Decreto Legge nr 68 del 3/5/2020 – Disposizioni per un graduale allentamento delle misure restrittive conseguenti all’emergenza sanitaria da COVID-19

5 Maggio 2020

Si allega il testo completo del Decreto Legge nr 68 del 3 maggio 2020 del quale se ne consiglia l’intera lettura e se ne evidenziano i seguenti articoli:

ART. 2: riguarda la mobilità transfrontaliera, che è permessa per soli motivi di lavoro, di salute, rientro presso al domicilio, attività presso le seconde case e visite ai congiunti.

ART. 3: norma la riapertura delle attività di commercio al dettaglio, anche svolte all’interno di grandi strutture e centri commerciali.

ART. 4: disciplina lo svolgimento di attività industriali, artigianali produttive e di commercio all’ingrosso.

ART. 5: riguarda lo svolgimento di attività di servizi, artigianali di servizi e libere professioni. In particolare:

comma 3: le attività inerenti i servizi alla persona(es. centri estetici, parrucchieri, ecc) saranno consentite a partire dal 18 maggio, al momento potranno continuare la vendita di prodotti con consegna a domicilio.

comma 4attività di manutenzione, pulizia e sanificazione presso le abitazioni private sono consentite, purché all’interno del domicilio non vi sia la presenza del soggetto privato.

comma 5: attività sanitarie(medici, dentistici, odontoiatri, veterinari), le attività di fisioterapia, massaggi e poliambulatori sono consentite previa autorizzazione dell’Authority sanitaria.

comma 6: i servizi di ristorazione(tra cui bar, ristoranti, gelaterie, ecc) saranno consentiti a partire dal 18 maggio, al momento potranno svolgere l’attività con consegna a domicilio oppure l’asporto

comma 7: strutture ricettive potranno operare dal 18 maggio, è consentita fin da subito la possibilità di svolgere attività di consegna a domicilio o asporto di alimenti.

comma 8: attività dei centri sportivi, palestre, piscine, centri benessere potranno operare dal 31 maggio.

comma 12: il trasporto pubblico sarà permesso a partire dal 31 maggio.

comma 13: attività edili, cantieristiche, cura e manutenzione di edifici e aree verdi sono consentite purché eseguite alla presenza contemporanea di un massimo di 10 persone e comunque non più di un operaio ogni 10 mq.

ART. 6: obblighi in capo al datore di lavoro a riguardo dei propri dipendenti applicabili a tutte le attività. Se ne consiglia un’approfondita lettura.

ART. 7: obblighi in capo al datore di lavoro per le attività di cui agli articoli 4 e 5. Rimane in vigore l’obbligo di ridurre la compresenza dei dipendenti del 50% ma tale obbligo non si applica alle aziende con meno di 10 dipendenti. Per quelle con più di 10 dipendenti rimane la possibilità di chiedere una deroga motivata (comma 2). Rimane la possibilità, laddove possibile, del lavoro da domicilio.

ART. 13: le domande, istanze e dichiarazioni avanzate da operatori economici verso la PA devono essere presentate unicamente nella forma di documento elettronico sottoscritto con firma elettronica qualificata inoltrato tramite il servizio di recapito certificato (SERC)

ART. 16: screening sierologico sui lavoratori. L’ISS stabilirà, in base al numero di lavoratori presenti (e quindi anche del rischio contagio), i criteri e le priorità di svolgimento dello screening sierologico sui lavoratori. Al datore di lavoro verrà richiesto un contributo di 15€ per ogni screening effettuato sui lavoratori.

DL 68-2020+All

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Delaware, paradiso dell’anonimato

1 Maggio 2020

Il Sole 24 Ore 1 MAGGIO 2020 di Alessandro Galimberti

Dall’altra parte dell’Oceano

Gli Stati Uniti non hanno aderito allo standard Ocse sullo scambio d’informazioni

Il piccolo Stato del Delaware negli Stati Uniti di America è ormai famoso in tutto il mondo per i sui privilegi fiscali e societari tanto che lo scorso anno contava su circa 960mila abitanti la registrazione di almeno un 1,3 milioni di società di capitali. Solo nel 2017 nello stesso Stato americano si sono registrate poco meno di 200mila società. Tre le attrattive principali del Delaware la prima di tipo societario, la seconda legata alla riservatezza dei soci fondatori e la terza di tipo tributario. Riguardo la prima i costi e i tempi di costituzione e scioglimento delle società sono estremamente ridotti e contenuti con la possibilità di utilizzare fiduciari specializzati anche nella costituzione di società tutto compreso, ma anche la procedura di liquidazione e fallimentare nel piccolo Stato americano è molto richiesta poiché più veloce e molto meno onerosa rispetto agli altri Stati. Anche l’anonimato sulla titolarità effettiva delle società era molto attrattiva; fino allo scorso anno era di fatto impossibile anche per le autorità federali americane conoscere il vero proprietario dalle società dalle autorità locali del Delaware. Infine le società del Delaware per gli introiti effettuati al di fuori degli Stati Uniti sembrerebbero godere di una sostanziale esenzione fiscale se a questa non imposizione si aggiunge che molti dei beneficiari effettivi di queste società sono soggetti residenti o cittadini non statunitensi, queste società risultano non interessare l’agenzia delle entrate americana (Irs).

Relativamente all’anonimato societario sono stati fatti dei passi avanti poiché da circa un anno ormai lo Stato americano ha approvato una proposta federale sulla lotta al riciclaggio di denaro e all’evasione fiscale. Per cui oggi anche in Delaware è obbligatorio far conoscere alle autorità il titolare effettivo delle società ed ormai il governo federale dovrà occuparsi anche della materia relativa alla proprietà effettiva delle aziende.

Tuttavia, poiché gli Usa non hanno adottato lo standard Ocse sullo scambio automatico di informazioni fiscali (Crs) ma hanno imposto il loro standard circa l’obbligo per gli altri Paesi di comunicare solo le informazioni fiscali sui cittadini e sui residenti statunitensi, per ora – se non su base spontanea o volontaria delle autorità americane – non è ancora possibile risalire ai titolari effettivi delle società del Delaware.

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Non è una holding finanziaria la società che gestisce un portafoglio

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore 25 APRILE 2020 di Alessandro Germani

 INTERPELLO ENTRATE

Il discrimine è costituito dal fatto che non siano detenute partecipazioni

La società ricade nell’ambito Mifid 2 perché qualificabile come operatore finanziario

La società che investe prevalentemente in strumenti finanziari non rientra né tra le società di partecipazione finanziaria né tra quelle di partecipazione non finanziaria, ex articolo 162-bis del Tuir. È questa la risposta 121/2020 del 24 aprile delle Entrate.

L’istante è una microimpresa che redige il bilancio in forma semplificata e non detiene alcuna partecipazione, bensì solamente titoli allo scopo di impiego della liquidità. Gestisce di fatto un portafoglio finanziario di titoli che rientrano nella categoria degli Etc (exchange traded commodities). Si tratta di strumenti finanziari cartolarizzati il cui sottostante è il cacao.

L’agenzia delle Entrate nella sua risposta ricorda che l’introduzione dell’articolo 162-bis nel Tuir risponde all’esigenza di disciplinare sotto il profilo fiscale gli intermediari finanziari e le cosiddette società di partecipazione (finanziaria e non). Detto questo, la società non detiene alcuna partecipazione ma investe solo in strumenti finanziari Etc che a fine anno presentavano un prezzo di mercato superiore al costo di iscrizione. In particolare il comma 1 dell’articolo 162-bis distingue, fra le altre fattispecie: le società di partecipazione finanziaria (lettera b); le società di partecipazione non finanziaria (lettera c1); le società assimilate a quelle di partecipazioni non finanziaria (lettera c2).

Poiché la società in questione investe nei citati Etc e non detiene partecipazioni, per il 2019 e finché non muterà questa sua politica essa resta esclusa dai soggetti disciplinati dall’articolo 162-bis del Tuir e determinerà la propria base Ires e Irap fuori dalle regole proprie dei soggetti finanziari. La conclusione dell’Agenzia è in linea con quanto aveva anticipato Assonime (circolare 16/2019 nota 47).

Per ciò che concerne l’anagrafe tributaria, l’istante ricade nell’applicazione della Direttiva Mifid 2 in quanto riveste, la qualifica di operatore finanziario. Deve pertanto comunicare la sua Pec, in base al provvedimento del 10 maggio 2017, per la sezione del Rei «Indagini finanziarie» e con codice operatore residuale 16. In ogni caso, poiché effettua la negoziazione di titoli derivati su merci per conto proprio, non dando tale modalità operativa origine a rapporti finanziari con soggetti terzi, la società non dovrà effettuare la comunicazione prevista all’articolo 7, comma 6, del Dpr 605/73.

Ipotizzando poi che si tratti di derivati non di copertura, in base all’articolo 112, comma 2, del Tuir alla formazione del reddito concorreranno i componenti positivi e negativi che dovessero risultare dalla valutazione degli strumenti finanziari derivati alla data di chiusura dell’esercizio. In fase di realizzo, poi, i componenti positivi e negativi concorreranno al reddito di periodo ex articolo 83 del Tuir. In virtù poi del principio introdotto dal 2008 della presa diretta dal bilancio, ai fini Irap l’attività di trading su strumenti finanziari derivati determina componenti (da valutazione e da realizzo) che concorrono alla base imponibile.

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Niente Cig per il lavoratore distaccato dall’estero

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore 7 APRILE 2020 di Marco Strafile

Incroci transnazionali

Possibile invece per l’italiano impiegato oltreconfine se l’attività è ferma

In base al decreto 19, comma 8, del Dl cura Italia, per accedere alla cassa integrazione i lavoratori devono risultare alle dipendenze delle imprese richiedenti la prestazione al 23 febbraio 2020. Nel caso di aziende (soprattutto in quelle che appartengono a gruppi) che accedono alla Cig e utilizzano personale distaccato da altre imprese, si pone il dubbio riguardante la possibilità di estendere le integrazioni salariali ai lavoratori distaccati.

Il tenore letterale delle disposizioni richiamate sembrerebbe far propendere per una risposta negativa, nel senso di consentire l’accesso a tale ammortizzatore solo a quei lavoratori che risultino formalmente assunti dall’impresa richiedente.

Tale lettura è peraltro conforme ai chiarimenti forniti dall’Inps con il messaggio 3777/2019, secondo cui «l’integrazione salariale viene concessa in favore dei lavoratori che prestano servizio presso l’unità produttiva per la quale viene chiesta l’integrazione stessa. Pertanto…per tutta la durata del distacco, non può essere ricompreso tra i beneficiari dell’integrazione salariale».

Ad analoghe conclusioni si giunge nel caso di lavoratore distaccato presso un’azienda che ha richiesto il trattamento di integrazione salariale: in linea con la circolare Inps 41/2006, infatti, si conferma la non spettanza delle prestazioni, rimanendo, i distaccati, dipendenti dell’azienda di origine.

I principi enunciati dall’Inps con il messaggio 3777, qualora applicabili alle ipotesi riguardanti aziende italiane che hanno in organico dipendenti distaccati da imprese estere, dovrebbero precludere a tali lavoratori l’accesso alla Cig, mentre potrebbero accedervi i dipendenti distaccati all’estero da imprese italiane (qualora la sospensione delle attività dovesse riguardare anche la società distaccataria).

Il quadro interpretativo sopra richiamato, impostato secondo una prospettiva domestica, potrebbe complicarsi (e per questo sarebbe auspicabile un chiarimento al riguardo) se dovesse tenere in considerazione anche le possibili interazioni connesse con l’esistenza, o meno, di accordi di sicurezza sociale siglati dall’Italia con altri Stati e con le disposizioni del Dlgs 136/2016 riguardanti la parità di trattamento dei distaccati dall’estero nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale.

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Effetti prospettici della crisi da monitorare comunque

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore 20 APRILE 2020 di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Le verifiche

Va esaminata la coerenza delle misure innovative adottate dall’impresa

In questo particolare frangente temporale, il collegio sindacale è chiamato anche a compiti straordinari di vigilanza, in quanto, dopo aver verificato la reazione immediata della società allo shock del coronavirus in termini organizzativi e sanitari, deve essere in grado di comprendere l’impatto sulla situazione economica e finanziaria delle società, ma anche di capire se gli organi amministrativi stanno reagendo in modo efficiente e con una logica prospettica alla situazione di crisi.

Vediamo alcuni elementi che possono costituire un percorso logico di indagine.

I rischi di continuità aziendale

Il primo passo che il management deve fare è l’individuazione degli impatti della crisi, mettendo a fuoco, per ciascuno, non solo la probabilità, ma anche il potenziale danno. I fattori da considerare riguardano tutte le aree dell’attività: produzione, contratti, finanza.

  1. Produzione. Sono esempi di fattori di rischio di tipo produttivo l’impossibilità di completare o consegnare la produzione, dovuti alla malattia o all’assenza del personale, alla mancanza di materie prime necessarie per la produzione, alle difficoltà di organizzare i servizi di trasporto e di consegna.
  2. Contratti. Sotto il profilo contrattuale, vanno valutate le possibili richieste di sconti, riduzioni, penali nonché in generale il rischio di blocchi nella possibilità di ricevere ordini.
  3. Finanza. Spostando l’attenzione sugli aspetti finanziari, si dovrà guardare principalmente allo slittamento degli incassi e alla possibilità di insoluti nei pagamenti da parte dei clienti, allo sforamento degli affidamenti bancari, al rischio di non poter rispettare le scadenze di pagamento di fornitori, mutui, leasing.

I piani economici e finanziari

I sindaci dovranno verificare se le società hanno predisposto piani economici e finanziari: in questi giorni le aziende stanno rivedendo completamente le loro previsioni e i loro budget. Occorre la massima attenzione nel verificare che le ipotesi prese a base dei vari scenari elaborati siano ragionevoli, al fine di considerare credibili le previsioni sugli effetti economici e finanziari.

Le analisi dovrebbero riguardare le tre componenti essenziali, ovvero andamento economico, situazione patrimoniale, situazione finanziaria. È vero che le norme del Dl 23/2020 hanno ridotto la pressione sotto l’aspetto patrimoniale, ma gli effetti prospettici della crisi vanno sempre e comunque monitorati: non sono escluse situazioni in cui, pur potendo evitare l’obbligo civilistico, sia compromessa in toto l’esistenza dell’impresa.

Una particolare attenzione dovrà essere dedicata alla variabile finanziaria, che normalmente sarà influenzata sia dalla rapidità delle risposte dei finanziatori alle richieste della società sia dalla situazione esogena in cui si troveranno fornitori e clienti.

Le misure adottate

L’ultimo elemento da considerare è l’adozione, da parte del management, di politiche di reazione agli effetti negativi.

Le scelte aziendali dovranno essere concentrate sui rischi maggiori, individuando le politiche da adottare nei confronti di clienti, fornitori, finanziatori.

Possono verificarsi situazioni in cui l’impresa può adottare anche misure di tipo innovativo, avviando tra l’altro cambiamenti nella sfera della produzione o dell’approvvigionamento di flussi finanziari: sotto questo profilo, le misure di agevolazione contenute negli ultimi provvedimenti normativi possono essere uno stimolo a rivedere le politiche di ricorso al credito.

Ai sindaci spetta il controllo sulla coerenza delle misure adottate, da valutare in funzione delle dimensioni dell’impresa, della conoscenza dei mercati e di tutte le variabili sopra indicate.

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Direttiva «madre-figlia», l’elusione va dimostrata

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore lunedì 20 APRILE 2020 di Marco Nessi

FISCO INTERNAZIONALE

L’ufficio non può far leva sulla nozione di beneficiario effettivo come per le royalty

La direttiva “madre-figlia” non prevede la rilevanza della nozione di beneficiario effettivo dei dividendi. Pertanto, l’eventuale accertamento dell’agenzia delle Entrate può basarsi sulla dimostrazione dell’abuso del diritto, ma non solo sulla mancata prova di essere stato l’effettivo beneficiario effettivo dei dividendi. Questo importante principio è stato espresso dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara nella sentenza 27/2/2020 (presidente Perla, relatore Papa).

Il caso esaminato ha riguardato una distribuzione di dividendi effettuata da una società italiana a favore dei una società di diritto tedesco (socia controllata dalla prima per il 40 per cento). Su questo dividendo veniva applicata una ritenuta a titolo d’imposta pari all’1,375% ai sensi dell’articolo 27, comma 3-ter, del Dpr 600/73.

Decorso il termine annuale di possesso, la società tedesca presentava istanza di rimborso della ritenuta subita (articolo 27-bis, lettera d, Dpr 600/73). A fronte del diniego espresso, la società presentava ricorso sottolineando che, a differenza di quanto era stato sostenuto dall’ufficio, la direttiva “madre-figlia” non attribuiva alcuna rilevanza alla qualifica di beneficiario effettivo. Inoltre, nel caso di specie non vi era alcuna situazione elusiva in quanto le somme ricevute dall’Italia a titolo di dividendo erano state girate il giorno stesso a una società controllata al fine di ripianare una parte dell’esposizione debitoria che la società stessa vantava nei confronti della controllata.

I giudici di primo grado hanno accolto il ricorso. Il collegio giudicante ha ricordato come, a differenza della direttiva “interessi – royalties”, ai fini dell’applicazione della direttiva “madre-figlia” l’articolo 27-bis non reca alcun riferimento espresso alla nozione di «beneficiario effettivo», ma rinvia alla normativa antielusiva prevista dall’articolo 10-bis della legge 212/2000 (in senso analogo si vedano anche le sentenze della Corte di giustizia Ue, C-116/16 e C-117/16).

Pertanto il diniego al riconoscimento del rimborso della ritenuta avrebbe dovuto essere fondato sulla dimostrazione dell’effettiva sussistenza di un’ipotesi di abuso del diritto e non semplicemente sulla presunta mancata dimostrazione della società di essere stata il beneficiario effettivo dei dividendi. In tal senso, la retrocessione immediata dei dividendi, se unita ad altri elementi, avrebbe potuto costituire un indice della non genuinità della società tedesca e/o delle operazioni effettuate dalla stessa.

Tuttavia, nel caso in esame, la società aveva dimostrato che:

l’intero gruppo di appartenenza era collocato in Germania (paese Ue) senza società extraeuropee che avrebbero potuto lucrare sulla direttiva

il pagamento dei dividendi era stato effettuato al fine di ripianare un’esposizione debitoria che era stata accumulata nei confronti della capogruppo alla distribuzione degli utili.

Questi fatti, provati documentalmente e non contestati, dimostravano la natura indiziaria degli elementi raccolti dall’ufficio, essendo stati effettuati senza l’analisi dell’intero contesto economico aziendale in cui, viceversa, l’operazione avrebbe dovuto essere collocata.

 

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La crisi riscrive il transfer pricing: come gestire valori e comparabili

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore lunedì 20 APRILE 2020 di Massimo Bellini

 EMERGENZA COVID-19 FISCO INTERNAZIONALE

La revisione dei prezzi va valutata in base all’impatto del virus sui bilanci

Rettifiche dei benchmark o della parte testata: occorre documentare le scelte

La gestione dei prezzi di trasferimento, in tempi di Covid-19, presenta diverse complessità. Uno dei temi più controversi riguarda lo svolgimento delle analisi di benchmark e la selezione dei comparabili. Molti gruppi usano infatti le analisi di benchmark per individuare la remunerazione delle cosiddette attività routinarie, come quelle di distribuzione, produzione o servizi.

Ma nell’attuale periodo di crisi è possibile cambiare l’approccio adottato? E in caso affermativo, come possono essere modificati i margini? Ci si chiede, in particolare, se le entità routinarie possano avere margini ulteriormente ridotti o addirittura negativi.

Gli extra-utili o perdite sono normalmente allocati alle entità con funzioni a valore aggiunto; l’attuale situazione è però talmente straordinaria e impattante su tutta la supply chain, che occorre valutare se e come rivedere quest’impostazione.

Valutazioni e problemi

Le linee guida sul transfer pricing forniscono alcuni spunti di riflessione. L’Ocse prevede, ad esempio, che i rischi debbano essere attribuiti a chi li controlla e ha la capacità finanziaria per sostenerli; ma quelli collegati al coronavirus non sembrano controllabili, anche finanziariamente, per cui si potrebbe sostenere che gli effetti debbano avere impatto su tutto il gruppo. Anche il concetto di «opzioni realisticamente a disposizione delle parti» può aiutare: l’entità routinaria potrebbe infatti accettare una riduzione dei propri margini per evitare il default della controparte.

In tema di perdite, il paragrafo 1.129 delle linee guida prevede che «anche le imprese associate, come le imprese indipendenti, possono sostenere perdite effettive». Va però considerato che alcuni Paesi hanno una visione più restrittiva sulle perdite per entità routinarie (ad esempio, la Cina).

L’opportunità di rivedere il transfer pricing dev’essere valutata sulla base delle circostanze specifiche, in primis la significatività dell’impatto del virus sui bilanci. Indicazioni importanti possono arrivare dall’osservazione del comportamento del mercato e di operatori indipendenti. Alcuni gruppi utilizzano le operazioni con parti terze come comparabili (comparabili interni): per cui tali informazioni sono, più che mai in questo periodo, il principale benchmark. Ma anche le società che non hanno comparabili interni potrebbero trarre utili informazioni dal comportamento che stanno adottando con le proprie controparti indipendenti. Potrebbero esserci situazioni in cui i contratti vengono rinegoziati, casi di deroghe temporanee, dilazioni di pagamento, eccetera. È dunque opportuno valutare attentamente se tali comportamenti possano essere applicati anche alle transazioni infragruppo.

Ulteriore problematica si pone per le ricerche svolte con database. I bilanci dei comparabili per il 2020 – gli unici che potrebbero fornire indicazioni – saranno nelle banche dati solo a fine 2021. Si consideri inoltre che in precedenti periodi di crisi (come il 2008) non necessariamente le ricerche ex post hanno confermato a pieno il trend negativo di mercato: per ragioni tecniche quali, per esempio, l’uscita dal database di società fallite.

Aggiustamenti ragionati

Nell’immediato si può pensare di applicare dei correttivi. Potrebbe trattarsi di aggiustamenti ai benchmark attualmente disponibili, per rettificare l’intervallo di libera concorrenza sulla base del trend di mercato osservato in periodi di crisi (precedenti o attuale), desunto da specifiche indagini di settore. Oppure si potrebbe selezionare solo i comparabili che evidenziano variazioni di dati di bilancio (come la diminuzione dei ricavi), in linea con quelli della società da testare, e/o includere nelle ricerche le società in perdita. O più semplicemente si potrebbe abbassare il target di riferimento (dalla mediana al primo quartile, eccetera).

Anziché rettificare i comparabili, gli aggiustamenti potrebbero essere fatti sulla parte testata: ad esempio, eliminando dal bilancio i componenti straordinari. Quest’esercizio può risultare però difficile, perché solitamente la crisi impatta su varie voci. La scelta adottata potrebbe essere corroborata con il metodo del profit split dimostrando la congruità dei criteri di ripartizione di eventuali perdite, anche mediante il confronto con le logiche di ripartizione degli utili di anni precedenti. Per i gruppi con fatturato superiore a 750 milioni, lo stesso esercizio potrà essere fatto in futuro dalle amministrazioni con il country by country reporting.

È fondamentale predisporre da subito i documenti di supporto. Poiché le verifiche saranno fatte ex post con informazioni e dati al momento non disponibili, la documentazione deve consentire di giustificare la ragionevolezza delle scelte adottate ora, in un contesto di estrema incertezza.

 

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Anche la società con sede all’estero responsabile per il decreto 231

30 Aprile 2020

Il Sole 24 Ore 9 APRILE 2020 di Giovanni Negri

DIRITTO DELL’ECONOMIA

Un trattamento diverso per le società non italiane crea concorrenza sleale

La magistratura competente è quella del luogo in cui viene commesso il reato

Anche la società straniera risponde sulla base del decreto 231 degli illeciti commessi da propri dipendenti in Italia. Anche se la legislazione del Paese di appartenenza non prevede norme che disciplinano la medesima materia con riferimento, per esempio, alla predisposizione e efficace attuazione di modelli organizzativi idonei a impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa. A queste importanti conclusioni approda la Corte di cassazione con il principio di diritto che scandisce la parte finale della sentenza n. 11626 della Sesta sezione penale.

In questo senso, deve essere recepito quanto affermato di recente dalla giurisprudenza di merito nel caso dell’incidente di Viareggio, dove il decreto 231 del 2001 è stato ritenuto applicabile anche a una società straniera priva di sede in Italia, ma attiva sul territorio nazionale.

Nel caso esaminato, a due società collegate tra loro e riconducibili a una holding internazionale era stata inflitta dalla Corte d’appello di Roma una sanzione di 600mila euro complessivi per il vantaggio ottenuto dalla commissione di reati di corruzione semplice e corruzione in atti giudiziari da parte di amministratori rappresentanti delle società. Attraverso la dazione di somme di denaro le società “incriminate” erano riuscite a ottenere la disponibilità di cospicui beni derivanti da un precedente fallimento.

Tra i motivi di ricorso aveva trovato posto anche la contestazione della giurisdizione italiana, fondata sul fatto che alla società con sede legale all’estero non può essere contestata una colpa di organizzazione, se non nel luogo dove è collocato il centro decisionale.

La magistratura competente, nella lettura difensiva, deve essere quella del luogo dove si è verificata la lacuna organizzativa; tanto più che le società imputate non hanno in Italia un’effettiva operatività, ma vi svolgono solo un’attività formale.

Per la Cassazione tuttavia, la responsabilità amministrativa degli enti è innanzitutto derivata da quella penale, con la conseguenza che la giurisdizione va valutata con riferimento al reato presupposto, «a nulla rilevando che la colpa in organizzazione e dunque la predisposizione di modelli non adeguati sia avvenuta all’estero». Coerentemente con questa impostazione allora, il decreto 231 affida la competenza sugli illeciti amministrativi al giudice penale titolare del fascicolo sui reati dai quali dipendono ed esprime un netto favore per lo svolgimento di un unico processo per accertare insieme reato e illecito amministrativo.

Inoltre, a corroborare la linea favorevole all’affermazione della giurisdizione nazionale, c’è l’esplicita considerazione, da parte del decreto 231, del caso opposto, quello del reato commesso all’estero da società italiana.

A essere affermata è la giurisdizione nazionale, a meno che non stia procedendo anche lo Stato del luogo dove è stato commesso il fatto.

Si realizza in questo modo una parificazione rispetto a quanto previsto per l’imputato persona fisica, fatto salvo il principio del ne bis in idem internazionale.

Ancora, va respinta la tesi difensiva per la quale l’affermazione della competenza della magistratura italiana potrebbe costituire trattamento discriminatorio fra soggetti giuridici comunitari in violazione della libertà di stabilimento. Anzi, rappresenterebbe, avverte la Cassazione, un’alterazione della libera concorrenza vincolare le sole imprese italiane a sostenere costi organizzativi dai quali sarebbero esenti le società straniere.

Va poi ricordato, afferma la sentenza, come il decreto legislativo 179/04 (in attuazione della direttiva 2001/24/Ce sul risanamento e liquidazione delle banche) ha esteso la responsabilità amministrativa per l’illecito dipendente da reato alle succursali italiane di banche comunitarie o extracomunitarie.

 

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Il Fisco concede una tregua: sospesi controlli e verifiche

30 Marzo 2020

Il Sole 24 Ore 13 MARZO 2020 di Marco Mobili

SPECIALE CORONAVIRUS LOTTA ALL’EVASIONE

Una direttiva delle Entrate e una circolare GdF congelano le attività

Spetterà al Dl in arrivo decidere la sorte degli atti che sono in scadenza

Il coronavirus blocca i controlli del Fisco. In attesa che il Governo vari con il decreto legge atteso per il week-end il congelamento del saldo Iva di lunedì 16 marzo (si veda il servizio a pagina 9) e misure finalizzate a sospendere i termini per le attività di Entrate e agente della riscossione, i termini di cartelle saldo e stralcio e rottamazione-ter e quelli di invio cartelle e atti esecutivi, l’Agenzia e la Guardia di Finanza si sono giù mosse autonomamente per fermare le attività legate a verifiche e controlli. Anche se non tutto è destinato a fermarsi.

Ma andiamo con ordine. Proprio nella serata di ieri le Entrate hanno comunicato che il direttore Ernesto Maria Ruffini ha firmato una direttiva per disporre la sospensione di attività di liquidazione, controllo, accertamento, accessi, ispezioni e verifiche, riscossione e contenzioso tributario di propria competenza. Questo «a meno che non siano in imminente scadenza (o sospesi in base a espresse previsioni normative)».

Proprio su questo aspetto dell’«imminente scadenza» potrebbe intervenire il Dl che il Governo si appresta a licenziare. E che dovrà chiarire anche se il perimetro della sospensione della riscossione preveda delle limitazioni o meno. Del resto, anche secondo quanto comunicato alle sigle sindacali di Ader (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil e Uilca) in un pacchetto di misure riorganizzative del lavoro per fronteggiare l’emergenza sanitaria, l’ente ha dato istruzione agli ufficiali di riscossione e messi notificatori che svolgano solo attività interne, con la sola eccezione delle attività indifferibili.

Anche la Guardia di Finanza ha deciso di sospendere per un periodo ancora indefinito e vincolato all’evoluzione dell’epidemia da Coronavirus, l’esecuzione delle verifiche, dei controlli fiscali e in materia di lavoro, «d’intesa con i contribuenti interessati, fatti salvi i casi di indifferibilità e urgenza». Ovvero per tutte le situazioni connesse a violazioni per le quali potrebbero scadere i termini di contestazione. A spiegarlo è una circolare (consultabile su Ntplus Fisco) del comando generale della Guardia di Finanza (III reparto operazioni) diramata l’11 marzo a tutti gli uffici territoriali. Un blocco immediato esteso ai controlli strumentali e a tutte le attività di intelligence e di polizia economico finanziaria di contrasto al riciclaggio.

L’attività delle Fiamme gialle si concentrerà nei confronti di chi approfitta di questa situazione. In particolare, massima attenzione nel contrasto di frodi e attività illegali legate all’epidemia e dunque alle gare di approvvigionamento di presidi e attrezzature sanitarie, come ad esempio le mascherine, l’indebito utilizzo di risorse pubbliche (sussidi e incentivi di sostegno al reddito) destinati a famiglie e imprese. Ma non solo, perché saranno potenziati anche i controlli in dogana per il transito delle merci in entrata che in uscita con particolare riguardo alla sicurezza dei prodotti.

Intanto anche la Consulta dei Caf ha deciso di rinviare al 6 aprile l’avvio della stagione dichiarativa dei 730.

 

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Tassato il finanziamento soci citato nel verbale d’assemblea

30 Marzo 2020

Il Sole 24 Ore 2 MARZO 2020 di Angelo Busani

SOCIETARIO

Per la Cassazione scatta il registro anche in caso d’uso Molte però le criticità

Si applica l’imposta proporzionale di registro al contratto di “finanziamento-soci” formato per corrispondenza ed enunciato nell’ambito di un verbale di assemblea societaria: lo afferma la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 32516 del 12 dicembre 2019.

L’orientamento

Supportando questa sua decisione con una stringatissima motivazione, la Cassazione prosegue, dunque, l’orientamento secondo cui:

il verbale assembleare è suscettibile di essere considerato quale atto “enunciante”;

l’enunciazione comporta la tassazione anche quando ne è oggetto un contratto da registrare solo “in caso d’uso” (tale è il contratto di finanziamento-soci formato mediante corrispondenza).

La tassazione del finanziamento-soci enunciato in un verbale assembleare era già stata affermata dalla decisione di Cassazione 15585/2010; mentre, più in generale, la tassazione a causa di enunciazione dei contratti soggetti a registrazione solo in caso d’uso era stata affermata nelle decisioni di Cassazione 5946/2007 e 22243/2015.

I punti deboli

La tesi riproposta dalla Cassazione nell’ordinanza 32516/2019 si presta però a essere criticata sotto una pluralità di aspetti.

Anzitutto, quando l’articolo 22, del Dpr 131/1986 (il Tur, testo unico dell’imposta di registro) detta la norma per la quale l’enunciazione di un atto (l’atto enunciato) da parte di un altro atto (l’atto enunciante) comporta la tassazione dell’atto enunciato, subordina questo precetto al fatto che l’atto enunciante e l’atto enunciato siano «posti in essere fra le stesse parti». Ebbene, è chiaro a chiunque che questa coincidenza soggettiva non può ontologicamente verificarsi quando si mette un verbale assembleare (il quale, per sua stessa natura, è un “atto senza parti”) al cospetto di un contratto (quello che reca l’accordo di finanziamento che, per sua natura, è un contratto bilaterale, formato per l’accordo intervenuto tra il socio mutuante e la società mutuataria).

In secondo luogo, l’articolo 22 Tur dispone anche che non si fa luogo a tassazione per enunciazione «quando gli effetti delle disposizioni enunciate…cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione»: anche qui, non v’è chi non veda che se un finanziamento-soci viene passato a capitale sociale (o, ciò che è lo stesso, a copertura perdite) in sede di assemblea, ecco che si verifica la cessazione degli effetti del contratto di finanziamento soci contestualmente alla sua enunciazione.

Sia nella decisione 15585/2010 che nella decisione 32516/2019 i due rilievi citati non vengono presi in alcuna considerazione.

Quanto poi, più in generale, al tema della enunciazione dei contratti soggetti a registrazione in caso d’uso (tra di essi spiccano, tutti i contratti soggetti a Iva, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, Tur; nonché, appunto, quelli formati per corrispondenza: articolo 1, Tariffa Parte Seconda allegata al Tur) la Corte di cassazione afferma decisamente – senza evidenziare un benchè minimo dubbio – che detta enunciazione comporta, dunque, la tassazione dell’atto enunciato.

Sennonché, è invece plausibile avanzare l’idea che, nel caso del contratto da registrare solo in caso d’uso, il legislatore stesso abbia dispensato questi atti dall’obbligo di registrazione fino al momento in cui si verifichi un determinato evento (il caso d’uso), al cui ricorrere (e solo al cui ricorrere) la legge connette l’attivazione dell’obbligo di registrazione: ebbene, che senso avrebbe esonerare da registrazione questi contratti fino al verificarsi del caso d’uso quando poi, invece, questi contratti dovrebbero essere registrati in caso di enunciazione?

Doing business in San Marino

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