Categoria: Dall’Italia
A San Marino il polo degli integratori, fabbriche costruite in nove mesi
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore 28 dicembre 2022 di Giovanna Mancini
Distretto di oltre 30 imprese con un fatturato aggregato di 170 milioni di euro
Una burocrazia lampo e competenze attirano gli investimenti nel settore
Pioniera. La prima azienda del distretto, Erba Vita, fu fondata a San Marino nel 1982 da Carlo Bollini. Oggi ha 100 dipendenti e fa parte del gruppo Valpharma
«Ho lavorato 15 anni per un’azienda di integratori alimentari, qui a San Marino, e prima avevo avuto una lunga esperienza nel settore alimentare. Nel 2017 ho deciso perciò di creare un’impresa mia e in appena nove mesi lo stabilimento produttivo era pronto». Basterebbero queste tempistiche e la semplicità nell’avviare una nuova attività imprenditoriale a spiegare perché Giuseppe Perla, ceo e fondatore di Phytoprime, ha deciso di fondare a San Marino la propria azienda.
Una delle tante che, in questo piccolo Stato incastonato nel territorio italiano, compongono quello che negli ultimi 40 anni è diventato un vero e proprio distretto della nutraceutica. Circa 30 aziende attive nell’industria degli integratori alimentari e nutraceutici in senso stretto e altrettante che operano nel settore più ampio della farmaceutica, della cosmesi e dei dispositivi medici. Le prime, da sole, generano un fatturato aggregato di 171,2 milioni di euro, di cui 95 milioni circa realizzati dalle cinque realtà principali, che danno lavoro a oltre 400 dipendenti. Alcune sono realtà autoctone, come la storica Erba Vita (dal 2017 di proprietà del gruppo Valpharma), fondata nel 1982 da Carlo Bollini, la prima azienda del settore a San Marino, da cui poi prese avvio il distretto. In molti casi si tratta invece di spin-off di gruppi italiani o esteri (anche extra-europei), sempre più interessati a investire in un cluster ormai radicato, che trova i suoi punti di forza in un contesto giuridico e burocratico snello e rapido e in un bacino di competenze specializzate ormai ben sviluppato, spiega Denis Cecchetti, direttore generale dell’Agenzia per lo Sviluppo economico-Camera di Commercio di San Marino, l’istituzione locale che supporta e favorisce le attività imprenditoriali sul territorio.
«È un cluster molto dinamico, che negli ultimi anni ha registrato una forte accelerazione, tanto da attirare l’interesse dei grandi investitori internazionali», dice Cecchetti. Ne è un esempio l’acquisizione, da parte del fondo NB Aurora, del 38,4% di PromoPharma a fine novembre scorso. «Siamo convinti dell’importanza di queste operazioni per lo sviluppo del cluster – aggiunge Cecchetti –. Perciò nei prossimi mesi organizzeremo una serie di incontri tra potenziali investitori e aziende, in particolare tra alcuni fondi con le cinque imprese più grandi, e tra Venture Capital e Business Angels con le realtà più piccole».
Ad attrarre in questo lembo di terra imprenditori e investitori è, secondo Cecchetti, «il particolare ecosistema industriale e commerciale che si è creato in questi 40 anni». Non si tratta solo di una maggiore efficienza fiscale, ma soprattutto, come accennato, delle condizioni favorevoli all’imprenditorialità. «Avrei avuto la possibilità di aprire anche in Italia, con una struttura produttiva più grande, ma conoscendo le normative italiane e quelle di San Marino non ho avuto dubbi», racconta Perla. La sua azienda, che oggi conta una ventina di dipendenti e produce in conto terzi, chiuderà il 2022 con 4,3 milioni di euro di fatturato «e buoni margini, grazie anche a una fiscalità più leggere, che ci consente di investire in macchinari e innovazione», aggiunge Perla.
Altro fattore importante è la disponibilità di manodopera preparata e specializzata, osserva Alessia Valducci, ceo del gruppo farmaceutico Valpharma, di cui fa parte Erba Vita (100 dipendenti e 19 milioni di euro di fatturato). «Siamo riusciti a creare a San Marino una cultura del nutraceutico e sempre più giovani vogliono intraprendere questo percorso, che richiede molta ricerca e specializzazione – racconta Valducci, famiglia italiana, ma radicata a San Marino –. Una volta dovevamo andare fuori a cercare i laureati in chimica o farmacia, adesso troviamo qui ingegneri e biomedici preparati».
Anne-Claire De Faveri, ceo e co-fondatrice di Algem Natura, è una di questi: sanmarinese di origine e biotecnologa di formazione, nel 2016 ha dato vita assieme a un socio a questa piccola realtà (1,5 milioni di euro di fatturato e una decina di dipendenti), che è una delle ultime nate nel distretto e cresce rapidamente. «Abbiamo investito molto in innovazione, tanto che per le produzioni più avanzate ci appoggiamo a produttori esterni, ma manteniamo all’interno ricerca e sviluppo dei prodotti – spiega De Faveri –. San Marino il luogo ideale per il nostro settore, grazie soprattutto al rapporto diretto e immediato con gli enti certificatori, che garantisce rapidità nelle autorizzazioni e supporto alle attività, anche per l’export, con risposte in tempi record rispetto all’Italia».
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Il mancato incasso genera perdite su crediti
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore 6 gennaio 2023 di Franco Roscini Vitali
Per le Entrate non si tratta di sopravvenienze passive deducibili
Il mancato incasso di somme contabilizzate tra le fatture da emettere a fronte di ricavi tassati non genera sopravvenienze passive deducibili ma costituisce perdite su crediti. Così la risposta 3/2023 delle Entrate sul trattamento fiscale della correzione di un errore contabile afferente alla sovrastima del credito per fatture da emettere.
Una società a capitale interamente pubblico che, in base a una convenzione gestisce la concessione del Servizio idrico integrato, avrebbe sovrastimato le fatture da emettere per i consumi fino al 2019: nei bilanci 2020 e 2021 è stato annullato parte del credito per fatture da emettere applicando le regole previste nel principio contabile Oic 29 con riduzione della riserva di utili (esercizio 2020), trattandosi di un errore considerato rilevante e (esercizio 2021) con utilizzo del Fondo svalutazione crediti.
La società, considerando che la correzione deriva da un errore contabile, chiede quale strumento attivare per il recupero dell’Ires e dell’Irap corrisposta sul maggior reddito esposto nei periodi d’imposta precedenti e se sia possibile ottenere il riconoscimento del costo fiscale quale sopravvenienza passiva ai sensi dell’articolo 101, comma 4, del Tuir nei periodi d’imposta e in cui è stata contabilizzata o se debba presentare dichiarazione integrativa a favore. Per la società la sopravvenienza sarebbe di competenza del bilancio 2021 in quanto solo in tale esercizio è stato determinato l’esatto importo del costo, come prevede l’articolo 109 del Tuir.
Si deve premettere che la vicenda è piuttosto complessa e per essere in grado di dare un giudizio obiettivo si dovrebbe analizzare la documentazione, compreso un parere legale, che la società ha allegato al quesito posto all’Agenzia, in assenza della quale quesito e risposta non sono di immediata comprensione.
L’Agenzia richiama i paragrafi 47 e 48 del principio contabile Oic 29 che riguardano l’individuazione e correzione degli errori.
Inoltre richiama l’articolo 101, comma 4, citato anche dalla società interpellante, che riguarda le sopravvenienze passive per mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, il sostenimento di spese, perdite o oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi e la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi diverse da quelle articolo 87.
Tuttavia, nel caso in questione, la fattispecie non sarebbe qualificabile sul piano fiscale quale sopravvenienza passiva articolo 101, comma 4, non configurandosi un mancato conseguimento di ricavi e neppure la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in precedenti esercizi, ma si deve fare riferimento alla disciplina in materia di perdite su crediti dettata dagli articoli 106 e 101, comma 5, del Tuir. In particolare, l’articolo 101, comma 5, prevede che le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi ai quali la società deve fare riferimento ai fini della deducibilità della perdita. In ogni caso, ai fini Irap le perdite su crediti non hanno rilevanza.
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Eccessiva onerosità: l’inerenza è qualitativa
10 Gennaio 2023
Il Sole 24 Ore lunedì 12 dicembre 2022 di Giorgio Emanuele Degani e Damiano Peruzza
La Ctp di Padova, con sentenza 309/2/2022 (presidente e relatore De Rosa), ha ribadito il consolidato principio secondo cui, in caso di contestazione per presunta eccessiva onerosità del costo della materia prima, il relativo disconoscimento dell’inerenza operato dall’agenzia delle Entrate è legittimo solo se il giudizio è in chiave qualitativa e non quantitativa.
Il caso riguarda una contestazione di indeducibilità per presunta eccessività del costo della materia prima (olio), sostenuta da un fabbricante di grissini; nel corso dell’attività istruttoria è emerso che , per altri procedimenti, il cedente ha emesso delle fatture per operazioni inesistenti. A fronte di tali rilievi, sollevati nei confronti di altri soggetti, l’ufficio ha disconosciuto parte dell’acquisto della materia prima effettuata dal cessionario, rilevando un presunto difetto di inerenza del costo.
I giudici di primo grado, con una motivazione condivisibile, hanno rilevato che la pretesa erariale è infondata, in quanto basata su un’applicazione errata del principio di inerenza. E infatti, la giurisprudenza di legittimità afferma che sono inerenti le spese che rientrano qualitativamente nella sfera dell’impresa e che da essa discendono (Cassazione, 9289/2019 e 3170/2018). In sostanza, il costo deve essere sostenuto con lo scopo di fornire un’utilità, diretta, indiretta o anche solo potenziale, all’attività d’impresa. Ciò si traduce nella verifica della coerenza a livello generale delle spese sostenute dal contribuente.
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La Corte Ue boccia l’accesso senza limiti al Registro titolari effettivi
7 Dicembre 2022
Il Sole 24 Ore 23 novembre 2022 di Alessandro Galimberti Valerio Vallefuoco
ANTIRICICLAGGIO
Ribilanciare i diritti dei titolari effettivi (Te) rispetto alle finalità perseguite dalle direttive antiriciclaggio. La sentenza della Corte Ue emessa ieri nelle cause riunite C-37/20 ( Luxembourg Business Registers) e C-601/20 (Sovim) sull’accessibilità ai registri pubblici dei titolari di enti, società e trust – per quanto già ben decifrabile nella conclusioni del gennaio scorso dell’Avvocato generale Giovanni Pitruzzella -segna un punto molto importante nel fissare la ratio del sistema di prevenzione e nel suo rapporto con i diritti primari dei cittadini europei.
Decidendo sul caso di due lussemburghesi, uno dei quali titolare di 35 società, i cui dati privatissimi (nascita, residenza privata eccetera) erano di fatto liberamente accessibili da internet – e dopo che la corte nazionale aveva “benedetto” questo regime di trasparenza – la Cgue ha bocciato alla fonte la direttiva antiriciclaggio 2018/843, nella parte che consente agli Stati membri di prevedere che le informazioni sulla titolarità effettiva delle società e delle altre entità giuridiche costituite sul loro territorio siano accessibili «in ogni caso» al pubblico. Il punto di attrito della vicenda non riguardava, ovviamente, i poteri di accesso al registro dei titolari effettivi da parte delle autorità e delle agenzie statali e per le finalità proprie della direttiva (individuare e reprimere il riciclaggio), quanto piuttosto la finestra prevista genericamente per il pubblico: accesso che per ampiezza, modalità (telematiche) e per la libera riproducibilità e conservazione dei dati scaricati finisce per comprimere in modo molto forte – ed estraneo alle finalità di politica repressiva – i diritti fondamentali dei titolari di società, enti, trust, esponendoli a rischi abnormi e alla difficoltà di inseguire gli abusi.
Per la Corte, l’accesso di fatto illimitato del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva è una «grave ingerenza» nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, ingerenza non limitata allo stretto necessario né proporzionata all’obiettivo. La direttiva autorizza la messa a disposizione del pubblico di dati non abbastanza definiti né identificabili, quindi c’è «una lesione considerevolmente più grave dei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta» rispetto al regime anteriore che richiedeva un «legittimo interesse» per l’accesso.
La sentenza crea un vuoto normativo la cui soluzione più immediata sarà una seria limitazione dei soggetti che possono accedere alle informazioni del Registro dei Titolari effettivi: le Fiu (Unità di informazione finanziaria), le Autorità competenti e i soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio così come già previsto dal Sistema europeo di interconnessione denominato Boris (Beneficial Ownership Registers Interconnection System) che prevede una rigida individuazione ed autenticazione degli utenti qualificati che rispettano la sicurezza e il trattamento dei dati.
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Le Entrate tolgono il trust dal limbo dell’incertezza
7 Dicembre 2022
Il Sole 24 Ore 29 novembre 2022 di Antonio Criscione
Una ventata d’ossigeno per il trust dall’agenzia delle Entrate. Con la circolare 34/E/2022 infatti sono arrivati chiarimenti importanti per gli operatori e per coloro che sono interessati a utilizzare questo strumento. L’agenzia ha infatti fissato il principio della tassazione al momento in cui i beni passano dal trust al beneficiario e non quando essi vengono conferiti nel trust stesso. Anche se poi ha stabilito alcune eccezioni.
Quindi in linea di principio la circolare 34/E l’Agenzia ha riconosciuto che per l’applicazione dei tributi per successione o donazione, «è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale».
Marco Cerrato, Partner Maisto e Associati – Presidente Step Italy, spiega: «Su questa base, da un lato, viene affermata l’esistenza di un principio generale di neutralità degli atti di segregazione di beni trust, dall’altro, viene chiarito che tale principio è suscettibile di eccezioni». Per questo motivo diversi osservatori hanno ritenuto che quella fissata dall’Agenzia sia una sorta di forma mista e non semplicemente di tassazione in “uscita” dei beni dal trust. Come infatti illustra Cerrato: «In particolare, si avrà tassazione in “entrata” nel caso in cui i beneficiari del trust abbiano il diritto di ottenere dal trustee, in qualunque momento, sulla base delle clausole dell’atto istitutivo e di eventuali ulteriori disposizioni, il trasferimento di quanto spettante».
Dunque, per determinare la fiscalità di un trust ai fini delle imposte indirette, occorrerà prestare particolare attenzione alla redazione degli atti istitutivi e alla scelta della legge applicabile al trust: «Occorre tenere presente infatti – secondo Cerrato – che l’applicazione delle imposte indirette “in entrata” potrebbe comportare il vantaggio di cristallizzare le favorevoli aliquote vigenti, ponendo al riparo i beneficiari dalla maggiore tassazione che potrebbe verificarsi a causa di mutamenti normativi al momento della successiva distribuzione del capitale». In pratica al momento in materia di successioni e donazioni l’Italia sconta aliquote particolarmente favorevoli, nel momento in cui i beni fossero tassati in entrata, ci si metterebbe al riparo da eventuali successivi aumenti di aliquota.
La nuova circolare delle Entrate, secondo Filippo Cappio, direttore generale di Unione fiduciaria, «toglie al trust quella patina di oscurità che finora aveva avuto e avvicina questo istituto nell’ordinamento italiano a quanto avviene nel mondo anglosassone, ed in particolare al concetto di “trust dinastico”. Per questo abbiamo accolto con favore il documento delle Entrate, perché finora il mercato era sopito in un limbo di incertezza, con la giurisprudenza allineata già alla pratica internazionale, ma con il dubbio della posizione dell’amministrazione finanziaria».
Il principio quindi recepito al momento dalle entrate è che la tassazione non avviene nel momento i beni passano dal disponente al trustee, ma quando passano da quest’ultimo al beneficiario. Quindi, come commenta Cappio, «questo intervento ha permesso al mercato di ripartire». Del resto, proprio Unione fiduciaria è un soggetto che gestisce direttamente dei trust. «Si tratta di uno strumento che garantisce la possibilità di governare di patrimoni che altrimenti potrebbero essere frazionati – afferma Cappio -. In genere, per i trust che gestiamo, seguiamo non solo le parti relative all’istituzione e alla gestione, ma svolgiamo anche compito di co-trustee per trust esteri, quando ci sono beneficiari italiani».
Quanto all’utilizzo del trust, Cerrato ricorda che esso è molto utilizzato per la governance dei family business e per il passaggio generazionale delle partecipazioni di controllo, tanto che secondo uno studio recente di Step Italia almeno un trust con una partecipazione superiore al 3% è presente nell’azionariato di oltre 1.300 aziende italiane con un attivo netto superiore a un milione di euro. Un’altra tipologia di trust utilizzata spesso è quella dei trust familiari con i quali il disponente, spossessandosi dei propri beni (generalmente finanziari o immobiliari) anticipa la propria successione.
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Affondo della Bce contro le criptovalute: «Il Bitcoin è avviato a essere irrilevante»
7 Dicembre 2022
Il Sole 24 Ore 1 dicembre 2022 di Biagio Simonetta
Monito alle banche: «Possibile un enorme danno reputazionale»
Ma intanto in Brasile è stata approvata una legge che ne legalizza l’utilizzo
reuters Bitcoin. Sulle criptovalute l’affondo della Banca centrale europea
Una criptovaluta «artificialmente sostenuta» che «non dovrebbe essere legittimata dalle autorità di regolamentazione o dalle società finanziarie, poiché è simile al gioco d’azzardo». Sono le parole che arrivano dalla Bce nei confronti di Bitcoin, in un post sul blog ufficiale della banca dal titolo emblematico: “Bitcoin’s last stand”. Gli autori dell’articolo – Ulrich Bindseil e Juergen Schaaf (il primo direttore generale della divisione Infrastruttura di mercato e pagamenti, il secondo un advisor della stessa) – sono convinti che la madre di tutte le criptovalute stia compiendo «un ultimo sussulto artificialmente indotto prima della strada verso l’irrilevanza». Il tracollo di FTX, insomma, continua a scatenare reazioni, con questa presa di posizione della Bce – che di fatto è il massimo supervisore delle banche europee e ha voce in capitolo sulla regolamentazione finanziaria dell’Unione Europea – che di certo non passerà sotto traccia.
Mentre le autorità di regolamentazione di mezzo mondo stanno elaborando regole per normare il macrocosmo crypto, la Banca centrale europea è convinta che proprio questo passaggio possa essere «frainteso per approvazione». Da qui un monito alle banche: «Poiché il Bitcoin non sembra essere adatto né come sistema di pagamento né come forma di investimento, non dovrebbe essere trattato come nessuno dei due in termini normativi e quindi non dovrebbe essere legittimato. Allo stesso modo, il settore finanziario dovrebbe tener conto dei danni a lungo termine derivanti dalla promozione degli investimenti in Bitcoin, nonostante i profitti a breve termine che potrebbero realizzare. L’impatto negativo sulle relazioni con i clienti e il danno reputazionale all’intero settore potrebbe essere enorme, una volta che gli investitori in Bitcoin avranno subito ulteriori perdite».
La svolta in Brasile
Il monito della Bce arriva nello stesso giorno in cui in Brasile, invece, Bitcoin compie un passo importante. La Camera dei Deputati brasiliana ha infatti varato una legge che legalizza i pagamenti in criptovalute in tutto il Paese. Il quadro normativo, che adesso richiede la firma del presidente per essere emanato, non rende tuttavia il Bitcoin o qualsiasi altra criptovaluta una moneta a corso legale nel Paese. In compenso, Bitcoin potrà essere utilizzato per gli scambi commerciali, e l’utilizzo di criptovalute sarà normalizzato all’interno del Paese.
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Amministratore di diritto senza responsabilità automatica negli illeciti
7 Dicembre 2022
Il Sole 24 Ore 19 novembre 2022 di Antonio Iorio
In assenza di obblighi specifici va provato il suo concorso nel reato
In assenza di uno specifico obbligo di vigilanza su determinati comportamenti, l’amministratore di diritto non risponde automaticamente degli illeciti commessi da altri soggetti coinvolti nelle attività sociali, salvo non venga provato il suo concorso nel reato.
A fornire questo principio è la Cassazione con la sentenza 43969 .
Una Procura ricorreva in Cassazione, avverso la decisione del Tribunale del riesame di annullare una misura cautelare personale nei confronti dell’amministratore di diritto di società utilizzata, secondo l’accusa, da altri soggetti (amministratori di fatto) per reimpiego e riciclaggio di denaro.
Nel ricorso, in estrema sintesi, la Procura riteneva che il legale rappresentante di una società, utilizzata per attività illecite, resta sempre destinatario degli obblighi di legge e risponde pertanto, a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi dei reati, ovvero, a titolo di dolo eventuale, per l’accettazione del rischio che essi si verifichino. E ciò vale anche per le contestazioni di riciclaggio
Secondo la Cassazione, nei reati tributari per i quali sull’amministratore di diritto/prestanome incombe l’onere del puntuale assolvimento degli obblighi fiscali, la sua responsabilità è desumibile anche dal complesso dei rapporti con l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali sono rilevanti la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità.
Nelle fattispecie di riciclaggio, invece, il concorso in capo all’amministratore, rispetto ai singoli illeciti posti in essere dai gestori di fatto, non può derivare esclusivamente dall’assunzione della carica.
In altre parole, nei reati tributari, o di bancarotta patrimoniale o documentale, incombe sull’amministratore di diritto l’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali, pagare le imposte, preservare il patrimonio sociale e la contabilità, e pertanto l’omesso impedimento degli eventi delittuosi può comportare una sua responsabilità in concorso per le fattispecie penali tributarie e fallimentari poste in essere dagli amministratori di fatto.
Ma tale obbligo giuridico dell’amministratore di diritto non può estendersi a tutti gli altri reati consumati all’interno della compagine sociale: non sussiste, infatti, una previsione che imponga all’amministratore di vigilare sulla regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte di soggetti coinvolti nelle attività sociali, pena la violazione del principio di tassatività della norma penale.
In assenza di uno specifico obbligo di vigilanza, la responsabilità dell’amministratore di diritto per gli illeciti penali dei gestori di fatto può essere affermata, solo in base alle regole sul concorso di persone (articolo 110 del Codice penale) e non sull’omesso impedimento dell’evento illecito (articolo 40 del Codice penale).
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Identificati in Italia senza e-fattura a San Marino
7 Dicembre 2022
Il Sole 24 Ore 18 novembre 2022 di Alessandro Mastromatteo Benedetto Santacroce
Resta la possibilità di invio allo Sdi su base volontaria
Soggetti identificati in Italia, ma non residenti né stabiliti, senza obbligo di fatturazione elettronica per le cessioni realizzate verso San Marino. Il chiarimento reso con la risposta a interpello 557/2022, nel confermare l’assenza dell’obbligo, analogamente a quanto avviene per le operazioni nazionali, ricostruisce dal punto di vista normativo la relativa disciplina, ribadendo comunque la possibilità di documentare le cessioni via Sistema di interscambio (Sdi) su base volontaria.
La risposta assume in via prospettica un assoluto rilievo, considerando l’imminente adozione della proposta di direttiva Ue sull’Iva nell’era digitale (Vat in the digital age), la cui adozione è stata differita dal 16 novembre scorso al prossimo 7 dicembre, con cui la Commissione europea introdurrà una nuova definizione di fattura elettronica fondata sull’utilizzo di un formato standardizzato, eliminerà la necessità del consenso del cliente a ricevere un documento in formato elettronico, autorizzando non solo in maniera generalizzata gli Stati membri ad introdurre un obbligo di utilizzo della e-fattura senza necessità di richiedere una deroga, come accaduto invece per l’Italia, ma anche e soprattutto proponendo l’utilizzo per le transazioni intra-Ue tra privati del formato strutturato della fattura elettronica verso le pubbliche amministrazioni europee secondo lo standard En 16931 già adottato in caso di emissione di e-fattura verso le pubbliche amministrazioni. Con riguardo a tale ultimo aspetto, si tratterà solamente di un suggerimento e non di una imposizione, potendo gli Stati membri scegliere quindi formati proprietari. Come peraltro già accaduto per l’Italia la quale, per le operazioni nazionali ha imposto il formato xml: in questo senso il Sistema di interscambio già procede oggi a tradurre in tale formato strutturato le fatture elettroniche emesse in Ubl o Cii da fornitori europei di pubbliche amministrazioni nazionali. Il meccanismo tra soggetti privati con operazioni intra-unionali dovrebbe essere pertanto a regime identico: a tale proposito, lo scorso 16 novembre è stata anche pubblicata da agenzia delle Entrate la versione aggiornata delle regole tecniche relative alla gestione delle fatture europee (versione 2.2).
Tornando alla risposta a interpello in commento, la società istante, quale soggetto non stabilito in Italia ma ivi identificato ai fini Iva mediante rappresentante fiscale, ha richiesto se nell’effettuazione di operazioni di cessioni di beni (già in precedenza nazionalizzati in Italia) a clienti stabiliti nella Repubblica di San Marino, fosse obbligatoria l’emissione di fattura elettronica nei confronti dei clienti sanmarinesi.
Le Entrate escludendo la sussistenza dell’obbligo, rilevano la necessità di emettere fatture analogiche a meno che le operazioni in commento non vengano documentate tramite fattura elettronica via Sdi su base volontaria.
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E-fattura con San Marino senza indicazione del valore dell’aliquota
7 Novembre 2022
Il Sole 24 Ore 18 ottobre 2022 di Alessandro Mastromatteo Benedetto Santacroce
L’operatore del Titano va segnalato con le cinque cifre senza la sigla «SM»
Dal 1° luglio 2022 l’utilizzo obbligatorio della fattura elettronica, da veicolare tramite Sistema di interscambio (Sdi), per tutte le operazioni da e verso operatori di San Marino può generare particolari criticità non tanto nella popolazione delle informazioni richieste dal tracciato xml, quanto nella verifica relativa alle vidimazioni eseguite dall’Ufficio delle Entrate della Repubblica di San Marino.
In particolare, la questione si può porre relativamente alle cessioni di beni spediti o trasportati a San Marino, le quali costituiscono operazioni non imponibili Iva, in quanto equiparate alle cessioni all’esportazione di cui all’articolo 8 del Dpr 633 del 1972, in presenza di una duplice condizione: il cessionario sammarinese deve essere un soggetto passivo d’imposta e l’Ufficio tributario di San Marino deve avere certificato la regolarità del documento emesso.
Non è quindi sufficiente, che il Sistema di interscambio non abbia scartato il tracciato Xml emesso dal soggetto passivo nazionale nei confronti del cliente operatore sanmarinese. Avere ottenuto infatti una ricevuta di consegna da parte di Sdi, quindi senza alcuna rilevazione di un codice errore, non determina, come conseguenza diretta e necessaria, il fatto che la certificazione fiscale dell’operazione risulti perfezionata.
Infatti, l’operatore economico italiano è tenuto a visualizzare telematicamente l’esito del controllo effettuato dall’ufficio tributario di San Marino collegandosi al portale «Fatture e corrispettivi» dell’agenzia delle Entrate nazionale, e consultando le informazioni circa il singolo tracciato trasmesso.
Occorre quindi verificare l’esito, inteso come vidimazione regolarmente rilasciata da San Marino a valle del controllo, da completarsi entro quattro mesi, circa il regolare assolvimento dell’imposta sull’importazione e convalida della regolarità della fattura. In caso di esito negativo, l’operatore italiano è chiamato, nei trenta giorni successivi, ad emettere nota di variazione senza il pagamento di sanzioni e interessi.
Sul portale italiano «Fatture e corrispettivi» l’emittente vedrà l’annotazione «San Marino – vidimazione negata» nelle informazioni relative alla fattura. Considerando che il flusso per lo Sdi risulta tuttavia correttamente completato dal punto di vista tecnico, l’operatore italiano sarà chiamato a regolarizzare l’operazione con lo Sdi italiano, emettendo innanzitutto nota di variazione con indicazione del medesimo cessionario della fattura originaria ma il codice destinatario convenzionale a sette «X» e non quello dell’ufficio sanmarinese Hub-Sm; successivamente, dovrà riemettere la fattura correggendo i valori che hanno determinato l’esito negativo e indirizzandola, in questo caso, al codice destinatario dell’Ufficio delle entrate di San Marino. In questo senso, sarebbe opportuno avvalersi di meccanismi informatici che rendano quanto più automatizzato possibile il controllo circa l’esito, interfacciandosi con il portale delle Entrate e limitando potenziali profili sanzionatori.
Un errore frequente riscontrato risiede nell’indicazione dell’imposta in fattura; tutte le righe del tracciato Xml devono invece riportare AliquotaIva=0.00 e un valore di Natura (tipicamente N3.3 «Non Imponibili – cessioni verso San Marino»). Altro errore frequente quello della non corretta indicazione nel tracciato Xml della partita Iva dell’operatore sanmarinese, che va compilata con le cinque cifre non riportando la sigla del Paese «SM» nello stesso campo.
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Esterovestizione esclusa se la residenza societaria è realmente oltreconfine
7 Novembre 2022
Il Sole 24 Ore 31 ottobre 2022 di Lorenzo Del Federico
La libertà di stabilimento nella Ue giustifica le scelte economiche delle imprese
Il Principio interpretativo n. 5 di Modulo 24 Accertamento e Riscossione sull’interposizione fittizia ruota intorno all’articolo 37 del Dpr 600/73, ma offre l’occasione per riflettere anche sull’esterovestizione, sempre al confine tra elusione ed evasione.
L’esterovestizione si ritiene comunemente configurabile quando una società simula di essere residente all’estero per sottrarsi alla tassazione in Italia. Tuttavia, la giurisprudenza parla spesso di “elusione” (Cassazione, sezione tributaria, 4463/22, 7454/22 e 8297/22), mentre nella stragrande maggioranza dei casi l’esterovestizione ha connotazione evasiva; per un altro verso si tende a giustificare l’esterovestizione alla luce del principio unionale della libertà di stabilimento (Cassazione penale 43809/15).
Per identificare la residenza delle società, l’articolo 73 del Tuir fa riferimento alla sede legale, all’oggetto principale e alla sede dell’amministrazione; ma è prevista anche una presunzione relativa, giacché si considerano residenti le società “estere” che detengano partecipazioni di controllo in società residenti e, alternativamente, siano controllate o amministrate in prevalenza da residenti. La norma si pone come semplice previsione di sistema, avulsa da qualsiasi logica antielusiva. Pertanto, rispetto alle patologie dell’esterovestizione, il Principio interpretativo sull’interposizione fittizia mostra tutta la sua pregnanza.
Nulla quaestio laddove la società sia realmente radicata all’estero, avendo ivi la sede, l’oggetto principale e la sede amministrativa. Laddove, invece, emergano profili di simulazione e fittizietà rispetto a tali requisiti è chiaro che ci si trova di fronte a comportamenti evasivi, in cui il contribuente rappresenta e dichiara circostanze false; comportamenti che, quindi, possono assumere anche rilevanza penale.
Infine, laddove la società risulti costituita all’estero senza valide ragioni economiche, mediante comportamenti anomali, al di fuori di ogni logica di mercato, e al fine di realizzare essenzialmente vantaggi fiscali indebiti, potrà trovare applicazione l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente.
I vantaggi fiscali indebiti relativi a una società realmente, ma abusivamente, localizzata all’estero, potranno essere pertanto disconosciuti ex articolo 10-bis, che però non è applicabile in ambito Ue, stante la libertà di stabilimento. Invero, come chiarito dalla giurisprudenza, la libertà di stabilimento garantisce e giustifica la società, anche qualora la localizzazione sia motivata dal vantaggio fiscale, derivante da un regime più favorevole, che rispondendo al sistema delle fondamentali libertà economiche dell’Unione non potrà mai essere qualificato come “indebito” (causa C-196/04, Cadbury Schweppes del 2006).