Mese: Luglio 2024
Canoni commerciali ridotti, l’accordo dev’essere registrato
8 Luglio 2024
Redditi di terreni e fabbricati
Nell’ambito di un contratto di locazione commerciale, il proprietario non ha percepito i canoni dal conduttore.
Per definire e chiudere la disputa con quest’ultimo, il locatore accetta una riduzione del canone e rilascia una dichiarazione liberatoria nella quale afferma di non avere alcunché da pretendere. In sede di dichiarazione dei redditi, il locatore stesso va a dichiarare l’importo effettivamente percepito dopo l’emissione della liberatoria?
È sufficiente tale dichiarazione liberatoria, qualora vi sia allegato l’assegno che dimostra quanto è stato effettivamente percepito?
Gli accordi intervenuti fra locatore e conduttore, in merito alla riduzione del canone di locazione commerciale che risulta convenuto nel contratto originario, non assumono efficacia nei confronti del Fisco senza una loro formale registrazione, da effettuarsi con il modello RLI e peraltro esente da imposte di registro e bollo (articolo 19 del Dl 133/2014).
Di conseguenza, fintantoché non venga posto in essere questo adempimento, nella dichiarazione dei redditi dovrà essere indicato e assoggettato a tassazione l’ammontare dell’intero canone pattuito all’inizio del rapporto di locazione, sebbene non percepito in tutto o in parte.
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No al software per calcolare i tempi delle attività
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 2 luglio 2024 di Giampiero Falasca
È illecito l’utilizzo, da parte di un datore di lavoro, di un software che monitora le prestazioni dei dipendenti in maniera dettagliata, registrando i tempi e le modalità di lavoro del personale nonché i tempi di inattività con le specifiche causali; è altrettanto illecito l’utilizzo di un hardware che regola l’accesso sul luogo di lavoro attraverso un sistema di riconoscimento facciale. Sulla base di queste considerazioni, il Garante Privacy ha comminato una pesante sanzione amministrativa a carico di un datore di lavoro che usava tali strumenti per migliorare la produttività interna (provvedimento 338/2024 del 6 giugno scorso).
Si tratta di un’azienda che si occupa di commercio e riparazione di autovetture, la quale ha deciso di installare un software (denominato Dms) e un hardware (X-Face 380) molto innovativi; un’installazione avvenuta senza accordo sindacale o autorizzazione amministrativa in quanto la società li considerava “strumenti di lavoro”.
Una scelta censurata in modo pesante dal Garante. Per quanto riguarda l’hardware che consente il riconoscimento facciale dei dipendenti, viene confermato l’indirizzo molto restrittivo già seguito in casi analoghi: è vietato perché realizza un trattamento illecito dei dati personali.
I dati biometrici rientrano nel novero delle cosiddette categorie particolari di dati e, quindi, il relativo trattamento è di regola vietato, salvo il caso in cui risulti necessario per assolvere degli obblighi ed esercitare dei diritti specifici in materia di diritto del lavoro e della protezione sociale (ipotesi che non si verifica nel caso in questione, essendo insufficiente l’esigenza di compilazione delle buste paga a integrare questo requisito). Il Garante, confermando anche qui il proprio consolidato indirizzo, sottolinea che nell’ambito del rapporto di lavoro il consenso manifestato dai dipendenti non può essere considerato idoneo presupposto di liceità, alla luce dell’asimmetria tra le rispettive posizioni delle parti.
Anche l’utilizzo del software gestionale viene sottoposto a numerosi rilievi critici.
Con questo sistema il datore di lavoro aveva imposto ai propri dipendenti, attraverso un codice a barre assegnato individualmente, di registrare le varie fasi dell’attività lavorativa, comprese le pause (con l’indicazione della specifica causale: ad esempio, riposo, attesa ricambi eccetera).
L’Autorità lamenta la mancanza di risposte del datore di lavoro sulla natura e la tipologia dei dati trattati, le modalità e i tempi di conservazione dei dati, che ha impedito di valutare l’effettiva necessità e proporzionalità del software rispetto alle finalità da perseguire. Non è bastata, quindi, la spiegazione fornita dalla società sul fatto che «il sistema non fa nessun controllo sulle attività svolte, ma esegue un semplice conteggio del tempo impiegato».
Carenza accentuata dal fatto che tali informazioni non sono state portate a conoscenza nemmeno dei dipendenti, ai quali è stata fornita un’informativa che risulta incompleta e inidonea a rappresentare compiutamente il trattamento effettuato.
Una violazione particolarmente grave, se si considera che nell’ambito del rapporto di lavoro l’obbligo di informare il dipendente è espressione del dovere di correttezza, come ricorda anche il Gdpr.
Per questi motivi, l’informativa rilasciata ai dipendenti viene considerata carente circa l’indicazione dell’idonea base giuridica che consente il trattamento, con la conclusione che il trattamento è stato realizzato dalla società in violazione dei principi di liceità, correttezza e trasparenza.
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Il Garante privacy: «Accertamenti fiscali dal web inesatti e rischiosi»
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 4 luglio 2024 di Andrea Carli
Gli accertamenti fiscali che si basano su informazioni “rastrellate” dal web sono inesatte e rischiose. L’interesse sociale delle intercettazioni non deve essere il gossip. E sul fascicolo sanitario si sono verificate criticità. Sono tre passaggi dell’intervento del presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, che ieri ha illustrato alla Camera la relazione sull’attività svolta nel 2023. Un documento che lancia l’allarme revenge porn, in preoccupante aumento: nel 2023 sono state 299 le segnalazioni di persone che temono la diffusione di foto e video a contenuto sessualmente esplicito, raddoppiate rispetto allo scorso anno. Ma la lente del Garante privacy si è soffermata sulle grandi questioni legate alla tutela dei diritti fondamentali delle persone nel mondo digitale.
Per quanto riguarda gli accertamenti fiscali, ad esempio, Stanzione ha ricordato che «basare le procedure accertative su informazioni “rastrellate” dal web, e come tali in larga misura inesatte, è estremamente rischioso, potendo avere effetti fortemente distorsivi sulla corretta rappresentazione della capacità fiscale dei contribuenti. Le garanzie di protezione dei dati rappresentano quindi, anche in quest’ambito, presupposti di efficacia dell’azione di contrasto dell’evasione fiscale».«I limiti del webscraping – ha continuato il presidente della Privacy – sono stati sottolineati anche rispetto alla riforma fiscale, nel cui ambito il ricorso all’intelligenza artificiale esige requisiti stringenti di affidabilità ed esattezza dei dati utilizzati per la profilazione del contribuente. Se addestrato su dati anche soltanto parzialmente inesatti, infatti, l’algoritmo restituirà risultati errati in proporzione geometrica, con bias che dalla base informativa si propagano lungo tutto l’arco della decisione algoritmica».
Il 2023 è stato l’anno della diffusione dell’intelligenza artificiale. Dopo un iniziale blocco di ChatGpt, per raccolta illecita di dati personali, e assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori, la piattaforma è stata riaperta garantendo più trasparenza e più diritti agli utenti.
C’è poi il nodo intercettazioni. «Il Ddl governativo – ha sottolineato il presidente dell’Autorità – rafforza sensibilmente, le garanzie di riservatezza dei terzi e, per altro verso, circoscrive l’ambito circolatorio dei contenuti captati, a tutela della privacy di tutti i soggetti le cui conversazioni siano acquisite. Ciò che si può auspicare, anche rispetto alla delega legislativa sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia in fase di indagini, è che si contenga la tendenza a scambiare l’interesse sociale della notizia con il gossip».
L’intelligenza artificiale è «ormai entrata a far parte del nostro orizzonte quotidiano di vita e sempre più ne sarà elemento costitutivo, con effetti della cui portata (in senso lato antropologica) non siamo, forse, del tutto consapevoli – ha concluso Stanzione -. Il diritto ha il compito di colmare questo vuoto di consapevolezza».
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Responsabilità solidale, serve la prova della frode
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 8 giugno 2024 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio
Per la responsabilità solidale in caso di cessione di azienda occorre l’individuazione degli elementi che dimostrino l’esistenza della frode e la partecipazione dell’acquirente.
Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 15948 depositata ieri. La vicenda trae origine da tre avvisi di accertamento notificati a un imprenditore che aveva acquistato la propria azienda da una società in liquidazione. Secondo l’Ufficio, sussisteva la responsabilità solidale dell’acquirente prevista dall’articolo 14 del Dlgs 472/1997 rispetto alle obbligazioni tributarie della società cedente per l’anno della compravendita e i due precedenti.
I provvedimenti venivano impugnati dinanzi al giudice tributario eccependo tra i diversi motivi che non c’era stata una cessione di azienda, ma dei trasferimenti di singoli beni e in ogni caso mancavano i presupposti per attribuire tale solidarietà.
Entrambi i giudici di merito confermavano l’intera pretesa. L’imprenditore ricorreva così in Cassazione lamentando sul punto una carente motivazione per l’applicazione nella specie della norma sulla responsabilità.
I giudici di legittimità accogliendo il motivo hanno offerto alcune precisazioni sulla speciale disciplina. Innanzitutto secondo la Suprema Corte i frazionati e numerosi trasferimenti degli elementi quali contratti, leasing, dipendenti, clienti, ecc. di cui si componeva l’azienda ceduta, dovevano essere riqualificati in una cessione di ramo di azienda.
La pronuncia evidenzia altresì che la società cedente era rimasta priva del suo patrimonio rimanendo titolare solo di debiti nei confronti dell’erario.
La Cassazione ha poi rilevato che la norma sulla responsabilità solidale (articolo 14 del Dlgs 472/1997) prevede due differenti ipotesi il cui discrimine è l’esistenza di intenti frodatori.
Più precisamente se la cessione è conforme alla legge è valorizzata la diligenza del cessionario nell’assumere prima della conclusione del negozio informazioni sulla posizione debitoria del cedente. In questo caso la responsabilità è sussidiaria e limitata al valore della cessione.
Se invece il trasferimento è avvenuto in frode al Fisco, la responsabilità del cessionario non ha limiti temporali ed è presunta quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di violazioni penalmenti rilevanti (tra le tante Cassazione 29722/2020).
Occorre così una ponderata valutazione da parte del giudice di merito. Nella specie, il collegio di appello non aveva indicato nemmeno nell’esposizione del fatto, da cosa far discendere la finalità frodatoria della cessione e la partecipazione del cessionario. La decisione è interessante perché rileva la necessità che siano individuati degli elementi che possano dimostrare l’effettivo intento di sottrarsi al pagamento dei propri debiti fiscali e peraltro, che tale finalità sia conosciuta anche dall’acquirente l’azienda.
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Influencer come agenti di vendita Avvocati al lavoro sui contratti
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 24 giugno 2024 di Massimiliano Carbonaro
L’inquadramento. Dopo la sentenza del tribunale di Roma aziende, agenzie e testimonial stessi chiedono di rivedere gli accordi e di valutare se è obbligatorio iscriversi all’Enasarco. Il rischio di aumento dei costi
La sentenza che assimila gli influencer agli agenti di commercio spinge aziende sponsor e testimonial a rivedere gli accordi contrattuali con l’assistenza dei legali. Sono gli effetti a cascata della pronuncia del Tribunale di Roma (n. 2615 del 4 marzo 2024) che si è abbattuta su questi rapporti, già soggetti a verifica dopo le linee guida dell’Agcom.
La sentenza arriva a confermare un’ispezione della Fondazione Enasarco effettuata nel 2022 che individuava nella promozione da parte di un gruppo di influencer della vendita online di integratori alimentari l’attività tipica degli agenti di commercio. In base a questo inquadramento, quindi, per il tribunale diventava necessario il pagamento dei contributi al Fondo di previdenza Enasarco e al fondo di indennità di risoluzione del rapporto. Secondo l’analisi degli avvocati, la sentenza in realtà sembra riferirsi solo agli influencer che lavorano con il meccanismo dell’affiliazione (o con il riconoscimento dei codici sconto) e non a quelli che percepiscono un compenso fisso per produrre contenuti e neppure a quelli, come i testimonial, che promuovono un brand senza che ci sia una vendita sottesa. Comunque la pronuncia introduce un nuovo problema: finora la principale preoccupazione per l’attività degli influencer era la correttezza dei contenuti e nei contratti ci si concentrava sulle modalità operative e il rispetto del brand. Ora in primo piano c’è l’inquadramento del rapporto. E questo rischia di avere riflessi in termini economici e sanzionatori.
«Bisognerà prestare attenzione ai prossimi pronunciamenti – spiegano Nicola Bonfante e Paola Tradati, entrambi equity partner, di Gatti Pavesi Bianchi Ludovici – ma intanto le imprese e gli stessi influencer hanno cominciato a richiedere assistenza legale per capire se l’attività degli influencer è riconducibile ad una vendita o se si tratta di contratti di sponsorizzazione. Agenzie e aziende che li utilizzano ci consultano sempre di più per rivedere i contratti ed evitare sanzioni e ulteriori costi e valutare se è davvero necessaria l’iscrizione all’Enasarco».
La presenza di alcuni elementi come un compenso parametrato alle vendite, il tracciamento digitale e l’uso di codici sconto dovrebbe spingere l’influencer ad iscriversi in Camera di commercio come agente.
Ma soprattutto l’impresa che si serve di queste figure professionali è chiamata ad attente valutazioni. «Dovrà gestire il venditore presso l’Enasarco, a prescindere dalla sua iscrizione al ruolo di agente – commenta Filippo Colonna, partner dello studio ColonnaCaramanti – facendosi carico anche dei contributi. La contribuzione si calcolerebbe su tutte le somme dovute all’agente. In questo caso, il committente sarebbe tenuto anche a versare periodicamente un’indennità di fine mandato alla Fondazione e ad accantonare in bilancio indennità aggiuntive a tutela dell’agente».
La sentenza quindi è un punto di partenza, potenzialmente di grande impatto. Per Piercarlo Antonelli, partner AMTF Avvocati, «il nuovo inquadramento potrebbe anche portare all’obbligo di riconoscere agli influencer le indennità di fine rapporto, con importi significativi, fino a un anno di provvigioni. Con il rischio di un effetto retroattivo sui rapporti già cessati».
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Lo Studio Commerciale Dott. Valentini Vi augura Buone Vacanze e Vi comunica che sarà chiuso per ferie dall’8 al 28 Agosto compresi. Le attività riprenderanno regolarmente giovedì 29 Agosto.
6 Luglio 2024