Contanti senza riscontro ai fornitori? Legittimo presumere ricavi in nero

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 4 ottobre 2021 di Davide Settembre

Non risultano prelievi pari al saldo delle fatture e mancano prove contrarie

La Cassazione.  Indice di «nero» il mancato riscontro tra fatture e prelievi bancari

È legittimo l’operato dell’ufficio fiscale che accerta i ricavi “in nero” nel caso in cui un imprenditore paghi i fornitori in contanti senza provare che tali somme siano state prelevate dal proprio conto corrente, su cui vengono incassati i ricavi contabilizzati. È quanto hanno stabilito, in sintesi, i giudici della Commissione tributaria provinciale di Torino con la sentenza 708/2/2021, depositata il 7 settembre scorso (presidente Bianconi, relatore Gurgone).

Nell’ambito di alcuni controlli ai sensi del Dl 78/2010, convertito nella legge 122/2010 (spesometro), l’ufficio aveva chiesto al contribuente di esibire tutta la documentazione contabile relativa al 2015. In particolare, dall’analisi della documentazione era emerso che i ricavi contabilizzati venivano versati sul conto corrente del contribuente (un imprenditore) che provvedeva invece a pagare i fornitori in contanti.

Tuttavia, dal conto corrente risultavano prelievi di importo decisamente inferiore alle somme utilizzate per pagare i fornitori. Da ciò, l’ufficio aveva presunto che tali provviste erano state pagate (almeno in parte) con ricavi non contabilizzati e aveva pertanto notificato al contribuente un atto di accertamento per recuperare a tassazione tali somme. L’imprenditore aveva tuttavia impugnato l’avviso dinanzi i giudici di primo grado.

I giudici piemontesi hanno respinto il ricorso. In particolare, hanno evidenziato nella sentenza che, dall’analisi della documentazione (fatture, estratti conto bancari eccetera), era emerso che gli incassi contabilizzati erano versati sul conto corrente dell’imprenditore che pagava molto spesso in contanti i fornitori.

Tuttavia, dal conto corrente non risultavano prelievi pari al saldo delle fatture in contanti. Pertanto, doveva dedursi che le stesse erano state pagate con somme che non erano transitate dal conto corrente e che quindi erano “in nero”.

Secondo i giudici l’ufficio, nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo, aveva operato sulla scorta di dati oggettivi forniti dallo stesso contribuente che non aveva provato come aveva saldato il debito esposto nelle fatture contabilizzate. I giudici hanno richiamato una sentenza della Cassazione in base alla quale il fatto che un’azienda adempia le proprie obbligazioni in contanti costituisce indice di reddito sul quale basare una rettifica presuntiva (sentenza 19902/2008).

In particolare, hanno ricordato i giudici, per la Cassazione è legittima la presunzione relativa alla sussistenza di una contabilità parallela non denunciata, qualora le uscite di cassa non abbiano trovato riscontro nelle scritture contabili: ove le fatture non trovino riscontro nei dati bancari, si deve concludere che la provvista utilizzata provenga da ricavi non contabilizzati, in assenza di prova contraria da parte del contribuente.

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Il datore può controllare il pc usato dal dipendente

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 23 settembre 2021 di Giampiero Falasca

Deve esistere un fondato sospetto di illecito prima di avviare la verifica

L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori si applica sui controlli collettivi

Il datore di lavoro può svolgere controlli tecnologici su un singolo lavoratore se emerge un fondato sospetto circa la commissione di un illecito anche in assenza delle condizioni previste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, a patto che sussistano alcune condizioni: deve essere assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione dei beni aziendali e la tutela della dignità personale, e il controllo deve riguardare dati acquisiti dopo l’insorgenza del sospetto.

Con l’affermazione di questo principio di diritto, la Cassazione (sentenza 25732/21 pubblicata ieri) ricostruisce i principi da applicare in tema di controllo a distanza dei lavoratori nel caso in cui sussista il sospetto della commissione di un illecito.

La controversia riguarda una Fondazione che ha subito un danno alla rete informatica per via di un virus. A seguito di accertamenti effettuati sul computer di una dipendente, l’ente ha appurato che tale virus era stato introdotto nella rete aziendale attraverso un file scaricato dalla lavoratrice da siti web visitati per ragioni private, estranee all’attività lavorativa. La dipendente è stata licenziata, sia per aver utilizzato i mezzi informatici messi a disposizione dal datore di lavoro per fini privati, sia per i danni causati al patrimonio aziendale dalla sua condotta; oltre ha impugnare il licenziamento, la lavoratrice ha ottenuto un provvedimento del Garante Privacy con il quale è stata intimata al datore di lavoro l’immediata interruzione di qualsiasi ulteriore trattamento dei dati personali.

Dopo diverse pronunce contrastanti, la vicenda è finita in Corte di cassazione, dove i giudici di legittimità, con la sentenza 25732, hanno fatto ordine sui principi guida da applicarsi su un tema così delicato, anche tenendo conto delle innovazioni all’articolo 4 dello Statuto apportare nel 2015 dal Jobs Act.

La Suprema corte ha, innanzitutto, fatto chiarezza sul tema dei cosiddetti “controlli difensivi”, ricordando che è necessario distinguere tra i controlli che vengono svolti a difesa del patrimonio aziendale e che riguardano tutti i dipendenti, e i controlli relativi a singoli lavoratori verso i quali sussiste il fondato sospetto della commissione di un illecito. La prima tipologia di controlli, secondo la sentenza della Corte, rientra pienamente nel campo di applicazione dell’articolo 4 dello Statuto e, come tale, è soggetta alle regole e alle procedure previste da tale norma, a pena di illegittimità dei controlli medesimi. La seconda tipologia di controlli, invece, deve ritenersi estranea al perimetro applicativo dell’articolo 4, in quanto scaturisce dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore: questo vuol dire che se un datore di lavoro sospetta che un dipendente stia commettendo un illecito, può effettuare controlli a distanza utilizzando strumenti tecnologici senza seguire le rigide procedure previste dallo Statuto dei lavoratori.

Questa facoltà, secondo i giudici, incontra un limite importante: il controllo difensivo dovrebbe essere attuato ex post, ossia dopo che il datore di lavoro abbia avuto il fondato sospetto che sia stato compiuto un illecito da parte di uno o più lavoratori. Questo tipo di controllo può, inoltre, estendersi solo alla raccolta delle informazioni acquisite dal quel momento in poi, non potendo invece abbracciare le informazioni e i dati acquisiti senza il rispetto dell’articolo 4 prima di quel momento: in tal modo, infatti, si finirebbe per estende a dismisura l’area del controllo difensivo.

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Operazioni Ue–San Marino con un doppio passaggio

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 20 Settembre 2021 di Giampaolo Giuliani

Iva Ue–extra Ue

Una società, con sede nella Repubblica di San Marino e con codice operatore economico, acquista all’interno della Ue beni (senza compilare il documento di transito T2) tramite il suo rappresentante fiscale in Italia con partita Iva. Questi acquisti vengono assoggettati a Iva mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge. I beni in questione possono essere rivenduti dal rappresentante fiscale in Italia alla società con sede nella Repubblica di San Marino con codice operatore economico?

W.B.RIMINI

L’operazione descritta dal lettore è possibile, a condizione che il trasporto dei beni non avvenga direttamente dal Paese Ue a San Marino, ma avvenga in due tratte distinte: la prima con partenza dal Paese Ue e arrivo in Italia, la seconda con partenza dall’Italia e arrivo a San Marino. Si veda al riguardo la risoluzione 123/E/2009.

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L’e-fattura con San Marino cancella l’Intrastat cessioni

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 28 Settembre 2021 di Matteo Balzanelli Massimo Sirri

Da venerdì avvio facoltativo Obbligo dal 1° luglio 2022 solo per transazioni di beni

Niente elenchi riepilogativi per chi effettua anche vendite intracomunitarie

Uno degli effetti più graditi dell’avvio della fatturazione elettronica negli scambi con San Marino, facoltativa da venerdì 1° ottobre e obbligatoria (ma solo per la compravendita di beni) dal 1° luglio 2022, è senz’altro la scomparsa dell’obbligo di presentare gli elenchi Intrastat delle vendite per chi esegue anche cessioni intracomunitarie (quelli per gli acquisti già non andavano presentati). Altra buona notizia è che la fatturazione elettronica dovrebbe escludere l’esterometro. L’abolizione dell’Intrastat consegue all’entrata in vigore del Dm 21 giugno 2021 che non prevede più l’adempimento. Per tale motivo, l’obbligo dovrebbe sparire anche se è emessa fattura cartacea (finché possibile). Viene meno anche l’obbligo di annotazione nel registro Iva vendite dei riferimenti della fattura vistata dall’ufficio tributario estero. Entrambe le violazioni erano comunque state considerate irrilevanti ai fini del regime di non imponibilità delle cessioni verso San Marino (Cassazione 24479/2018 e 21811/2016). La non imponibilità resta però subordinata (articolo 5 del Dm) alla convalida di regolarità dell’e-fattura da parte dell’ufficio sammarinese o al possesso della fattura cartacea timbrata dallo stesso ufficio. Il cedente nazionale deve disporre delle fatture “validate” entro 4 mesi dall’emissione. In mancanza, occorre regolarizzare le operazioni con nota di variazione in aumento entro il trentesimo giorno successivo alla scadenza dei quattro mesi. Solo così non sono dovute sanzioni né interessi. Visto che l’articolo 1, comma 6 del nuovo decreto prevede che la cessione si consideri effettuata per l’importo fatturato o incassato in anticipo rispetto alla consegna dei beni, è necessario monitorare attentamente il termine dei quattro mesi dall’emissione della fattura non imponibile, tenendo conto che la documentazione necessaria per la disapplicazione dell’imposta è collegata all’importazione a San Marino. Attenzione anche alle fatture cartacee. Con modalità (che è consigliabile siano) tracciate, occorre infatti comunicare all’ufficio di San Marino e per conoscenza alle Entrate la mancata ricezione, nei 4 mesi dall’emissione della fattura, dell’esemplare vistato. Si pone dunque la questione del termine entro cui inviare la comunicazione, visto che l’articolo 4, comma 3 del Dm afferma solo che, se «entro trenta giorni» il cedente non ha ricevuto l’esemplare della fattura vidimata, si deve applicare l’imposta. Una lettura rigida potrebbe significare che l’intera procedura (comunicazione agli uffici e regolarizzazione) debba perfezionarsi entro trenta giorni dalla scadenza dei quattro mesi, sempre che, naturalmente, entro tale termine non sia stato ricevuto il documento vidimato. Pertanto, i cedenti nazionali dovranno attivarsi per eseguire la comunicazione non appena scaduti i 4 mesi dalla fatturazione. Sul fronte acquisti, se il cedente sammarinese ha emesso fattura elettronica con o senza applicazione dell’Iva (le due modalità in uso sono confermate), la detrazione e l’integrazione della fattura sono vincolate all’esito del controllo delle Entrate e al rilascio della fattura estera da parte dello Sdi. La fattura cartacea dev’essere vidimata dall’ufficio di San Marino. Se è stata emessa con Iva, la detrazione è subordinata alla ricezione dell’originale vistato. Se è senz’Iva, l’integrazione va eseguita sempre disponendo dell’esemplare vistato. La mancata ricezione o la ricezione di una fattura irregolare vanno “sistemate” nei termini dell’articolo 6, comma 9-bis del Dlgs 471/97 (reverse charge). Poiché il momento d’effettuazione degli acquisti è ancorato solo all’inizio del trasporto, come negli acquisti intracomunitari, e nulla è previsto (a differenza delle cessioni dall’Italia) per l’anticipazione del momento d’effettuazione in caso di acconti, ne dovrebbe derivare che un pagamento anticipato al fornitore sammarinese non comporti obblighi di regolarizzazione se non è ricevuta fattura, rilevando a tale fine solo la partenza dei beni.

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Accertamento da studi di settore bocciato senza il contraddittorio

7 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore lunedì 27 settembre 2021 di Giorgio Emanuele Degani Damiano Peruzza

Strumento per assicurare il rispetto dei principi di collaborazione tra le parti

La Ctr di Reggio Calabria si adegua all’orientamento della Corte di cassazione

In caso di accertamenti standardizzati, l’omesso contraddittorio preventivo comporta la nullità dell’atto impositivo. Questo è il principio di diritto reso dalla Commissione tributaria regionale di Reggio Calabria con la sentenza n. 481/8/2021 (presidente Epifanio, relatore Pagano) in un caso di accertamento standardizzato basato sugli studi di settore. In particolare, i giudici hanno ribadito l’importanza del principio del contraddittorio preventivo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, strumento essenziale per assicurare il rispetto dei principi di collaborazione e buona fede tra le parti.

Il caso

L’agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento standardizzato basato sugli studi di settore. Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Ctp, eccependo, tra gli altri, la nullità dello stesso per non essere stato attivato il contraddittorio di cui all’articolo 5, Dlgs 218/1997. Il primo grado accoglieva il ricorso e l’ufficio interponeva appello. La Ctr ha respinto il gravame, rilevando la mancata attuazione del contraddittorio tra le parti nella fase procedimentale antecedente all’emissione dell’avviso di accertamento. Secondo i giudici di appello, l’accertamento standardizzato si fonda sull’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e suddivisi per categorie; detti dati consentono di determinare il reddito del contribuente. Durante la fase amministrativa–procedimentale, incombe sul contribuente l’onere di allegare e provare la sussistenza delle condizioni che giustificano l’esclusione dello stesso dall’area dei soggetti a cui possono essere applicate le risultanze dell’accertamento standardizzato, ovvero l’argomentazione circa la specifica realtà e situazione economica che giustifichi il conseguimento del minor reddito. Al contempo, spetta all’amministrazione finanziria dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto alla fattispecie concreta, con la precisazione delle ragioni per le quali vengono disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

Contraddittorio preventivo

È dunque evidente che l’esperimento del contraddittorio con il contribuente e la puntuale valutazione delle relative risultanze costituiscono elementi essenziali ed imprescindibili da porre a fondamento della ripresa erariale; ciò, in quanto, le risultanze standardizzate devono essere adeguate alla realtà del singolo contribuente, solo così potendo far emergere degli elementi idonei a commisurare la presunzione alla concreta realtà economica dell’impresa. Il contraddittorio preventivo endoprocedimentale diviene un momento essenziale ed imprescindibile, la cui assenza determina la nullità dell’accertamento.

La pronuncia risulta essere corretta e conforme all’orientamento giurisprudenziale di legittimità (da ultimo, Cassazione 2848/2021), secondo cui il contraddittorio è una primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Pertanto, nell’ipotesi di accertamento standardizzato, l’assenza dell’espletamento dello stesso comporta la nullità della pretesa impositiva.

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E-fattura con San Marino, verifica dell’Agenzia per la detrazione Iva

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore 6 agosto 2021 di Matteo Balzanelli Massimo Sirri

Anche il reverse charge sarà applicabile dopo l’ok dei controlli preventivi

Confermata la centralità dei servizi di consultazione delle Entrate per il funzionamento della fatturazione elettronica nell’interscambio italo-sammarinese (facoltativa da ottobre 2021 e obbligatoria, ma solo per le cessioni/acquisti di beni, dal 1° luglio 2022). È quanto prevedono le regole tecniche contenute nel provvedimento 211273 del 5 agosto, emanato in base all’articolo 21 del Dm 21 giugno 2021, per dare attuazione alle disposizioni che dal 1° ottobre 2021 disciplineranno i rapporti con la Repubblica di San Marino.

Dal portale «Fatture e corrispettivi», l’operatore nazionale potrà infatti visualizzare non solo i dati delle fatture elettroniche emesse e ricevute con operatori di tale Stato, ma ottenere anche le informazioni sull’esito dei controlli delle fatture di vendita/acquisto. Per le cessioni a San Marino, la verifica positiva da parte dell’ufficio tributario estero legittima il regime di non imponibilità Iva. L’articolo 3 del Dm prevede che il controllo sia eseguito entro i quattro mesi successivi all’emissione della fattura e che, in caso di esito negativo, il soggetto nazionale regolarizzi l’operazione operando la variazione ex articolo 26 del Dpr 633/1972 nei trenta giorni successivi. Se è eseguita entro tale termine, la regolarizzazione non comporta il pagamento di interessi né di sanzioni. Per gli acquisti da fornitori sammarinesi, l’informazione dell’esito positivo dei controlli effettuati dalla direzione provinciale delle Entrate di Pesaro-Urbino (competente in materia) sulle fatture elettroniche trasmesse dall’ufficio di San Marino consente al cessionario nazionale di esercitare la detrazione dell’Iva (in caso di cessioni con addebito dell’imposta, ai sensi dell’articolo 7 del Dm) ovvero di procedere all’assolvimento del tributo mediante applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (cessioni senza addebito Iva, ex articolo 8 del Dm). È confermato che le regole tecniche di predisposizione/trasmissione/ricezione delle fatture elettroniche sono quelle stabilite dal provvedimento 30 aprile 2018 e successive modifiche, così come confermata è la funzione del Sistema d’interscambio (Sdi).

Le regole tecniche richiamano la possibilità di emettere fattura elettronica anche per le prestazioni di servizi nei confronti dei soggetti sammarinesi, i quali la riceveranno dal proprio ufficio tributario che a sua volta la riceverà dallo Sdi. Per i servizi, l’e-fattura sarà facoltativa anche a regime (1° luglio 2022) e potrà essere emessa in tale formato per le prestazioni territorialmente rilevanti fuori Ue, come espressamente previsto dall’articolo 20 del decreto del 21 giugno.

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Nelle transazioni tra Italia e San Marino obbligo di e-fattura solo per la cessione di beni

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore lunedì 23 agosto 2021

Emissione elettronica facoltativa dal 1° ottobre Obbligo dal 1° luglio 2022

Per le prestazioni di servizi, invece, la scelta resta comunque discrezionale

A cura di Massimo Sirri Riccardo Zavatta

Ancora pochi mesi di vita per l’attuale Dm del 24 dicembre 1993 sull’interscambio con San Marino.

Dal 1° ottobre, infatti, entrerà in vigore il decreto 21 giugno 2021 (in Gazzeta ufficiale 168 del 15 luglio 2021) il quale, in conformità all’accordo del 26 maggio scorso, prevede la fatturazione elettronica nelle transazioni con l’Italia. Da quella data, quindi, gli operatori di entrambi i Paesi potranno, se vorranno, emettere le e-fatture, anziché fatture cartacee (le regole d’attuazione sono nel provvedimento 211273/2021). Dal 1° luglio 2022, l’emissione e l’accettazione delle e-fatture diventerà obbligatoria, salvo specifiche esclusioni di legge (per esempio, i soggetti nazionali in regime forfettario). L’obbligo, però, riguarderà solo le cessioni di beni, mentre, per le prestazioni di servizi rese dai soggetti nazionali, l’e-fattura sarà facoltativa anche dopo il 30 giugno 2022.

Si tratta di un aspetto che merita attenzione, perché la fatturazione elettronica per i servizi agli operatori economici sammarinesi che abbiano comunicato il proprio identificativo è riservata, a norma dell’articolo 20 del decreto, unicamente alle operazioni fuori campo Iva in quanto rilevanti fuori della Ue, per le quali è obbligatoria l’emissione della fattura ex articolo 21, comma 6-bis, lettera b), Dpr 633/1972. In tal caso, la fattura elettronica è inviata al sistema d’interscambio, che la trasmette all’ufficio tributario sammarinese che la recapita al proprio operatore, al pari di quanto avverrà per quelle relative alle cessioni di beni.

Questi limiti impongono che le prestazioni diverse da quelle di cui sopra, com’è nel caso della locazione di un immobile in Italia, non possano essere oggetto di e-fattura, salvo che l’operatore italiano non decida di utilizzare tale formato indicando sette “X” nel codice destinatario, come per tutte le transazioni con operatori esteri. In questo caso, tuttavia, la fattura elettronica “si ferma” allo SdI (adempiendo l’obbligo comunicativo dell’esterometro) e non sarà trasmessa all’ufficio tributario sammarinese, mentre l’operatore nazionale dovrà mettere a disposizione del committente estero una copia cartacea della fattura.

Le regole da applicare

Tornando alle cessioni di beni, il decreto rivisita, confermandone l’impianto, la procedura per gli acquisti da San Marino che possono essere con o senza applicazione dell’Iva in fattura (in quest’ultimo caso l’Iva è assolta in inversione contabile). Al riguardo, si osserva che, per le fatture elettroniche ricevute con addebito del tributo, il soggetto nazionale può esercitare la detrazione solo dopo aver ricevuto dalle Entrate la conferma telematica di regolarità dell’operazione, visualizzabile con i servizi di consultazione sul portale Fatture e Corrispettivi. Per le fatture cartacee continua a rilevare l’originale timbrato dall’ufficio sammarinese. In caso di mancata ricezione della fattura o di ricezione di un documento irregolare, il decreto prevede la regolarizzazione nei termini di cui all’articolo 6, comma 9-bis, Dlgs 471/97 in materia di violazioni al regime del reverse charge ossia entro il 30esimo giorno successivo alla scadenza dei 4 mesi dalla data d’effettuazione dell’operazione (in caso di mancata ricezione della fattura), data che, per le cessioni/acquisti di beni, coincide con l’inizio del trasporto/spedizione. Eventuali regolarizzazioni oltre detti termini non sarebbero più gratuite, ma si ritiene applicabile il ravvedimento operoso.

Per le vendite dall’Italia, la mancata convalida di regolarità della fattura elettronica o la mancata ricezione dell’esemplare cartaceo vidimato dall’ufficio di San Marino implicano l’obbligo di regolarizzare il documento emesso in regime di non imponibilità. La regolarizzazione avviene con nota di variazione in aumento e senza pagamento di sanzioni e interessi, se eseguita nei 30 giorni successivi allo scadere dei quattro mesi dall’emissione della fattura. Da notare che, fra le condizioni per la non imponibilità delle cessioni a operatori sammarinesi, il Dm non prevede più l’annotazione sul registro ex articolo 23, Dpr 633/72, né la redazione e presentazione del modello Intrastat delle vendite per tali operazioni (adempimento a suo tempo illustrato dalla risoluzione 83/1997). Gli unici obblighi comunicativi competono all’ufficio tributario sammarinese per le fatture cartacee emesse/ricevute da operatori economici dello Stato.

IL DECRETO MINISTERIALE

1

L’emissione

Dal 1° ottobre è possibile emettere e ricevere e-fatture per le operazioni

con San Marino. Per le cessioni di beni fra operatori economici dei due Stati, l’e-fattura diviene obbligatoria dal primo

luglio 2022. Nessun obbligo è invece previsto in caso

di prestazioni di servizi.

I soggetti nazionali

potranno emettere fatture elettroniche in relazione ai servizi extraterritoriali, come previsto dall’articolo

21, comma 6 bis,

lettera b), del Dpr 633/72

2

Iva o reverse charge

La tassazione degli acquisti da San Marino continua ad avvenire secondo le due modalità in uso: applicazione dell’Iva in fattura da parte del fornitore sammarinese o assoggettamento a reverse charge a opera del cessionario. Se il fornitore estero emette fattura elettronica con applicazione dell’imposta, l’acquirente nazionale può esercitare il diritto di detrazione solo dopo il riscontro positivo del riversamento del tributo comunicatogli dalle Entrate

3

L’imposta

Il regime di non imponibilità delle vendite a San Marino, anche se documentate da fattura elettronica, è subordinato alla verifica dell’assolvimento dell’imposta all’importazione in tale Stato. L’agenzia

delle Entrate mette a disposizione dell’operatore un canale telematico

per accertare l’esito del controllo eseguito

dall’ufficio tributario sammarinese sulla regolarità della fattura emessa elettronicamente

4

Fattura cartacea

In caso di emissione di fattura cartacea, la cessione si considera non imponibile Iva se il cedente nazionale è in possesso della fattura restituita dal cessionario estero, datata e munita del timbro a secco con lo stemma sammarinese. L’emissione del documento di trasporto è obbligatoria sia in caso di fattura elettronica sia se è emessa fattura cartacea. Ai fini della non imponibilità delle vendite a San Marino non è più richiesta la presentazione del modello Intrastat delle cessioni

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Frodi Iva, il destinatario si presume in buona fede

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore 18 agosto 2021 di Laura Ambrosi Antonio Iorio

Per la Cassazione va provata la consapevolezza di evadere l’imposta

Per la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione deve provare, anche se in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.

A confermare il principio è la Cassazione, con l’ordinanza 22969/2021 depositata ieri. La pronuncia è importante perché concerne contestazioni molto diffuse: in presenza di cessioni e/o prestazioni realmente avvenute, se il fornitore ha commesso delle violazioni (omesso versamento d’imposte, assenza di struttura idonea eccetera) l’Agenzia, pressochè automaticamente, ritiene responsabile anche l’acquirente, riprendendo a tassazione l’Iva detratta. Salvo che l’acquirente non fornisca prova della sua buona fede, che normalmente non viene riconosciuta dagli Uffici con la conseguente necessità di intraprendere un contenzioso.

La sentenza, oltre a ribadire che l’onere probatorio in queste ipotesi incombe sul fisco e che occorre tutelare la buona fede del contribuente acquirente, ha condannato l’Agenzia, che ha proseguito il contenzioso nonostante la ripetuta soccombenza nei gradi di merito, al pagamento delle spese legali.

Nella specie, l’ufficio contestava a una società l’indebita detrazione Iva per l’asserita consapevole contabilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti. Sia in primo grado, sia in appello la rettifica era annullata per difetto di motivazione circa la consapevole partecipazione della società agli illeciti di chi aveva emesso le fatture. Nonostante la doppia soccombenza, l’ufficio ricorreva per Cassazione.

I giudici di legittimità hanno confermato la decisione favorevole al contribuente. Secondo la Cassazione, in tema di Iva quando l’amministrazione ritenga sussistenti operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti ha l’onere di fornire elementi probatori sul fatto che l’operazione non sia stata effettuata, o sia stata emessa, da un soggetto non controparte. In relazione, poi, alle operazioni soggettivamente inesistenti, sorge la tutela della buona fede del contribuente anche in applicazione della giurisprudenza Ue e, a tal fine, l’ufficio ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione di imposta.

In sostanza occorrono indizi sul fatto che il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale o che comunque egli disponeva di indizi idonei a porre nell’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Nella specie tali elementi erano del tutto assenti e pertanto la Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia.

Si spera che ulteriori pronunce della specie (e condanne alle spese legali) possano far soprassedere gli uffici da contestazioni analoghe, spesso immotivate, che comportano oneri significativi in capo ai contribuenti i quali, di sovente, hanno la sola colpa di aver intrattenuto rapporti con fornitori poi rivelatisi evasori fiscali, senza ottenere comunque alcun beneficio.

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Tassazione del trust, cambio di rotta dopo 13 anni e oltre cento Cassazioni

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore lunedì 30 agosto 2021 di Angelo Busani

L’Agenzia ha accettato che l’imposta di donazione non si applica all’atto di dotazione

La circolare sarà operativa dopo il 30 settembre al termine della consultazione

Se si toglie la questione della tassazione dell’atto di dotazione del trust, non c’è mai stato un altro caso, nella storia dell’imposta di registro e dell’imposta di donazione, nel quale siano occorse più di 100 decisioni della Cassazione, per “strappare” all’amministrazione finanziaria un documento che contenesse un’inversione di rotta rispetto a un suo precedente orientamento.

Con la pubblicazione, avvenuta l’11 agosto 2021 (si veda Il Sole 24 Ore del 12 agosto), del documento di consultazione che, dopo la scadenza del 30 settembre prossimo, diventerà una circolare “vera e propria”, il Fisco dunque ha preso atto, finalmente che non c’è più spazio per la sua originaria interpretazione, formulata all’indomani della reintroduzione, nel nostro ordinamento, dell’imposta di donazione (con il decreto legge 262/2006).

L’interpretazione iniziale

Nelle circolari dell’agenzia delle Entrate n. 48/E del 6 agosto 2007 e n. 3/E del 22 gennaio 2008, l’atto di dotazione del trust era stato inteso come un presupposto di applicazione dell’imposta di donazione: l’argomento fondante di questo ragionamento era che, avendo il legislatore aggiunto (innovando rispetto alla normativa previgente) i “vincoli di destinazione”, accanto alle donazioni, quali presupposti di applicazione dell’imposta di donazione, doveva allora discendersene che anche la dotazione del trust – il quale è, per così dire, il “principe” dei vincoli di destinazione – avrebbe dovuto essere percossa con l’imposta di donazione.

La Cassazione in un primo tempo aderì a questo orientamento, con le ordinanze 3735/2015, 3737/2015, 3886/2015 e 5322/2015 e con la sentenza 4482/2016, con ciò sconfessando l’opinione (sostenuta nella maggioritaria giurisprudenza di merito e dalla dominante dottrina) secondo cui l’incremento patrimoniale che il trustee ottiene con l’atto di dotazione del trust non avrebbe dovuto ricevere tassazione per la ragione che si tratta di un incremento non definitivo, ma transitorio, in quanto strumentale all’attuazione del programma delineato dal disponente nell’atto istitutivo del trust.

Quest’ultima tesi fece bensì un timido capolino in Cassazione (nella sentenza 21614/1016) ma senza riuscire nemmeno a scalfire l’orientamento espresso in precedenza, poiché la giurisprudenza di legittimità solo nel 2018 compì un parziale dietro-front; con la sentenza 13626/2018 e le ordinanze 31445/2018 e 734/2019 si ammise infatti che non avrebbe dovuto applicarsi l’imposta di donazione solo al trust autodichiarato (quello nel quale il disponente si auto-nomina quale trustee) e al trust traslativo con attribuzione transitoria al trustee (si pensi al trust liquidatorio, istituito al fine di gestire le spettanze creditorie verso un soggetto indebitato), restando invece applicabile l’imposta di donazione ad ogni altro tipo di trust (e così, ad esempio, ai trust di passaggio generazionale). L’agenzia delle Entrate comunque non battè ciglio e continuò con la tassazione di qualsiasi atto di dotazione del trust.

L’inversione di rotta

Si è giunti così alla terza e decisiva “fase” della giurisprudenza di Cassazione, che ebbe inizio con la sentenza 1131 del gennaio 2019 nella quale l’atto di dotazione di qualsiasi tipo di trust venne dichiarato non tassabile con l’imposta di donazione, in quanto si intese non più considerarlo in termini di manifestazione di capacità contributiva: quando la legge sull’imposta di donazione menziona i vincoli di destinazione, si deve leggere la norma nel senso di applicare l’imposta di donazione non in ogni caso, ma solo nel caso in cui l’attuazione del vincolo di destinazione produce un incremento stabile (a titolo gratuito) del patrimonio di un dato soggetto.

Di lì in avanti, fino ai giorni nostri, una travolgente valanga di pronunce di Cassazione pressoché tutte eguali, ad iniziare dalla prima decina pubblicata nei mesi di giugno e di luglio del 2019 (le sentenze 15453, 15455, 15456, 16700, 16701, 16705, 19167, 19319 e 22754 e l’ordinanza 19310) ha dunque sospinto l’Agenzia a diramare il documento di consultazione che preannuncia il superamento delle circolari 48/E/2007 e 3/E/2008.

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Il contribuente può sempre opzionare la disciplina Ue più favorevole

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore 2 settembre 2021 di Marco Piazza

La Cassazione dopo quasi 20 anni mette fine a un caso di doppia imposizione

No del Fisco a una società Uk nonostante la disciplina della circolare 151/E/2004

Una recente sentenza della Cassazione ( 20646/2021) ha riconosciuto il diritto di una società inglese a beneficiare della previsione contenuta nell’articolo 10, comma 4, lettera b) della convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Regno Unito in relazione a dividendi distribuiti da una società italiana e percepiti nel 2003.

Colpisce il fatto che questo lungo contenzioso riguardi una casistica già disciplinata sul piano procedurale da una circolare (151/E del 2004) che aveva confermato la sussistenza del diritto.

L’articolo 10, comma 4, lettera b) della convenzione Italia Inghilterra stabilisce in sostanza che una società residente del Regno Unito che detiene, anche insieme a società collegate, almeno il 10% della società italiana che eroga il dividendo ha diritto a un importo pari al 50% del credito d’imposta che sarebbe spettato se il dividendo stesso fosse stato percepito da una persona fisica italiana (all’epoca 9/16 del dividendo). Il diritto è subordinato alla duplice condizione che il dividendo concorra a formare l’imponibile della società inglese e che sia applicata la ritenuta prevista dalla convenzione (5%).

Questa parte della convenzione non è più appellabile oggi perché una persona fisica residente in Italia non ha più diritto al credito d’imposta sui dividendi.

La circolare 151/E aveva illustrato le modalità di richiesta dell’importo all’erario (presentazione di una istanza di rimborso al Centro operativo di Pescara ex articolo 38 del Dpr 602 del 1973) e aveva precisato che la ritenuta del 5% doveva applicata sia sul dividendo sia sull’importo corrispondente alla metà del credito d’imposta.

La circolare aveva anche regolato il caso, che è quello in esame, in cui l’emittente (società “figlia” italiana) non avesse operato la ritenuta in uscita sul dividendo, come previsto dall’articolo 27-bis del Dpr 600/73 di recepimento della “direttiva madre-figlia”. In tal caso, precisava la circolare, la società inglese aveva ugualmente diritto al pagamento della somma prevista dalla convenzione, ma l’erario, avrebbe dovuto trattenere dall’importo erogato, la ritenuta del 5% calcolata sia sull’importo dei dividendi sia sul credito d’imposta (rimborso 21,72%).

Nonostante le chiare indicazioni degli uffici centrali Il Centro operativo di Pescara non ha accolto l’istanza della società inglese. Ne è scaturito un lungo contenzioso che si è chiuso ora. La discussione si è incentrata sulla questione (che, come si è detto era già stata risolta dalla circolare 151/E in linea con la prassi internazionale), se, in presenza di una direttiva volta ad attenuare il fenomeno della doppia imposizione economica e giuridica sui dividendi fosse consentito al contribuente che già avesse percepito i dividendi in esenzione dalla ritenuta di “scambiare” tale regime con quello del rimborso del credito d’imposta previsto dalla convenzione. La Cassazione, con una sentenza che richiama numerosi precedenti di Cassazione e della Corte di Giustizia, ha stabilito un principio che potrebbe essere valido anche in circostanze diverse da quelle in esame: ossia che non esiste, a meno che non sia espressamente previsto dalla direttiva o dalla norma convenzionale, un generale principio di “alternatività” fra le direttive e le convenzioni contro le doppie imposizioni e che quindi un contribuente che abbia inizialmente fruito degli effetti di una direttiva può, in un secondo momento, attraverso una istanza di rimborso, applicare la convenzione internazionale più favorevole.

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