Influencer e content creator, braccio di ferro sui contributi Enasarco

6 Agosto 2024

Il Sole 24 Ore 21 luglio 2024 di Mauro Pizzin

Previdenza. Forte della sentenza del Tribunale di Roma che ne ha imposto il versamento l’ente spinge sul governo per allargare la base contributiva

La sentenza 2615/2024 del 4 marzo con cui il Tribunale di Roma, in seguito a un accertamento ispettivo di Enasarco, ha deciso che l’influencer il quale promuova stabilmente e con continuità in rete i prodotti di un’azienda è inquadrabile come agente di commercio ha posto sotto i riflettori la questione dell’inquadramento nella cassa di questa nuova categoria professionale (si veda il Sole 24 Ore del 24 maggio scorso).

L’ente di previdenza integrativa obbligatoria dei professionisti dell’intermediazione commerciale e finanziaria con contratto di agenzia o rappresentanza da tempo vorrebbe, infatti, portare gli influencer entro il suo perimetro contributivo. «Fondazione Enasarco – conferma il presidente Alfonsino Mei – ha la necessità di aumentare la propria base contributiva per la stabilità su una prospettiva di 50 anni, come imposto dai ministeri vigilanti, così da riequilibrare il rapporto tra contributori e pensionati. Ora come ora, perdiamo migliaia di agenti ogni anno anche per la crescita delle piattaforme commerciali. In questo contesto vorremmo coinvolgere anche gli influencer nella nostra base contributiva per includere anche i giovani e per fare ciò abbiamo bisogno di un intervento del Governo, con cui stiamo interloquendo».

All’ingresso in Enasarco sono contrarie sia Aicdc, l’Associazione italiana content & digital creators fondata nel 2023 e che conta oltre 700 membri, sia Assoinfluencer, costituita nel 2019 e inserita nell’elenco delle associazioni professionali di cui alla legge 4/2013, nonché nella rete nazionale di Confcommercio professioni. Si tratta di due importanti realtà associative attive in quel comparto della creator economy che si stima coinvolga 350mila professionisti, per un giro d’affari potenziale di 2,55 miliardi.

Molte le motivazioni sul no alla cassa previdenziale, «a partire – sottolinea la presidente di Aicdc, Sara Zanotelli – da una differenza sostanziale data dal fatto che l’attività degli agenti di commercio è orientata alla vendita, mentre quella del content creator a una rosa di obiettivi di cui la promozione commerciale è solo una parte. Gli agenti, inoltre, guadagnano sulla base di quanto vendono, mentre i creator non sono legati per il loro compenso a un raggiungimento preciso di un obiettivo di vendita, quanto alla promozione del prodotto presso la propria comunità di followers».

Secondo Aicdc esistono poi altre differenze più tecniche: «L’agente di commercio – continua Zanotelli – è un soggetto che deve possedere, in fase di apertura dell’attività, un certo numero di requisiti professionali che vanno preventivamente verificati e non è detto che gli influencer ne siano in possesso. L’agente, poi, viene insignito di un pacchetto clienti, ha un mandato all’incasso, può concludere operazioni per conto del committente e gode di un’indennità meritocratica: tutti parametri ritenuti inapplicabili per gli influencer, che non “gestiscono” alcun pacchetto clienti».

In attesa di un pronunciamento ministeriale (la situazione attuale, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, è di stallo) la partita sul pagamento di Enasarco si giocherà nei tribunali, in seguito agli accertamenti ispettivi della Fondazione, come è già successo nel caso del Tribunale di Roma, in un contesto in cui le imprese e gli stessi influencer hanno cominciato a richiedere assistenza legale per rivedere i contratti ed evitare sanzioni e ulteriori costi e a valutare se sia davvero necessaria l’iscrizione alla Cassa (si veda l’articolo pubblicato su Nt+Diritto il 24 giugno scorso).

Sul fronte giudiziario, la premessa di Aicdc è che la sentenza romana è formalmente corretta: se l’agente di commercio svolge la professione anche sui social è corretto che versi i contributi Enasarco. Ciò che l’associazione mette in discussione è l’interpretazione della sentenza, perché un agente di commercio può lavorare anche sui social, ma non è detto che un content creator che lavori sui social sia inquadrabile come agente di commercio.

Poco preoccupato della portata della decisione del tribunale romano si dice il presidente di Assoinfluencer, Jacopo Ierussi, secondo cui «una sentenza trova il tempo che trova. A mio avviso questo orientamento è figlio di una mancata o non completa comprensione del fenomeno. Peraltro, secondo la Cassazione l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente a effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine. Basandoci su questo presupposto di partenza, naturalmente confliggente con le dinamiche tipiche della content creation economy, è facile comprendere come far rientrare gli influencer nell’area Enasarco appaia una forzatura».

Doing business in San Marino

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