 novembre e del 2 dicembre 2021. Questo perché il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni, che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale e indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente.

La subordinazione

La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del Cda di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito d’impresa, non deve essere verificata soltanto in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo, invece, accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita.

Tradizionalmente questa problematica è stata affrontata massicciamente dalla giurisprudenza del lavoro e dalla prassi amministrativa Inps, attraverso, rispettivamente, sentenze e circolari amministrative.

La Cassazione

Come detto, due recenti sentenze della sezione tributaria della Cassazione si sono susseguite a breve distanza, affrontando l’annosa questione della compatibilità tra la qualifica di lavoratore subordinato e quella di consigliere di amministrazione, nei suoi profili di impatto sulle tematiche fiscali, direttamente o indirettamente implicate, in tema di deducibilità dal reddito di impresa dei costi per il lavoro subordinato e in tema di onere probatorio sulla dimostrazione della veridicità della posizione di lavoratore subordinato (sentenza 36362/2021 del 23 novembre e sentenza 38017/2021, del 2 dicembre 2021).

L’agenzia delle Entrate ha recuperato a tassazione nei confronti della società istante le spese sostenute dalla stessa nei confronti di due soci e amministratori, a titolo di lavoro subordinato, in assenza delle caratteristiche proprie di tale tipologia di rapporto, quali la sottomissione al potere direttivo, gerarchico e disciplinare. In particolare, per l’Agenzia, con riferimento al socio e amministratore, componente del Cda della società contribuente, questi godeva di autonomia decisionale e, nello svolgimento delle sue mansioni, non rispondeva del suo operato ad alcun superiore gerarchico.

Quanto all’altro amministratore, questo era presidente del consiglio di amministrazione, sicché essendo munito della rappresentanza generale della società, non era ammessa la contemporanea presenza dell’attività di lavoro subordinato, poiché il potere di rappresentanza equivaleva al potere di controllo, con la conseguente incompatibilità delle due cariche. Pertanto, i due soci e amministratori, rispettivamente, oltre al compenso quali componenti del consiglio di amministrazione, e quale presidente del consiglio di amministrazione, hanno percepito dalla società anche compensi da lavoro dipendente.

Secondo la decisione della Suprema Corte, la sentenza del giudice d’appello ha errato nell’applicazione dei principi giurisprudenziali di legittimità in materia, con riferimento alla possibilità del socio amministratore di svolgere anche, in parallelo, una attività di lavoro subordinato.

Invero, per la Corte è del tutto compatibile la posizione di socio di società di capitali con quella di amministratore della stessa, tranne le ipotesi di amministratore unico, presidente del consiglio di amministratore o di socio “sovrano” (Cassazione, sezione 5, 28 aprile 2021, numero 11161).

GIURISPRUDENZA E PRASSI

Serve la subordinazione

La qualifica di amministratore di una società commerciale non è di per sé incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato, ma perché sia configurabile un simile rapporto è necessario che colui che intende farlo valere non sia amministratore unico della società e provi in modo certo il requisito della subordinazione che deve consistere nell’effettivo assoggettamento – nonostante la carica di amministratore rivestita – al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.

Cassazione, sezione V, n. 38017 del 2 dicembre 2021

Ruoli non cumulabili

In tema di imposte sui redditi, sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni, che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione.

Cassazione, sezione V, n. 36362 del 23 novembre 2021

Mansioni diverse

La qualità di amministratore di una società di capitali è, dunque, compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare (Cass., sez. L. 26 ottobre 1996, n. 9368; Cass., 25 maggio 1991, n. 5944; Cass., sez. L, 11 novembre 1993, n. 11119).

Cassazione, Ordinanza, sezione V, n.11161 del 28 aprile 2021

Gli organi di controllo

Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo

di amministrazione

della società.

Cassazione, Ordinanza, 3 aprile 2019, n. 9273

Le verifiche

Ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un “alter ego” dell’imprenditore, è necessario, se non c’è un contratto, verificare se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all’interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve od attenuata, alle direttive, agli ordini ed ai controlli del datore di lavoro.

Cassazione 19 novembre 2018, n. 29761

Le regole Inps

Il rapporto di lavoro subordinato è ritenuto compatibile con la qualità di amministratore purché esista effettivamente il vincolo della subordinazione, ovvero, per dirla in altri termini, da una diversa prospettiva, la medesima attività non può essere oggetto, nel contempo, del rapporto di lavoro subordinato e del lavoro di amministrazione, essendo, invece, indispensabile individuare una serie di mansioni riconducibili esclusivamente al contratto di lavoro.

Messaggio Inps 17 settembre 2019, n. 3359

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