No alla polizza straniera se si circola stabilmente in Italia con targa estera

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore 12 Novembre 2024 di Maurizio Hazan Pasquale Picone

Tra le deleghe per la riforma del Codice della strada contenute nell’articolo 35, comma 3 del Ddl che sta per diventare legge, una tocca il preoccupante fenomeno dei veicoli con targa estera circolanti abitualmente in Italia (regolarizzati iscrivendoli al registro Reve), eludendo i costi fiscali e assicurativi connessi alla targa italiana. La riprova è che il fenomeno è diffuso soprattutto nell’area di Napoli (oltre 35.000 iscrizioni al Reve, soprattutto con targa polacca), dove la Rc auto costa molto.

L’uso elusivo avviene perlopiù trasferendo la proprietà del mezzo da un italiano a società di noleggio estera, che li immatricola nel proprio Paese per poi locarlo al vecchio proprietario, che lo usa come prima, pagando un canone comprensivo di Rc auto stipulata a basso prezzo con un assicuratore locale.

L’immatricolazione all’estero, per l’articolo 13 della Direttiva Solvency II e l’articolo 1, comma 1, lettera fff) del Codice delle assicurazioni, identifica l’ubicazione del rischio nello Stato Ue di immatricolazione, rendendolo assicurabile solo da impresa ivi stabilita (od operante in regime di libera prestazione di servizio, Lps). E il Codice della strada (articolo 93-bis, comma 1), se il proprietario del veicolo prende la residenza in Italia, consente la permanenza con targa estera per tre mesi, dopi i quali deve reimmatricolarlo in Italia. A quel punto, per assicurarsi, non è possibile una copertura estera, se non con una compagnia in regime di stabilimento o di Lps.

Diverso è il caso di un veicolo di proprietà di un soggetto estero, condotto in Italia da un italiano in forza di un titolo (come noleggio e comodato): l’articolo 93-bis, comma 2 richiede solo l’iscrizione della targa estera al Reve, dopo 30 giorni anche non continuativi. Nulla dice sull’obbligo assicurativo, neppure legandosi all’articolo 125 del Codice delle assicurazioni, che consente sì di circolare in Italia con la carta verde, ma solo temporaneamente.

Se invece la circolazione è abituale in Italia, l’iscrizione al Reve non pare di per sé poter assolvere correttamente l’obbligo assicurativo tramite compagnie con sede nello Stato Ue di immatricolazione. A maggior ragione se il mezzo aveva targa italiana ed è noleggiato al precedente proprietario: parrebbe un negozio in frode alla legge, da ritenersi nullo (articolo 1344, Codice civile).

In ogni caso, c’è un vulnus al principio mutualistico e a regole e presidi (anche antifrode) della Rc auto. Con insidie per i danneggiati, obbligati a percorsi più tortuosi di quelli possibili con compagnie “italiane”. Quindi, ben venga il fatto che il Ddl di riforma preveda tempi massimi dopo cui il veicolo va immatricolato in Italia e dopo cui dovrà comunque essere coperto da una polizza conforme alle norme italiane.

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Contratto d’agenzia, spazio a modifiche unilaterali

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 18 Novembre 2024 di Attilio Pavone Matilde Battistella

Per le aziende che si avvalgono di agenti, variare periodicamente il contenuto economico del contratto di agenzia è tra le esigenze più comuni. Un esempio tipico è quello dell’agenzia in attività finanziaria: il 7 novembre la Federal Reserve ha annunciato un nuovo taglio dei tassi di interesse (dopo il primo avvenuto in settembre), allineandosi a una decisione simile presa dalla Bce a ottobre. Le fluttuazioni del costo del denaro sono una delle ragioni più comuni che determinano la necessità delle banche di apportare modifiche ai contratti con i loro agenti in attività finanziaria.

Questa necessità non riguarda solo gli istituti di credito (dove ci sono esigenze legate al mercato di riferimento), ma tutti i settori economici. È infatti naturale che, nel corso del rapporto di agenzia, sorga la necessità di apportare delle modifiche a zona, clienti, provvigioni e prodotti, per ragioni talvolta legate a scelte strategiche aziendali (si pensi ad esempio a una società che intende ridurre la zona di competenza di un agente, in favore di più agenti, in modo da consentire una più efficace gestione della clientela sul territorio).

Queste operazioni commerciali possono generare diverse criticità, mentre sono scarne le indicazioni fornite dalla giurisprudenza. È quindi necessaria una particolare cautela nell’attuare le variazioni al contratto d’agenzia.

In realtà, la possibilità, per una delle parti del contratto, di variarne unilateramente il contenuto si pone apparentemente in contrasto con un principio cardine del nostro ordinamento, stabilito dall’articolo 1372 del Codice civile, che richiede il consenso di entrambe le parti per apportare modifiche all’accordo concluso. Eppure, l’ammissibilità del cosiddetto ius variandi è contemplata dallo stesso Codice civile (come nel caso dell’articolo 1661, in materia di appalto, ovvero dell’articolo 2103 relativo al trasferimento del luogo di lavoro). Per il contratto di agenzia, tuttavia, non esistono norme ad hoc che contemplano lo ius variandi.

Sul fronte dell’elaborazione giurisprudenziale, alcune risalenti pronunce avevano dichiarato nulle, per indeterminatezza dell’oggetto, le clausole del contratto di agenzia che consentono al preponente di modificarne unilateralmente il contenuto (Cassazione, sentenza 11003/1997). In un altro caso, la nullità di tali clausole veniva dichiarata sul presupposto che esse costituissero una condizione meramente potestativa, vietata nel nostro ordinamento (Cassazione, sentenza 4504/1997).

La giurisprudenza più recente è concorde nel ritenere legittima l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole del contratto di agenzia. Ma perché tale facoltà non si traduca in un potere illimitato per il preponente, occorre che essa abbia dei limiti e sia esercitata con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede (da ultimo, Cassazione 9365/2023, che conferma Cassazione 29164/2021, 13580/2015 e 5467/2000).

Non è però immediatamente intuibile come riempire di significato la necessità di usare dei “limiti” e di realizzare la variazione secondo i principi sopra richiamati. I più noti accordi economici collettivi ne hanno dato una propria interpretazione, prevedendo un articolato apparato normativo che distingue le variazioni a seconda del loro impatto rispetto alle provvigioni percepite dall’agente nell’anno precedente la modifica.

Prendendo a esempio l’accordo economico del commercio, quest’ultimo distingue le variazioni di lieve, media e sensibile entità. Le prime riguardano modifiche comprese lo 0 e 5%, le seconde tra il 5 e il 20% e le ultime superiori al 20 per cento. Tutte queste variazioni possono essere realizzate dal preponente con il rispetto di un preavviso (diverso a seconda dell’entità della modifica e della tipologia di mandato), con la differenza, però, che al ricorrere delle modifiche di «sensibile entità», l’agente potrà manifestare l’intenzione di rifiutare la variazione, imputando la fine del recesso alla casa mandante, con importanti conseguenze in termini di diritto alle indennità di fine rapporto.

Nulla impedisce comunque alle parti di stabilire, di comune accordo, delle modifiche al contratto. In questo caso, il consenso prestato dall’agente sottrae l’operazione realizzata dalla disciplina delle variazioni unilaterali.

Il calcolo dell’impatto è basato sugli incassi dell’anno precedente

Nonostante il testo della disciplina collettiva sembri di facile applicazione, le modalità di calcolo dell’effettiva entità delle variazioni unilaterali nei contratti di agenzia generano nella prassi non pochi dubbi interpretativi, solo in minima parte risolti dalle scarse pronunce giurisprudenziali sul punto.

Una sentenza del Tribunale di Trento (la 16 del 30 gennaio 2024) fornisce tuttavia alcuni spunti. La decisione ricorda infatti come l’entità della modifica unilaterale vada determinata con riferimento all’anno civile (1° gennaio- 31 dicembre) precedente la variazione e, in particolare, applicando le nuove condizioni contrattuali ai risultati dell’anno passato.

Anche la Corte d’appello di Brescia (sentenza 324 del 12 gennaio 2024) ha avuto modo di precisare come la norma convenzionale metta in correlazione le variazioni del mandato con l’incidenza che la perdita di un determinato cliente o di una certa zona comporta sull’ammontare delle provvigioni maturate dall’agente nell’anno precedente la variazione.

Un’ulteriore pronuncia di merito del Tribunale di Vicenza (la 52 del 3 gennaio 2018) ha inoltre chiarito come per comprendere l’entità dell’incidenza delle variazioni unilaterali messe in atto dalla preponente, l’agente è chiamato ad adottare un criterio prognostico. Quest’ultimo dovrà infatti valutare i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla modifica delle condizioni contrattuali ex ante, e cioè sulla base dei dati a sua disposizione nell’anno precedente.

In buona sostanza, l’agente dovrà prendere come riferimento le provvigioni complessivamente maturate nell’anno civile precedente e valutare come queste ultime si sarebbero modificate per effetto della variazione unilaterale del contenuto economico del rapporto di agenzia (in termini di prodotti, clienti, zona o misura delle provvigioni) realizzata dalla preponente. Solo allora si potrà verificare se la variazione è, in base alle regole degli accordi economici collettivi, tale da legittimare il recesso dell’agente.

Alla luce delle indicazioni degli accordi economici collettivi e della giurisprudenza, è possibile concludere che il calcolo dell’impatto delle variazioni si risolva in una proporzione, come si legge nell’esempio riportato nella scheda.

L’incidenza delle variazioni è quindi il risultato di un calcolo tecnico e frutto di una valutazione prognostica “postuma”, che prende come riferimento l’anno precedente alla modifica e vi applica fittiziamente la variazione, senza tenere conto dell’eventuale cattivo andamento dell’anno successivo, che potrebbe anche non dipendere dalla variazione (ma che in realtà è spesso il motivo per cui l’agente decide di lamentare la variazione eccessiva decidendo di recedere dal contratto per causa imputabile al preponente).

Giova infine ricordare che, per determinare la sussistenza di modifiche di «sensibile entità», la contrattazione collettiva richiede di effettuare la sommatoria delle variazioni di lieve e media entità in un certo lasso temporale (generalmente differenziato a seconda della tipologia di mandato agenziale).

Inoltre, sempre ai fini della sommatoria, il Tribunale di Napoli (sentenza 1335 del 28 febbraio 2023) ha chiarito come appaia equo considerare unitariamente non solo le determinazioni che incidono negativamente sulle provvigioni dell’agente ma anche quelle che hanno un impatto positivo, che potrebbero dunque controbilanciare le variazioni negative.

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Dazi, abuso del diritto con la delocalizzazione

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore 22 Novembre 2024 di Fabrizio Di Gianni Benedetto Santacroce

Per la prima volta la Corte di giustizia dell’Ue si è pronunciata in materia di abuso del diritto in ambito doganale. Con la causa C-297/23 P, infatti, ha fissato gli elementi interpretativi in base ai quali la norma antielusiva ex articolo 33 del regolamento delegato (Ue) 2015/2446, in materia di attribuzione dell’origine per le operazioni di trasformazione o lavorazione non economicamente giustificate, debba essere applicata.

La pronuncia in commento, che respinge definitivamente il ricorso proposto dalla società Harley-Davidson, segna un punto di svolta in chiave applicativa dell’articolo 33, in quanto l’esistenza di una pratica abusiva potrà essere rilevata se emerga da elementi oggettivi che lo scopo essenziale delle operazioni interessate sia quello di evitare l’applicazione di misure daziarie.

Il criterio decisivo è la finalità principale o dominante, sebbene non esclusiva, dell’operazione posta in essere. Infatti, la norma risulterebbe privata della sua efficacia ove fosse interpretata nel senso che non si applica per il solo motivo che una delocalizzazione delle operazioni, oltre alla finalità principale o dominante di eludere l’applicazione delle misure di politica commerciale dell’Ue, persegua anche altre finalità di ordine secondario.

Insomma, lo scopo essenziale delle operazioni, quale quello di ottenere un vantaggio daziario, deve risultare da un certo numero di elementi oggettivi ma, al tempo stesso, può non dirsi scopo esclusivo, purché dominante, e potrà essere affiancato da ulteriori scopi secondari, i quali non escluderanno l’applicazione dell’articolo 33.

La Corte interviene anche in tema di onere della prova. Dalla lettura dell’articolo 33, comma 1, è evidente come lo stesso risulti applicabile solo qualora gli elementi disponibili siano tali da dimostrare che lo scopo del comportamento dell’impresa sia quello di eludere l’applicazione della misura di politica commerciale. In questo caso, sarà sempre possibile per l’impresa dimostrare con ulteriori elementi di prova che lo scopo dell’operazione, nel momento in cui è intervenuta la decisione, non aveva come elemento principale il conseguimento di un vantaggio daziario.

In terzo luogo, la pronuncia trancia di netto qualsiasi collegamento interpretativo tra l’articolo 33 e con l’articolo 13 del regolamento Ue 2016/1036, in tema di elusione dei dazi antidumping: questa norma non è rilevante ai fini interpretativi dell’articolo 33, comma 1, poiché riguarda altra materia ed è redatta in termini profondamente diversi rispetto all’articolo 33, il quale non contiene né il termine «elusione» né la definizione dettagliata che l’articolo 13 fornisce di tale termine.

Occorre poi rilevare che la Corte ha ritenuto irrilevante il richiamo al concetto di «manipolazione», di fatto assente nel testo dell’articolo 33, riportato nel considerando 21 del regolamento delegato: quest’ultimo, ricomprende nel concetto di manipolazione un’ampia gamma di azioni volontarie che comportano un cambiamento di origine delle merci importate, tra le quali è necessario impedire solo quelle realizzate allo scopo di eludere l’applicazione di misure di politica commerciale.

In sintesi, il concetto di manipolazione non può in alcun caso consentire un’interpretazione dell’articolo 33 incompatibile con la sua formulazione e con il suo sistema.

Da ultimo, i giudici europei ritengono che la sussistenza di una «coincidenza temporale» tra la decisione compiuta dall’impresa, circa la delocalizzazione delle operazioni poste in essere, e l’intervenuto provvedimento sui dazi supplementari costituisca una presunzione secondo cui la delocalizzazione mira a evitare l’applicazione delle misure.

Appare chiaro che, laddove la decisione sia intervenuta temporalmente prima, sulla stessa non potrebbe aver inciso una procedura per l’applicazione di dazi supplementari non ancora avviata.

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Beni all’estero con più diritti reali: compilano RW tutti i contitolari

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 7 Ottobre 2024 di Stefano Vignoli

Spazio agli ultimi controlli sui modelli Redditi 2024 da inviare entro il 31 ottobre. Particolare attenzione, per chi ha asset all’estero, merita il quadro RW, talora fonte di difficoltà compilative anche per gli addetti ai lavori.

I soggetti coinvolti

L’obbligo di compilazione del quadro RW (W per chi presenta il 730) ricorre per persone fisiche (inclusi imprenditori individuali e lavoratori autonomi), enti non commerciali, società semplici ed equiparate (articolo 5, Tuir) residenti in Italia, per i beni detenuti all’estero a prescindere dagli importi e dai giorni di detenzione.

Sono esclusi dall’obbligo compilativo coloro che lavorano all’estero per lo Stato, o altri enti o organizzazioni internazionali cui aderisce il nostro Paese, con residenza determinata ex lege in Italia, e i frontalieri limitatamente agli asset detenuti nel Paese limitrofo, oltre a chi aderisce ai regimi dei pensionati (articolo 24-ter del Tuir) e dei neo-residenti (24-bis). Anche se, per questi ultimi, l’Agenzia ritiene necessario indicare le partecipazioni estere qualificate, in quanto potrebbero generare plusvalenze tassabili nei primi cinque periodi di imposta (circolare 17/E/2017, paragrafo 5.2).

I beni da dichiarare

Tra i beni all’estero che più frequentemente rientrano nell’obbligo dichiarativo vi sono opere d’arte, gioielli e metalli preziosi (anche se detenuti in cassette di sicurezza), gli immobili e i beni mobili suscettibili di essere iscritti nei pubblici registri in Italia: sono pertanto da dichiarare le imbarcazioni e le auto di lusso immatricolate all’estero (con il codice “16” quali beni mobili registrati).

Quando sul bene sussistono più diritti reali – caso frequente per quanto riguarda gli immobili con usufrutto e nuda proprietà – l’obbligo dichiarativo compete a entrambi i titolari: ma mentre il nudo proprietario compila il quadro RW solo ai fini del monitoraggio, avendo cura di barrare la casella 16, l’usufruttuario è tenuto al versamento dell’Ivie seppur limitatamente al valore dell’usufrutto.

Inoltre, l’indicazione in RW compete a tutti gli intestatari in caso di attività in comunione o cointestate, ma anche al soggetto che abbia “soltanto” delega di firma.

Per gli immobili all’estero, in assenza di variazioni, non sarebbe richiesta l’indicazione (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990): possibilità raramente colta dai contribuenti considerato che il quadro RW serve anche ai fini della liquidazione dell’Ivie, comunque dovuta.

Infatti, la compilazione del quadro è necessaria anche per determinare l’Ivie, l’Ivafe, e dal 2023 l’imposta (con aliquota dello 0,2%) sul valore delle cripto-attività detenute attraverso portafogli, conti digitali o altri sistemi di archiviazione o conservazione.

Insieme alle cripto-valute sono numerose le attività finanziarie da dichiarare, tra cui conti correnti e depositi esteri, valute, obbligazioni e partecipazioni comprese le stock option salvo il caso in cui non siano cedibili e non sia spirato il “vesting period” (risoluzione 73/E/2014).

I conti correnti sono oggetto di monitoraggio se superano, anche in un solo giorno, i 15mila euro; ma, anche sotto questa soglia, richiedono la compilazione del quadro RW ai fini Ivafe se la giacenza media supera i 5mila euro.

Sono inoltre oggetto di compilazione del quadro RW le forme di previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, salvo le somme versate per obbligo di legge come nel caso del “secondo pilastro svizzero” (circolare 38/E/2013, paragrafo 3).

Per gli investimenti all’estero rientranti in un unico rapporto finanziario è inoltre possibile dichiarare il valore iniziale e finale di detenzione della relazione finanziaria unitaria, non rilevando le variazioni nella composizione (circolare 12/E/2016, risposta 14.1). A tal fine, a partire da Redditi 2017 è stato istituito il codice attività 20 (“Conto deposito titoli all’estero”).

Finanziamenti e quote soci

Nel quadro RW occorre indicare anche i finanziamenti soci seppur non soggetti a Ivafe, come le valute estere, i metalli preziosi e le partecipazioni non rappresentate da titoli. Malgrado il dettato normativo, non dovrebbero essere soggette a Ivafe neanche le azioni (titoli) di società estere non quotate, coerentemente a quanto avviene con l’imposta di bollo per le azioni italiane.

Il socio di società di capitali italiana con partecipata all’estero non è tenuto a dichiarare la partecipazione se è il titolare effettivo (circolare 38/E/2013, esempio 3): ma su questo punto le istruzioni al modello dichiarativo lasciano qualche perplessità. Quando invece il socio detiene una partecipazione diretta nella società estera che, sommata a quella indiretta, gli permette di essere titolare effettivo, occorre dichiarare la somma dei due valori tenuto conto dell’effetto demoltiplicativo.

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Trasferte e rappresentanza: per la deduzione niente contanti

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 30 Ottobre 2024 di Luca Gaiani

Lotta all’evasione. Per imprese e professionisti dal 2025 obbligo di pagamenti tracciabili per i costi Rimborsi non tassati se le spese dei dipendenti saranno saldate con strumenti diversi dal cash

Per imprese e professionisti arriva, dal 2025, l’obbligo di pagare le spese di trasferta e di rappresentanza con carte di credito o altri mezzi di pagamento tracciabili. Chi non si adeguerà, perderà il diritto alla deduzione del costo, sia ai fini Ires che ai fini Irap, e per il dipendente che chiede il rimborso scatterà la tassazione in busta paga. La stretta è prevista dall’articolo 10 del Ddl di Bilancio per il 2025 e riguarderà spese di vitto e alloggio, nonché di trasporto con autoservizi non di linea. I contribuenti devono rapidamente attrezzarsi per adeguare le procedure dei rimborsi spese in vista nell’inizio del nuovo anno.

Spese di taxi e Ncc con carta di credito

L’intervento del Ddl di Bilancio sulle modalità di pagamento delle spese di trasferta (vitto, viaggio e alloggio) tende a contrastare, secondo la relazione tecnica, fenomeni di evasione generati, attualmente, dalla sotto-fatturazione da parte dei prestatori e dalla deduzione in capo ai committenti di costi non effettivamente sostenuti. In realtà, soprattutto nelle imprese piccola e piccolissima dimensione, vi è un ulteriore aspetto evasivo che si realizza attraverso il rimborso a dipendenti o amministratori di note spese di importo gonfiato o comunque non relative a oneri effettivamente pagati.

A fronte di queste situazioni, il Ddl di Bilancio introduce, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024, un generalizzato obbligo di effettuare pagamenti di spese di vitto, alloggio, viaggio, o trasporto con vettori diversi da quelli pubblici di linea di cui all’articolo 1 della legge 21/1992 (si tratta, in pratica, di taxi o noleggio con conducente, gli Ncc) attraverso bonifici bancari o postali, oppure con mezzi di cui all’articolo 23 del Dlgs 241/1997 (carte di credito e di debito, prepagate, assegni circolari e bancari).

Note spese ai dipendenti

Il primo intervento riguarda la disciplina dei rimborsi per spese di vitto e alloggio, nonché di trasporto e viaggio con taxi e Ncc, ai fini del reddito di lavoro dipendente e assimilato (Co.co.co. e amministratori di società). L’articolo 10 aggiunge un periodo al comma 5 dell’articolo 51 del Tuir prevedendo che i rimborsi ivi previsti non concorrono a formare il reddito solo se le spese sono pagate dal dipendente o dall’amministratore con mezzi tracciati. La norma si riferisce a tutte le spese regolate dal comma 5 e dunque non solo a quelle per trasferte fuori dal territorio comunale, ma anche alle spese per trasferte intercomunali (ancorché queste ultime siano già oggi integralmente tassate sul dipendente).

Dovranno essere chiarite le modalità di documentazione del pagamento tracciato da parte del dipendente, ad esempio fornendo copia fotografica degli scontrini dei Pos rilasciati dal taxista, non essendo ipotizzabile una raccolta cartacea di migliaia di documenti.

Limiti alla deducibilità

La norma interviene poi sulla deducibilità di queste spese in capo al contribuente che le sostiene. Per artisti e professionisti, il nuovo comma 6-ter dell’articolo 54 del Tuir stabilisce (fermi restando i limiti di deducibilità previsti dai commi 5 e 6, e dunque il 75% per alberghi e ristoranti, nel tetto massimo del 2% dei corrispettivi percepiti), le spese per prestazioni alberghiere o per somministrazione pasti, come pure quelle per trasporti a mezzo taxi e Ncc, che vengono addebitate analiticamente al cliente, nonché le spese rimborsate per trasferte svolte da dipendenti o lavoratori autonomi, sono deducibili solo se pagate con i richiamati mezzi tracciabili.

Anche per le imprese (articolo 95 Tuir), le spese di vitto e alloggio e i rimborsi analitici di spese di trasporto effettuati con taxi e Ncc diventeranno deducibili, dal 2025, soltanto se pagate con mezzi tracciabili e ciò sia se il costo è sostenuto direttamente, sia in presenza nota spese a piè di lista.

Infine, modificando l’articolo 108 del Tuir, si richiede il pagamento tracciato per dedurre (nei limiti delle soglie previste dal Dm 19 novembre 2008) le spese di rappresentanza sostenute dal prossimo esercizio.

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Eredità e successioni in Italia: un confronto con gli altri Paesi europei

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 28 Ottobre 2024 di Antonio Criscione

L’Italia che è un Paese di tartassati (in realtà non tutti) è però un vero paradiso fiscale per quanto riguarda l’imposta sulle successioni. Il gettito (come rivelava uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’università Cattolica) derivante dall’imposta sulle successioni e donazioni (Isd) in Italia è stato pari a soli 1.043 milioni nel 2022, lo 0,05 per cento del Pil e lo 0,18 per cento delle entrate totali.

Per avere un riferimento, basti pensare che (sempre secondo lo stesso studio) in Francia, per esempio, nel 2021 il gettito dell’imposta su successioni e donazioni è stato pari a 18,6 miliardi di euro, cioè lo 0,7 per cento del Pil: in altre parole, quattordici volte il gettito italiano in rapporto al Pil. La Germania si attesta allo 0,3 per cento del Pil con 9,8 miliardi di gettito. E comunque la media europea, ma anche in generale dei Paesi Ocse, è molto più alta.

Tassa di successione tra le più basse dei principali Paesi europei

«In Italia – commenta Francesco Scinetti, autore dello studio dell’Ocpi -, la tassa di successione è considerata una delle più basse tra i principali Paesi europei, tanto che il Bel Paese viene talvolta definito un “paradiso fiscale” in questo ambito. Se l’Italia si allineasse al gettito generato dalla Francia rapportato al Pil, si stimano 13 miliardi di euro in più di gettito rispetto al miliardo circa che raccoglie attualmente. Anche confrontandosi con Paesi come Spagna, Germania e Regno Unito, il gettito italiano risulta molto inferiore e con un adeguamento ai loro livelli l’Italia potrebbe ottenere circa 5 miliardi di euro in più». Il sistema fiscale italiano, secondo l’economista, è particolarmente vantaggioso per chi eredita grandi patrimoni, creando una disparità rispetto ad altri Paesi «dove l’imposta – spiega – non solo è molto più elevata, ma è anche progressiva a differenza della nostra aliquota “flat”, contribuendo quindi a un maggiore equilibrio redistributivo».

LE SCELTE PER L’EREDITÀ

Tabella riepilogativa delle imposte di successione

 
EREDI IMPOSTA DI SUCCESSIONE IMPOSTA DI TRASCRIZIONE IMPOSTA CATASTALE
Coniuge
Parenti in linea retta
PRIMA CASAALTRI IMMOBILIALTRI BENI Sul valore complessivo dei beni e diritti franchigia per ogni erede
1.000.000 euro
oltre la franchigia:
4%
200€2%– 200€1%–
Fratelli e sorelle PRIMA CASAALTRI IMMOBILIALTRI BENI Sul valore complessivo dei beni e diritti franchigia per ogni erede
1.000.000 euro
oltre la franchigia:
6%
200€2%– 200€1%–
Parenti fino al 4° grado
diversi da fratelli e sorelle
Affini in linea retta
Affini in linea collaterale
sino al 3° grado
PRIMA CASAALTRI IMMOBILIALTRI BENI Sul valore complessivo dei beni e diritti:
6%
200€2%– 200€1%–
Altri soggetti PRIMA CASAALTRI IMMOBILIALTRI BENI Sul valore complessivo dei beni e diritti:
8%
200€2%– 200€1%–
Soggetti portatori di handicap
Riconosciuto grave ai sensi della legge 5.2.1992 n.104
PRIMA CASA Sul valore complessivo dei beni e diritti:
franchigia per ogni erede 1.500.000 euro*
200 € 200 €

(*) Oltre la franchigia: se coniuge o parente in linea retta: 4%; se parente sino al 4° grado, affine in linea retta o affine in linea collaterale entro il 3° grado: 6%; negli altri casi: 8%

Franchigie e aliquota variabile dal 4 all’8 per cento a seconda del grado di parentela

Finora in Italia questo tema è sempre stato un vero e proprio tabù, tanto che nei mesi scorsi c’è stata una riforma della legge sull’imposta di successione, ma che non ha toccato franchigie e aliquote. Da noi quindi l’aliquota varia dal 4 all’8 per cento a seconda del grado decrescente di parentela e così anche le franchigie. Non sorprende quindi che (salvo ripensamenti dell’ultima ora) un inasprimento del prelievo sulle imposte di successione e donazione non sia entrato nella Manovra.

Cambiate le modalità di liquidazione dell’imposta

In ogni caso delle novità ci sono: grazie al Dlgs 139 del 18 settembre 2024 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre scorso). Come ricorda Antonio Tomassini, tributarista di Dla Piper e docente di diritto tributario: «Con il Dlgs di settembre la prima novità in materia di imposta di successione è che sono cambiate le modalità di liquidazione dell’imposta. Con la nuova disciplina l’imposta viene autoliquidata dal contribuente, come accade per le altre imposte e non più dall’ufficio». Si tratta di una semplificazione per il contribuente che così utilizza la stessa procedura per le imposte dovute: sia per quella sulle successioni, sia per quelle ipotecarie e catastali. Con il Dlgs, viene poi meglio delineato il quadro normativo per il passaggio generazionale delle aziende. «In qualche modo si può dire che si stabilizzano – continua Tomassini – le regole sul passaggio generazionale, attraverso ad esempio un patto di famiglia, che in ipotesi di trasferimento del controllo prevedono l’esenzione da imposta di successione e donazione per il trasferimento stesso».

COME VIENE TASSATA L’EREDITA’ ALL’ESTERO

Le modalità di applicazione dell’imposta di successione e donazione

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Niente tasse sul capital gain: Lugano lancia la sfida cripto

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 27 Ottobre 2024 di Alessandro Galimberti

Valute blockchain. Mentre Roma vara l’aumento del prelievo al 42%, in Ticino prende forma la città con acquisti diffusi in Bitcoin (e Lvga), grazie anche alle plusvalenze con zero imposizione sul reddito

Mentre Roma prepara la stangata fiscale sulle criptovalute – con l’aliquota del 42%, inserita nel disegno di legge di Bilancio 2025 per le plusvalenze e agli altri proventi da operazioni in blockchain – a un’ottantina di chilometri di strada da Milano sono già iniziati i festeggiamenti. Euforia dovuta non solo alla terza edizione di Lugano’s Plan B Forum (che si è svolta venerdì e ieri portando in Ticino guru digitali di mezzo mondo), kermesse pensata per celebrare l’esperimento di hub europeo di una città ideale (e reale) a misura di Bitcoin.

L’ipotesi che l’Italia chiuda, per via fiscale, a un mercato retail di 2,2 miliardi di euro (ultimo aggiornamento al 30 giugno scorso) e a 1,3 milioni di utilizzatori (di cui 900mila giovani e quasi giovani tra 18 e 39 anni) non può che elettrizzare la cittadina italofona sulle rive del lago Ceresio.

Dieci anni dopo la fine dell’epoca d’oro da paradiso fiscale e forziere in nero per italiani e gli sforzi, in larga parte riusciti, per rifarsi una reputazione, il Canton Ticino e la sua capitale finanziaria Lugano (terza piazza della Svizzera, non proprio retrovie) vedono salire nuove opportunità dal valico un po’ intristito di Chiasso, un tempo cruna miracolosa di ogni contrabbando e oggi ancora alle prese con una impegnativa rinascita.

«Ben vengano, gli italiani!» ha subito brindato il sindaco della “Lugano bella”, Michele Foletti, salvo poi fare subito una diplomatica retromarcia con distinguo da buona educazione («Non auguro il male a nessuno, volevo solo dire che noi siamo qui»), politeness a cui i ticinesi tengono sempre molto (si veda l’intervista in pagina). Ma certo, se i migranti digitali da Sud decidessero di muoversi verso le care sponde del lago condiviso con gli ultimi lembi d’Italia, molti qui si fregherebbero le mani.

Lugano oggi è una città di 60mila abitanti dove si può fare tutto senza avere un franco in tasca: basta tenere con sé un wallet digitale (cioè un’app nel telefono) alimentato da Bitcoin o Tether per pagare indifferentemente l’officina dell’auto, l’estetista, la pizza, l’enoteca, il ristorante o la palestra. E, ancora, il pet shop, l’ottica, il tattoo fino al…giornale. Meglio ancora se nel wallet si mette il «Lvga», la cripto autoctona del Ceresio accettata da oltre 400 esercizi commerciali che restituisce il 10% in cash back ad ogni acquisto; un «meccanismo che premia chi acquista locale e mantenendo il valore in città crea un effetto virtuoso con ricadute positive sull’intero circuito economico cittadino», spiega il portale di lancio con sfavillante pragmatismo elvetico. Anche perché «a differenza delle altre criptovalute i Lvga non possono essere scambiati con altre valute o criptovalute e non sono soggetti a fluttuazioni», con il valore ancorato al franco svizzero con un cambio fisso 100 Lvga= 1 Chf.

Così una città multiculturale, multietnica e poliglotta, che negli ultimi 40 anni ha saputo imboccare una trasformazione veloce e inarrestabile, vive contemporaneamente lo slancio tecnologico della blockchain e la conservazione delle tradizioni della comunità locale: oltre 20mila luganesi usano abitualmente il Lvga movimentando i 4mila wallet dedicati, numeri all’apparenza piccoli che però prendono altra luce se visti come percentuale della popolazione locale.

Quello che però può più interessare l’investitore privato (i possessori di criptovalute registrati in Italia sono per il 99,9% persone fisiche) è che in Svizzera le plusvalenze sono esenti da tassazione.

Come dire, in un impietoso confronto con il testo fiscale redatto nella medesima lingua ma 700 chilometri più a sud, zero per cento di tasse sui redditi contro 42 per cento.

L’unica condizione, a cui conviene attenersi a queste latitudini, è non essere un imprenditore o un operatore comunque professionale (si veda l’articolo sotto) e, soprattutto, non dissimularsi tale. Perché accoglienti sempre, ma fessi anche no.

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L’iscritto AIRE che riunisce nuda proprietà e usufrutto

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 28 Ottobre 2024 di Alfredo e Attilio Calvano

Un cittadino italiano – iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, residente e con sede di lavoro in Francia, come titolare di rapporto di lavoro dipendente – non ha mai presentato la dichiarazione dei redditi in Italia, dove detiene soltanto la nuda proprietà di alcuni immobili. È corretto tale comportamento?

Dato che, nel 2024, questo soggetto ha ereditato immobili affittati, e si è ricostituita la piena proprietà su quelli di cui era nudo proprietario, egli dovrà presentare la dichiarazione dei redditi in Italia per gli affitti? In caso di risposta positiva, dovrà dichiarare solo i redditi italiani o anche i redditi – di lavoro dipendente e immobiliari – percepiti in Francia?

Il cittadino italiano fiscalmente residente in Francia, avendo avuto fino a tutto il periodo d’imposta 2023 soltanto la nuda proprietà di immobili in Italia, non era qui tenuto ad alcun adempimento dichiarativo/impositivo, essendo questo obbligo incentrato sul titolare del diritto di usufrutto degli stessi.
A decorrere dal 2024, la sopravvenuta titolarità, in piena proprietà, di immobili, dati in locazione, comporta invece che, nel 2025, egli presenti in Italia la dichiarazione modello Redditi Pf (qualificandosi nel frontespizio come non residente) e assoggetti a tassazione i redditi fondiari così conseguiti (oltre all’assolvimento dell’Imu).
Sono invece esclusi dalla dichiarazione italiana tutti i redditi prodotti e percepiti in Francia dall’interessato lì residente (articolo 3, comma 1, del Dpr 917/1986, Tuir)

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Ncc, 6 miliardi di euro di tasse locali sparite nei paradisi italiani

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 2 Novembre 2024 di Gianni Trovati

Elusione. In Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige il 2% della popolazione e il 52,9% delle auto. Pronto un emendamento contro le sedi fittizie

ROMA

Sei miliardi di euro. Spariti. Trasportati verso il nulla da decine e decine di migliaia di auto a noleggio con conducente in fuga negli ultimi dieci anni verso i loro piccoli paradisi fiscali domestici rappresentati dalla Valle d’Aosta e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. Fuga solo sulla carta, ovviamente. Ma i soldi sono spariti davvero.

A calcolarli è una consulenza tecnica chiesta dalla Città metropolitana di Roma Capitale, che sta ravvivando il già fitto fronte giudiziario su cui combattono società di noleggio ed enti territoriali. Perché i miliardi sfumano dalle casse delle Regioni, che insieme alla sede legale delle società perdono la loro tassa automobilistica, e da quelle di Province e Città metropolitane, che non ricevono l’imposta di trascrizione e la quota di Rc Auto destinata agli enti di area vasta. Non è complicato immaginare la reazione di Roberto Gualtieri quando, nella sua veste di sindaco metropolitano di Roma, ha ricevuto i conti; e insieme a Beppe Sala a Milano, Gaetano Manfredi a Napoli e Roberto Lagalla a Palermo ha rilanciato una battaglia unisce i terreni legale e politico.

I quattro sindaci hanno scritto al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per chiedere «un’incisiva azione del Governo», e hanno proposto una norma condivisa con Anci e Upi che dovrebbe tradursi in un emendamento al decreto fiscale collegato alla manovra (c’è tempo fino a mercoledì alle 10) per ristabilire un principio semplice: quello della «interpretazione sostanziale della sede legale», secondo cui l’indirizzo ufficiale va posto, e le tasse si pagano, dove si svolge l’attività effettiva della società di noleggio.

Nei conteggi di Arianna Montagni, la tributarista che ha sviluppato la consulenza per Roma Capitale, solo le Città metropolitane hanno perso su queste strade due miliardi di euro, mentre il mancato gettito (mal)sopportato dalle Regioni vale il doppio, in una geografia che ha fin qui penalizzato soprattutto Lazio, Emilia-Romagna, Lombardia, Campania, Veneto e Piemonte. Sul tema sono fiorite le battaglie giudiziarie contro le società che si trasferiscono nelle placide valli ad autonomia speciale mentre le loro auto continuano a destreggiarsi nel traffico indiavolato dell’Italia ordinaria. Ma la giurisprudenza si è divisa fra chi, come le Corti di Giustizia Tributaria di Milano, Bologna e Mantova, riconosce l’esistenza dell’abuso del diritto e chi invece la nega, come la Corte di giustizia di Roma nel caso della Città metropolitana e in quello della Regione Lazio.

Ma più degli scontri giurisprudenziali, sono i numeri a mostrare l’entità plateale del fenomeno. Le immatricolazioni di auto a noleggio con conducente registrate dalla banca dati dell’Aci oggi in Italia sono 455.435, cioè 7,7 ogni mille abitanti. La sola Valle d’Aosta, dove vive lo 0,2% degli italiani, ne concentra però 36.566, cioè l’8% del totale.

Se tutte viaggiassero davvero fra Aosta e Champoluc, nella Vallée ci sarebbero tre auto con autista ogni 10 abitanti, neonati compresi, con un’intensità di servizio che si faticherebbe a trovare anche fra le corti arabe gonfie di petrodollari. Ma il reame vero dei noleggi con conducente è il Trentino Alto Adige, che con l’1,8% della popolazione raduna il 44,9% delle auto immatricolate in Italia e in teoria vede viaggiare sulle proprie strade 188,85 vetture con conducente ogni mille abitanti. Con il 2% della popolazione, i due piccoli territori autonomi sommano il 52,9% delle immatricolazioni. Il conto esclude le auto immatricolate in Polonia, Bulgaria o Repubblica Ceca, e iscritte nel registro dei veicoli esteri: sono 53mila, ma 35mila (il 66%) risultano circolanti in Campania, che per questa via perde 20 milioni di euro all’anno.

La Toscana, prima fra le Regioni ordinarie, ha meno di 20 Ncc ogni mille residenti, e in 14 Regioni, compresa la Lombardia che non è tra le più povere del pianeta, il rapporto è sotto l’uno a mille: cioè 200 volte inferiore a quello che si incontra sulle rive dell’Adige. Dove però le auto a noleggio non ci sono davvero, e nemmeno le società. Durante gli accertamenti in alcune delle tante controversie si è scoperto per esempio che in una sede dove avevano la loro casa ufficiale otto aziende di noleggio l’arredamento era limitato a un tavolino e tre sedie. Simile si è rivelata la dotazione un indirizzo che a Bolzano ospitava 63 società.

La spiegazione è fiscale. Perché l’imposta provinciale di trascrizione che si paga lassù è inferiore di circa il 30% a quella che si deve versare a Milano, Padova o Roma. Ma l’arma della concorrenza tributaria arriva spuntata negli enti dei territori ordinari, già alle prese con bilanci ridotti all’osso dalla lunga e ora epocale crisi dell’auto che prosciuga le entrate di un federalismo provinciale basato quasi solo sulla gomma. Negli anni le Province hanno quindi coralmente alzato l’imposta di trascrizione fino ai massimi consentiti dalla legge, ma il gettito ha continuato a diminuire: nel 2023 gli incassi si sono fermati a 1,04 miliardi, cioè il 6,8% in meno del 2019 (ma la differenza è del 19,4% considerando l’inflazione), e ancora peggio è andata alla quota provinciale dell’Rc Auto (nel 2023 a 1,15 miliardi, -23,4% reale rispetto a quattro anni prima). Ora l’ossigeno ai conti manca davvero. E gli amministratori hanno deciso di dire «basta». Per non soffocare.

LA GEOGRAFIA DELLE AUTO A NOLEGGIO

Le immatricolazioni di ncc nelle Regioni italiane – Classifica in base al numero di immatricolazioni ogni mille abitanti

REGIONE POPOLAZIONE IMMATRICOLAZIONI
NUMERO % SUL TOTALE NUMERO % SUL TOTALE OGNI MILLE ABITANTI
Valle d’Aosta 123.018 0,2 36.566 8,0 297,24
Trentino A. A. 1.082.116 1,8 204.358 44,9 188,85
Toscana 3.664.798 6,2 71.577 15,7 19,53
Piemonte 4.252.581 7,2 47.809 10,5 11,24
Lazio 5.720.272 9,7 49.755 10,9 8,70
Emilia-Romagna 4.455.188 7,6 29.217 6,4 6,56
Lombardia 10.020.528 17,0 8.683 1,9 0,87
Molise 289.413 0,5 182 0,0 0,63
Veneto 4.851.972 8,3 2.911 0,6 0,60
Umbria 854.378 1,5 440 0,1 0,51
Friuli-V. Giulia 1.195.792 2,0 391 0,1 0,33
Basilicata 533.636 0,9 152 0,0 0,28
Marche 1.484.427 2,5 416 0,1 0,28
Sicilia 4.794.512 8,2 1.115 0,2 0,23
Campania 5.590.076 9,5 995 0,2 0,18
Puglia 3.890.250 6,6 584 0,1 0,15
Calabria 1.838.150 3,1 155 0,0 0,08
Abruzzo 1.269.963 2,2 66 0,0 0,05
Liguria 1.508.847 2,6 63 0,0 0,04
Sardegna 1.569.832 2,7 0 0,0 0,00

Fonte: elaborazione su dati Aci e Istat

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Neo-residenti, flat tax raddoppiata sui redditi esteri

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 8 Ottobre 2024 di Antonio Longo

LE ALTRE NOVITÀ

È definitivo l’aumento da 100mila a 200mila euro della flat tax sui redditi esteri per i “neo-residenti”.

Con la conversione in legge, senza modifiche, dell’articolo 2 del Dl 113/2024 cambia per la prima volta dalla sua introduzione nel 2017 il regime fiscale speciale dell’articolo 24-bis del Tuir. Per il solo anno 2022 (dati Mef su dichiarazioni fiscali 2023) questo regime ha portato in Italia 957 soggetti, che si sono aggiunti ai 2.678 già trasferiti negli anni precedenti, e il complessivo pagamento di 89.750.000 euro a titolo di imposta forfettaria.

I neo-residenti sono le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia e optano per l’assoggettamento all’imposta sostitutiva dei redditi prodotti all’estero, a condizione che non siano state fiscalmente residenti in Italia per un tempo almeno pari a nove periodi d’imposta nel corso dei dieci precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione.

L’aumento dell’imposta voluto dal Governo, che tiene conto anche di dinamiche inflazionistiche, non sembra in grado di compromettere il successo di questa misura di attrazione.

L’innalzamento dell’imposta è, infatti, l’unica modifica e di fatto sancisce ad oggi la stabilità del regime nel suo complesso.

Secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del Dl 113/2024, la nuova caratura del tributo (che non riguarda i familiari dei contribuenti principali, i quali continueranno a pagare l’importo ridotto di 25mila euro) si applica solo ai soggetti che hanno trasferito in Italia la residenza ai fini dell’articolo 43 del Codice civile successivamente alla data di entrata in vigore del Dl, cioè dopo il 10 agosto. Per chi è già nel regime, è garantita l’irrilevanza dell’incremento.

Il riferimento testuale della clausola di salvaguardia è al concetto di residenza civilistica, cioè al luogo in cui la persona ha la dimora abituale, mentre il domicilio coincide con il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. In sede di discussione parlamentare, alcuni emendamenti avevano proposto di allungare il periodo di salvaguardia e consentire l’adesione al regime esistente a coloro che avessero investito specifiche risorse in attività economiche o iniziative filantropiche, stile «visto investitori».

Nessuna di queste proposte ha visto la luce, ma non per questo il regime sembra destinato ad un cono d’ombra. Al contrario, si ritiene che l’Italia continuerà ad essere in cima tra le destinazioni più ambite per gli individui con redditi e patrimoni (potenzialmente ancora più) ingenti, potendo offrire un regime fiscale chiaro e rodato, rispetto ad esempio alle recenti incertezze sul «res non dom» nel Regno Unito.

Inoltre, non si dimentichi che l’Italia è un Paese europeo e membro del G7 e quindi si qualifica spesso come destinazione strategica anche per ragioni di investimento. I neo-residenti contribuiscono alle casse erariali sia direttamente, con il pagamento dell’imposta forfettaria sui proventi esteri e delle imposte progressive sui redditi italiani, sia per i molteplici effetti, anche ai fini della fiscalità indiretta, derivanti dai consumi, oltre ad essere spesso protagonisti di nuove iniziative imprenditoriali e filantropiche.

In questo contesto, è da segnalare la giusta posizione innovativa che l’agenzia delle Entrate (interpello n. 159/2024) ha recentemente espresso, secondo cui un contribuente in possesso dei requisiti per esercitare l’opzione ex articolo 24­bis può, nei periodi d’imposta successivi, revocarla ed accedere – nel rispetto delle altre condizioni – al regime speciale per i lavoratori impatriati (ora articolo 5 del Dlgs 209/2023). Con ciò favorendo anche l’ulteriore possibile sviluppo di attività lavorative in Italia incentivate dalla detassazione parziale del (nuovo) reddito di fonte domestica in alternativa al regime di vantaggio sui soli redditi esteri.

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