Mese: Settembre 2023
Decreto Delegato 18 Agosto 2023 nr 120 – Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato delle prestazioni di lavoro temporaneo e dei distacchi di lavoratori
11 Settembre 2023
Il D.D. nr 120 del 18 08 23 interviene in tema di:
- contratti di lavoro a tempo determinato
- prestazioni di lavoro temporaneo
- distacchi di lavoratori
Di seguito si evidenziano i punti salienti invitando a contattare lo Studio in caso si necessitino ulteriori chiarimenti:
ART. 1 Contratto di lavoro a tempo determinato
Durata max: 24 mesi
dal 12° al 18 mese nel caso di rinnovo è obbligatorio pagare un addizionale contributiva del 1,5%
dal 18° al 24° mese nel caso di rinnovo è obbligatorio pagare un addizionale contributiva aggiuntiva del 1,5% (1,5+1,5=3%)
In caso di trasformazione o di assunzione a tempo indeterminato la maggiorazione applicata sino al diciottesimo mese verrà detratta dai contributi successiviRinnovi max: 4 nell’arco di 5 anni (in caso di violazione il contratto si converte in tempo indeterminato)
Accordo sindacale: tramite accordo sindacale possono essere derogati i limiti alla durata e al numero di proroghe o rinnovi relativi casi specifici per un solo lavoratore o un gruppo di lavoratori.
Sostituzione lavoratore con diritto di conservazione del posto di lavoro: non vengono applicati i limiti del decreto. La durata max è il rientro del lavoratore sostituito
I contratti a tempo determinato non possono superare il 25% del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato
piccole imprese:
a) 2 unità se il numero dei dipendenti è inferiore a 5;
b) 3 unità qualora il numero dei dipendenti sia compreso fra 5 e 10i;
c) 4 unità nel caso in cui il numero di dipendenti sia compreso fra 11 e 15;
d) 5 unità se il numero dei dipendenti è compreso fra 16 e 20.
nuova attività : no limiti per un periodo non superiore all’anno
Non si può avviare un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato in presenza di una o più condizioni ostative previste dall’articolo 11 (condizioni ostative) ad esclusione di quella prevista al comma 1 lettera b)
ART. 2 Contratto di lavoro a tempo determinato per motivi stagionali
no limiti art. 1 purché rientri nel periodo di stagionalità comunicato dall’azienda, se svolte al di fuori del periodo di stagionalità sono soggetti all’art. 1
durata max 9 mesi durante l’anno
comma 6 Le imprese che accedono a tale tipologia di contratto di lavoro, fuori dai periodi di stagionalità, possono usufruire del lavoro occasionale di cui all’articolo 19 della Legge n.164/2022 ed all’articolo 2 del DD 15 luglio 2021 n.130 con le seguenti limitazioni:
a) nel limite massimo di trecento ore e per non più di tre giorni alla settimana qualora l’impresa abbia comunicato il periodo di stagionalità nelle modalità di cui al comma 2.
b) nel limite di sei giorni al mese qualora l’impresa non comunichi il periodo di stagionalità nelle modalità di cui al comma 2. In tal caso, le limitazioni si applicano nei periodi in cui non sono avviati lavoratori stagionali.
comma 7 I limiti di cui al comma 6 non si applicano qualora i periodi di stagionalità non superino i sette mesi nell’arco dell’anno solare.
ART. 7 Distacchi transnazionali di lavoratori
Il distacco nel territorio della Repubblica di San Marino per lo svolgimento di un’attività lavorativa dettata da esigenze temporanee:
a) nell’ambito di un contratto di fornitura di beni o prestazione di servizi, fermi restando i limiti
b) tra imprese appartenenti allo stesso gruppo di imprese;
c) tra imprese che svolgano la medesima attività economica limitatamente alle prestazioni
pertinenti al loro ciclo produttivo, individuate mediante un accordo scritto tra le stesse. In tal caso, il lavoratore distaccato deve risultare in organico nell’impresa distaccante da almeno un anno.
- Il lavoratore distaccato ha diritto all’applicazione del trattamento complessivo, economico e normativo, previsto dal contratto collettivo di riferimento ovvero dal contratto integrativo aziendale dell’impresa nella quale è distaccato se di miglior favore rispetto a quello di origine,
- l’impresa distaccataria (Rsm) risponde in solido nel caso di mancato pagamento del trattamento economico
- esclusi dal distacco: associazioni, fondazioni, cooperative
- non possono essere distaccati lavoratori che beneficiano della cig
- obblighi di prevenzione e sicurezza in carico alla ditta distaccataria
- vincolo il distacco di 1 lavoratore è ammesso solo nel caso in cui l’impresa distaccataria (Rsm) occupi almeno 1 dipendente a tempo indeterminato
- per più lavoratori è ammissibile entro il limite del 10% del numero dei lavoratori dell’impresa distaccataria nel numero è compreso anche il titolare di impresa individuale
- la commissione del lavoro su richiesta può individuare percentuali diverse.
- escluse dai tali vincoli sono le stabili organizzazioni
- sanzione la violazione comporta l’applicazione delle sanzioni previste per lavoro irregolare
ART. 8 Procedure per distacchi transnazionali
procedura sul Labor (ditta samm.se deve avere copertura assicurativa contro infortuni in Rsm)
primo periodo non può superare i 12 mesi, può essere prorogato per ulteriori 6 mesi su richiesta motivata tali periodi sono conteggiati nell’arco di 5 ANNI, per lavoratori che svolgono mansioni analoghe il massimo invalicabile è 36 mesi
sanzioni lavoratore che svolge mansione diversa da quella indicata nel distacco incorre in sanzione di lavoro irregolare
Fatto salvo quanto previsto al comma 8, le durate massime previste ai commi 6 e 7 sono da intendersi come periodi continuativi nelle seguenti ipotesi:
a) svolgimento di attività di installazione, montaggio, smontaggio, collaudo e manutenzione previste in un contratto di fornitura di beni materiali o immateriali ed impianti o di riparazione degli stessi;
b) spostamenti temporanei di dirigenti, figure apicali e qualificate tra imprese appartenenti allo stesso gruppo di imprese;
c) spostamenti temporanei di lavoratori appartenenti allo stesso gruppo di imprese nell’ambito di attività di pubblico interesse.
ART. 10 prestazioni di lavoro tra imprese di diritto sammarinese
Un’impresa di diritto sammarinese può esercitare la propria attività lavorativa presso un’altra impresa di diritto sammarinese nelle seguenti ipotesi:
a) svolgimento di attività di installazione, montaggio, smontaggio, collaudo e manutenzione previste in un contratto di fornitura di beni materiali o immateriali ed impianti o di riparazione degli stessi;
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Influencer, sfruttare il diritto di immagine è lavoro autonomo
11 Settembre 2023
Il Sole 24 Ore 7 Agosto 2023 di Paolo Arginelli
Con la sentenza su Cristiano Ronaldo la Cgt Piemonte fissa importanti paletti
Con la sentenza 219/2/2023 la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte ha confermato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino, la quale aveva negato il rimborso delle imposte versate da Cristiano Ronaldo in relazione ai redditi conseguiti nel 2019 dallo sfruttamento del proprio diritto di immagine.
Ronaldo, allora fiscalmente residente in Italia, aveva esercitato l’opzione per il regime di imposizione sostitutiva dei redditi prodotti all’estero (articolo 24-bis del Tuir); e con varie istanze di interpello aveva chiesto all’agenzia delle Entrate conferma dell’applicabilità ai redditi derivanti dalla concessione del diritto di sfruttamento della propria immagine per scopi commerciali. Nelle more delle risposte dell’Agenzia, Ronaldo aveva versato le imposte e presentato la dichiarazione nel prudenziale assunto che il regime non si applicasse a tali redditi, per poi chiedere il rimborso del tributo.
La Cgt del Piemonte ha quindi confermato il diniego al rimborso, qualificando le somme come redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia, ove l’esercizio abituale e professionale della gestione dell’immagine doveva ritenersi presuntivamente condotto in ragione della localizzazione della residenza e del luogo di esercizio dell’attività di lavoro dipendente di Cristiano Ronaldo.
Tra promozione e redditi
Al di là della vicenda in sé, interessante per la notorietà del contribuente, la sentenza è degna di nota perché fissa in modo convincente alcuni punti con i quali la giurisprudenza successiva – e in particolare la Cassazione – dovrà misurarsi.
Anzitutto, i giudici hanno rilevato un elemento fattuale generale che – pur da declinare in ogni fattispecie concreta – pare cogliere l’essenza dei nuovi fenomeni di sfruttamento mediatico dell’immagine di personaggi pubblici (in particolare degli “influencer”): la notorietà di tali soggetti, «ancorché originata da una qualche specifica attività artistica o professionale, dipende ormai, in misura assai maggiore, dalla capacità del soggetto interessato di promuovere il proprio personaggio, in modo professionale, sui mezzi di comunicazione di massa».
Tale attività di promozione – strettamente connessa al (se non inscindibile dal) conseguimento dei redditi derivanti dallo sfruttamento di immagine – costituisce sotto il profilo tributario un’attività di lavoro autonomo, non essendo qualificabile come attività di impresa a motivo della prevalenza dell’intuitu personae e dell’ordinaria assenza di una significativa organizzazione di mezzi e capitale. Seppure ciò non emerga dalla sentenza, si ritiene che tale attività possa in concreto presentare gradi di intensità, complessità e continuità differenziati; con la conseguenza di poter essere sussunta tra le attività produttive di redditi di lavoro autonomo (ove esercitata conformemente al canone della abitualità) oppure tra quelle produttive di redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lettera l) del Tuir (ove priva del requisito della abitualità).
In entrambi i casi, la qualificazione ha effetto anche sull’individuazione della territorialità del reddito, fissandone il criterio di determinazione nel luogo di esercizio dell’attività, conformemente all’articolo 23, comma 1, lettere d) e f). In tale prospettiva, la Cgt ha ritenuto che l’attività di gestione dell’immagine sia strettamente correlata alla persona fisica a cui l’immagine inerisce e, dunque, che debba essere considerata in via presuntiva – e salva ogni prova contraria – come esercita nel luogo in cui la persona abitualmente risiede, in quanto non dissociabile da quest’ultima.
In terzo luogo, la sentenza ha condivisibilmente rigettato la tesi della sussumibilità dei redditi de quibus nell’alveo dell’articolo 53, comma 2, lettera b) del Tuir, concernente i redditi derivanti dallo sfruttamento da parte dell’autore o dell’inventore di diritti di proprietà intellettuale. Da un lato, infatti, la fattispecie in oggetto non è menzionata da tale disposizione, che richiama esclusivamente i redditi derivanti dall’utilizzo economico di opere intellettuali. Dall’altro, non pare ragionevole procedere a un’estensione analogica della fattispecie, stante la difficoltà di individuare nell’immagine un’opera dell’ingegno autonoma rispetto al titolare del diritto, al quale pare indissolubilmente legata.
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Smart working oltreconfine, il fisco segue la residenza
11 Settembre 2023
In linea con i chiarimenti forniti nei recenti documenti di prassi, l’agenzia delle Entrate nella circolare 25/2023 di ieri, conferma che, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale e dell’imponibilità dei redditi dei lavoratori in smart working, si devono applicare i criteri ordinari contenuti negli articoli 2 e 3 del Tuir.
Al contempo si devono ritenere superate le regole transitorie valide nel periodo emergenziale del Covid-19 in cui, solo con riferimento agli specifici accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 del modello Ocse e a condizione di reciprocità, era possibile, in via eccezionale e provvisoria, considerare i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza come giorni lavorati nello Stato in cui ordinariamente era prestata l’attività lavorativa. Si tratta degli accordi Italia-Austria (concluso il 24/26 giugno 2020, applicabile alle attività lavorative svolte tra l’11 marzo 2020 e il 30 giugno 2022), Italia-Francia (concluso il 16/23 luglio 2020, applicabile dal 12 marzo 2020 fino al 30 giugno 2022), e dell’accordo Italia-Svizzera (concluso il 18/19 giugno 2020, applicabile ai lavoratori subordinati e frontalieri dal 24 febbraio 2020 al 31 gennaio 2023).
Dunque, ordinariamente, la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, anche se in smart working, non incide sui criteri di determinazione della residenza fiscale. Secondo l’articolo 2, comma 2, del Tuir, ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti fiscalmente le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno o 184 giorni se anno bisestile) soddisfano anche una sola delle seguenti condizioni: sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio e/o la propria residenza, secondo quanto stabilito dal Codice civile.
L’accertamento dei presupposti diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, richiede un riscontro fattuale da svolgere caso per caso, al fine di poter valutare concretamente gli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio (quello in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi) o di residenza (la sua dimora abituale).
Pertanto è fiscalmente residente in Italia un lavoratore straniero che per la maggior parte dell’anno solare vive con la famiglia in Italia e da qui lavora in smart working per un datore di lavoro estero. Ciò, nonostante non risulti iscritto nelle anagrafi della popolazione residente. Analogamente, rimane residente la cittadina italiana trasferita all’estero, dove lavora in modalità agile, che abbia mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
Con riferimento all’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, l’Agenzia sottolinea che l’articolo 15 del modello Ocse, sostanzialmente recepito nelle convenzioni negoziate dall’Italia, prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, salvo l’attività lavorativa venga svolta nell’altro Stato contraente, nel qual caso l’imposizione è concorrente in entrambi i Paesi.
In coerenza con l’articolo 23 comma 1, lettera c), del Tuir, che considera prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato», anche la disposizione convenzionale prevede che il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, a prescindere dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.
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Oss «non Ue», facilitate le operazioni verso privati anche senza imposta
11 Settembre 2023
I soggetti extra Ue che effettuano operazioni territorialmente rilevanti nell’Unione europea verso privati sono tenuti a nominare un rappresentante fiscale per assolvere gli adempimenti Iva, tra cui quello di fatturazione e dichiarazione. E questo, anche nell’ipotesi in cui tutte le operazioni effettuate siano “esenti”. Al fine di semplificare le procedure, pur in mancanza di imposta da versare, è possibile aderire all’Oss regime non Ue.
È il caso, per esempio, di un soggetto extra Ue che – operando in Italia nel settore dei viaggi tramite un rappresentante fiscale – acquista in nome proprio e rivende ai clienti (ovviamente applicando un mark up) biglietti aerei relativi a tratte internazionali, al di fuori, quindi, del regime speciale ex articolo 74-ter del Dpr 633/1972. Il rappresentante fiscale è tenuto a certificare le vendite mediante emissione di fatture che, nel rispetto delle regole in materia di territorialità fissate dall’articolo 7-quater del decreto Iva e seguendo la logica del mandato senza rappresentanza, recheranno un corrispettivo in parte fuori campo e in parte non imponibile ex articolo 9, Dpr 633/72.
La questione è stata analizzata in una risposta a interpello (a oggi inedita) in cui si afferma che l’operatore estero può aderire al regime “Oss non Ue” facendovi rientrare, oltre alle eventuali operazioni verso privati di altri Stati membri, anche quelle verso clienti privati nazionali (a differenza di quanto avviene per il regime Ue).
Il fatto poi che possano confluire nel regime Oss non Ue tutte le prestazioni di servizi (compresi i servizi di trasporto) con luogo di prestazione nell’Unione, effettuate da un operatore extra Ue a favore di persone che non sono soggetti passivi (consumatori), è confermato anche nelle note esplicative della Commissione europea (paragrafo 3.1.3).
Inoltre, non è d’ostacolo la circostanza per cui tutte le operazioni realizzate possono essere “esenti” (non imponibili secondo la dizione interna). Infatti, anche le note esplicative Ue prevedono che «le prestazioni e le cessioni esenti in uno Stato membro di consumo non devono essere incluse nella dichiarazione per lo sportello unico», peraltro confermando implicitamente che è possibile aderire al regime speciale anche in presenza di sole operazioni “esenti”. Semplicemente, ciò comporta la compilazione e l’invio della dichiarazione speciale “in bianco”.
Adempimenti facilitati
La fisiologica assenza di operazioni nel modello non dovrebbe inoltre rilevare quale causa di esclusione dal regime, considerato che la mancata indicazione di operazioni nella dichiarazione trimestrale per il regime Oss non Ue consegue alle regole di non imponibilità.
Resta inteso che, qualora siano venduti biglietti per tratte nazionali, l’imposta dev’essere applicata e l’operazione va inserita nella dichiarazione Oss. Allo stesso modo, troveranno spazio nel modello le operazioni per le quali è prevista l’imponibilità in altri Stati membri.
L’adesione all’Oss in un caso come quello dell’interpello ha altresì un evidente impatto positivo in termini di semplificazione degli adempimenti. Le Entrate confermano infatti l’esonero dagli obblighi di fatturazione e dagli altri oneri contabili/documentali, così come espressamente previsto dal comma 2 dell’articolo 74-quinquies del decreto Iva, secondo cui i «soggetti che si avvalgono del regime previsto dal presente articolo sono dispensati dagli obblighi di cui al titolo II», restando peraltro dovuti quelli di conservazione ed esibizione di idonea documentazione delle operazioni effettuate, individuati dal comma 10 dell’articolo 74-quinquies.
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Decisiva la residenza per il prelievo tedesco
11 Settembre 2023
Il Sole 24 Ore 18 Agosto 2023 di Alessandro Germani
Tassazione in Germania in base alla Convenzione per la partecipazione ceduta
La plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione italiana da parte di una partnership tedesca fiscalmente trasparente è imponibile solo in Germania in base alla convenzione fra i due Paesi. È quanto emerge dalla risposta a interpello 418/2023 delle Entrate.
Alfa è una società tedesca in forma di KG assimilabile a una Sas italiana che ha come soci Beta in qualità di accomandante e Gamma come accomandatario e detiene una partecipazione del 100% nella società italiana Delta Srl. Alfa in Germania è un’entità fiscalmente trasparente e i suoi soci sono residenti in Germania come attestato dai relativi certificati di residenza.
Alfa cede a un’altra società del gruppo tedesca la partecipazione italiana, realizzando così una plusvalenza imponibile ex articoli 73, 23 comma 1 lettera f) e 67 comma 1 lettera c) del Tuir. Poiché la convenzione Italia Germania prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza dell’alienante, il dubbio verte se ciò debba riguardare Alfa (cioè la società che vende la partecipazione) oppure Beta (il socio).
L’Agenzia conferma che i benefici della convenzione si applicano in capo ad Alfa, benché sia un soggetto trasparente, in base al presupposto che sia Alfa che Beta sono soggetti fiscalmente residenti in Germania ed ivi tassati. Viene confermato così che non c’è invece tassazione in Italia. Infatti la plusvalenza in una società italiana è imponibile in Italia, ma interviene poi la convenzione fra i due Paesi che prevale sulla norma interna.
Circa il soggetto cui applicare i benefici convenzionali occorre guardare al protocollo aggiuntivo della convenzione Italia Germania che è stato commentato anche dal report Ocse del 1999 sulle partnership. Esso ha chiarito che in generale i benefici non si applicano alle entità trasparenti, tranne i casi in cui ciò sia espressamente previsto. E l’Ocse cita come caso proprio il protocollo della convenzione Italia Germania. L’importante è che vi sia tassazione nello Stato di residenza della partnership. Pertanto i benefici della convenzione si applicano su Alfa benché trasparente e la tassazione tedesca poi vi sarà in capo al socio Beta, che è fiscalmente residente in Germania e ivi tassato. Senza alcuna tassazione in Italia. Del resto, ciò è in linea con i precedenti di prassi (risoluzioni 17/E/06 e 167/E/08).
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Circolare Ufficio Attività Economiche del 7 09 23 – Procedura LABOR – trasmissione on line contratti collaborazione ai sensi della Legge 9 dicembre 2022 nr 164
11 Settembre 2023
Si trasmette per opportuna conoscenza la Circolare nr 3/2023 del 07 09 23 dell’Ufficio Attività Economiche che informa che dall’11/9 u.s. è disponibile la procedura LABOR per il deposito dei contratti di collaborazione di Amministratori, Soci, lavoratori pensionati, contratti di collaborazione a progetto che sostituisce l’invio a mezzo tNotice.
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Decreto Legge 2 Agosto 2023 nr 116 – Proroga della sospensione straordinaria e temporanea dei termini di cui agli articoli 9 10 e 12 della Legge 28 09 2010 nr 118 e succ. modifiche
11 Settembre 2023
Come indicato dal comma 1 dell’Articolo Unico del Decreto Legge in oggetto “In via straordinaria e temporanea, fino al 31 dicembre 2023, i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno ai sensi degli articoli 9 e 10 della Legge 28 giugno 2010 n.118 e successive modifiche che sia già scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto – legge o in scadenza, non sono tenuti all’obbligo di rientro nel Paese di provenienza”.
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Successioni internazionali: conta la residenza abituale
11 Settembre 2023
Il Sole 24 Ore 7 Agosto 2023 di Massimo Melpignano
Un soggetto residente in Svizzera, con doppia cittadinanza italiana ed elvetica, muore senza lasciare testamento né altre disposizioni. Il defunto possedeva immobili e altri beni (per esempio, conti correnti) sia in Italia sia in Svizzera.
Gli eredi legittimi sono, sia per la legge italiana sia per la legge svizzera, il coniuge e i tre figli, ma le quote spettanti a ciascun erede sono diverse a seconda delle le due legislazioni: secondo la legge svizzera, il coniuge percepirebbe la metà del patrimonio, mentre, secondo quella italiana, gli spetterebbe un terzo.
Fermo restando che dovranno essere indicati nella dichiarazione di successione e tassati in Italia solo i beni presenti in Italia, quale legge dev’essere applicata per determinare le quote di devoluzione?
La regola generale per le successioni transfrontaliere è dettata dal regolamento europeo 4 luglio 2012, n. 650/2012, in vigore dal 17 agosto 2015.
Il principio cardine per individuare la legge applicabile alla successione, sotto il profilo civilistico, è quello della residenza abituale del defunto al momento della morte (per maggiori indicazioni, si veda Ufficio studi del Notariato, risposta a quesito internazionale 115-2019/A dell’11 giugno 2019). Quindi, nel caso prospettato, si applicherà la legge svizzera, visto che il canone generale citato ha carattere universale e si applica anche per gli Stati extracomunitari (articolo 20 del regolamento).
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Preliminare, se muore il promittente tutti gli eredi devono firmare il definitivo
11 Settembre 2023
Il Sole 24 Ore 30 Agosto 2023 di Angelo Busani
Il documento in questione era stato stipulato dal de cuius nel 2001
Se muore il promittente venditore di un contratto preliminare di compravendita, tutti i suoi eredi devono concorrere alla stipula del contratto definitivo e quindi non è sufficiente, per procurare al compratore l’acquisto dell’immobile promesso in vendita, che il definitivo sia stipulato solo da alcuno degli eredi.
È quanto deciso dalla Cassazione nell’ordinanza 25396 del 29 agosto 2023, la quale ha annullato la sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’appello di Roma (4993/2016), che, a sua volta, aveva ribaltato, qualificandola come «non assolutamente ammissibile dal punto di vista giuridico» la sentenza del Tribunale di Roma (7416/2014), nella quale il contratto definitivo, stipulato da uno solo degli eredi, senza il concorso dell’altro erede, era stato dichiarato “nullo” «a causa della mancata partecipazione alla stipula» del contratto definitivo di tutti gli eredi della promittente venditrice.
Per la cronaca, la citazione in primo grado era del 2008 e il preliminare in questione era stato stipulato dal de cuius nel 2001.
La Cassazione argomenta la sua decisione con l’osservazione che la promessa di vendita di un bene oggetto di comunione è una «obbligazione indivisibile» avente «natura collettiva» che deve essere adempiuta da tutti i comproprietari i quali costituiscono «un’unica parte complessa»: pertanto, le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale, con la conseguenza che, quando una di tali dichiarazioni manchi, non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare e pertanto non si verifica il presupposto in base al quale il promissario acquirente possa concretare in capo a sé l’acquisto del bene oggetto del preliminare.
In altre parole, a fronte della successione a causa di morte a un soggetto promittente venditore, non si verifica una situazione nella quale si originano tanti autonomi contratti preliminari quanti sono gli eredi, ciascuno avente a oggetto una quota indivisa del bene promesso in vendita, in quanto i coeredi vengono a costituire «un’unica parte complessa» poiché la promessa in vendita del bene poi divenuto comune per effetto dell’apertura della successione deriva da un’originaria «unica volontà negoziale» (quella espressa dal promittente venditore, poi deceduto).
Ne esce che, da un lato, tutti gli eredi sono obbligati a prestare il loro individuale consenso, necessario per permettere la stipula del contratto definitivo in quanto le singole loro volontà «sono prive di una specifica autonomia» in quanto «destinate a fondersi in un’unica manifestazione negoziale»; e che, d’altro lato, finchè questo collettivo e unanime consenso non vi sia, l’acquirente non ottiene l’acquisto che gli è stato promesso nel contratto preliminare. In sostanza, ciascuno degli obbligati è in grado di manifestare solo «il consenso relativo alla propria quota e non quello concernente le quote spettanti agli altri».
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Videocamere, email e privacy tutelata: i limiti ai controlli del datore di lavoro
11 Settembre 2023
La privacy del lavoratore non è un diritto assoluto. Negli anni la giurisprudenza ha dettato precisi confini per bilanciare da un lato la tutela alla riservatezza e la dignità dei dipendenti; dall’altro la protezione del patrimonio e dell’immagine aziendale.
Non sempre i contorni sono chiari e definiti, dando luogo a un contenzioso che negli ultimi anni ha riguardato soprattutto:
l’uso delle videocamere di sorveglianza;
il controllo delle email aziendali;
l’impiego di agenzie investigative per rilevare e contestare condotte illecite dei dipendenti.
I controlli
Intanto occorre distinguere tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti o gruppi di dipendenti nello svolgimento della loro prestazione di lavoro, che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e “controlli difensivi” in senso stretto, diretti ad accertare specifiche condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti.
Questi ultimi controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, possono essere effettuati dal datore di lavoro anche senza le garanzie previste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, cioè senza l’autorizzazione dell’ispettorato nazionale del lavoro o dei sindacati e senza informare preventivamente il lavoratore.
Così il datore di lavoro potrà installare telecamere nascoste nel caso di ripetuti ammanchi di cassa o furti e ragionevoli sospetti in capo a determinati lavoratori. Il controllo dovrà essere mirato e giustificato, non potendo in ogni caso legittimare un controllo costante e preventivo rispetto al fatto illecito.
La posta elettronica
Applicando gli stessi principi è lecito il controllo delle email aziendali, a condizione che il lavoratore sia stato adeguatamente informato, che il controllo sia proporzionato alle finalità e non sia un controllo massivo.
In via generale non possono invece essere controllate le email personali, ma potrà essere sanzionato un utilizzo illecito delle mail personali o dei social network durante l’orario di lavoro.
L’informativa al lavoratore non deve essere necessariamente scritta, ma può diventare difficile in sede processuale dimostrare con testimoni l’avvenuta informazione circa i limiti e le modalità dei controlli tecnologici.
Tra i comportamenti più gravi ascrivibili al lavoratore e accertabili tramite i controlli periodici delle email aziendali rientra sicuramente la violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro prescritto dall’articolo 2105 del Codice civile.
Così è stato ritenuto legittimo il licenziamento della dipendente che trafuga informazioni riservate per svolgere attività concorrenziale (Tribunale di Roma, Sezione lavoro, sentenza 4032, pubblicata il 5 maggio 2023).
Altrettanto lecite sono le riprese effettuate dall’investigatore privato incaricato di sorvegliare il dipendente che effettuava attività di pulizie per una piscina privata durante l’assenza per malattia. Come specificato più volte dalla giurisprudenza, infatti, in questi casi il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere eseguito anche in assenza perché serve a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive. Ovviamente anche in questi casi i dati devono essere trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Tribunale di Perugia, sezione lavoro sentenza 129 pubblicata il 30 luglio 2022).
Il casellario giudiziale
Una questione controversa riguarda la possibilità del datore di lavoro di chiedere i carichi pendenti e il casellario giudiziale in fase di selezione. In realtà la Corte di cassazione con un orientamento più recente ha sdoganato tali richieste, anche quando non previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile al rapporto di lavoro. Anche in fase precontrattuale, infatti, il datore di lavoro è libero di determinare criteri rigidi che prevedano, ad esempio, l’assenza di processi penali in corso, potendo legittimamente procedere ad una verifica dei requisiti di affidabilità dei lavoratori da assumere ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione (Tribunale di Roma, Sezione lavoro, sentenza 6030 pubblicata il 23 giugno 2023).
In alcuni casi poi è addirittura obbligatorio richiedere il certificato del casellario giudiziale per il datore di lavoro, ad esempio nelle attività professionali o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minori, così come previsto dal Dlgs. 39/2014.