Contratto d’agenzia, spazio a modifiche unilaterali
12 Dicembre 2024
Il Sole 24 Ore lunedì 18 Novembre 2024 di Attilio Pavone Matilde Battistella
Per le aziende che si avvalgono di agenti, variare periodicamente il contenuto economico del contratto di agenzia è tra le esigenze più comuni. Un esempio tipico è quello dell’agenzia in attività finanziaria: il 7 novembre la Federal Reserve ha annunciato un nuovo taglio dei tassi di interesse (dopo il primo avvenuto in settembre), allineandosi a una decisione simile presa dalla Bce a ottobre. Le fluttuazioni del costo del denaro sono una delle ragioni più comuni che determinano la necessità delle banche di apportare modifiche ai contratti con i loro agenti in attività finanziaria.
Questa necessità non riguarda solo gli istituti di credito (dove ci sono esigenze legate al mercato di riferimento), ma tutti i settori economici. È infatti naturale che, nel corso del rapporto di agenzia, sorga la necessità di apportare delle modifiche a zona, clienti, provvigioni e prodotti, per ragioni talvolta legate a scelte strategiche aziendali (si pensi ad esempio a una società che intende ridurre la zona di competenza di un agente, in favore di più agenti, in modo da consentire una più efficace gestione della clientela sul territorio).
Queste operazioni commerciali possono generare diverse criticità, mentre sono scarne le indicazioni fornite dalla giurisprudenza. È quindi necessaria una particolare cautela nell’attuare le variazioni al contratto d’agenzia.
In realtà, la possibilità, per una delle parti del contratto, di variarne unilateramente il contenuto si pone apparentemente in contrasto con un principio cardine del nostro ordinamento, stabilito dall’articolo 1372 del Codice civile, che richiede il consenso di entrambe le parti per apportare modifiche all’accordo concluso. Eppure, l’ammissibilità del cosiddetto ius variandi è contemplata dallo stesso Codice civile (come nel caso dell’articolo 1661, in materia di appalto, ovvero dell’articolo 2103 relativo al trasferimento del luogo di lavoro). Per il contratto di agenzia, tuttavia, non esistono norme ad hoc che contemplano lo ius variandi.
Sul fronte dell’elaborazione giurisprudenziale, alcune risalenti pronunce avevano dichiarato nulle, per indeterminatezza dell’oggetto, le clausole del contratto di agenzia che consentono al preponente di modificarne unilateralmente il contenuto (Cassazione, sentenza 11003/1997). In un altro caso, la nullità di tali clausole veniva dichiarata sul presupposto che esse costituissero una condizione meramente potestativa, vietata nel nostro ordinamento (Cassazione, sentenza 4504/1997).
La giurisprudenza più recente è concorde nel ritenere legittima l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole del contratto di agenzia. Ma perché tale facoltà non si traduca in un potere illimitato per il preponente, occorre che essa abbia dei limiti e sia esercitata con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede (da ultimo, Cassazione 9365/2023, che conferma Cassazione 29164/2021, 13580/2015 e 5467/2000).
Non è però immediatamente intuibile come riempire di significato la necessità di usare dei “limiti” e di realizzare la variazione secondo i principi sopra richiamati. I più noti accordi economici collettivi ne hanno dato una propria interpretazione, prevedendo un articolato apparato normativo che distingue le variazioni a seconda del loro impatto rispetto alle provvigioni percepite dall’agente nell’anno precedente la modifica.
Prendendo a esempio l’accordo economico del commercio, quest’ultimo distingue le variazioni di lieve, media e sensibile entità. Le prime riguardano modifiche comprese lo 0 e 5%, le seconde tra il 5 e il 20% e le ultime superiori al 20 per cento. Tutte queste variazioni possono essere realizzate dal preponente con il rispetto di un preavviso (diverso a seconda dell’entità della modifica e della tipologia di mandato), con la differenza, però, che al ricorrere delle modifiche di «sensibile entità», l’agente potrà manifestare l’intenzione di rifiutare la variazione, imputando la fine del recesso alla casa mandante, con importanti conseguenze in termini di diritto alle indennità di fine rapporto.
Nulla impedisce comunque alle parti di stabilire, di comune accordo, delle modifiche al contratto. In questo caso, il consenso prestato dall’agente sottrae l’operazione realizzata dalla disciplina delle variazioni unilaterali.
Il calcolo dell’impatto è basato sugli incassi dell’anno precedente
Nonostante il testo della disciplina collettiva sembri di facile applicazione, le modalità di calcolo dell’effettiva entità delle variazioni unilaterali nei contratti di agenzia generano nella prassi non pochi dubbi interpretativi, solo in minima parte risolti dalle scarse pronunce giurisprudenziali sul punto.
Una sentenza del Tribunale di Trento (la 16 del 30 gennaio 2024) fornisce tuttavia alcuni spunti. La decisione ricorda infatti come l’entità della modifica unilaterale vada determinata con riferimento all’anno civile (1° gennaio- 31 dicembre) precedente la variazione e, in particolare, applicando le nuove condizioni contrattuali ai risultati dell’anno passato.
Anche la Corte d’appello di Brescia (sentenza 324 del 12 gennaio 2024) ha avuto modo di precisare come la norma convenzionale metta in correlazione le variazioni del mandato con l’incidenza che la perdita di un determinato cliente o di una certa zona comporta sull’ammontare delle provvigioni maturate dall’agente nell’anno precedente la variazione.
Un’ulteriore pronuncia di merito del Tribunale di Vicenza (la 52 del 3 gennaio 2018) ha inoltre chiarito come per comprendere l’entità dell’incidenza delle variazioni unilaterali messe in atto dalla preponente, l’agente è chiamato ad adottare un criterio prognostico. Quest’ultimo dovrà infatti valutare i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla modifica delle condizioni contrattuali ex ante, e cioè sulla base dei dati a sua disposizione nell’anno precedente.
In buona sostanza, l’agente dovrà prendere come riferimento le provvigioni complessivamente maturate nell’anno civile precedente e valutare come queste ultime si sarebbero modificate per effetto della variazione unilaterale del contenuto economico del rapporto di agenzia (in termini di prodotti, clienti, zona o misura delle provvigioni) realizzata dalla preponente. Solo allora si potrà verificare se la variazione è, in base alle regole degli accordi economici collettivi, tale da legittimare il recesso dell’agente.
Alla luce delle indicazioni degli accordi economici collettivi e della giurisprudenza, è possibile concludere che il calcolo dell’impatto delle variazioni si risolva in una proporzione, come si legge nell’esempio riportato nella scheda.
L’incidenza delle variazioni è quindi il risultato di un calcolo tecnico e frutto di una valutazione prognostica “postuma”, che prende come riferimento l’anno precedente alla modifica e vi applica fittiziamente la variazione, senza tenere conto dell’eventuale cattivo andamento dell’anno successivo, che potrebbe anche non dipendere dalla variazione (ma che in realtà è spesso il motivo per cui l’agente decide di lamentare la variazione eccessiva decidendo di recedere dal contratto per causa imputabile al preponente).
Giova infine ricordare che, per determinare la sussistenza di modifiche di «sensibile entità», la contrattazione collettiva richiede di effettuare la sommatoria delle variazioni di lieve e media entità in un certo lasso temporale (generalmente differenziato a seconda della tipologia di mandato agenziale).
Inoltre, sempre ai fini della sommatoria, il Tribunale di Napoli (sentenza 1335 del 28 febbraio 2023) ha chiarito come appaia equo considerare unitariamente non solo le determinazioni che incidono negativamente sulle provvigioni dell’agente ma anche quelle che hanno un impatto positivo, che potrebbero dunque controbilanciare le variazioni negative.