L’imposta estera pagata dal lavoratore frontaliero va detratta totalmente
5 Agosto 2019
Quotidiano del Fisco del 01 MAGGIO 2019 di Andrea Taglioni
L’imposta pagata all’estero dal lavoratore frontaliero è pienamente detraibile dall’imposta netta dovuta a prescindere che il reddito estero assoggettato a tassazione in Italia concorre parzialmente, per effetto della franchigia, alla formazione del reddito complessivo. Pertanto, quando l’ammontare del reddito estero assoggettato a tassazione in Italia non corrisponde a quello tassato nello Stato estero, l’imposta estera detraibile non deve essere ridotta in misura proporzionale. Ciò in considerazione del fatto che, all’infuori dell’applicazione delle retribuzioni convenzionali, nel caso di lavoro dipendente frontaliero, il relativo reddito complessivo prodotto all’estero non può che essere che quello determinato secondo le regole del Tuir. Quindi, se per determinare il reddito complessivo le norme italiane prevedono che venga tassata solo la parte eccedente la franchigia, questo non determina una diminuzione della base imponibile che fa scattare la riparametrazione delle imposte assolte all’estero. A stabilirlo è la Commissione tributaria Provinciale di Forlì con la sentenza n. 129/02/2019 (clicca qui per consultarla).
Al fine di evitare la doppia imposizione, i contribuenti che pagano imposte all’estero, hanno la possibilità di usufruire di un credito d’imposta. Quest’ultimo è riconosciuto se le imposte pagate nello Stato estero sono definitive, se sono relative a imposte sul reddito, o similari, e se il reddito estero concorre alla formazione del reddito complessivo italiano. Sussistendo tali condizioni, le imposte pagate sui redditi esteri sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione. In pratica, le imposte estere versate danno diritto al credito in Italia in proporzione all’incidenza del reddito estero su quello complessivo italiano.
Delineato il quadro normativo emergeva che l’agenzia delle Entrate rettificava la posizione fiscale del contribuente, lavoratore frontaliero, deducendo che allo stesso spettasse un minor credito d’imposta in quanto il reddito complessivo tassato in Italia, per effetto della franchigia, era inferiore a quello estero percepito. Per tale motivo, il parziale concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo comportava che l’imposta estera detraibile doveva essere ridotta in misura corrispondente.
La tesi erariale non è stata condivisa dalla Commissione Tributaria la quale, verificato che non si trattava di retribuzione convenzionale, che si applica ai lavoratori dipendenti che prestano la propria attività lavorativa all’estero in maniera continuativa e che soggiornano nell’altro Stato per più di 183 giorni, ha escluso che l’imposta estera potesse essere ridotta proporzionalmente.
Questo perché, per il lavoratore residente in Italia, ma che presta l’attività lavorativa in uno Stato estero confinante, o in zone di frontiera con lo Stato italiano, il reddito complessivo non è quello sottoposto a tassazione nello stato estero ma quello che, in base alle norme italiane, concorre a formare la base imponibile.