Categoria: Dall’Italia
Bancarotta documentale se l’hard disk si rompe
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore lunedì 23 gennaio 2023 di Sandro Guerra
Per la Cassazione non è una scusante: necessario fare backup e stampe
I libri, i repertori, le scritture e la documentazione la cui tenuta è obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento, o che siano richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa, possono essere formati e tenuti con strumenti informatici (articolo 2215-bis del Codice civile), ma l’eventuale crash del sistema può costare caro all’imprenditore.
Lo ha ribadito la quinta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 45044, depositata il 25 novembre 2022, dichiarando inammissibile – in questa parte – il ricorso relativo ad una condanna per bancarotta semplice documentale.
Nel caso in esame i libri contabili di cui la curatela non era entrata in possesso erano conservati su supporto informatico, divenuto tuttavia inaccessibile per un malfunzionamento del dispositivo
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Frontalieri, l’accordo fiscale arriva al Senato
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 31 gennaio 2023 di Marco Alfieri
Oggi prima ratifica dell’intesa che entro maggio avrà l’ok definitivo della Camera
Sul confine Italia-Svizzera. Negli ultimi vent’anni i frontalieri italiani in Canton Ticino (nella foto la dogana di Ponte Chiasso) sono passati da 32mila a 77.700
Al sabato, fino a metà anni Novanta, arrivavano a Ponte Tresa i pullman dalla Svizzera interna. Al mercato dietro la chiesa si trovava cibo per tutti i gusti, abbigliamento, articoli per la casa. Grazie al franco, moneta forte per eccellenza, sembrava di non spendere mai. Oggi la tradizione del mercato si è un po’ persa (in compenso hanno aperto supermercati vicini alla dogana, tutti frequentati da svizzeri), quel che resiste e prospera è invece l’approdo del lavoro oltreconfine, dove si guadagna bene e si pagano poche tasse.
Negli ultimi vent’anni i frontalieri italiani in Canton Ticino sono passati da 32mila a 77.700. Il boom è cominciato negli anni Cinquanta quando molte aziende s’insediavano grazie allo statuto del frontaliere che consentiva di procurarsi manodopera a costi ridotti in settori non concorrenziali con i lavoratori residenti: edilizia, ristorazione, tessile, turismo e metalmeccanica.
Insieme al boom nascono i problemi. Da un lato il rischio di una doppia imposizione fiscale, dall’altro l’arrivo nei comuni di frontiera di molti migranti dal sud Italia, alla ricerca di una occupazione in Svizzera. «L’Accordo del 1974 tra Roma e Berna è la risposta efficace a queste tensioni», ragiona Cecilia Sanna, docente di Diritto dell’Unione europea alla Statale di Milano e figlia di Antonio Sanna, storico sindaco di Ponte Tresa, che di quell’accordo fu l’inspiratore. «La Svizzera aveva bisogno di manodopera ma non voleva stranieri residenti sul territorio; i comuni di frontiera avevano bisogno di soldi per finanziare i servizi di base e far fronte alla ondata migratoria. Nascono così i ristorni sulle remunerazioni dei frontalieri residenti nei comuni di confine».
Ristorno è la parola magica che si accompagna alla figura del frontaliere, basti dire che nel 2021 i rimborsi fiscali ammontano a 97,2 milioni di franchi svizzeri.
A fine anni Novanta lo scenario cambia un’altra volta. «Fino al 1999 la Svizzera faceva selezione in entrata, proteggendo il “suo” mercato del lavoro. Siglando gli accordi europei di libera circolazione, in vigore dal 2002, questo non è stato più possibile», spiega Andrea Puglia, responsabile ufficio frontalieri dell’Ocst, il sindacato cristiano-sociale ticinese. L’effetto è duplice: il boom di assunzioni frontaliere anche nel terziario avanzato e l’insediamento di molte aziende italiane, attirate da incentivi fiscali e burocrazia leggera, nel campo dell’informatica, dei servizi digitali, della moda, della chimica e della farmaceutica. «Nel terziario si passa da 14mila a 52mila assunti in 20 anni». Più di un terzo dei posti di lavoro totali nel cantone (77mila su circa 210mila) oggi è coperto da frontalieri.
I ticinesi cominciano a soffrire la nuova concorrenza, temono l’afflusso dei “padroncini” lombardi che svolgono le loro attività a costi inferiori e denunciano il dumping salariale. In questo clima politico, Italia e Svizzera firmano un nuovo accordo fiscale nel dicembre 2015. Il bilaterale non vedrà la luce perché mai ratificato dai due parlamenti nazionali. Bisogna aspettare altri 4 anni prima che Roma e Berna tornino a negoziare.
Il nuovo accordo italo-svizzero viene firmato nel dicembre 2020, contestualmente a un memorandum sulla fiscalità interna che coinvolge finalmente i territori interessati. Oggi il Testo Unico verrà ratificato dal Senato italiano e poi, entro maggio, dalla Camera. Per entrare in vigore il 1° gennaio 2024.
Cosa cambierà? Per gli attuali frontalieri residenti nei comuni di fascia 20 chilometri nulla fino alla pensione. Continueranno a pagare le tasse in Svizzera. Per i frontalieri residenti nei comuni fuori fascia e per tutti i nuovi frontalieri assunti a partire dal prossimo anno, vigerà una tassazione concorrente Svizzera-Italia ma con una franchigia fiscale alzata a 10mila euro.
«I ristorni resteranno invece attivi fino al 2033, per venire poi sostituiti da trasferimenti statali di pari importo cui si aggiungerà un fondo per il finanziamento di progetti di sviluppo territoriale», spiega Massimo Mastromarino, sindaco di Ponte Tresa e presidente dell’associazione che riunisce i comuni italiani di frontiera.
L’economia di confine è da sempre un microcosmo fragile. Per esempio: «Come impatteranno le nuove forme di lavoro a distanza?». È l’emergenza di questi giorni: la fine del periodo di sospensione causa Covid dell’obbligo di presenza giornaliera in Svizzera. Dal 1° febbraio 2023, se un frontaliere residente nei comuni di confine farà un solo giorno di telelavoro diventa tassabile anche in Italia. «La situazione va risolta attraverso un accordo amichevole con la Svizzera», spiega Puglia. «Dopo la pandemia le aziende si sono adeguate. Anche i frontalieri devono poterlo fare senza incorrere in implicazioni fiscali».
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Il consulente di parte non è esonerato dai controlli antiriciclaggio
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 27 Gennaio 2023 di Antonio Iorio e Laura Ambrosi
Il consulente tecnico di parte di un imputato per reati economici e/o riciclaggio non è esonerato dagli adempimenti antiriciclaggio di adeguata verifica. A fornire questa interpretazione è la guardia di finanza nel corso di Telefisco.
Di sovente, nei procedimenti penali per reati economici e di riciclaggio viene nominato dalla difesa un consulente tecnico. È stato chiesto se, per queste ipotesi, in capo al professionista incaricato della consulenza, incombano adempimenti antiriciclaggio tenendo presente che un’eventuale segnalazione di operazione sospetta (all’esito dell’adeguata verifica) non avrebbe senso quanto meno per la compromissione del diritto di difesa del cliente nel procedimento penale.
La GdF ha premesso che secondo il parere reso nel mese di giugno 2006 dall’allora Uic, l’attività svolta dal consulente tecnico a seguito di un incarico dell’autorità giudiziaria (ad esempio, curatore fallimentare o consulente tecnico d’ufficio) era esclusa dall’applicazione delle disposizioni antiriciclaggio.
Successivamente, le regole tecniche del Cndcec del gennaio 2019, nel caso di incarichi derivanti da nomine giudiziali, hanno previsto per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica l’acquisizione e la conservazione di copia della nomina da parte del giudice, così considerandosi assolti gli obblighi degli articoli 17 e seguenti dlgs 231/2007.
Analogamente, per la GdF, il consulente tecnico della difesa in un procedimento penale per reati economici e di riciclaggio. non è esonerato dagli obblighi antiriciclaggio.
Viene nella circostanza evidenziato che il Comitato di Sicurezza Finanziaria (parere 6/12/2018 relativo alle regole tecniche del Cndcec di giugno 2018), ha escluso la possibilità di individuare in via automatica e preventiva fattispecie rispetto a cui operano sostanziali presunzioni di assenza di rischio di riciclaggio.
Premesso che l’adesione alla tesi del Cndcec da parte della GdF esaurirebbe gli adempimenti in questione con la conservazione da parte del professionista della nomina a consulente (e quindi alla fine si tratta di un adempimento non oneroso), la risposta lascia comunque perplessi.
Mal si comprende il senso di tale adempimento. I citati adempimenti antiriciclaggio dovrebbero essere finalizzati a prevenire (e nel caso a segnalare) eventuali manifestazioni illecite (in genere riciclaggio) da parte del cliente.
Nella specie la sospetta commissione di un reato economico o addirittura del riciclaggio è già “superata” perché nota a tutti, tanto da essere stato avviato un procedimento penale sulla vicenda.
È del tutto inconferente quindi, nella specifica vicenda, il timore della GdF (segnalato al tempo dal citato Comitato per altre circostanze) di individuare fattispecie «rispetto a cui operano sostanziali presunzioni di assenza di rischio di riciclaggio», in quanto già esiste una formale incriminazione del cliente per tali illeciti penali, per cui mal si comprende il motivo (ed il fine) di obbligare il professionista ad eseguire l’adeguata verifica, se non di sanzionarlo per l’eventuale inadempimento.
Si spera in una presa di posizione del Consiglio nazionale (a favore dei commercialisti).
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Dividendi da società italiana a Uk, ritenuta al 5%
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 21 gennaio 2023 di Alessandro Germani
A chi ha partecipazioni del 10% o più non si applica l’aliquota ridotta all’1,2%
In caso di dividendi distribuiti da una società italiana a una società Uk che non si può considerare né Ue né appartenente allo Spazio economico europeo (See), si applica la ritenuta convenzionale del 5% se si dispone di una partecipazione nell’italiana di almeno il 10% dei diritti di voto.
Il chiarimento è contenuto nelle risposte a interpello 117 e 128 dell’agenzia delle Entrate di ieri.
Non è infatti applicabile la ritenuta ridotta del 1,20% a titolo d’imposta ex articolo 27 comma 3 ter del Dpr 600/73, perché la società Uk non è residente né nell’Unione europea né in uno Stato del See. Né vale la disapplicazione ex articolo 27-bis del Dpr 600/73, vigente solo per i Paesi Ue. Questi dunque gli effetti post Brexit.
La risposta 116 fornisce indicazioni per la ritenuta da operare per la concessione in uso del software da parte di fornitori Ue ed extra Ue. La stabile organizzazione in Italia di una società estera opera nella raccolta scommesse ed ha contratti con fornitori esteri per lo sfruttamento del software e servizi annessi.
L’ambito di tassazione è quello della ritenuta del 30% ex articolo 25 del Dpr 600/73 (utilizzazione di opere dell’ingegno) e dell’articolo 12 del modello Ocse (royalties). In presenza di Convenzioni fra l’Italia e lo Stato estero, se prevedono una potestà impositiva concorrente (Uk, Svizzera) allora si applica la ritenuta italiana, nei limiti della convenzione, sui canoni corrisposti ai non residenti. Se le convenzioni invece attribuiscono potestà impositiva esclusiva allo Stato di residenza (Cipro), vi sarà esenzione da ritenuta. Infine nei casi di potestà impositiva sia esclusiva che concorrente (Malta), se il software è coperto dal diritto d’autore vige l’esenzione, sennò si applica il 10 per cento. In assenza di convenzione poi si applica il 30 per cento. Nessuna ritenuta per i servizi di installazione, manutenzione e aggiornamento. Per la risposta n. 118 una società italiana si occupa dell’ammodernamento di una raffineria in Tunisia, senza stabile organizzazione e la committente le applica una ritenuta del 12%, in base all’articolo 12 (canoni) della Convenzione fra i due Paesi, che ricomprende anche gli studi tecnici.
Sulla ritenuta operata dal committente tunisino la società italiana ha diritto al credito d’imposta estero (articolo 22 della Convenzione e 165 del Tuir), in base alla circolare 9/E/15.
Per la risposta n. 129 una società cinematografica italiana si avvale di un regista statunitense che opera con una società trasparente, simile ad una società di persone. Ci si domanda se configuri reddito di lavoro autonomo (articolo 23, comma 1, lettera d del Tuir) con tassazione al 30% (articolo 25, comma 2, del Dpr 600/73) o si applichi la Convenzione (articolo 14) per cui se non c’è base fissa in Italia la tassazione è tutta negli Usa. Per le Entrate la soluzione è quest’ultima, in quanto la società di persone riconduce la tassazione sul regista.
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Se la società è un mero schermo risponde l’amministratore di fatto
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 19 gennaio 2023 di Antonio Iorio
L’interpretazione rigida della Cassazione rischia però di violare il ne bis in idem
L’amministratore di fatto risponde delle maggiori imposte e delle relative sanzioni contestate alla società quando l’impresa è un mero schermo e la persona fisica ha un diretto interesse nei redditi percepiti.
A ribadire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione con la sentenza n 1358 depositata ieri.
In estrema sintesi all’amministratore di fatto di una srl ritenuta una mera cartiera veniva notificato quale autore delle violazioni l’accertamento di maggiori imposte emesso nei confronti della società.
Il giudice di primo grado e quello di secondo grado confermavano la legittimità della pretesa.
Nel ricorso per cassazione, l’amministratore di fatto lamentava tra l’altro la violazione dell’articolo 7 del Dl 269/1993 in base al quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Secondo la Suprema Corte, che ha respinto il ricorso, l’applicazione di tale norma presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata. Solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore della violazione ma sia posta a carico in via esclusiva del diverso soggetto giuridico (società) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore
Al contrario se il rappresentante o l’amministratore della società abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio viene meno la ratio giustificatrice del ripetuto articolo 7.
Secondo la sentenza anche ai fini della responsabilità del tributo è possibile, a determinate condizioni imputare i maggiori redditi (e anche l’Iva) all’amministratore di fatto.
Troverebbero, infatti applicazione le regole sull’interposizione fittizia a condizione che il ruolo dell’amministratore di fatto sia di tale rilevanza da comportare la traslazione del reddito realizzato dalla società alla persona fisica come se fosse stato prodotto da quest’ultimo
In tale contesto la prova che incombe sull’Amministrazione ha ad oggetto il totale asservimento della società all’interponente per dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società.
La sentenza non affronta però un aspetto molto rilevante che conseguirebbe ad una simile interpretazione.
Attribuendo alla persona fisica maggiori imposte e soprattutto sanzioni riferibili alla società, essendo quest’ultima un mero schermo dell’amministratore, nella maggior parte dei casi si applicherebbe, allo stesso soggetto, per la medesima violazione, una doppia sanzione: tributaria e, di sovente, penale. Non a caso, la giurisprudenza, per escludere, in queste ipotesi, il divieto di ne bis in idem, ha dato rilevanza al differente soggetto colpito dalla sanzione: la tributaria alla società e la penale alla persona fisica. Applicando, invece in futuro, il principio contenuto nella sentenza la persona fisica verrebbe sanzionata due volte.
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Trasferimento in Svizzera, per l’anno fiscale rileva il cambio di domicilio
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 19 gennaio 2023 di Marco Strafile
Per l’Agenzia è irrilevante che l’iscrizione all’Aire sia avvenuta in data diversa
Con la risposta a interpello 73 di ieri, le Entrate affrontano il caso di una contribuente che afferma di aver trasferito il domicilio dall’Italia alla Svizzera il 1° giugno e di essere iscritta all’Aire dall’agosto dello stesso anno. L’istante chiede quindi, in applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra il nostro Stato e quello elvetico, quale tra le due date assuma rilievo ai fini della decorrenza della residenza fiscale in Svizzera.
L’Agenzia evidenzia che in base all’articolo 2, comma 2 del Tuir le persone fisiche si qualificano fiscalmente residenti in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, oppure hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del Codice civiel; si tratta di tre requisiti alternativi, per cui è sufficiente che uno solo di essi si realizzi per la maggior parte dell’anno affinché un soggetto si qualifichi fiscalmente residente in Italia.
In base al comma 2-bis si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, tra cui rientra ai fini in questione anche la Svizzera.
Le disposizioni interne vanno poi coordinate con le norme della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, che all’articolo 4 fissa criteri specifici per dirimere i conflitti di residenza tra gli Stati contraenti (cosiddetti tie breaker rules); si tratta di regole «che fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del Contribuente».
Il paragrafo 4 dell’ articolo 4 prevede inoltre, per la soluzione delle situazioni di doppia residenza, il frazionamento del periodo d’imposta nei casi di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso d’anno, come quello esaminato dall’Agenzia. Detta norma prevede, infatti, che «la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data».
Sulla base di tale disposizione convenzionale le Entrate ritengono che nel caso di specie per il frazionamento del periodo di imposta si debba considerare il giorno del trasferimento del domicilio (inteso ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile) dall’Italia alla Svizzera, a nulla rilevando la data di iscrizione della contribuente all’Aire, in quanto tale aspetto, avendo validità ai fini della normativa interna, «non ha alcun effetto sull’applicazione delle disposizioni contenute nel citato Trattato internazionale».
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Società estera, escluso lo schermo se le mail non impongono direttive
8 Febbraio 2023
Il Sole 24 Ore 18 gennaio 2023 di Enrico Holzmiller
Messaggi infragruppo sono fisiologici se non ci sono condotte obbligate
La sentenza n. 4093/22 della Cgt Lombardia torna sull’esterovestizione. E decide su un’ordinanza di rinvio della Cassazione, finalizzata a valutare la corrispondenza via mail tra una società italiana e la propria consociata lussemburghese.
Oggetto del contendere è l’esterovestizione della società lussemburghese Lux proprietaria di un brand di rilevanza internazionale. La società estera, risultava controllata da una subholding anch’essa lussemburghese, posseduta da una holding italiana.
I giudici, muovendo dalla sentenza di Cassazione n. 33235/2018, ricordano che il criterio è quello della sede effettiva ovvero di individuazione del luogo ove in concreto si svolgono le attività amministrative e direzione dell’ente. Tenendo conto che in caso di controllata estera e controllante italiana, il criterio non può coincidere con la mera individuazione del luogo da cui partono gli impulsi decisionali o le direttive amministrative, dovendosi verificare che la società estera non sia una costruzione di mero artificio.
La Corte valuta i documenti agli atti, rilevando quanto segue.
La società Lux è divenuta effettiva proprietaria del brand, acquistato da persone fisiche italiane. Trasferimento mai messo in discussione dall’Ufficio. La Lux ha detto di essere una “passive income company”: una società che, incassando le royalties, ritrae redditi di natura solo finanziaria dallo sfruttamento degli intangibles di cui è proprietaria. Attività, risultata reale.
A fronte della contestazione dell’Ufficio che argomentava l’artificiosità della Lux per l’unica attività (passive income) senza aver dato attuazione alle altre indicate nello statuto, i giudici precisano che non é obbligatorio sviluppare tutti gli ambiti previsti: bastano alcuni. La società aveva un ufficio in Lussemburgo, con personale assunto stabilmente ed esperto nella gestione dei marchi.
Quanto alla concretezza dell’attività svolta, i dipendenti risultano aver effettivamente operato una ricognizione delle mansioni dell’Ufficio marchi a loro delegabili.
Una dipendente aveva manifestato perplessità rispetto all’ipotesi di fatturare l’attività di anti-contraffazione ad una società italiana del gruppo, confermando il suo ruolo operativo. In particolare, c’erano scambi di documentazione in cui il personale aveva redatto lettere per autorizzare all’uso del brand note catene commerciali. In generale lo scambio, fisiologico tra società di uno stesso gruppo, di messaggi e documenti confermava la concreta attività svolta dai dipendenti. Scambi dai quali non emerge però l’imposizione di una precisa condotta, da parte dei soggetti apicali italiani, all’amministratore della società Lux.
È dunque provata la presenza fisica e reale della società Lux, ed esclusa la natura di schermo fittizio.
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Il segreto dell’avvocato vale più dell’antielusione
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore 9 dicembre 2022 di Alessandro Galimberti
La Corte Ue invalida l’obbligo di notifica dei legali agli intermediari
La tutela del segreto professionale dell’avvocato – in particolare nei rapporti confidenziali con il cliente – prevale anche sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale tra gli Stati dell’Ue.
La Corte di giustizia dell’Unione – sentenza emessa ieri nella causa C-694/20 – intervenendo sul ricorso sottoscritto, tra gli altri, dall’Ordine degli avvocati fiamminghi e dall’Associazione belga degli avvocati tributaristi, ha invalidato l’articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16, nella parte in cui obbliga gli avvocati, quando garantiti dal segreto professionale, a notificare agli altri consulenti e intermediari il rischio di pianificazione fiscale aggressiva da parte del cliente/azienda assistita. Con tale notifica, ritiene la Corte, il legale non solo svela a terzi il rapporto professionale fiduciario con il proprio cliente ma addirittura rischia di danneggiarlo preventivamente nei rapporti con le amministrazioni fiscali interessate.
Secondo la direttiva comunitaria che regola lo scambio automatico di informazioni fiscali, quando un avvocato coinvolto in una pianificazione fiscale transfrontaliera è tenuto al segreto professionale, deve subito informare gli altri intermediari di non poter provvedere egli stesso alla comunicazione. Le due organizzazioni professionali di avvocati hanno adito la Corte costituzionale belga sostenendo che è impossibile rispettare l’obbligo di informare gli altri intermediari senza violare il segreto professionale cui sono tenuti gli avvocati. La Corte Ue, investita in via pregiudiziale, ha ritenuto che l’obbligo di notifica in capo all’avvocato intermediario tenuto al segreto professionale non è necessario per realizzare l’obiettivo antielusivo perseguito dalla Direttiva. Questo perché, anche a voler prescindere dallo status degli avvocati – che tutelano diritti rilevantissimi della persona – tutti gli intermediari sono tenuti dalle regole Ue a trasmettere le informazioni richieste alle autorità fiscali competenti, e non è per nulla necessario che sia un avvocato – tra l’altro in una posizione delicata – a doverlo ricordare loro. I clienti, argomenta la Corte Ue, devono poter legittimamente confidare nel fatto che, senza il loro consenso, il loro avvocato non renderà noto a nessuno che esse lo consultano e che si fanno consigliare.
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Registro titolari effettivi ad accesso limitato
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore 20 dicembre 2022 di Valerio Vallefuoco
Dopo la sentenza Ue Olanda, Lussemburgo e Malta hanno reso stringenti le regole
Efficacia diretta della sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, del 22 novembre, sulla illegittimità della disposizione della direttiva antiriciclaggio nel punto in cui prevede che l’accesso al registro dei titolari effettivi sia consentito a chiunque senza alcuna limitazione. Come evidenziato all’indomani della pubblicazione della sentenza (si veda «Il Sole 24 Ore» del 23 novembre) la giurisprudenza avrebbe costretto gli Stati che avevano già reso operativo il registro a un ripensamento delle procedure di accesso e registrazione dei soggetti abilitati. Si era ipotizzato che la soluzione al vuoto normativo sarebbe stata una seria limitazione dei soggetti con accesso alle informazioni del registro dei titolari effettivi. Limitando l’accesso alle Fiu (ossia le Unità nazionali di informazioni finanziarie), alle autorità competenti ed ai soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio, così come già previsto dal Sistema europeo di interconnessione “Boris”, che prevede una rigida autenticazione dei cosiddetti “utenti qualificati” che rispettano scrupolosamente la sicurezza ed il trattamento dei dati.
La risposta di alcuni Stati non si è fatta attendere: già il Lussemburgo, coinvolto nella decisione, ha deciso di sospendere temporaneamente l’accesso al registro per trovare una soluzione tecnica che consenta l’acceso solo ai soggetti professionali obbligati alla normativa antiriciclaggio (e alle autorità pubbliche previste).
Il ministero delle Finanze olandese ha chiesto alle Camere di commercio di bloccare l’accesso indiscriminato al registro e di recente anche il registro maltese, con una decisione pragmatica, ha stabilito che poiché la sentenza della Corte Ue ha l’effetto di invalidare la parte pertinente della direttiva citata, l’accesso al registro dei titolari effettivi sarà limitato solo alle autorità competenti ed ai soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio. Tali soggetti dovranno registrarsi sul portale Registro maltese (Mbr) per poter accedere al registro dei beneficiari effettivi accettando le nuove condizioni d’uso. Anche l’Italia dovrà adeguarsi alla decisione della Corte anche se già riguardo alla sezione dedicata ai trust, recependo alcune osservazioni associazioni di categoria , era previsto un filtro iniziale alle richieste con relativo diritto alla opposizione in alcuni casi per tutelare la sicurezza dei titolari effettivi. Tuttavia i decreti attuativi dovranno recepire l’interpretazione della Corte di giustizia che per giurisprudenza consolidata ha efficacia ultra partes. Alle sentenze emanate dalla Corte Ue va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto eurounitario, pertanto anche in Italia l’accesso al registro non sarà più indiscriminato ma limitato ai soli soggetti obbligati all’ antiriciclaggio, oltre ovviamente alle autorità pubbliche e alla Uif.
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Stretta su evasione fiscale e riciclaggio
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore 21 dicembre 2022 di Alessandro Galimberti
L’Italia da cinque anni è all’avanguardia sulle regole delle blockchain
MILANO
Materia “sensibile” per le regole antiriciclaggio dal 2017 (recepimento della IV direttiva Ue) e oggetto di imposta certo e definito dal 2022, grazie alla legge di Bilancio in discussione in queste ore in Parlamento. La mini-voluntary di emersione per i detentori di token e di wallet chiude idealmente il cerchio italiano delle regole sui criptoasset, un mondo che negli ultimi anni ha prestato il fianco a due prevedibilissimi e ricorrenti fenomeni illeciti: l’evasione fiscale e il riciclaggio.
L’intervento del legislatore italiano sul secondo versante (riciclaggio) è stato quanto mai tempestivo, se è vero che l’Italia fu il primo Paese a inserire i critpoasset nel corpo normativo, imponendo già nel 2017 gli obblighi di identificazione rafforzata di compratori e venditori di strumenti innestati su blockchain. Gli esiti di quell’intervento si possono vedere nitidi anche nell’ultimo rapporto dell’Unità di informazione finanziaria sulle segnalazioni di operazioni sospette relative a criptovalute, più che decuplicate in 3 anni, passando dalle circa 500 nel 2019 a oltre cinquemila nei soli primi 11 mesi del 2022.
Secondo la Uif, i sospetti ricorrenti sulle valute virtuali riguardano l’origine dei fondi utilizzati per il loro acquisto «spesso correlati a illeciti fiscali, frodi informatiche o episodi di ransomware». C’è da aggiungere che le maglie dei controlli sul pianeta blockchain e derivati è stato completato quest’anno con la prevista creazione del registro degli operatori in criptovalute (Vasp) presso l’Oam si sta rilevando essenziale per avere una fotografia ancor più nitida delle operazioni sospette di riciclaggio. Proprio i nuovi Vasp, spiega l’Uif, hanno intercettato e segnalato flussi finanziari in criptovalute, parte di schemi per frodare il fisco «mediante cessione di finti crediti fiscali derivanti da bonus edilizi, i cui proventi, oltre che prelevati in contanti, venivano impiegati per acquisti di criptovalute e di lingotti d’oro». Tra i tanti svantaggi di un mondo per troppo tempo sfuggito alla responsabilità individuale (nel senso della imputazione giuridica delle condotte) oggi la vigilanza può contare proprio sull’atout della blockchain: la tracciabilità piena e immodificabile delle operazioni lì concluse.
Quanto al versante fiscale, storicamente molto prossimo a quello del riciclaggio, la legge di Bilancio in discussione al Parlamento traccia l’attesa “mini-voluntary disclosure” per le criptovalute detenute al 31 dicembre 2021 (quindi rientreranno nella dichiarazione fiscale del prossimo anno, cioè 2023 relativa ai redditi del 2022). I titolari delle cripto-attività che non abbiano mai indicato in dichiarazione la loro detenzione o i redditi derivati avranno la possibilità di farle emergere un modello fiscale che verrà approvato dal direttore delle Entrate. Due le casistiche: la prima riguarda il contribuente che non ha realizzato redditi (sanzione per la mancata compilazione del quadro RW pari allo 0,5 per cento, per ciascun anno, sul valore delle attività non dichiarate) mentre nella seconda ipotesi il contribuente che ha realizzato redditi potrà regolarizzare con il pagamento di un’imposta del 3,5%del valore delle attività detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo, in aggiunta alla somma dello 0,5%, per ciascun anno, del valore delle criptoattività a titolo di sanzione.