Le criptovalute favoriscono l’autoriciclaggio

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 14 luglio 2022 di Giovanni Negri

La Cassazione sottolinea l’opacità delle transazioni per il grado di anonimato

La fisionomia del sistema di acquisto di bitcoin «si presta ad agevolare condotte illecite», visto che consente di assicurare un grado elevato di anonimato. Via libera quindi alla custodia cautelare per truffa e autoriciclaggio.

Lo afferma la Corte di cassazione con la sentenza 27023 della Seconda sezione penale depositata ieri. Nel confermare la misura cautelare anche per il reimpiego dei proventi dei delitti di truffa aggravata in attività speculative come l’acquisto di criptovalute la Corte ha così respinto il ricorso della difesa con il quale si sosteneva che le operazioni non avevano finalità speculative e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non permettono di nascondere l’identità dell’acquirente perché sono improntate alla massima trasparenza.

La Cassazione tuttavia non è stata di questo parere e ha innanzitutto affermato che l’indicazione normativa fornita dall’articolo del Codice penale sull’autoriciclaggio (648 ter.1) sulle attività in cui il denaro frutto del reato presupposto può essere impiegato o trasferito non costituisce un elenco formale, ma piuttosto individua delle macroaree, tutte collegate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato a ottenere un utile, inquinando in questo modo il circuito economico. In questa prospettiva nella nozione di «attività speculative» può essere ricondotta una pluralità di attività.

Per quanto riguarda le valute virtuali, la sentenza sottolinea che queste possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore per obiettivo di risparmio e di investimento. E allora , a differenza di quanto sostenuto dalla difesa che aveva valorizzato in termini di trasparenza le registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger, è invece possibile garantire il massimo «anonimato (sistema permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito».

Inoltre, afferma la Cassazione, che è «ormai noto» il numero elevato di criptovalute utilizzate nel darkweb proprio per le caratteristiche di opacità: alcune di esse, soprattutto per l’uso di tecniche crittografiche avanzate garantiscono infatti un eccellente grado di privacy sia con riferimento alla persona dell’utente sia in rapporto all’oggetto delle compravendite.

Del resto, la disciplina antiriciclaggio ha provato a fare fronte alla nuova situazione anticipando la V direttiva in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione, affiancando queste misure a quelle penali previste dal Codice su riciclaggio e autoriciclaggio.

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Imposte sui dividendi: i fondi esteri restano discriminati

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 28 luglio 2022 di Maurizio Leo

RISPARMIO E FISCO

Con alcune sentenze appena pubblicate (21454, 21475, 21480, 21481, 21482 e 21598) la Cassazione ha affermato importanti principi in materia di tassazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) esteri, idonei a estendersi ben oltre le vicende ivi trattate (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).

I giudizi traevano origine da istanze di rimborso presentate da alcuni fondi extra-Ue (nella specie Usa) e comunitari (per esempio un fondo tedesco), i quali lamentavano un trattamento impositivo deteriore sui dividendi loro distribuiti da società residenti in Italia, rispetto a quello destinato ai fondi italiani in periodi d’imposta ante 2010.

La Suprema corte ha accolto le loro doglianze e riconosciuto il diritto al rimborso, ritenendo il trattamento discriminatorio a essi riservato una palese violazione del principio di libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 Tfue. E ciò, anche con riguardo al caso di fondi extra-Ue, tenuto conto della costante giurisprudenza comunitaria (su tutte, si veda la decisione emerging markets) e del condivisibile principio secondo cui un regime fiscale meno favorevole è idoneo a dissuadere i fondi esteri dall’assumere partecipazioni in società comunitarie e viceversa.

Il tema della discriminazione dei fondi esteri rispetto a quelli nazionali è noto e non costituisce di certo una specificità del nostro ordinamento, come dimostrano le molteplici sentenze comunitarie in materia. Ciò è stato pure oggetto di un’indagine della Commissione Ue, nell’ambito dell’Eu Pilot 8105/15 che ha anche condotto il nostro legislatore ad allineare, dal 1° gennaio 2021, il trattamento fiscale dei dividendi distribuiti a Oicr istituiti nell’Ue a quello previsto per i fondi residenti in Italia, in termini di esenzione. A tale intervento, contenuto nella legge di Bilancio 2021, è dato ampio spazio nell’iter argomentativo che ha condotto la Cassazione a sancire la discriminazione tra fondi esteri e nazionali.

Eppure, proprio le pronunce in rassegna denotano le criticità di quest’ultima disciplina, la quale ha affrontato e risolto il tema della discriminazione in modo solo parziale, sia dal punto di vista temporale, che territoriale. Infatti, la legge di Bilancio 2021 riferisce l’esenzione ai soli dividendi distribuiti da quest’ultimo anno (così anche la risposta ad interpello 327/2021) a Oicr comunitari, con ciò ponendosi in contrasto – in relazione a entrambe le suddette limitazioni – con la commentata giurisprudenza di legittimità, a sua volta interpretativa del diritto Ue.

Sul piano territoriale, infatti, le sentenze in parola qualificano, alla stregua di violazione dell’articolo 63 Tfue, ogni discriminazione dei fondi esteri (rispetto a quelli nazionali), sia quelli istituiti nel territorio Ue, che fuori da esso.

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Reato di sfruttamento del lavoro se il contratto part-time è fittizio

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 5 luglio 2022 di Enzo De Fusco

Condannata l’impresa i cui dipendenti seguivano orari da tempo pieno

Sussiste l’ipotesi di reato di sfruttamento del lavoro di cui all’articolo 603 bis del Codice penale nel caso di impiego a tempo pieno di lavoratori assunti formalmente a part time e retribuiti come tali. Il principio innovativo è stato stabilito dalla IV Sezione penale della Cassazione con la sentenza 24388/22 del 24 giugno. La Corte chiarisce anche quale sia il momento di perfezionamento del reato, ribadendo cosa debba intendersi per «stato di bisogno» del lavoratore.

La vicenda vede coinvolta una azienda i cui dipendenti, nonostante la formale modifica del contratto da full a part time, avevano continuato a lavorare per un numero di ore corrispondenti al contratto a tempo pieno, percependo la retribuzione prevista dal Ccnl per i part time. Era stato altresì accertato che i lavoratori non usufruivano delle ferie, della riduzione dell’orario lavoro, dei giorni di assenza e permesso previsti dalla contrattazione collettiva, lavorando tutti i giorni e per 48 ore settimanali in alta stagione.

In tale contesto, la Cassazione, a cui era stato fatto ricorso contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, ha ritenuto sussistente il requisito del fumus commissi delicti, avendo il Tribunale fatto corretto riferimento alle modalità di impiego. Viene così confermato il sequestro di somme corrispondenti alle retribuzioni non corrisposte ai lavoratori, facendoli falsamente figurare a part time, e che i giudici considerano un ingiusto profitto acquisito illegittimamente dagli indagati.

La difesa dei due imprenditori indagati eccepiva la non sussistenza del reato per essere i rapporti di lavoro sorti prima del 4 novembre 2016, data di entrata in vigore della legge 199/2016 che ha modificato l’articolo 603-bis del Codice penale e distinto l’ipotesi di intermediazione illecita, il cosiddetto caporalato, da quella di sfruttamento del lavoro, condotta invece propria del datore di lavoro.

Sul punto, la Corte ha chiarito che il Tribunale correttamente aveva fatto riferimento, quale momento iniziale di commissione del reato, al 4 novembre 2016, visto che esso si perfeziona attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione o l’impiego di manodopera. Per la Cassazione si tratta dunque di un reato istantaneo con effetti permanenti, il cui perfezionamento si realizza anche attraverso l’impiego o l’utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno, restando irrilevante il momento in cui si sia instaurato il rapporto di lavoro.

Del pari irrilevante, ai fini della conferma del sequestro, è stata ritenuta la circostanza che un soggetto terzo, non indagato, si fosse occupato del reclutamento dei dipendenti e di concordare con loro le condizioni di lavoro e retribuzione, visto che ciò non incide sulla configurabilità del reato a carico dei datori di lavoro.

Da ultimo la Corte, quanto al requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, condivide il giudizio del Tribunale di Catanzaro, secondo cui i lavoratori erano stati di fatto costretti ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo possibili reali alternative di lavoro. Precisa infatti la Cassazione che, ai fini del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.

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Operazioni con l’estero, dati dettagliati in fattura

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 5 luglio 2022 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Diventa obbligatorio inserire natura, qualità e quantità di beni e servizi

Possibile la conservazione analogica dei documenti verso e da non residenti

Per il nuovo esterometro l’incontro con l’agenzia delle Entrate organizzato ieri da Confindustria conferma l’imminente arrivo di una circolare e l’aggiornamento della guida alla fattura elettronica. Inoltre, nelle relazioni e nelle numerose risposte fornite alle domande proposte dalle imprese collegate, i funzionari dell’Agenzia anticipano il contenuto dei documenti di prassi sia per quanto riguarda le modalità che per la tempistica in cui è necessario effettuare il nuovo adempimento. Infine, l’Agenzia annuncia l’arrivo a breve di nuovi servizi web per la gestione dei registri precompilati con maggiori funzionalità.

Per le operazioni effettuate dal 1° luglio 2022 nei confronti e da soggetti non residenti gli operatori nazionali devono trasmettere allo Sdi (Sistema di interscambio) con il formato Xml della fattura elettronica i dati delle singole operazioni. Il cambiamento comporta, in primo luogo, rispetto alla vecchia comunicazione trimestrale, l’inserimento di maggiori dettagli relativi alle singole operazioni. In particolare, per la prima volta viene richiesto di inviare la descrizione dell’operazione con puntuale indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi.

Per le operazioni attive il contribuente, come suggerisce l’Agenzia, dovrà produrre il file Xml con il normale processo di fatturazione inserendo tutti gli elementi propri della fattura elettronica. L’unica differenza rispetto alle fatture nazionali è costituita dal fatto che il codice del destinatario da utilizzare, a meno che il cliente non si sia registrato allo Sdi, è quello convenzionale a sette ics.

Per le fatture passive la creazione dell’Xml quale integrazione della fattura ovvero, in riferimento alle fatture relative ai servizi extra Ue, quale autofattura dovrà essere realizzato in base al documento estero ricevuto. Da questo punto di vista la compilazione dei campi relativi a natura, qualità e quantità dei beni e servizi ricevuti, potrà essere semplificata in ragione del fatto che il documento ricevuto verrà conservato dal cessionario/committente insieme alla documentazione di base delle singole operazioni.

Proprio in ragione della conservazione dei documenti emessi e dei documenti ricevuti, è importante il chiarimento proposto per il quale questi documenti vanno conservati non obbligatoriamente in elettronico. L’unica eccezione potrebbe essere costituita dal caso in cui o il cliente o il fornitore estero si sia registrato allo Sdi perché in questo caso la fattura emessa dall’operatore nazionale ovvero la fattura emessa dall’operatore estero transiterebbe tramite Sdi come fattura elettronica e, in quanto tale sarebbe direttamente registrata dai sistemi dell’Agenzia e rimessa a disposizione del cliente nell’area dedicata del portale fatture e corrispettivi. In questo caso la conservazione dovrebbe essere fatta obbligatoriamente in elettronico.

Un altro aspetto ribadito dall’agenzia delle Entrate riguarda le operazioni incluse ed escluse dal nuovo adempimento. Sotto questo profilo è stato evidenziato che sono escluse dall’esterometro le operazioni documentate da dichiarazione doganale (import ed export) ovvero da fatture elettroniche e dalle fatture emesse nei confronti dei viaggiatori in base all’articolo 38-quater del Dpr 633/72 tramite il sistema doganale Otello.

Sono ulteriormente esclusi, in base alla nuova versione dell’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015 (Dl 73/2022) anche gli acquisti di beni e servizi non rilevanti ai fini Iva per carenza del requisito territoriale e di importo non superiore a 5mila euro.

Sulle operazioni doganali un suggerimento fornito a chi volesse trasmetterle anche se escluse, è di evitare di farlo perché l’invio potrebbe produrre una duplicazione del dato nelle basi dati del fisco creando un evidente problema nella compilazione dei registri precompilati.

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Esterometro, è sufficiente l’uso della bolletta doganale

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 15 luglio 2022 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Novità dall’aggiornamento della Guida alla compilazione e dalla risposta a interpello 379

Anche la fattura elettronica esclude l’obbligo ulteriore della trasmissione dei dati

Indicazioni operative e ulteriori chiarimenti in materia di esterometro con la versione aggiornata della Guida alla compilazione e della risposta a interpello 379/E, entrambe pubblicate ieri 14 luglio dall’agenzia delle Entrate, facendo seguito alle risposte fornite agli operatori con la circolare 26/E.

Più in dettaglio, con la risposta 379/E è stato precisato come anche le amministrazioni pubbliche, analogamente agli enti del terzo settore, non sono tenute all’obbligo di comunicazione dei dati delle operazioni passive estere che rientrano nella loro sfera istituzionale e, quindi, quando gli acquisti vengono effettuati non agendo come soggetti passivi di imposta.

Inoltre, con la versione 1.7 della Guida sono state rese ulteriori precisazioni per rendere più chiare alcune indicazioni sulle modalità di compilazione e gestione anche delle comunicazioni “esterometro”, dettagliando le informazioni che devono popolare specifici campi del tracciato.

Un approfondimento ulteriore meritano inoltre le posizioni rese dalle Entrate con la circolare 26/E relativamente alle esportazioni e alle importazioni documentate con bolletta doganale e alle operazioni con San Marino.

Bolletta doganale

Con la risposta n. 2.3. il documento di prassi chiarisce come, alla luce di quanto indicato nel provvedimento direttoriale 293384 del 28 ottobre 2021, non esiste alcun divieto, né vi è un obbligo, di trasmettere i dati delle operazioni per le quali risulta emessa una bolletta doganale. Per espressa previsione di legge circa l’adempimento dell’esterometro dettata dall’articolo 1, comma 3-bis del decreto 127 del 2015, la presenza infatti di una bolletta doganale o di una fattura elettronica via Sdi escludono l’obbligo ulteriore di assolvere alla trasmissione dei relativi dati. La finalità è infatti quella di evitare duplicazioni delle informazioni trasmesse e poi messe a disposizione dei contribuenti. Proprio per questa ragione, le Entrate evidenziano come può sussistere un potenziale rischio di duplicazione delle operazioni nei sistemi informatici a carico di coloro che inviano nuovamente i dati, nonostante la non obbligatorietà della trasmissione degli stessi. Quindi, sebbene la trasmissione dell’esterometro già in presenza di fattura elettronica o bolletta doganale non determina alcuna violazione sanzionabile, il contribuente si pone nelle condizioni di dovere rispondere ad eventuali lettere di compliance alla luce dei disallineamenti che risulterebbero, in ragione della duplicazione dei dati, nei sistemi informatici delle Entrate stesse.

San Marino

Considerando l’avvio dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica da e verso San Marino dal 1° luglio 2022, tutti i flussi tracciati via Sdi dovrebbero escludere di per sé la necessità di comunicare nuovamente i relativi dati con l’adempimento dell’esterometro. Sul punto, tuttavia, con la risposta 2.4., oltre a ricordare come integrazione e autofattura, da un lato, ed esterometro dall’altro, costituiscano adempimenti tra loro autonomi, anche se con la trasmissione dei flussi TD17, TD18 e TD19 sia possibile soddisfarli entrambi, le Entrate si soffermano sulle operazioni passive con San Marino documentate con fattura elettronica attraverso Sdi ma sena addebito di imposta da parte dell’operatore sanmarinese. In questo caso, la norma contenuta nell’articolo 8, comma 1 del decreto ministeriale 21 giugno 2021 impone comunque al soggetto italiano di assolvere l’imposta con il meccanismo del reverse charge trasmettendo a SdI un file con tipo documento TD19, compilando l’aliquota e l’imposta da registrare in contabilità.

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È lecito trasferire la sede del noleggio per ridurre la tassa auto regionale

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 18 luglio 2022 di Maurizio Caprino e Dario Deotto

Non c’è elusione in caso di trasloco da Roma a Bolzano: il risparmio è legittimo

Rileva tra l’altro il progetto di aprire più sedi in Italia, anche per la clientela tedesca

Non costituisce ipotesi di abuso del diritto il trasferimento della sede legale da Roma a Bolzano di una società di noleggio veicoli, trasferimento che ha consentito il pagamento di una minore tassa automobilistica regionale (Tar). È questo l’aspetto di maggiore rilievo che si coglie da una davvero articolata e approfondita sentenza della Ctp di Roma, sezione 21, n. 6016/2022, depositata il 19 maggio scorso (presidente e relatore Papa).

La regione Lazio aveva contestato a una società di noleggio l’assenza di valide ragioni economiche (sembra davvero non sia cambiato nulla rispetto al passato, come più volte riportato sulle pagine de Il Sole 24 Ore) che l’avevano portata a trasferire la sede legale da Roma a Bolzano con un notevole risparmio della Tar che, secondo la regione, risultava indebito.

Un caso non certo isolato, dopo i due inasprimenti susseguitisi nel 2011 sull’Ipt (Imposta provinciale di trascrizione), che avevano indotto buona parte dei noleggiatori a trasferire la sede da Roma a Bolzano o a Trento perché le province autonome possono continuare ad applicare il tributo secondo le vecchie regole. Così Roma Capitale e la Regione Lazio (danneggiata perché il trasferimento aveva comportato la perdita del gettito del bollo auto pagato per le flotte aziendali, fino al 2020 dovuto in base alla sede del noleggiatore) avevano inviato accertamenti a cinque operatori.

La Ctp di Roma boccia proprio una di queste iniziative. Osservando che nel caso di specie la società non aveva costituito a Bolzano una sede di puro artificio: il trasferimento risultava parte di un ampio progetto aziendale che aveva portato a creare delle sedi anche in altre zone d’Italia, come a Palermo, rientrante anch’essa in una regione a statuto speciale. Lo spostamento della sede legale a Bolzano, peraltro, risultava funzionale al fatto che il maggior cliente della società fosse una società tedesca, la quale dirottava sulla società ricorrente, al fine di stipulare i contratti di noleggio auto, i propri clienti che si recavano in Italia.

Legittimo risparmio d’imposta

La Ctp rileva, inoltre, che il trasferimento della sede della società rientra nel principio del legittimo risparmio d’imposta in quanto l’ente che ha deciso di immatricolare le autovetture presso il Pra di Bolzano – dove è stata trasferita la sede legale – «sta scegliendo legittimamente nel rispetto dell’impianto della normativa». Ulteriormente la Ctp di Roma ricorda che «le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi perché non sono vincolanti neppure per la stessa autorità che l’ha emanata».

Il confine tra abuso ed evasione

Tornando specificatamente all’abuso del diritto, si è sempre sostenuto su queste pagine che non si può realizzare un’ipotesi elusiva laddove il contribuente, per conseguire un determinato risultato, scelga l’opzione più conveniente offerta dall’ordinamento. E questo a prescindere da valide ragioni economiche o meno (in termini aggiornati, dalla sostanza economica o meno).

Senza contare che non si può realizzare abuso del diritto quando si è in presenza di fenomeni di simulazione, di dissimulazione, di interposizione fittizia e, più in generale, di fenomeni finzionistici. Se, ad esempio, per la regione Lazio la sede della società a Bolzano risultava fittizia, ciò non può risultare un fenomeno di abuso del diritto, ma, semmai, di evasione.

Nell’elusione/abuso del diritto non vi è mai un’asimmetria tra la situazione formale e quella reale: le operazioni poste in essere sono assolutamente valide ed efficaci. È soltanto il vantaggio ottenuto che risulta indebito.

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Risponde di sanzioni e imposte il beneficiario della società schermo

5 Agosto 2022

Il Sole 24 Ore 27 luglio 2022 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

L’ufficio deve dimostrare che l’interponente ha il possesso del reddito

L’amministratore di fatto che beneficia dei redditi della società schermo risponde non solo delle sanzioni ma anche delle imposte dovute dall’ente. Il principio vale anche ai fini Iva perché si crea un rapporto di mandato senza rappresentanza tra l’interposto e l’interponente. A precisarlo è la Cassazione con la sentenza 23231. La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società ritenuta cartiera e a cinque amministratori di fatto. In particolare le persone fisiche avevano agito per conto della società per realizzare una frode unionale.

La Suprema corte ha rilevato che per l’articolo 7 del Dl 269/2003 la società risponde della sanzione ed è escluso che sia irrogabile la penalità alla persona fisica materialmente autrice della violazione. La disposizione è applicabile solo a condizione che l’ente sia l’effettivo beneficiario degli illeciti, poiché qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società abbiano agito nel proprio unico interesse, utilizzando l’ente come schermo, le persone fisiche risultano sanzionabili.

Se l’amministratore di fatto ha utilizzato lo schermo sociale nel suo esclusivo interesse sorge la presunzione che ha avuto beneficio anche dei relativi proventi. In materia di imposte dirette, infatti, applicando l’articolo 36 del Dpr 602/73, può ritenersi che l’amministratore di fatto di una “cartiera” abbia incamerato i proventi dell’evasione e conseguentemente egli debba fornire la prova contraria.

Dinanzi a una società schermo, esiste un soggetto che fa proprie le attività, i redditi e i proventi. Secondo l’articolo 37, comma 3 del Dpr 600/73, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli è l’effettivo possessore per interposta persona.

Secondo la Cassazione il principio è applicabile anche al reddito di impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali. Ai fini probatori non occorre individuare la natura fittizia o ingannevole della titolarità, bensì l’effettività del possesso del reddito. L’Ufficio dovrà dimostrare che l’amministratore di fatto dispone delle risorse dell’ente.

La traslazione del reddito d’impresa dall’interposto all’interponente è così idonea ad assicurare il recupero delle imposte in capo ai terzi persone fisiche. Tale principio vale anche ai fini Iva: tra interponente e interposto si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore e la mandante è la società. Ne consegue che ove le prestazioni di servizi cui il mandatario abbia partecipato per conto della società siano soggette a Iva, pure il rapporto del mandato è soggetto all’imposta.

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Monitorati i trasferimenti esteri da 5mila euro

7 Luglio 2022

Il Sole 24 Ore 18 giugno 2022 di Marco Piazza

Ora la soglia è 15mila euro per operazione unica o per operazioni frazionate
Cambia la soglia quantitativa a partire dalla quale scatta il monitoraggio dei trasferimenti da e verso lestero posto a carico degli intermediari finanziari e di alcuni operatori non finanziari.

Il nuovo decreto legge Semplificazioni modifica l’articolo 1 del Dl 167/1990.

Secondo la norma vigente gli intermediari devono comunicare all’agenzia delle Entrate i trasferimenti da e verso intermediari non residenti effettuati, anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15mila euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di operazioni frazionate eseguite per conto di persone fisiche, società semplici o associazioni equiparate o enti non commerciali residenti o non residenti in Italia.

Il richiamo alle operazioni frazionate viene inteso nel senso indicato dell’articolo 1, comma 1, lettera v) del Dlgs 231/2007 (“antiriciclaggio”), richiamato dall’articolo 36, comma 2, lettera b) dello stesso decreto a sua volta richiamato dal provvedimento attuativo del 16 luglio 2015. Pertanto, normalmente si sommano i trasferimenti fatti in sette giorni a meno che non ci siano altri motivi per ritenere più operazioni siano collegate per realizzare un’operazione frazionata.

La bozza di decreto legge riscrive il comma 1, ma l’unico cambiamento consiste nel fatto che il monitoraggio deve riguardare tutti i trasferimenti di importo superiore a 5mila euro.

Non è detto che l’effetto del cambio di criterio sia idoneo a ridurre il numero delle comunicazioni.

Con la norma vigente, se in una settimana vengono effettuati trasferimenti di importo inferiore a 15mila euro non scatta la segnalazione. Con il nuovo sistema, i trasferimenti complessivamente fatti in una settimana potrebbero essere maggiori o minori di 15mila euro e, a seconda del taglio di ciascuno di essi, potrebbero essere o non essere comunicati. È quindi dubbio che la modifica normativa costituisca una semplificazione, anche se il titolo dell’articolo la qualifica come tale.

Di sicuro non è una semplificazione che la novità decorra dai trasferimenti fatti lo scorso anno e quindi debba essere applicata già a partire dalla trasmissione di dati che avverrà entro il 31 ottobre 2022, in concomitanza con la presentazione del modello 770.

Se non interverrà una auspicabile modifica della decorrenza in sede di conversione gli intermediari non avranno molto tempo a disposizione per modificare le procedure.

Ricordiamo che l’obbligo di comunicazione riguarda solo i trasferimenti di cui all’allegato 1 del provvedimento 16 luglio 2015, ossia, in prevalenza i bonifici da e verso intermediari non residenti.

L’adempimento è posto a carico, oltre che degli intermediari finanziari delle fiduciarie e dei cambia valute, anche dei prestatori di servizi di valuta virtuale (exchange).

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Tutte le informazioni antiriciclaggio hanno valore anche ai fini fiscali

7 Luglio 2022

Il Sole 24 Ore 22 giugno 2022 di Antonio Iorio

L’UTILIZZABILITÀ DEI DATI

Il Dlgs 231/2007 ha ampliato il perimetro che la precedente normativa restringeva agli elementi registrati dai soggetti obbligati

La stretta connessione esistente tra i fenomeni di evasione fiscale e il riciclaggio di denaro di provenienza illecita ha indotto negli anni il legislatore a prevedere sempre più un travaso automatico degli elementi probatori acquisiti in un settore rispetto all’altro

Ciò sia perché sovente le investigazioni svolte nei due settori (riciclaggio ed evasione fiscale) sono eseguite dal medesimo organo di polizia (Guardia di finanza) sia per una sorta di necessaria economia procedimentale che renderebbe abbastanza singolare l’impossibilità di utilizzare in un comparto, gli elementi acquisiti nell’altro procedimento

In tale contesto, occorre segnalare che la circolare 1/2018 della Gdf evidenzia, nel processo di selezione dei soggetti da sottoporre ad ispezione fiscale e nell’ottica di valorizzare gli elementi informativi ottenuti nelle attività di servizio, una particolare attenzione a quelli derivanti:

dal patrimonio informativo acquisito tramite le segnalazioni di operazioni sospette degli intermediari finanziari, dei professionisti e degli operatori non finanziari;

dalle comunicazioni delle infrazioni che i soggetti obbligati devono inviare anche alla Gdf quando hanno notizia di violazioni alle disposizioni sulla limitazione dell’uso del denaro contante e dei titoli al portatore;

dall’esecuzione delle ispezioni/controlli antiriciclaggio ed antiterrorismo

dall’esecuzione dei controlli in materia di circolazione transfrontaliera di valuta;

dalle segnalazioni di dati, elementi e notizie suscettibili di sviluppi fiscali, che devono essere obbligatoriamente inoltrate al competente reparto Gdf, da parte di tutti gli altri organi ed enti incaricati, in genere, di funzioni ispettive e di vigilanza

In tale contesto, sotto il profilo normativo, l’ultimo comma dell’articolo 9 del Dlgs 231/2007 prevede che i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte in base allo stesso articolo sono utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni e le attribuzioni vigenti.

Questa disposizione, rispetto alla precedente (articolo 36 comma 6, Dlgs 231/2007), è caratterizzata da un maggiore perimetro applicativo, In passato infatti la disposizione in questione limitava l’utilizzabilità in campo tributario alle sole informazioni registrate dai soggetti obbligati, contenute, cioè, nell’archivio unico informatico, nel registro della clientela o nei sistemi informatici tenuti ai fini antiriciclaggio.

Con la riforma di qualche anno fa, invece, viene ampliato sensibilmente l’ambito oggettivo degli elementi che si prestano ad un’utilizzazione fiscale diretta, in quanto sono incluse tutte le informazioni acquisite nel contesto delle attività svolte ai fini antiriciclaggio.

Secondo la circolare n. 1/2018 della Gdf la previsione della diretta utilizzabilità ai fini fiscali delle informazioni acquisite nell’ambito delle attività in questione è suscettibile di assicurare una piena e immediata interazione tra il procedimento antiriciclaggio e quello amministrativo tributario, al pari di quanto avviene tra il procedimento penale e l’accertamento fiscale.

Si tratta in concreto della possibilità di utilizzare ai fini fiscali tutti i dati acquisibili dalla Gdf nello sviluppo di segnalazioni di operazioni sospette, nei controlli antiriciclaggio, nell’esame dei fascicoli dei clienti.

Sotto il profilo più operativo, il trasferimento ai fini fiscali dei dati e delle notizie acquisiti a seguito di ispezioni antiriciclaggio avviene di norma a conclusione di tutte le attività volte alla verifica del corretto assolvimento, da parte dei soggetti obbligati, degli adempimenti anti riciclaggio

Inoltre le informazioni in questione non devono essere confluite in un procedimento penale, poiché, in questo caso, il loro utilizzo ai fini fiscali è soggetto alla diversa disciplina prevista dagli articoli 63 del Dpr 633/1972 e 33 del Dpr 600/1973 (autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente).

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Amministratore di fatto anche chi dà direttive via Skype senza mai presentarsi in azienda

7 Luglio 2022

Il Sole 24 Ore 27 giugno 2022 di Giovanbattista Tona

I criteri della Cassazione su come individuare i soggetti titolari reali della carica

Non è necessaria la prova del suggerimento diretto delle scelte gestionali

Il marito dell’amministratrice di diritto di una società, che in collegamento Skype, pur senza mai recarsi in azienda, suggerisce alla moglie quali determinazioni assumere nella gestione della società deve essere considerato un amministratore di fatto. Non è inoltre necessaria la prova del diretto suggerimento delle scelte gestionali: bastano indizi univoci dello svolgimento delle attività proprie dell’amministratore.

Sono alcuni dei chiarimenti forniti dalla Cassazione in due recenti sentenze (la n. 18442 del 10 maggio e la n. 20553 del 26 maggio), che si inseriscono in una lunga scia di decisioni sull’individuazione delle responsabilità nei reati societari, tributari e fallimentari di chi assume la qualità di amministratore o ne esercita di fatto i poteri.

Le regole

È già l’articolo 2639 comma 1 del Codice civile che al soggetto formalmente investito della qualifica equipara «sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualità o alla funzione». Tale norma, che riguarda in particolare i reati societari, cristallizza il principio penalistico della rilevanza delle funzioni effettivamente esercitate, al quale si dà frequente applicazione nei procedimenti per reati fallimentari, considerando secondario il dato delle formali attribuzione di poteri per nomina dell’assemblea o per disposizione statutaria (Cassazione 7437/2020).

La giurisprudenza

La giurisprudenza attribuisce la qualifica di amministratore di fatto in presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico di un soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale.

Non è necessaria la prova del diretto suggerimento delle scelte gestionali al formale titolare della carica sociale. Possono essere sufficienti univoci indizi dello svolgimento diretto o indiretto delle attività proprie dell’amministratore.

La Cassazione (sentenza 20553/2022) ha considerato amministratore di fatto un soggetto, che, dopo essere stato per diversi anni amministratore di diritto, era stato formalmente sostituito dal padre ultra ottantenne invalido, ma continuava a detenere in casa sua la documentazione contabile e aveva curato la presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Conta la concreta attività svolta: l’amministratore che prende le decisioni sulla base di direttive impartite anche da remoto, va considerato quindi una “testa di legno”, mentre chi gli suggerisce le scelte aziendali va qualificato amministratore di fatto (sentenza 18442(20229). E non può bastare nemmeno l’essere destinatario di una procura generale ad negotia con i più ampi poteri, conferita dall’amministratore formale, se poi tali poteri non vengono esercitati (Cassazione 4865/2021).

Tale indagine può consentire di qualificare anche il mero socio come amministratore di fatto: nella vicenda esaminata dalla sentenza n. 19874 del 20 maggio, il titolare di una quota sociale si era adoperato perché i propri familiari acquistassero le restanti quote, aveva influenzato l’amministratore di diritto nel determinare la messa in liquidazione dell’azienda e aveva esercitato il potere di firma sui conti correnti della società, mantenendolo persino dopo la nomina dei liquidatori.

D’altro canto l’assunzione meramente formale del ruolo di amministratore non esonera dalla responsabilità penale per i reati di fatto commessi da chi effettivamente gestisce la società. Lo ricorda la coeva sentenza n. 19875 a carico di una persona che, pur non animata da scopo di lucro, aveva fatto da prestanome alla sorella e al cognato, protestati e, quindi, interdetti dalle cariche societarie. L’avere agito per consentire loro di eludere il divieto legale, unito al sostanziale e prolungato disinteresse per la società, è stato ritenuto un contributo concorsuale alla realizzazione dei reati commessi dagli amministratori di fatto.

In base al principio già posto dalla Cassazione con la sentenza 32413/2020, ad integrare il dolo del concorrente nel reato, è sufficiente la generica consapevolezza dell’amministratore formale, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività compiute dalla società per il tramite degli amministratori di fatto.

Doing business in San Marino

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