Veicoli con targa estera: altra stretta sui furbetti e arrivano le multe

7 Febbraio 2022

Il Sole 24 Ore 10 gennaio 2022 di M.Cap.

Obbligo di registrazione al Pra entro tre mesi, ma resta il nodo reperibilità

Dopo tre anni controversi, cambia la stretta contro i “furbetti della targa estera”. Ma le novità non sanano tutte le criticità rilevate dalla Corte Ue e toccano solo in parte chi “si organizza” con leasing, noleggio e comodato all’estero. Inoltre, in caso di incidente, si creano problemi non affrontati nemmeno dalla nuova direttiva sulla Rc auto (articolo sotto).

Il fenomeno dei “furbetti”, iniziato negli anni Novanta, era esploso con gli inasprimenti fiscali del 2011 sull’auto: per evitare le tasse di iscrizione al Pra (Ipt) e proprietà (bollo), il caro assicurazione Rc auto, le notifiche delle multe e gli indici di reddito utilizzati dal Fisco, non pochi residenti in Italia hanno iniziato a circolare con targa estera. Alcuni italiani con vetture di lusso in leasing o noleggio, molti altri stranieri con auto più normali e vecchie.

Il Dl 113/2018 ha stroncato molti tra questi ultimi. Ha modificato l’articolo 93 del Codice della strada vietando ai residenti da più di 60 giorni di guidare veicoli immatricolati all’estero. Salvo noleggio o leasing presso operatori Ue o See (Spazio economico europeo) che non abbiano in Italia una sede secondaria o effettiva. L’altra eccezione era per dipendenti o collaboratori di aziende Ue o See che davano loro un veicolo in comodato. Sanzioni: multa di 711 euro e confisca (evitabile immatricolandolo in Italia entro 180 giorni).

La Legge europea 2019-2020 approvata definitivamente dalla Camera il 21 dicembre introduce un articolo 93-bis, con vari correttivi. Includendo anche i rimorchi, modulando le sanzioni e allargando le esenzioni (ai mezzi targati San Marino). Ma soprattutto viene in parte riformulato il divieto: i veicoli con targa estera di proprietà di residenti in Italia possono circolare nel Paese per tre mesi da quando l’interessato ha preso la residenza italiana. Quindi c’è un mese in più per adeguarsi, ma le sanzioni scattano anche se guida un residente all’estero, perché conta chi è il proprietario.

Il conducente resta rilevante quando è persona diversa dal proprietario e risiede in Italia: qui occorre a bordo «un documento, sottoscritto con data certa dall’intestatario», con titolo e durata della disponibilità del veicolo (prima necessario solo per leasing, noleggio o comodato). Quando il residente in Italia (o una persona giuridica con sede nel Paese) dispone del veicolo per più di 30 giorni «anche non continuativi, nell’anno solare», scatta un trattamento analogo a quello previsto dal Codice (articolo 94, comma 4-bis) per i mezzi immatricolati in Italia utilizzati da chi non ne è proprietario: titolo e la durata della disponibilità vanno registrati dall’utilizzatore in un elenco che sarà tenuto dal Pra. La registrazione va aggiornata in caso di cambi di disponibilità o di residenza. Registrazione anche per i mezzi di proprietà di lavoratori subordinati o autonomi che esercitano attività professionale in uno Stato limitrofo o confinante; i loro familiari conviventi residenti in Italia possono guidarli.

In caso di circolazione con targa estera senza documento o registrazione, quest’ultima va effettuata dal conducente «immediatamente».

I mezzi registrati sono soggetti al Codice italiano. Quindi si incide sul problema delle multe, che saranno notificate a chi ha disponibilità del veicolo in Italia, sempreché sia reperibile. Si vedrà se questa “nazionalizzazione” sarà interpretata anche nel senso di consentire la revisione in Italia, finora impossibile. Ma non si incide sull’evasione di Ipt e bollo, che non sono nel Codice: occorrerebbe targare il mezzo in Italia. Certo, la reimmatricolazione è obbligatoria anche col nuovo articolo 93-bis, ma come in passato è evitabile riportando il mezzo all’estero.

L’obbligo di reimmatricolare pare poi confermare una criticità sollevata dalla Corte Ue il 16 dicembre (sentenza sulla causa C-274/20) sulla norma precedente: l’uso temporaneo di veicoli in un altro Stato Ue è qualificabile come movimento di capitali, quindi tutelato dall’articolo 63 del Tfue vietando le misure tali da dissuadere i residenti dal contrarre prestiti in altri Stati membri. Secondo la Corte, l’obbligo di reimmatricolazione in Italia è come una tassa sul comodato d’uso transfrontaliero, che favorisce quello nazionale.

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I costi pubblicitari sproporzionati non sono deducibili

7 Febbraio 2022

Il Sole 24 Ore 29 gennaio 2022 di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Per i giudici occcorre rifarsi alle dimensioni dell’azienda

La spesa di pubblicità di entità abnorme rispetto agli interessi ed alle dimensioni dell’impresa non è inerente e dunque non è deducibile.

Con la sentenza n. 2597 depositata ieri, la Corte di cassazione ridimensiona i suoi precedenti in termini sulla nozione di inerenza, tornando per certi versi alla posizione assunta dalla stessa giurisprudenza prima del 2018.

La vicenda affrontata dalla Corte riguardava una spesa di pubblicità ritenuta incongrua dall’Ufficio e ammessa in deduzione solo in quota minoritaria.

Al riguardo, i giudici hanno preso le mosse dagli ultimi arresti giurisprudenziali sul tema, secondo cui l’inerenza non trova legittimazione nell’articolo 109 comma 5 del tuir, trattandosi di un principio posto a fondamento del reddito d’impresa. In sostanza, l’inerenza dovrebbe essere meglio considerata come un concetto “pre giuridico” che delinea il collegamento tra la spesa e il programma d’impresa del contribuente.

In forza di tale impostazione, si è pertanto affermato che la valutazione dell’inerenza richiede una indagine di tipo essenzialmente qualitativo e non quantitativo, sebbene l’eventuale sostenimento di costi anti economici è stato dalla medesima Corte ritenuto indizio dell’assenza di inerenza degli stessi.

Con la sentenza in commento, la Corte precisa innovativamente che in realtà la nuova e la vecchia impostazione sull’istituto in esame non divergono poi molto. Ciò perché, sebbene l’inerenza richieda non già un giudizio ex post sull’effetto della spesa in termini di ricavi conseguiti – dovendosi tener conto del rischio d’impresa – bensì una valutazione prognostica dell’impatto della stessa sull’attività commerciale, laddove questa evidenzi la sproporzione del costo emergerebbe comunque l’estraneità del componente negativo rispetto al reddito d’impresa. Si afferma in particolare che il concetto di inerenza richiede la prova dell’utilità del servizio remunerato, così di fatto smentendo i precedenti in termini della stessa Corte, a partire dall’ordinanza n. 450/2018.

Non può d’altro canto sottacersi come questo nuovo indirizzo di legittimità si ponga altresì in evidente contrasto con i principi ben delineati dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 262/2020.

In tale pronuncia, la Consulta ha infatti correttamente rilevato che il legislatore ha identificato per gli imprenditori il presupposto dell’imposizione nel possesso di un “reddito complessivo netto”.

Tale indice di capacità contributiva risulta caratterizzato dal principio di inerenza, che giustamente la stessa Consulta individua in quel giudizio di carattere qualitativo, che opera su un livello “preventivo” generale e più alto rispetto alle singole disposizioni del Tuir, essendo volto a cogliere se si realizza quel necessario collegamento, anche in via prospettica, tra il componente economico e l’attività imprenditoriale.

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Patrimoni. Addio Montecarlo, ora è Dubai il paradiso dei tennisti (e Vip)

7 Febbraio 2022

Il Sole 24 Ore 29 gennaio 2022 di Simone Filippetti

Prossimo a trasferirsi Stefanos Tsitsipas

Il legame tra gli Emirati e Londra

Paradisi fiscali.  Il tennista greco Stefanos Tsitsipas sta per trasferire la sua residenza dal Montecarlo a quelle di Dubai

Agli Australian Open, il primo torneo Atp dell’anno che apre il circuito internazionale, l’Italia del tennis vive ancora un momento felice dopo la gloria di Londra dell’estate 2021: il romano Matteo Berrettini ha battuto un altro record: è approdato in semifinale, tra i primi 4 del torneo.

Dal cartellone, però, manca un nome importante. Il grande assente è Novak Djokovic, il pluricampione numero uno al mondo, NoVax conclamato. Mentre il tennista serbo è stato costretto a rinunciare al trofeo, rispedito indietro alla frontiera, un altro tennista faceva uno spostamento dall’altra parte del mondo e di tutt’altro tipo: il greco Stefanos Tsitsipas, numero tre al mondo che ha sconfitto ai quarti di finale l’altro italiano in gara Jannik Sinner, sta perfezionando tutte le pratiche per trasferire la sua residenza dalle palme di Montecarlo a quelle di Dubai. Il tennista di Atene è solo l’ultimo di una serie di atleti che si sono spostati sul Golfo Persico. La “Las Vegas” del Medio Oriente si sta affermando come la nuova “casa” preferita per celebrità e “paperoni”, grazie a un regime di tassazione che è un paradiso, non fiscale ma legale.

Negli Emirati Arabi Uniti non esistono tasse sul reddito personale, equivalente dell’Irpef. Assenti anche tasse sulla proprietà (Imu e simili) e imposte di registro sugli immobili; non pervenute le tasse sui guadagni finanziari e la ritenuta d’acconto. L’odiata Iva è a livelli bassissimi: fino a pochi anni fa non esisteva nemmeno e solo dal 2018 è stata introdotta a un risibile 5%: livello che fa sorridere qualsiasi cittadino europeo, abituato a un’imposta sul valore aggiunto che si aggira attorno al 20%. Questo bengodi era finora stato riservato alla privilegiata cerchia di cittadini EAU o chi aveva un visto, molto difficile da ottenere.

Negli ultimi anni, però, come evidenzia un recente studio di Pwc, Dubai ha abbassato molto la soglia per essere ammessi. Ora è possibile avere un Investor Visa (visto d’affari), applicabile a chi apre società a Dubai e a personalità di spicco. Ecco da dove nasce il fenomeno del trasloco da Montecarlo. Per creare una società negli Emirati, uno straniero può detenere al massimo il 49% del capitale, il 51% deve essere in mano a un cittadino locale. Tuttavia nelle zone franche distribuite in tutto il Paese, uno straniero può costituire una società al 100% di proprietà.

Ciliegina sulla torta, ora è possibile anche aprire Family Office, con un’impalcatura regolatoria mutuata dalla Fca, la Consob inglese: manna dal cielo per atleti e vip. Dubai sta diventando un po’ Londra e allo stesso tempo, Londra si sta Dubaizzando, partendo dai paperoni. «Da Londra notiamo un grande flusso di persone e società verso Dubai» osserva Alessandro Belluzzo dello studio Belluzzo International di Londra. Il nuovo asse Londra-Dubai poggia sul recente accordo per la Doppia Imposizione. Chi sceglie Dubai come residenza, pagherà le (poche) tasse solo lì, senza problemi in Uk. «Il fenomeno – prosegue Belluzzo- non interessa solo gli atleti, che in fondo sono dei globetrotter. Molte persone facoltose stanno scegliendo di basare le proprie famiglie da Londra o da Montecarlo a Dubai». Dalla «Ronaldo Tax» al principato di Monaco, da Londra a Dubai, è sfida globale ad attrarre i ricchi. A suon di sgravi e incentivi.

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Le novità previste dal 2022 per gli scambi con San Marino

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 13  dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)

Dal 2022, con l’abolizione dell’esterometro, tutte le fatture attive o passive transfrontaliere dovranno adottare il formato elettronico. Questo vale anche per operazioni intrattenute con San Marino?

Il decreto del ministero dell’Economia e delle finanze del 21 giugno 2021 sembra consentire il cartaceo, per certificare gli scambi di beni fino al 30 giugno 2022, esclusivamente con tale Paese. Invece, per i servizi, l’opzione analogica non ha limitazioni temporali. Significa che dal 2022 il Fisco rinuncia, parzialmente, all’informazione derivante dalle fatture estere con San Marino prima fornita con l’esterometro?

Per quel che riguarda i rapporti con San Marino, nel caso si adotti anche nei primi sei mesi del 2022 la fatturazione cartacea, il cedente italiano deve comunque emettere la fattura elettronica. A tale scopo sono previste due procedure.

La prima procedura, stabilita per tutte le cessioni nei confronti di operatori non residenti, prevede di indicare nel codice destinatario la sequenza di sette caratteri «XXXXXXX» specificando nel campo partita Iva del cessionario/committente il codice «OO99999999999» (due volte la lettera O e 11 volte il numero 9). Peraltro, nel caso in cui il cliente sia un privato consumatore, il campo dev’essere compilato con il codice numerico «0000000» (contenente sette volte il numero zero).

La seconda procedura, prevista dal decreto del giugno 2021, citato dal lettore, permette l’emissione della fattura elettronica, riportando il codice destinatario attribuito all’Ufficio tributario di San Marino – 2R4GTO8 – e il codice operativo del committente sammarinese.

Per quanto riguarda gli acquisti, analogamente a quanto avviene nel caso di operazioni di acquisto presso operatori unionali, l’acquirente dovrà inviare allo Sdi (sistema di interscambio) la fattura predisposta sulla base di quella ricevuta dal cedente sammarinese.

Infine, per quanto attiene alle prestazioni di servizi, dal 1° gennaio 2022, anche per le prestazioni di servizi realizzate in favore di committenti residenti nella Repubblica di San Marino, sarà sempre necessario predisporre la fattura in formato elettronico, con la possibilità di utilizzare le due procedure appena indicate. Tuttavia, la seconda procedura, che prevede l’utilizzo del codice destinatario dell’Ufficio tributario sammarinese, è consentita soltanto in presenza di prestazioni non rilevanti territorialmente, commissionate da operatori economici sammarinesi.

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Pagamenti in contanti con tetto a 999,5 euro

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 4 gennaio 2022 di Valerio Vallefuoco

LOTTA AL NERO

Il nuovo limite, operativo dal 1° gennaio, va arrotondato ai 5 centesimi più vicini

Per gli stranieri opera una deroga fino a 15mila euro

Valerio Vallefuoco

L’anno nuovo comporta l’entrata in vigore in Italia dell’ennesima restrizione all’uso del contante. Dal 1° gennaio è infatti vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro (si confronti l’articolo 49 del Dlgs 231/2007). Quindi, sul territorio nazionale per i cittadini italiani sarà possibile eseguire pagamenti in contanti solo fino a 999 euro e 5 centesimi, cifra esatta figlia della circostanza che il divieto scatta dalla soglia di mille euro e dal 1° gennaio 2018, per motivi legati ai costi della produzione delle monetine da 1 e 2 centesimi, l’importo da pagare deve essere arrotondato per eccesso o per difetto ai 5 centesimi più vicini alla cifra dell’importo richiesto (si veda l’articolo 13 quater del Dl 50/2017).

Per gli stranieri che spendono in Italia è prevista invece una deroga disciplinata dall’articolo 3 del Dl 16/2012, convertito nella legge 44/2012. Grazie a essa, per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legati al turismo effettuati da persone con cittadinanza diversa da quella italiana e che abbiano residenza fuori del territorio dello Stato italiano il limite per il trasferimento di denaro contante è infatti elevato a 15mila euro. La deroga dei pagamenti è soggetta, tuttavia, ad alcuni adempimenti posti a carico del venditore del bene o del servizio acquistato, tra cui l’invio di una comunicazione all’agenzia delle Entrate e il deposito dell’incasso il giorno successivo presso un intermediario autorizzato.

I trasferimenti superiori ai limiti, indipendentemente dalla loro causa o dal loro titolo, sono vietati anche quando sono effettuati per mezzo di più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati. I trasferiemnti superiori possono essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane Spa, istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento. La normativa antiriciclaggio definisce quale sia un’operazione frazionata, definendo come tale un’operazione unitaria sotto il profilo del valore economico, di importo pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai limiti, effettuate in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni. Resta ferma la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale.

Per le violazioni delle disposizioni sulla limitazione del contante si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da mille a 50mila euro, con il minimo edittale ridotto anch’esso dal 1° gennaio 2022.

L’unica nota dolente è rappresentata dal fatto che questa restrizione tutta italiana inserita nella normativa antiriciclaggio potrebbe essere in contrasto con le norme dell’Unione europea che prevedono il parere obbligatorio della Bce sulla materia, la quale aveva peraltro sollecitato ufficialmente sia nel dicembre 2019, sia nel maggio 2020 un proprio coinvolgimento: richiesta inascoltata dal Governo dell’epoca.

Infine, una piccola riflessione: ma in un periodo in cui nell’Europa occidentale si è arrivati a un valore complessivo di scambio pari a 46.3 miliardi di dollari di transazioni in criptovalute, noi continuiamo invece a occuparci di limitare i pagamenti in moneta legale e non solo a monitorarli?

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Fattura in esenzione da Iva per la società di San Marino

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 3 gennaio 2022 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)

Una società, che effettua trasporti per conto terzi, deve emettere una fattura per la prestazione di un servizio di trasporto nei confronti di una società di San Marino?
Si chiede conferma del fatto che l’operazione è esente da Iva e, in caso di risposta affermativa, si chiede altresì qual è l’articolo di legge da richiamare in fattura per l’esenzione. P.O. Pesaro

Quella descritta dal quesito è effettivamente una operazione fuori campo Iva, per carenza del presupposto territoriale, ex articolo 7–ter del Dpr 633/1972.
Pertanto dev’essere emessa fattura a norma dell’articolo 21, comma 6–bis, lettera b, del Dpr 633/1972, con l’indicazione che si tratta di un’operazione non soggetta a imposta sul valore aggiunto.

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Non imponibile la riparazione in Italia dell’auto extra–Ue

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 13 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)

Se residenti in Svizzera, o in un altro Paese extra–Ue, fanno riparare un’auto (o fanno effettuare il cambio gomme) in Italia, si è in presenza di una operazione imponibile ai fini Iva? (F.T. Zurigo)

Le prestazioni di riparazione auto, così come il cambio degli pneumatici, sono rilevanti ai fini Iva se commissionate da privati residenti in Paesi extra–Ue (ex articolo 7–sexies, comma 1, lettera d, del Dpr 633/1972), mentre sono fuori campo Iva se commissionate da operatori economici, sempre residenti in Paesi extra–Ue (ex articolo 7–ter dello stesso Dpr).
Tuttavia, nel caso in cui le prestazioni siano rilevanti ai fini Iva, l’articolo 9, comma 1, n. 9, del Dpr 633/1972 prevede che operi il regime della non imponibilità.

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Scambi con San Marino, rimangono le regole Iva per i beni e alcuni servizi

13 Gennaio 2022

l Sole 24 Ore lunedì 27 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani

Doppio binario da seguire per le fatture elettroniche obbligatorie e facoltative

Il Dm 21 giugno 2021 che regola i rapporti di interscambio con la Repubblica di San Marino, ai fini Iva dispone soltanto in ordine alle operazioni in cui vi è un materiale trasferimento dei beni da un Paese all’altro: operazioni per le quali dal 1° luglio 2022 le fatture dovranno essere emesse e accettate in formato elettronico (mentre fino al 30 giugno la e-fattura resta facoltativa). Ne consegue che, in tutte le operazioni in cui manca questo trasferimento fisico dei beni, la soluzione per applicare l’imposta non può essere individuata nel regolamento ministeriale, ma nelle disposizioni generali che regolano la disciplina Iva.

Ciò non toglie che la scadenza del 1° gennaio potrebbe essere utilmente sfruttata dalle aziende che intendono realizzare tutti i propri processi di fatturazione solamente in formato elettronico, sia pure tenendo presente che le fatture elettroniche obbligatorie hanno un percorso differente da quelle facoltative.

Asimmetrie e differenze

L’articolo 20 del Dm consente (si tratta dunque di una possibilità e non di un obbligo) di trasmettere fatture elettroniche al Sdi, per prestazioni di servizi fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale, con il codice destinatario dell’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e il codice operativo del committente operatore economico sammarinese. Ma ciò non deve trarre in inganno. Questa possibilità è infatti una deroga concessa solo agli operatori italiani quando effettuano operazioni non rilevanti Iva per carenza del presupposto territoriale nei confronti di operatori economici sammarinesi. E non è ammessa per le prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, né per le prestazioni realizzate da operatori sammarinesi.

L’evidente mancanza di simmetria tra le prestazioni eseguite dagli operatori dei due Paesi e le differenze poste per le prestazioni eseguite da operatori nazionali determinano numerose incertezze operative.

A tale riguardo, è bene puntualizzare che dagli operatori sammarinesi non potranno mai pervenire a committenti italiani fatture in formato elettronico trasmesse tramite il Sdi, come avviene per le importazioni di beni provenienti da San Marino. Peraltro, per le prestazioni di servizi i documenti emessi da operatori sammarinesi non hanno alcuna valenza ai fini Iva e sono in tutto parificabili a quelli emessi da operatori di altri Paesi extra Ue.

In sostanza, si tratta di documenti rilevanti civilisticamente tra prestatore estero e committente nazionale, emessi per determinare l’operazione e per il conseguente pagamento, ma non acquisiscono alcuna valenza fiscale, ai fini dell’assolvimento dell’Iva.

Fatture e rilevanza Iva

Per assolvere l’imposta, è necessario che siano osservate le procedure stabilite all’articolo 17, comma 2, del Dpr 633/72 che richiedono l’emissione di un’autofattura e la sua annotazione nel registro delle fatture emesse e in quella degli acquisti: quel che è comunemente denominato reverse charge o doppia annotazione o inversione contabile.

Nelle prestazioni di servizi realizzate da operatori sammarinesi, potrebbe creare qualche equivoco la circostanza che sui documenti sono spesso presenti delle attestazioni (tramite timbrature) dell’ufficio tributario di San Marino, ma – a differenza di quanto avviene per le cessioni di beni – queste non hanno alcuna rilevanza nei rapporti con l’Italia.

L’unico caso in cui gli operatori sammarinesi sono obbligati a emettere fattura riguarda le prestazioni realizzate in favore di privati o soggetti assimilati che siano territorialmente rilevanti in Italia. In questo caso, al pari di tutti gli operatori non stabiliti in Italia, essi devono nominare un proprio rappresentante fiscale, secondo le disposizioni dell’articolo 17, comma 3, del Dpr 633/72.

La circostanza che chi emette la fattura sia un rappresentante fiscale consente l’emissione di una fattura cartacea anziché elettronica.

In alternativa alla nomina del rappresentante fiscale, agli operatori stabiliti nell’Unione europea è concessa la possibilità di identificarsi direttamente; ma ciò non è consentito agli operatori sammarinesi che devono nominare necessariamente un proprio rappresentante fiscale, quando sono obbligati ad assolvere l’imposta in Italia.

Quanto all’esterometro, si ricorda che esso è obbligatorio laddove l’operazione non sia supportata da una fattura elettronica. Evidentemente ciò vale anche nelle operazioni attive e passive realizzate con residenti della Repubblica di San Marino.

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Il Lussemburgo brinda alla Brexit, approdo per i capitali in fuga

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 15 dicembre 2021 di Simone Filippetti

Flussi. Nel Granducato 500 miliardi usciti dalla City a caccia di un passaporto europeo. Il Paese è già diventato nuova capitale di private equity e venture

La ragazza dietro al bancone del Florence Cafè, un minuscolo bar con due tavolini, serve cappuccini a una clientela intirizzita. Fuori è una gelida e nebbiosa giornata di novembre, dove un grigio tetro avvolge tutta la città di Lussemburgo. Viene dal Canada e ha aperto la sua piccola attività appena 4 mesi fa: gli affari vanno benissimo e non se lo aspettava. Quello del Florence Cafè non è un caso isolato: il Lussemburgo è in pieno boom economico. Esempi più macroscopici sono le decine di gru e i cantieri di immobili di lusso nella zona. Per le strade gelide la gente tira dritto, tra restrizioni pesanti e utilizzo smodato delle mascherine, ma anche se fosse più socievole nessuno ammetterebbe una verità, per pudore: la Brexit è un grande regalo per il Lussemburgo. Dopo l’uscita dalla Ue a Capodanno e il mancato accordo di giugno sull’industria finanziaria, molti capitali sono arrivati nel GranDucato da Londra. Senza “passaporto” finanziario, banche e intermediari sono stati costretti a spostare una parte di attività e flussi sul continente. E tra tutti i paesi europei molti hanno scelto quello più simile alla Gran Bretagna.

Da quando è scattata la Brexit, il Lussemburgo è diventato un approdo sicuro. A Kirchberg, la City finanziaria del Granducato, l’agenzia pubblica LFF-Luxembourg For Finance esordisce con una frase diplomatica: «Con la Brexit tutti ci perdono», osserva il ceo Nicolas Mackel. Ma poi il funzionario ammette che nella nuova geofinanza europea «il Lussemburgo sta beneficiando dell’addio di Londra». I numeri parlano di un afflusso di capitali notevole: ha fatto clamore il caso di M&G che ha spostato 42 miliardi di euro da Londra nel paese europeo.

Non esistono cifre ufficiali, ma l’authority lussemburghese stima che dal Tamigi siano affluiti circa il 10% delle masse gestite nel paese: 500 miliardi su un totale oltre 5.500 miliardi di euro. «Grazie agli inglesi, ma non ci cambia la vita» commenta Mackel. «La fuga dei capitali da Londra al Lussemburgo? Sì c’è, ma è in atto da tempo, da prima del 2021» osserva un banchiere italiano. Il 2020 era già stato l’anno del sorpasso del Granducato: il paese ha superato il Regno Unito come domicilio più popolare per venture capital e private equity europeo.

La Brexit si sta manifestando in due effetti: il primo, più immediato lo si è visto il 2 gennaio 2021 quando tutti i derivati in Euro hanno lasciato la Borsa di Londra per trasferirsi ad Amsterdam e la piazza olandese superò la City come controvalore giornaliero. Ma quello è stato un fenomeno immediato e unico, già metabolizzato dal sistema. Nel Lussemburgo è in corso, invece, un processo carsico: è un flusso meno appariscente, ma costante, che non fa notizia. È un fenomeno molto più ampio della sola Brexit: da paradiso fiscale dentro la Ue, con una reputazione discutibile, in 10 anni si è riconvertita alla finanza ufficiale, uscendo dal sommerso del segreto bancario. Avendo già infrastrutture giuridico-finanziaria efficiente ha attratto i capitali dichiarati e alla luce del sole.

Una lenta erosione attacca Londra e di altri centri europei: tutte le piazze finanziarie del continente sono solo centri per servire i mercati domestici (Borsa Italiana è il caso più eclatante). Dopo Londra, solo il Lussemburgo è l’unico hub internazionale della finanza. Nessuno, però, qui si fa troppe illusioni: non sarà certo il Granducato a detronizzare il Regno Unito. Londra rimarrà la capitale della finanza in Europa: l’anno scorso i fondi di investimento alternativo hanno totalizzato 866 miliardi di euro in gestione, a cui si aggiungono altri 581 miliardi di fondi “speculativi”. La Brexit non è l’Apocalisse paventata da molti, specie nell’industria della finanza. I banchieri che si sono mossi sono stati pochi: si calcola circa 7mila su un totale di 200mila addetti nel mondo della finanza. Briciole, dunque: appena il 3% del settore. Il grande e temuto esodo non c’è finora stato né ci sarà. «Chi doveva spostare personale lo ha ormai fatto, il fenomeno si è già esaurito» nota Stefano Vecchi, capo del Private Banking di Unicredit in Lussemburgo. Non si è esaurito, invece, quello dei capitali: «L’impatto della Brexit è sulle attività più che sulle persone – prosegue Mackel – in uno scenario a 5-10 anni, molta parte del business si sposterà da Londra sull’Europa» ma tra le righe si intende il Lussemburgo. C’è già il caso di Singapore: il private banking della città-stato avrebbe dovuto aprire a Londra il suo quartier generale europeo; poi si è dirottata sul Granducato. Il paese sta diventando l’hub europeo di gestione del risparmio delle banche mondiali, per le attività intra Ue: la stessa Intesa SanPaolo, la più grande banca italiana, ha appena comprato un grande immobile nel complesso di Cloche D’Or, la seconda City dove trasferirà tutti i suoi uffici. A spiegare il successo non c’è solo la Brexit: molti capitali affluiscono da dentro i confini di Eurolandia. A partire dall’Italia: Roma ha un rating Tripla B, mentre il Granducato, sempre area euro, è un paese Tripla A, un bunker inespugnabile. È un arbitraggio interno: molti patrimoni che sono in euro e che non vogliono lasciare la moneta unica, preferiscono però spostarsi da paesi ad alta instabilità o ad alto rischio fiscale ad altri più sicuri, sempre dentro la divisa comunitaria. Il Lussemburgo prende il meglio dei due mondi: attira da una parte capitali Ue e dall’altra capitali da Londra. «Siamo figli del padre Jacques Delors, del suo libro bianco sul mercato unico; e siamo figli della madre Margaret Tatcher, con le sue privatizzazioni e una macchina statale snella» conclude Mackel. Il non detto, ma intuito, è che il Granducato e la City cresceranno entrambe, a scapito di tutti gli altri paesi. La Brexit non sposterà gli equilibri geo-economici su larga scala, ma intanto il Lussemburgo brinda a un felice Natale.

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Non imponibilità solo con requisiti oggettivi, soggettivi e territoriali

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 1 dicembre 2021 di Alessandra Caputo

CESSIONI INTRA-UE

L’operazione deve comportare un passaggio di proprietà del bene a titolo oneroso e il trasferimento dall’Italia ad altro Stato Ue

Le cessioni intracomunitarie sono operazioni non imponibili ai fini Iva; tuttavia, affinché la non imponibilità trovi applicazione, è necessario il rispetto di specifiche condizioni. L’articolo 41, comma 1, lettera a) del Dl 331/93, che recepisce l’articolo 138 della direttiva 112/2006/Ce, definisce cessioni intracomunitarie le operazioni, poste in essere tra due operatori identificati ai fini Iva in due Stati membri dell’Ue, che comportino il trasferimento fisico dei beni da un territorio all’altro dell’Ue e il passaggio di proprietà o di un altro diritto reale, a titolo oneroso.

Dalla definizione presente nella norma, si desume che una operazione può correttamente configurarsi come cessione intracomunitaria (e quindi beneficiare della non imponibilità) solo se risultano verificati un presupposto soggettivo, un presupposto oggettivo e uno territoriale.

Il presupposto soggettivo si considera verificato se l’operazione è posta in essere tra due operatori soggetti passivi identificati in due Stati membri; è, quindi, necessario che la transazione avvenga tra un cedente italiano e un acquirente stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia. Affinché possa considerarsi verificato il presupposto oggettivo è necessario:

1 che l’operazione sia onerosa;

2 che comporti il passaggio di proprietà, o di un altro diritto reale di godimento, dal cedente al cessionario;

3 l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia ad un altro Stato membro, ciò indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

I presupposti devono essere contemporaneamente verificati; l’assenza anche solo di uno tre qualifica l’operazione come “interna” con la conseguente applicazione dell’Iva secondo le regole contenute nel Dpr 633/1972.

La direttiva 2018/1910

Sul punto occorre poi ricordare che a decorrere dal 1° gennaio 2020, a seguito delle modifiche previste dalla direttiva Ue 2018/1910 all’articolo 138 della direttiva Iva, il numero di identificazione Iva del cessionario e il modello cessioni intra-Ue diventano requisiti sostanziali per poter applicare la non imponibilità Iva alle cessioni intracomunitarie. Nel nuovo articolo 138 della direttiva 2006/112/Ce è previsto che gli Stati esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Ue, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, a condizione che:

i beni siano ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;

il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione sia identificato ai fini dell’Iva in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva.

È previsto che l’esenzione non si applichi qualora il cedente non abbia rispettato l’obbligo di presentare un elenco riepilogativo o l’elenco riepilogativo da lui presentato non riporti le informazioni corrette riguardanti la cessione. Per effetto delle modifiche di cui si è appena detto, il fornitore italiano dovrà chiedere al proprio cliente l’identificativo Iva e controllare nel Vies l’esistenza e la validità del numero fornito e provvedere alla compilazione e all’invio dell’elenco Intrastat riepilogativo delle cessioni intra-Ue.

Doing business in San Marino

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