Decreto Delegato 21 marzo 20247 nr 65 – Regime fiscale semplificato per attività commerciale di impresa estera

16 Aprile 2024

Al fine di promuover l’attività imprenditoriale commerciale di operatori economici esteri nella Repubblica di San Marino e facilitarne l’insediamento  il Decreto Delegato 65 prevede un regime fiscale semplificato della durata di 24 mesi dedicato alle imprese estere attive nel settore del commercio al dettaglio. All’art.2 vengono fissati i requisiti d’accesso mentre all’art.3 viene definito l’ammontare dell’imposta sostitutiva (pari al 12%) da calcolarsi sulle vendite effettuate e da liquidarsi trimestralmente. Si invitano tutti gli interessati ad una lettura completa del testo completo qui di seguito allegato.

DD65-2024

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Decreto Delegato 21 marzo 2024 nr 64 – Disposizioni in materia di sandbox normative

16 Aprile 2024

Il Decreto Delegato in oggetto  si riferisce alla possibilità di emanare da parte del Congresso di Stato Decreti Delegati e Regolamenti straordinari per attuare progetti pilota finalizzati allo sviluppo innovativo del comparto economico. L’autorizzazione concessa dal Congresso di Stato ha una durata massima di 24 mesi e deve riguardare progetti pilota  (art. 6) su tecnologia, prodotti servizi o processi  innovativi  di interesse o sperimentazioni nel rispetto della normativa applicabile. I soggetti promotori (art. 5) potranno contare dunque su una regolamentazione ad hoc e un quadro normativo dedicato al pari di quanto già accade in altre legislazioni internazionali.

DD64-2024 

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Decreto Delegato 28 marzo 2024 nr 76 – Riorganizzazione della gestione separata, interventi di coordinamento in materia previdenziale, revisione delle norme in materia di attività lavorativa per percettori di pensione e solidarietà familiare

16 Aprile 2024

Si allega il testo completo dell’ultimo Decreto in tema di Gestione Separata, Pensioni, lavoro dei pensionati e solidarietà familiare.

Data la complessità della normativa e i diversi interventi a sua modifica, s’invita la gentile clientela a contattare lo Studio in caso si necessitino chiarimenti.

DD76-2024

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Donazioni indirette non tassate a meno di un accertamento

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 22 marzo 2024 di Angelo Busani

Le donazioni non formalizzate in un atto notarile sono sempre state ammantate da un senso di notevole incertezza sul loro trattamento fiscale: per tutti gli anni ’90 del secolo scorso se ne è intensamente parlato senza che la legge le menzionasse (al fine di capire se effettivamente fossero fattispecie imponibili), poi, appena il legislatore le prese in considerazione all’inizio del nuovo secolo, l’imposta di donazione venne radicalmente abolita.

Reintrodotta, dopo alcuni anni, la tassazione delle donazioni mediante la stranissima tecnica di risuscitare la normativa abrogata nel testo stesso che essa aveva alla data di abrogazione, le discussioni di addetti ai lavori e studiosi si sono appuntate sull’analisi della compatibilità delle norme risuscitate con il nuovo disegno dell’imposta di donazione nel frattempo elaborato dal legislatore: vale a dire, non più, come nel diritto previgente, mediante consistenti aliquote d’imposta su scaglioni progressivi di valore imponibile, ma mediante moderate aliquote proporzionali applicabili al valore eccedente le franchigie di esenzione. Nell’ambito di queste discussioni, non poca consistenza ebbero le opinioni secondo le quali dovevano addirittura considerarsi abrogate implicitamente, appunto per ritenuta incompatibilità sistematica.

Si giunge così alla voluntary disclosure e all’emersione di un assai consistente fenomeno di donazioni informali confessate al fisco italiano per purgare il denaro che ne era stato oggetto: non è un caso che la sentenza di Cassazione 7442/2024 – commentata sul Sole 24 Ore di ieri – si riferisca proprio a un episodio di donazione indiretta effettuata mediante un bonifico bancario “Svizzera su Svizzera”, confessata da un contribuente al fisco italiano nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria in base alla legge 186/2014.

Nella sua sentenza 7442, la Cassazione ora ci dice dunque che:

le norme in tema di donazione indiretta contenute nel Testo unico 346/1990 non sono implicitamente abrogate, ma sono pienamente vigenti;

le donazioni indirette non possono che essere tassate nelle ipotesi specificamente previste dalla legge, vale a dire: il caso della loro volontaria registrazione da parte del contribuente oppure il caso la loro “confessione” (se di valore imponibile superiore a un milione) nell’ambito di un procedimento di accertamento tributario (si pensi al contribuente che sia chiamato a giustificare un tenore di vita non confacente con il suo reddito);

non sussiste l’obbligo di registrazione di una donazione indiretta se essa non risulta da un atto soggetto alla registrazione.

Tradotto in parole semplici, questo insieme di principi sta innanzitutto a dire che non è di per sé tassabile il “semplice” bonifico genitore/figlio, a meno che non lo si “confessi” in un procedimento di accertamento tributario.

In secondo luogo, dalla sentenza 7442 emerge che non dovrebbero aversi timori di tassazione in tutti quei casi in cui, da atti sottoposti a regisazione, risultino pattuizioni che potrebbero anche essere convenute a titolo di donazione, ma che non siano espressamente qualificate come tali.

Si pensi alla dichiarazione di nomina per la stipula di un contratto definitivo derivante da un contratto per persona da nominare, a un contratto a favore di terzo (Tizio vende a Caio che acquista a favore di Sempronio), a una delegazione di pagamento (Caio paga Sempronio un prezzo dovuto da Tizio su incarico di quest’ultimo), a un accollo di debito (Tizio si obbliga a pagare il debito che Caio ha verso la banca Alfa), e così via: sono tutte ipotesi che potrebbero bensì essere effettuate a causa di donazione, ma che potrebbero altrettanto essere supportate da ragioni diverse da quelle di effettuare un’attribuzione per spirito di liberalità.

Per questo, se la causa di donazione non sia palesata, manca il presupposto per l’assoggettamento di questi atti a imposta di donazione.

Senza dimenticare la rilevanza di questo ragionamento in campo societario: ad esempio la fusione di Alfa (valore 100), avente Caio come socio unico, con Beta (valore 500), avente Sempronio come socio unico, formando Delta, di valore 600 con Caio e Sempronio soci al 50 per cento.

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Dividendi all’estero: la casa madre è beneficiario

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 25 marzo 2024 di Massimo Bellini e Enrico Ceriana

Se il percettore dei dividendi è la casa madre, non è necessario accertarne la posizione di beneficiario. Il principio è stato affermato dalla Cassazione nella sentenza del 1° dicembre 2023 n. 33606.

Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava il pagamento di dividendi da parte di una controllata italiana alla controllante giapponese su cui era stata applicata la ritenuta prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Giappone. Nel giudizio l’agenzia delle Entrate aveva lamentato, tra gli altri aspetti, che i giudici di secondo grado non avessero esaminato se il percipiente giapponese fosse il beneficiario effettivo.La qualifica di beneficiario effettivo in capo al percipiente estero è un elemento sul quale l’amministrazione finanziaria solleva le maggiori criticità soprattutto quando l’azionista estero è una società holding
o subholding .

Sulla questione sono intervenuti più volte i giudici di legittimità, sottolineando che l’unico elemento rilevante per il concetto di beneficiario effettivo è «costituito dalla padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)» (Cassazione n. 27112, 27113, 27115 e 27116 del 2016) senza che il contribuente sia tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi (Cassazione 14756/2020). Peraltro, sempre secondo la Cassazione, la circostanza che il percettore dei dividendi sia una società subholding non determina di per sé il venir meno della qualifica di beneficiario effettivo se non esistono in capo al percettore obbligazioni di fatto o di diritto di ritrasferire i dividendi (che è poi il concetto di padronanza già evidenziato).

Sul punto sia il Commentario Ocse che la giurisprudenza di legittimità concordano nel sottolineare che l’obbligo di “ritrasferimento” riguarda direttamente i dividendi ricevuti, con la conseguente irrilevanza di obbligazioni legali o contrattuali ad essi non correlate (Cassazione 21140/2023).

Nel caso in esame il percettore del dividendo era l’azionista ultimo, ovvero la casa madre del gruppo, e quindi la Cassazione chiarisce che la qualifica di beneficiario effettivo «non rileva nella presente controversia riguardando diverse fattispecie …. allorquando la società percipiente i dividendi sia una subholding, una conduit (società veicolo) o comunque una partecipata e/o una compagine intermedia».

In sostanza i giudici di legittimità sottolineano che se il percettore è la casa madre del gruppo si può dare per integrata automaticamente la sua posizione di beneficiario effettivo non essendo possibile un ulteriore ritrasferimento dei dividendi all’interno del gruppo; ciò che invece rileva è che il percettore sia fiscalmente residente in Giappone e che i dividendi siano potenzialmente soggetti a tassazione indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta (principio ormai consolidato, si vedano le sentenze n. 26377/2018 o 10706/2019).

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Austria, meno imposte e misure per le start up: investimenti triplicati

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 7 marzo 2024 di R.Es.

Quasi 1,4 miliardi dalle aziende straniere assistite dall’agenzia governativa

Record di investimenti esteri in Austria, grazie a un business climate favorevole che fa del fisco uno dei punti di attrattività. Secondo i dati di Austrian Business Agency (ABA), l’ente governativo che ha il compito di promuovere su scala internazionale gli investimenti esteri e il lavoro qualificato, le aziende che si avvalgono della sua assistenza nel 2023 hanno triplicato gli investimenti nel Paese, saliti a quasi 1,4 miliardi di euro dai circa 490 del 2022.

A pesare favorevolmente, oltre agli investimenti in ricerca e sviluppo e all’attenzione alla formazione e al reclutamento di manodopera qualificata, è naturalmente il fisco, a cominciare dalla riduzione della corporate tax, già approvata nel 2022, che da allora ha ridotto l’imposta societaria di un punto percentuale ogni anno, arrivando al 23% nel 2024.

A incidere potrà essere anche il pacchetto di leggi recentemente approvato dal Consiglio Nazionale, che mira soprattutto a soddisfare le esigenze specifiche delle startup. Fra tutte, la più innovativa è l’introduzione di una nuova company form, chiamata FlexCo. È una forma giuridica per la costituzione di un’azienda, che permette un modello ibrido: si rifà in parte alle norme delle società a responsabilità limitata, in parte a quelle delle spa. La FlexCo offre tra l’altro alle aziende la possibilità di incentivare i dipendenti attraverso quote di partecipazione fino a un terzo del capitale sociale.

«I risultati di ABA dimostrano quanto sia importante perseguire una politica di localizzazione attiva, promuovere la business location a livello internazionale, ma anche offrire alle aziende i servizi di cui hanno bisogno – sottolinea il ministro dell’Economia e del Lavoro Martin Kocher -. L’Austria è una scelta attraente per le aziende internazionali, soprattutto per la Ricerca & Sviluppo, nonché per le startup e le scaleup innovative».

Nel 2023 il dipartimento Invest in Austria di ABA ha supportato 325 aziende internazionali; 23 sono italiane e confermano l’Italia quale tradizionale secondo investitore in Austria, dopo la Germania. Fra gli insediamenti italiani, oltre al settore del commercio all’ingrosso, spiccano quello dei servizi consulenziali alle aziende, quello dell’IT e quello energetico-ambientale.

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Domicilio fiscale, il nuovo criterio cambia l’esito delle Convenzioni

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 18 marzo 2024 di Maria Lucia Di Tanna Davide Greco

I redditi percepiti per attività di lavoro svolte in Kazakistan da un contribuente che risulti residente in Italia ex articolo 2, comma 2, del Tuir, sono imponibili – in base all’articolo 15, paragrafo 1, ultimo periodo del relativo Trattato – oltre che nello Stato della fonte, anche in quello di residenza.

Il reddito estero dovrà quindi essere dichiarato in quest’ultimo Stato (l’Italia), ferma restando la possibilità per il contribuente di portare in detrazione le imposte corrisposte all’estero, mediante il meccanismo del credito d’imposta (articolo 165 del Tuir).

Sono le conclusioni cui è giunta la Corte di cassazione nella sentenza 5563 pubblicata il 1° marzo 2024, che coinvolge un contribuente italiano che lavorava come dipendente (per più di 183 giorni all’anno) per un’azienda kazaka e a cui era stata contestata la residenza fiscale in Italia in ragione del domicilio civilistico.

La tassazione concorrente

La sentenza è interessante per due motivi. Viene innanzitutto chiarita – si auspica definitivamente – la corretta interpretazione di quanto disposto dall’articolo 15, paragrafo 1, secondo periodo, delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni in materia di redditi da lavoro dipendente: le conclusioni offerte possono essere estese a tutte le Convenzioni stipulate dall’Italia, a esclusione, probabilmente, solo di quella stipulata con l’Arabia Saudita, che presenta una formulazione ( wording ) particolare.

I giudici di legittimità, “enfatizzando” il testo inglese della Convenzione Italia-Kazakistan, hanno sottolineato come l’espressione inglese «may be taxed», presente nel secondo periodo del paragrafo 1 della norma, debba far propendere l’interprete verso il riconoscimento di una tassazione concorrente tra Stato della fonte e Stato della residenza. Ai fini di una tassazione esclusiva, invece, si sarebbe dovuta trovare l’espressione inglese «shall be taxable» (così come avviene, infatti, nel primo periodo del paragrafo 1 dell’articolo 15).

Dunque, ogni volta in cui si deve decidere dove tassare un reddito di lavoro dipendente percepito da un soggetto fiscalmente residente in Italia, per attività di lavoro dipendente svolte per oltre 183 giorni all’estero, l’articolo 15, paragrafo 1, secondo periodo di tutti i Trattati internazionali (compreso quello stipulato tra Italia e Kazakistan) attribuisce potestà concorrente a Stato della residenza e Stato della fonte. In tal caso, il contribuente deve presentare la dichiarazione dei redditi anche in Italia eliminando la doppia imposizione con il metodo del credito d’imposta.

Unico caso internazionale peculiare in materia di redditi di lavoro dipendente è l’Arabia Saudita, la cui Convenzione internazionale all’articolo 15 presenta un wording differente da tutte le altre redatte sulla base del Modello Ocse (a cui si rinvia per maggiori approfondimenti).

Il concetto della residenza

La sentenza della Cassazione in esame permette anche di svolgere una veloce riflessione sul nuovo concetto di residenza fiscale, così come modificata dall’articolo 1 del Dlgs 209/2023. Nella sua nuova formulazione, l’articolo 2, comma 2, del Tuir, oltre al criterio di collegamento della residenza civilistica e della presenza fisica, attribuisce rilevanza anche al criterio del “domicilio fiscale” inteso come il luogo in cui si concentrano gli interessi, principalmente personali e familiari.

Nella previgente formulazione, invece, il domicilio veniva inteso come il luogo ove si concentrano gli interessi familiari ed economico-patrimoniali del contribuente.

Di recente si stava assistendo a un cambio di trend nella giurisprudenza di legittimità (si veda Cassazione 32992/2018 e 29312/2018), la quale sembrava avesse iniziato ad attribuire preponderanza al luogo in cui si concentrano gli interessi economico patrimoniali. Cambio di trend oggi “ininfluente”, stante la nuova definizione di domicilio adottata dal legislatore.

Questa variazione impatterà notevolmente su tutte le situazioni come quella trattata dalla Corte di cassazione nella sentenza 5563/2024 (distacco per più di 183 giorni all’estero per lavoro, ma con famiglia in Italia). Infatti, per i soggetti come il contribuente (che abbiamo visto lavorare per oltre 183 giorni all’anno in Kazakistan), se prima della riforma si sarebbe potuta tentare la strada della residenza nel luogo di produzione del reddito, con la nuova formulazione della residenza fiscale delle persone fisiche l’unico modo per evitare la tassazione concorrente è quello di trasferire anche la famiglia nello Stato della fonte.

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Residenza fiscale, il frazionamento del periodo d’imposta resta al palo

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 26 marzo 2024 di Antonio Fiorentino Martino Paolo Scarioni

Negli scorsi mesi, tra gli operatori era molto alta l’aspettativa che, nell’ambito della riforma fiscale, il legislatore delegato introducesse – in relazione alla residenza fiscale delle persone fisiche – una norma domestica sul cosiddetto split year; aspettativa poi disattesa, poiché il decreto Fiscalità internazionale di fine anno (Dlgs 209/2023) nulla ha previsto in proposito. Eppure sarebbe una disposizione necessaria.

Per comprenderne le ragioni, deve ricordarsi che in base all’articolo 2, comma 2 del Tuir si ha la residenza fiscale in Italia se uno dei criteri di collegamento col nostro territorio è soddisfatto anche solo «per la maggior parte del periodo d’imposta»; in quel caso, si è considerati fiscalmente residenti per l’intera annualità. Questa “unitarietà” del periodo d’imposta genera qualche insidia nell’anno in cui avviene il trasferimento del contribuente all’estero, o il suo ingresso in Italia: l’impossibilità di frazionare l’anno in due parti può provocare, infatti, non solo fenomeni di doppia imposizione, ma anche fenomeni di doppia non imposizione.

Quanto ai primi, si pensi al caso di un contribuente fiscalmente residente in Italia, che nella seconda parte del 2024 migri in uno Stato estero per intraprendervi un’attività lavorativa, e che, in virtù della normativa interna di tale ultimo Stato, acquisisca lì la residenza fiscale a decorrere dalla data del trasferimento: i redditi di lavoro prodotti all’estero verranno tassati sia in Italia (perché qui il soggetto è stato residente per la maggior parte del 2024), sia nello Stato estero, avendo acquisito la residenza fiscale dal giorno del suo arrivo.

Vero è che tale doppia imposizione può essere superata attraverso i meccanismi approntati dalle Convenzioni. Tuttavia, il rimedio solitamente adottato, ossia il credito d’imposta, non è sempre “perfetto”: in virtù di esso, la doppia imposizione talvolta viene rimossa solo parzialmente, laddove all’estero il reddito sia tassato con un’aliquota d’imposta inferiore rispetto a quella Irpef, o sia calcolato in modo differente rispetto a come avviene in Italia, e talaltra non è eliminata affatto, come nei casi in cui il medesimo reddito sia assoggettato a tassazione in Italia tramite imposta sostitutiva o ritenuta a titolo d’imposta (sebbene la Cassazione abbia di recente espresso un’apertura: si veda la sentenza 25698/2022).

C’è da dire che il Commentario al modello Ocse (al punto 10 del commento all’articolo 4) consente agli Stati contraenti di adottare una disposizione di split year, in base alla quale il contribuente di uno Stato, espatriato nell’altro Stato in corso d’anno, mantiene la residenza fiscale nel primo fino alla data del trasferimento, e diviene fiscalmente residente nel Paese di destinazione solo a decorrere dal giorno successivo.

A oggi, però, sono solo due le convenzioni sottoscritte dall’Italia che si avvalgono di tale facoltà, ossia quella in vigore con la Svizzera e quella in vigore con la Germania; e ciò comporta che la regola del frazionamento non possa ritenersi operante in tutti i restanti trattati, come confermato già da tempo dall’agenzia delle Entrate (risoluzione 471/2008) e, più di recente, dalla Corte di cassazione (ordinanza 25690/2023). Cosicché l’introduzione di una disposizione domestica avrebbe consentito senz’altro di evitare le accennate problematiche.

Una tale disposizione – e veniamo così al secondo inconveniente procurato dalla sua assenza nell’ordinamento – avrebbe anche l’effetto di prevenire fattispecie di doppia non imposizione.

Si pensi, ad esempio, a un contribuente italiano che si trasferisca nella prima parte del 2024 in uno Stato estero ove è prevista, per norma interna, la regola dello split year, o che adotta un periodo d’imposta difforme dall’anno solare (è quanto accade nel Regno Unito, ove il periodo d’imposta inizia il 6 aprile e termina 5 aprile dell’anno successivo). Qualora egli, nel corso dei primi mesi dell’anno, prima dell’espatrio, avesse realizzato un capital gain dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società italiane (o anche estere), tale plusvalenza non sarebbe imponibile in Italia, in quanto verrebbe realizzata da un soggetto che per il 2024 è fiscalmente “non residente” nel nostro Paese, essendoci rimasto per meno di 183 giorni; la legge italiana esclude, infatti, che tale tipologia di plusvalenze sia territorialmente rilevante in Italia per i non residenti (lo stabiliscono l’articolo 5 del Dlgs 461/1997, quanto ai soggetti residenti in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni, e l’articolo 23 del Tuir, quanto a tutti i non residenti, in relazione alle partecipazioni in società residenti quotate). Al contempo, la medesima plusvalenza non verrebbe assoggettata a tassazione neppure nel Paese estero di destinazione, poiché – proprio in virtù dello split year sancito dalla disciplina interna di tale Paese – il medesimo soggetto diverrebbe ivi residente solo a partire dalla data del suo trasferimento.

Simili vicende di doppia non imposizione possono essere evitate solo intervenendo sul piano della normativa domestica: esse, infatti, non sono in alcun caso risolvibili neppure nell’ipotesi in cui lo split year sia contemplato dalla Convenzione in essere tra i due Paesi, dal momento che le disposizioni pattizie non possono mai fondare un presupposto impositivo, o individuare una residenza fiscale, altrimenti inesistenti sulla base delle norme interne. Pertanto, per riprendere l’esempio illustrato, la plusvalenza non potrà essere tassata in Italia neppure ove realizzata da un soggetto poi spostatosi in Germania o in Svizzera.

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Compensi agli amministratori deducibili solo con delibera

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 26 marzo 2024 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

LA CONFERMA DELLA SUPREMA CORTE

La delibera assembleare di approvazione del bilancio in cui sono puntualmente rilevati i compensi degli amministratori della Srl non è sufficiente a legittimare la deduzione fiscale del relativo costo, salvo non venga espressamente approvata la specifica voce.

A confermare l’orientamento restrittivo della Suprema Corte in tema di deducibilità dei compensi degli amministratori anche di srl è la sentenza 8005 depositata ieri.

Secondo la Cassazione, in particolare, va condivisa la soluzione più articolata (già espressa in altre precedenti sentenze) secondo la quale l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’articolo 2389 del Codice civile, salvo che l’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

Ne consegue che il difetto di specifica delibera dell’assemblea in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori può essere effettivamente sanato in sede di delibera di approvazione del bilancio, ma solo se tale delibera abbia espressamente approvato la relativa voce, non essendo sufficiente la semplice approvazione del bilancio contenente tale voce.

Obiettivamente mal si comprende questo rigoroso orientamento della Suprema corte, ormai espresso da anni, soprattutto sotto un profilo sostanziale ed in assenza di circostanze particolari (compensi esosi, detassazione dell’amministratore ecc.).

Viene richiesta una delibera ad hoc anche nelle srl dove in molti casi il socio è anche l’amministratore, non essendo sufficiente l’approvazione del bilancio in cui i compensi vengono puntualmente riportati. Senza considerare che, da un profilo fiscale, l’amministratore assoggetta regolarmente a tassazione il compenso, la cui deduzione, in assenza di tale specifica delibera, viene invece negata alla srl.

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Decreto Delegato 14 marzo 2024 nr 51 – Modifica al D.D. 25 06 218 nr 72 – Disposizioni in materia di credito agevolato a supporto delle imprese e succ. mod.

16 Aprile 2024

Con il D.D. nr 51 del 14 marzo 2024 viene adeguata la composizione del Comitato di Valutazione  delle domande che risulta ad oggi così composto:

“Art. 15
(Modalità di autorizzazione del credito agevolato)
1. Le domande per usufruire dei finanziamenti previsti sono esaminate dal Comitato di
Valutazione in ordine di presentazione entro sessanta giorni lavorativi da quest’ultima, se non
previsto diversamente dal presente decreto delegato.
Il Comitato di Valutazione è composto come segue:
a) il direttore dell’Ufficio Attività Economiche o suo delegato, che lo presiede;
b) il direttore dell’Ufficio Tributario o suo delegato;
c) il direttore dell’Ufficio per il Lavoro e le Politiche Attive (ULPA) o suo delegato.
Sono invitati a presenziare, senza farne parte, a scopo conoscitivo e consultivo, un rappresentante
per ciascuna delle associazioni sindacali e dei sindacati dei datori di lavoro giuridicamente
riconosciute ai sensi del Titolo I della Legge n.7/1961 e successive modifiche”

DD51-2024

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