Per chi ha attività e beni non dichiarati in Svizzera la resa è vicina
7 Ottobre 2019
Il Sole 24 Ore 07 SETTEMBRE 2019 di Lucilla Incorvati
ANALISI
Per gli evasori duri e puri che per anni hanno lasciato i loro averi in Svizzera pensando di non essere scoperti, la possibilità di continuare a farla franca è ormai ridotta all’osso. Si tratta di individui (sul numero è difficile fare previsioni) che, per quanto sollecitati a regolarizzare la proprio posizione (scudo fiscale 1 e 2 , voluntary disclosure e altro)praticamente da dieci anni a questa parte, hanno continuato ad avere condotte illecite. Dopo tanti annunci l’Agenzia delle Entrate italiana è passata all’azione e chi si trova in questa situazione non ha che una via, vale a dire procedere con il ravvedimento operoso.
Qualche settimana fa alcune banche svizzere (una per tutte Ubs ma anche altre banche elvetiche sono state sollecitate) hanno comunicato ad alcuni clienti (tutti residenti in Italia con conto in Svizzera) che l’Agenzia delle Entrate, per il tramite dell’Agenzia fiscale svizzera, ha fatto una richiesta di scambio di informazioni di gruppo. E così verso i clienti “stanati” di fatto si è aperto un procedimento perché la banca trasmetterà i nomi all’Agenzia fiscale svizzera che li passera a quella italiana. Di fronte al procedimento ci si può opporre oppure acconsentire. Se si acconsente i dati vengono trasmessi subito, in caso contrario si apre una causa e in base all’esito si deciderà sulla trasmissione.
«Al contribuente che sa di essere nell’elenco, ma soprattutto sa di non essere in regola – spiega Stefano Noro, partner dello studio fiscale Sala Noro e Associati – suggeriamo al più presto di procedere con il ravvedimento operoso. Anche perché sono soggetti che già avevano ricevuto dalle banche più di una sollecitazione in tal senso». Nello specifico la richiesta di regolarizzazione riguarda gli anni 2015/2016 quando ancora non era in vigore lo scambio automatico (i contribuenti sono invitati a trasmettere il saldo al febbraio 2015 e al 31/12/2016 perché poi dal 2017 lo scambio di informazione è diventato automatico).
«Le violazioni in atto sono due – aggiunge Noro -. In primis non aver indicato il patrimonio nel quadro RW con sanzione dal 6 al 30% dei patrimoni; la seconda sanzione, decisamente più grave, riguarda il fatto se i capitali sono stati formati in anni ancora accertabili (per esempio il soggetto ha trasferito il denaro dall’Italia all’estero oppure da estero a estero dal 2010/2016) c’è da pagare anche l’Irpef dal 180 al 360%».
Insomma, un bel salasso.