Srl, nulle le delibere senza una convocazione

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore 11 GENNAIO 2019 di Antonino Porracciolo

TRIBUNALE DI ROMA

Anche se il socio ha avuto lo stesso la notizia della data e dei temi dell’assemblea

Sono nulle le delibere delle Srl votate in mancanza di informazione, cioè senza la preventiva convocazione del socio. Si tratta di nullità assoluta, che va dunque affermata anche nell’ipotesi in cui il socio, pur non convocato, abbia comunque avuto notizia della data e degli argomenti dell’assemblea. Sono queste le conclusioni a cui è giunto il Tribunale di Roma nella sentenza 14653 dello scorso 2 luglio.
La causa è stata promossa dal sindaco di una Srl per ottenere la pronuncia di nullità di una delibera dell’assemblea, a cui risultavano presenti, in base a un verbale datato 22 dicembre 2015, lui stesso nonché l’unico socio. A sostegno della domanda, l’attore ha esposto di non aver partecipato all’assemblea e di non aver ricevuto alcuna convocazione. Dal canto suo, il socio, intervenuto in giudizio volontariamente (articolo 105 del Codice di procedura civile), ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione presentata dal sindaco. Nel decidere la lite, il tribunale ricorda che, in base al terzo comma dell’articolo 2479-ter del Codice civile, possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse le decisioni «prese in assenza assoluta di informazione». Si tratta di un’ipotesi che ricorre quando i soci non siano stati destinatari di alcuna notizia sul luogo e sulla data dell’assemblea (nel caso di delibere assembleari) o sulle modalità della consultazione scritta e della raccolta per iscritto del consenso (in caso di decisioni extra assembleari delle Srl). In particolare, la prima ipotesi si ha «nel caso in cui l’assemblea si sia tenuta senza la previa (tempestiva) convocazione del socio, che lamenti appunto la mancanza assoluta di informazione». Né, in questi casi, vale a escludere il vizio della convocazione (e, quindi, la nullità della delibera) il fatto che il socio, «pur non convocato da alcun organo sociale, sia comunque venuto a conoscenza della data e degli argomenti dell’assemblea». Il tribunale osserva quindi che, in base all’ultimo comma dell’articolo 2479-bis del Codice civile, la deliberazione è comunque validamente «adottata quando ad essa partecipa l’intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell’argomento». In questo caso, non è dunque richiesta – si legge nella sentenza – «una vera e propria convocazione degli amministratori e dei sindaci, essendo sufficiente il “fatto” informativo, comunque avvenuto, e non il procedimento formale» con cui gli stessi vengono a conoscenza della riunione.
Tuttavia, nel caso in esame l’assemblea della Srl non era stata totalitaria, giacché l’unico socio aveva negato di avervi partecipato. E peraltro, proprio la sua dichiarazione vale a superare il contenuto del verbale del 22 dicembre 2015, che, non essendo stato redatto da un notaio, offriva solo una prova presuntiva dei fatti. Inoltre, anche il sindaco aveva affermato di non aver partecipato alla riunione

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Auto con targa estera sequestrata anche con doppia residenza

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore 11 GENNAIO 2019 di Maurizio Caprino

CODICE DELLA STRADA

La circolare dell’Interno dà indicazioni restrittive sul decreto sicurezza

Le sanzioni per i residenti in Italia che guidano veicoli con targa estera si applicano in modo restrittivo e non escludono quelle doganali ( se il mezzo è immatricolato in uno Stato extra-Ue), la schedatura preventiva dei clienti dei noleggi non va fatta per alcuni autocarri e bus e pure gli eredi in attesa di perfezionare il passaggio di proprietà hanno la responsabilità solidale sulle infrazioni stradali ora prevista per l’intestatario temporaneo. Sono alcune tra le istruzioni più importanti del ministero dell’Interno sulla stretta per le targhe estere e le altre norme del decreto sicurezza (Dl 113/2018) che riguardano la circolazione stradale. Sono contenute nella circolare 300/A/245/19/149/2018/06, di ieri. Istruzioni anche dettagliate, che però non risolvono tutti i problemi connessi al Dl, soprattutto sulle targhe estere: oltre ad approfondimenti da condurre con la Motorizzazione, occorrerà correggere la norma.
Targhe estere
La circolare avverte che le norme doganali non solo si applicano ancora, ma hanno anche «preminenza» rispetto al Codice della strada. Quindi, il veicolo non sarà sequestrato dagli organi di polizia stradale, ma da Guardia di finanza o uffici delle Dogane. In quest’ultimo caso, al termine del sequestro, non ci dovrà essere restituzione all’interessato, ma andrà avvisato un organo di polizia affinché proceda con le nuove sanzione introdotte dal Dl, fino eventualmente alla confisca.
Il sequestro previsto dalle norme va qualificato come amministrativo, quindi le sanzioni per chi circola nonostante il mezzo gli sia stato solo affidato in custodia sono quelle previste dall’articolo 213 del Codice.
Per calcolare i 60 giorni di residenza in Italia dopo i quali ora scatta il divieto di guida con targa estera, si considera la residenza anagrafica. Ma la circolare ammette in alternativa la residenza normale, ovviamente per i soli cittadini Ue. Nei casi dubbi durante il controllo su strada, l’interessato dovrà riempire un modulo in cui dichiara o autocertifica la sua residenza attuale e la data in cui l’ha assunta; se dichiara di risiedere all’estero, deve indicare anche una dimora temporanea o un domicilio in Italia. Si faranno poi accertamenti.
Interpretazione restrittiva per chi ha doppia residenza: la sola presenza nei registri anagrafici italiani (se gli agenti la scoprono) comporta le sanzioni, che quindi si applicano pure a chi ha anche residenza estera.
Le deroghe previste dal Dl sono tassative. Quindi, tra i documenti che consentono anche a chi risiede in Italia la guida di un veicolo con targa estera non ci può essere un atto di comodato redatto dall’intestatario straniero o qualunque altro atto non citato dal nuovo articolo 93 del Codice della strada.
Le sanzioni si possono pagare con lo sconto del 30% entro cinque giorni, ma se poi l’interessato non mette il veicolo in regola entro 180 giorni (ipotesi in cui si arriva alla confisca, che esclude lo sconto), si perde il diritto: la somma già versata sarà considerata solo un acconto e la sanzione raddoppia rispetto al consueto minimo.
È confermato che le nuove sanzioni si applicano anche a casi che nulla hanno a che fare con l’elusione fiscale e di altri obblighi, che è lo scopo primario della norma: basta anche guidare per un semplice giro l’auto di un parente venuto in vacanza dall’estero. Ma i veicoli con targa CD, CC, EE e AFI Official si considerano italiani.
Esenzioni dalla schedatura
La schedatura dei clienti dei noleggi non va fatta per veicoli trasporto merci conto terzi con peso complessivo oltre le 3 tonnellate e per bus con più di nove posti locati con conducente.

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Esenzione a chi certifica la non residenza in Italia

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore 9 GENNAIO 2019 di Marco Piazza

il regime di extraterritorialità

Il fatto che dal 1° gennaio 2019 le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate abbiano lo stesso regime fiscale di quelle non qualificate ha effetti anche sulla tassazione dei non residenti che cedano partecipazioni non relative a stabili organizzazioni in Italia. Il nuovo scenario può così essere sintetizzato.
Come regola generale, le plusvalenze (e minusvalenze) relative a partecipazioni in società residenti in Italia si considerano in ogni caso prodotte in Italia. Sono quindi soggette all’imposta sostitutiva del 26% che, nel caso in cui la plusvalenza sia realizzata in regime amministrato o gestito, sarà applicata dall’intermediario che ha i titoli in custodia, amministrazione o gestione (articolo 23, comma 1, lettera f del testo unico). Altrimenti l’intermediario, o in assenza, il notaio o il commercialista che ha perfezionato l’atto di cessione o, in ultima istanza, l’emittente al momento dell’eventuale iscrizione del trasferimento nel libro soci deve comunicare l’operazione nel quadro SO del modello 770 (articolo 10, comma 1, Dlgs 461/1997).
Tuttavia, non si considerano prodotte in Italia le plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società residenti con azioni negoziate in mercati regolamentati (articolo 23, comma 1, lettera f, n. 1 del Testo unico); il regime di extraterritorialità opera a favore di qualsiasi non residente in Italia. In base alla circolare 207/E del 1999 è sufficiente presentare all’intermediario residente (o al notaio, il commercialista o l’emittente) un’autocertificazione nella quale si dichiari di non essere residenti in Italia. L’intermediario eviterà di applicare i regimi sostitutivi o di comunicare la cessione nel quadro SO.
Le plusvalenze (e minusvalenze) relative a partecipazioni in società non residenti in Italia si considerano prodotte nel territorio dello Stato se le azioni sono detenute in Italia (è il caso delle azioni estere affidate dal contribuente in custodia, amministrazione o gestione ad intermediari residenti (circolare 207/E del 1999) a prescindere dal luogo in cui gli intermediari le abbiano subdepositate (nota 954/171158 del 14 ottobre 2004) e a prescindere dal fatto che si tratti o meno di azioni di società negoziate in mercati regolamentati. Questa norma è certamente in conflitto con l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché discrimina i non residenti che investono nel capitale di società non residenti rispetto a quelli che investono nel capitale di società residenti.
Se, però il contribuente risiede in uno Stato che consente un adeguato scambio d’informazioni (l’elenco è contenuto nel Dm 4 settembre 1996) le plusvalenze e le minusvalenze sono in ogni caso escluse da imposizione sia nel regime dichiarativo, sia nel regime amministrato o gestito (articolo 5, comma 5, Dlgs 461/1997). L’esclusione opera solo per le cessioni di partecipazioni non qualificate. Il non residente in questo caso dovrà attestare il proprio Stato di residenza fiscale. A tal fine potrà adottare lo schema di autocertificazione varato con il Dm 12 dicembre 2001, con gli opportuni adattamenti.
Nei casi in cui non siano verificate le condizioni di extraterritorialità o di esclusione da imposizione sopra descritte, la non rilevanza fiscale del reddito può derivare dall’applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni che – se conformi al modello Ocse – prevedono, di norma all’articolo 13, che le plusvalenze siano tassate solo nel Paese di residenza del beneficiario del reddito. In questo caso il contribuente dovrà esibire un’attestazione delle autorità fiscali dello Stato estero di residenza (può essere utilizzato il modello approvato con il provvedimento delle Entrate del 10 luglio 2013, protocollo n. 2013/84404 – modello D).

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Negli scambi con San Marino vive la copia di carta

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 21 GENNAIO 2019 di Giampaolo Giuliani

Le procedure speciali

Nella disciplina Iva le operazioni di interscambio con San Marino sono contraddistinte da procedure del tutto simili, ma non identiche, a quelle previste in ambito comunitario e, al pari di queste, non subiscono delle variazioni con l’introduzione della fatturazione elettronica.
Fatture cartacee
Dal 1° gennaio gli operatori nazionali che intrattengono rapporti di interscambio di beni con operatori sammarinesi devono continuare a ricevere o a emettere fatture cartacee su cui l’ufficio tributario della Repubblica di San Marino appone il proprio timbro.
L’acquisizione da parte dell’operatore italiano della fattura di vendita o di acquisto munita del visto dell’ufficio tributario sammarinese costituisce infatti prova inconfutabile dell’avvenuta importazione o esportazione dei beni tra Italia e San Marino. Chiaro in questo senso il decreto ministeriale del 4 dicembre 1993.
Gli scambi di beni
Non essendo obbligati all’emissione delle fatture elettroniche, gli operatori nazionali quando realizzano vendite o acquisti con residenti in San Marino devono predisporre il cosiddetto esterometro, previsto dall’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015.
Tuttavia, quest’ultimo adempimento è superabile, almeno per quanto riguarda la fatturazione attiva. Infatti nel provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018, al paragrafo 9.4, è previsto che è possibile evitare la compilazione dell’esterometro inviando al Sistema di interscambio una fattura elettronica con i dati del cliente estero (nel nostro caso dell’operatore sammarinese) apponendo nel codice destinatario «XXXXXXX».
Ovviamente, il soggetto non residente non potrà ricevere dal Sistema di interscambio la fattura elettronica, né potrà prenderne visione nell’area riservata dell’agenzia delle Entrate a cui non può accedere, per cui è necessario che gli sia inviata una della fattura in formato cartaceo (oppure in un formato elettronico che il destinatario tradurrà su carta, ad esempio in Pdf), così da poterla presentare in triplice copia all’ufficio tributario di cui una copia (munita di visti) dovrà essere riconsegnata al cedente italiano.
Al contrario, per gli acquisti presso operatori sammarinesi, gli operatori italiani non possono evitare la compilazione dell’esterometro. Al massimo, nel caso in cui assolvano l’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, possono inviare al Sistema di interscambio un documento elettronico realizzato sulla base della fattura ricevuta dal fornitore sammarinese munita del visto dell’ufficio tributario sammarinese; non si tratta comunque di un obbligo ma di una semplice possibilità.
Iva prepagata
È bene tuttavia ricordare come negli acquisti da San Marino il decreto del 24 dicembre 1993 contempla anche la possibilità di assolvere l’imposta mediante fatture con Iva prepagata che, se munite del timbro dell’ufficio tributario e dell’agenzia delle Entrate di Pesaro, sono parificate ai fini degli adempimenti a fatture emesse da operatori italiani. Ciononostante, l’operatore italiano sarà tenuto a compilare l’esterometro.
Le prestazioni di servizi
Diversamente dalle operazioni di interscambio di beni, per quel che attiene le prestazioni di servizi, le transazioni con operatori sammarinesi devono essere trattate alla stregua delle operazioni realizzate con altri operatori extracomunitari.
Pertanto, analogamente a quanto può accadere ad esempio con operatori svizzeri, il prestatore italiano può emettere la fattura elettronica nei confronti del committente operatore sammarinese con «XXXXXXX» nel codice destinatario per evitare la compilazione dell’esterometro.
In questo caso è sufficiente l’invio di una sola copia cartacea, posto che il prestatore italiano non deve acquisirne una copia vistata dall’ufficio tributario.
Allo stesso modo, nel caso in cui il committente soggetto passivo stabilito in Italia riceva una prestazione di servizi ivi territorialmente rilevante, non avendo la necessità di acquisire una fattura proveniente dal prestatore sammarinese, in quanto è obbligato ad autofatturarsi, potrà emettere un documento elettronico da inviare al sistema di interscambio. Ad ogni modo non potrà evitare di compilare l’esterometro.

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Immobili strumentali, la deducibilità Imu passa dal 20 al 40%

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 7 GENNAIO 2019 di Giorgio Gavelli

SCONTO SULLE IMPOSTE SUI REDDITI

L’estensione vale anche per i fabbricati strumentali in locazione finanziaria

Dal 2019 l’Imu che imprese e professionisti versano sugli immobili strumentali è deducibile dalle imposte sui redditi in misura pari al 40% e non più al 20% come avvenuto dal 2014 sino al 2018.
La legge di Bilancio 2019 (legge 145/2018) interviene, allo scopo, sul testo dell’articolo 14, comma 1, del Dlgs 23/2011, senza modificare né l’integrale deducibilità di tale importo ai fini Irap, né la totale detraibilità della Tasi. Per espressa previsione di legge, l’Imi e l’Imis delle province autonome di Bolzano e Trento seguono lo stesso regime di deducibilità dell’Imu.
La questione alla Consulta
L’intervento si deve forse anche alla pendenza presso la Corte costituzionale della questione di legittimità della norma, per effetto dell’ordinanza di rinvio della Commissione tributaria provinciale di Parma (n. 271 del 5 luglio 2018, si veda Il Sole-24 Ore del 13 luglio). I giudici di merito hanno, infatti, ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata nell’ambito del giudizio sul rimborso d’imposta per gli anni dal 2012 al 2014. Ricordiamo che fino al 2012 l’articolo 14 del Dlgs 23/2011 prevedeva l’integrale indeducibilità dell’Imu dalle imposte sui redditi e dall’Irap. La legge di Stabilità 2014 ha previsto la deducibilità parziale al 20% (30% per il periodo d’imposta 2013) dalle sole imposte sui redditi e relativamente agli immobili strumentali.
Secondo i giudici parmensi, tale parziale indeducibilità finisce per collidere con il principio di capacità contributiva, in quanto l’imposizione grava su un reddito che è al lordo di una fetta significativa di un costo sicuramente inerente all’attività d’impresa o professionale. Se la forfetizzazione della deduzione, in altre situazioni, può essere giustificabile a fronte di un potenziale utilizzo promiscuo del bene o della facilità di accertamento, nel caso di specie non si fonda su alcun collegamento aritmetico o logico, anche vago, divenendo arbitraria. È vero che, in molte pronunce, la Corte costituzionale fa ampio rinvio alla discrezionalità del legislatore, ma in questo caso appare difficile giustificare, ad esempio, come mai, sullo stesso immobile, la Tasi è deducibile integralmente mentre l’Imu lo è solo parzialmente. Una eventuale illegittimità pronunciata dalla Corte renderebbe applicabile l’articolo 99, comma 1, Tuir e aprirebbe la strada ai rimborsi.
Il raggio d’azione
Gli immobili interessati dal raddoppio di deducibilità con decorrenza 2019 sono quelli di cui all’articolo 43 Tuir, vale a dire quelli utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte, della professione o dell’impresa (non ad uso promiscuo: circolare n. 10/E/2014). Per le imprese si tratta degli immobili “strumentali per natura” o “per destinazione”, con esclusione, quindi, di quelli “patrimonio” (articolo 90 Tuir) e di quelli “merce”. A ben guardare, se sui primi l’indeducibilità dei componenti negativi di reddito è normalmente prevista dal Tuir (con l’eccezione delle spese di manutenzione e degli oneri finanziari per l’acquisto), sui secondi la mancata deduzione pare a sua volta confliggere con il principio di capacità contributiva. La deducibilità maggiorata al 40% dovrebbe riguardare anche gli immobili strumentali assunti in locazione finanziaria o demaniali in concessione (su cui l’Imu è a carico dell’utilizzatore: articolo 9, comma 1, Dlgs 23/2011).
Inoltre, poiché la disposizione si riferisce agli “immobili” e non semplicemente ai “fabbricati”, dovrebbero rientrarvi anche le aree strumentali e quelle (non locate) delle società che esercitano l’attività agricola di coltivazione (circolare n. 11/1991), in mancanza di opzione per la determinazione catastale del reddito. Per tutti questi immobili, l’Imu è una “patrimoniale”, che non sostituisce neppure il reddito fondiario, come accade (a certe condizioni) per gli immobili abitativi. Più discutibile è la deducibilità in capo all’affittuario, qualora sia contrattualmente previsto il riaddebito.
La circolare 10/E/2014 ha precisato che costituisce costo (parzialmente) deducibile l’Imu di competenza, a condizione che l’imposta sia pagata nel periodo d’imposta (principio di “cassa anomala”), per effetto di quanto previsto dall’articolo 99, comma 1, Tuir.

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Omessa dichiarazione, risponde l’impresa

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore 04 DICEMBRE 2018 di Laura Ambrosi

CASSAZIONE

Al commercialista non può essere attribuita la responsabilità del reato

Del reato di omessa presentazione della dichiarazione risponde l’imprenditore anche se l’incarico era stato affidato ad un commercialista. Per quantificare l’imposta evasa, poi, è corretto considerare i costi non documentati solo ai fini delle imposte dirette mentre, per l’Iva, occorre la prova dell’esistenza delle fatture. A precisarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale con la sentenza 53980 depositata ieri.
Il legale rappresentante di una società veniva accusato dei reati di omessa presentazione delle dichiarazioni Ires ed Iva. In appello veniva condannato solo ai fini Iva. L’imputato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando sia un’errata quantificazione dell’imposta evasa, poiché c’erano stati dei costi che, sebbene non registrati, erano stati sostenuti, sia l’assenza di responsabilità, atteso che gli adempimenti erano stati affidati ad un commercialista.
La Corte ha confermato la legittimità della decisione di appello poiché il giudice, con una valutazione di merito, aveva valorizzato costi, sebbene non documentati, ritenuti rilevanti ai fini delle imposte dirette. Da ciò era conseguita l’insussistenza del reato per l’Ires, per il mancato superamento della soglia di punibilità. Altrettanto corretta era stata la decisione in merito all’Iva, la cui determinazione impone regole di allegazione documentale che non possono essere superate da elementi empirici e non certificati.
Ne conseguiva, quindi, che alla luce dell’assenza di prove e di fatture circa l’esistenza dei citati costi, gli stessi non potessero essere considerati ai fini della detrazione Iva. Infine, la Cassazione ha affrontato la questione della responsabilità, confermando che la delega attribuita al commercialista per l’adempimento degli oneri contabili e fiscali dell’azienda non esonera l’imprenditore, poiché egli resta comunque direttamente onerato degli obblighi.
La presentazione della dichiarazione fiscale non è un’attività duratura e continuativa che può essere gestita e controllata da altro soggetto, come invece accade in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta, infatti, di un adempimento unico e specifico che resta quindi in capo al solo titolare o legale rappresentante.

 

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Frenata sulla cessione di ramo d’azienda

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 24 DICEMBRE 2018 di Alessia Urbani Neri

IL PRINCIPIO

Serve il concreto trasferimento dell’intera organizzazione

Non è raro che, ai fini di una riorganizzazione aziendale, una società residente in Italia operi con l’impresa consociata estera singole transazioni: cessioni di ramo d’azienda commerciale; concessione in uso di asset immateriali come la lista clienti o il know how; contratti di distribuzione per la diffusione in esclusiva di beni.
Tali transazioni non vanno considerate singolarmente, ma nel loro complesso, potendo dissimulare delle vere e proprie cessioni di rami d’azienda. Pertanto, il Fisco per riqualificare un’operazione commerciale quale cessione di ramo di azienda, deve verificare che vi sia stato in concreto il trasferimento di un’intera organizzazione autonoma, che permetta l’esercizio attuale di un’attività d’impresa, idonea – anche solo potenzialmente – a generare una maggior capacità produttiva (Cassazione, sentenze 27290/17 e 17182/18).
In tal senso si è pronunciata la Ctp di Pavia nella sentenza 167/2/18 (presidente Tateo, relatore Rossanigo) affermando che l’interruzione anticipata di un contratto di distribuzione con trasferimento di un dipendente non configura cessione di ramo d’azienda.
Una società italiana aveva ceduto un proprio ramo commerciale a un’impresa svizzera, sua consociata, mantenendo la lavorazione e produzione dei beni, mentre le affidava la rivendita dei prodotti in via esclusiva nel mercato italiano, mettendo a disposizione della società svizzera, per tale operazione, parte del proprio personale. Dati gli scarsi margini di guadagno per insufficienti ricavi sulle vendite in Italia, la società estera aveva chiesto il recesso dal contratto dietro pagamento di un indennizzo. Il Fisco rettificava quindi il reddito d’impresa, rideterminando sia il valore di avviamento della cessione, sia il prezzo corrisposto a titolo di indennizzo per la risoluzione anticipata del contratto di distribuzione che dissimulava, a detta dell’ufficio, un trasferimento d’azienda.
La Ctr ha annullato l’accertamento. Per i giudici, la risoluzione del contratto non configura una cessione d’azienda per mancato trasferimento di un’unità economica in modo stabile, considerato che, a seguito della risoluzione, la società italiana ha interrotto il rapporto di lavoro con i dipendenti e l’impresa svizzera ha assunto nuovo personale. In definitiva, la risoluzione del contratto di distribuzione accompagnata dal licenziamento dei dipendenti non può configurarsi come cessione di ramo d’azienda, oltretutto con la prosecuzione dei rapporti commerciali tra le due imprese, il mantenimento in capo alla società estera della titolarità dei rapporti commerciali con l’estero e della produzione in capo alla società italiana.

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Non sequestrabile la casa del coniuge se c’è l’omologa

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore 28 DICEMBRE 2018 di Laura Ambrosi

CASSAZIONE

Per la Cassazione non conta la trascrizione ma la reale disponibilità

Non si può sequestrare l’immobile assegnato in sede di separazione consensuale alla moglie se il marito imprenditore è indagato per l’utilizzo di false fatture, salvo non si dimostri che sia rimasto nella sua disponibilità. A nulla rileva che l’omologa della separazione non sia stata trascritta prima della misura cautelare. A fornire questo principio è la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza 58327, depositata ieri.
Un imprenditore era indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture. In tale contesto era disposto il sequestro preventivo per equivalente dell’immobile trasferito pochi mesi prima alla ex moglie in sede di separazione consensuale a seguito di decreto di omologa.
Entrambi ricorrevano al tribunale del riesame, che però respingeva i gravami: nei confronti del marito perché si era dichiarato non proprietario del bene e non era dunque legittimato all’impugnazione ritenuta inammissibile, nei confronti della moglie perché l’omologa risultava inopponibile in quanto non trascritta prima del sequestro.
Veniva così proposto ricorso per Cassazione dalla moglie, la quale segnalava la proprietà dell’immobile sequestrato e la possibilità di chiedere il riesame del provvedimento eseguito nei suoi confronti (in qualità di terzo).
I giudici di legittimità hanno accolto l’impugnazione. Secondo la Corte il sequestro preventivo per equivalente può certamente riguardare beni di terzi purché però l’indagato ne abbia la disponibilità, con la conseguenza che la legittimazione non è legata soltanto alla proprietà ma anche alla disponibilità del bene
Il giudice che dispone la misura cautelare è tenuto a indicare soltanto il valore dell’importo da sequestrare mentre l’individuazione specifica dei beni da aggredire e la verifica del rispettivo valore è riservata alla fase esecutiva demandata al Pm. L’assenza di tale elementi non inficiano quindi il prevedimento cautelare. Tuttavia, ove l’individuazione dei beni avvenga in sede esecutiva il terzo che si limita a rivendicarne l’esclusiva titolarità è legittimato a proporre richiesta di riesame.
Nella specie il Tribunale aveva escluso la disponibilità dell’immobile in capo al marito, tanto da ritenere inammissibile il suo ricorso, e non ha contestato l’immediata efficacia traslativa della proprietà del bene assegnato alla coniuge in sede di omologazione della separazione, rilevando soltanto la non opponibilità in quanto non trascritta prima del sequestro.
Tuttavia, a questi fini non rileva tale trascrizione ma l’effettivo trasferimento della proprietà quale conseguenza di un provvedimento giudiziale con data certa anteriore all’emissione del sequestro. Il trasferimento della proprietà è quindi avvenuto, a prescindere dalla mancata trascrizione dell’omologa per cui era necessaria la prova, ai fini della legittimità del provvedimento, che l’indagato ne avesse mantenuto la disponibilità. Poiché nella specie ciò non è avvenuto, la Cassazione ha disposto il dissequestro e la restituzione dell’immobile all’interessata.

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Terreni e partecipazioni: affrancamenti più cari

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 31 DICEMBRE 2018 di Giorgio Gavelli

Riedizione con novità. Sostitutiva più elevata rispetto a quella del passato e con aliquote differenziate al 10 e 11% in base al tipo di quota societaria

Tornano gli affrancamenti di quote e terreni con la legge di Bilancio 2019, ma questa riedizione presenta due sorprese.
Si tratta, come sempre, dell’opportunità – riservata ai soggetti che non operano in regime d’impresa – di sottrarre all’imposizione diretta ordinaria le plusvalenze latenti maturate su terreni e partecipazioni (sia qualificate che non, purché non quotate). La disciplina, però, non è identica rispetto a quelle al passato.
Non solo sono ritoccate al rialzo le aliquote, ma si torna – senza motivo apparente – a differenziare la sostitutiva tra partecipazioni qualificate e non, proprio quando, da domani, 1° gennaio, il prelievo fiscale ordinario sul capital gain diviene assolutamente identico nelle due ipotesi.
L’ultimo passaggio al Senato ha modificato i connotati all’ennesima facoltà (purtroppo non ancora prevista a regime) per affrancare con imposta sostitutiva le plusvalenze latenti, riducendo il numero dei soggetti (persone fisiche, associazioni, fondazioni, enti non commerciali, se detengono il bene al di fuori del regime d’impresa) per i quali si manifesta una convenienza.
Non si registrano novità sui termini: occorre, infatti, possedere i beni al 1° gennaio 2019 e farli asseverare con perizia entro il prossimo 30 giugno, versando entro lo stesso termine anche la prima o unica rata di imposta sostitutiva. Cambiano, invece, le aliquote della sostitutiva sul valore periziato:
10% per le partecipazioni non qualificate al 1° gennaio 2019 e per le aree (edificabili e non);
11% per le partecipazioni qualificate alla medesima data.
Si rammenterà che, inizialmente, si affrancava con aliquote, rispettivamente, del 2% e del 4% e solo dal 2016 si applicava una aliquota unica dell’8% per tutte le ipotesi.
L’incremento sarà penalizzante anche per chi ha già affrancato in passato i valori delle aree edificabili a importi al metro quadrato assai più alti di quelli a cui venderà domani gli asset. Infatti, riallineando al ribasso con nuova perizia il valore dei terreni, si rischia di sostenere anche un costo aggiuntivo per la sostitutiva. È vero che (in base all’articolo 7, comma 2, del Dl 70/2011) si può scontare l’imposta a suo tempo versata da quella dovuta in base alla nuova rideterminazione, ma non sempre il saldo resta neutrale: il 4% su un milione di euro è inferiore al 10% su 600mila euro, per cui, in questo caso, il riallineamento dell’area con perizia al valore attuale di mercato – ribassato del 40% – porterebbe a versare comunque altri 20mila euro, oltre ai costi di perizia. Possibili soluzioni alternative vanno comunque valutate (si veda Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2015).
Dal lato delle partecipazioni, del tutto incomprensibile è lo sdoppiamento di aliquota. Se, sino a oggi, 31 dicembre, l’imposizione ordinaria sui capital gain è differente tra cessioni qualificate e non, da domani, 1° gennaio, per effetto dell’articolo 1, commi 999 e seguenti, della legge 205/2017, si applicherà a tutte le plusvalenze emergenti da queste compravendite l’imposta (a sua volta sostitutiva) del 26%, per cui la previsione di una sostitutiva da affrancamento più onerosa per i soci qualificati non pare avere alcuna logica.
Peraltro, da quando i soci non qualificati pagavano la sostitutiva ordinaria del 26% mentre i soci qualificati tassavano nel modello dichiarativo una quota del capital gain, il calcolo ordinario era spesso più favorevole proprio per questi ultimi (anche per via della possibilità di sfruttare deduzioni e detrazioni), e la convenienza all’affrancamento si rintracciava spesso solo presso i soci non qualificati.
Per i calcoli di convenienza, la sostitutiva offerta dalla manovra 2019 “premia” il contribuente (al di là dei costi di perizia) rispetto al regime ordinario quando la plusvalenza insita nel titolo non qualificato è almeno il 63% rispetto al costo fiscalmente riconosciuto, percentuale che sale al 74% per le partecipazioni qualificate. Prima del passaggio finale in Senato, la plus “di equilibrio” era, in entrambi i casi, pari a circa il 45 per cento.

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Polizza unit linked tassata come reddito di capitale

18 Gennaio 2019

Il Sole 24 Ore 21 DICEMBRE 2018 di Massimo Romeo

Contratti finanziari

Per la Ctp Milano il rischio dell’investimento è a carico dell’assicurato

Con le polizze unit linked l’assicurato realizza un investimento indiretto in azioni, obbligazioni o altri titoli, in quanto il valore della polizza è collegato al valore delle quote degli Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (Oicvm); il rischio dell’investimento rimane a carico dell’assicurato, mentre nelle polizze vita il rischio è assunto dall’assicuratore; sono equiparabili ad un conto bancario in quanto vengono riversati annualmente i rendimenti, possono essere fatti versamenti aggiuntivi, eseguiti riscatti parziali, divenendo irrilevante la durata delle polizza attesa la possibilità di ottenere riscatti anticipati (totali o o parziali) di quello che è il valore corrente delle quote.
Questi alcuni dei motivienunciati dalla Ctp di Milano con la sentenza n. 5608/2018 del 10 dicembre ( pres. e rel. Pilello) che ha affermato la natura finanziaria del contratto “unit linked” da sottoporre a tassazione quale reddito di capitale ( articolo 44, comma 1, lettera g-quater del Tuir).
La controversia riguardava l’impugnazione da parte di un contribuente, noto calciatore professionista, di un avviso di accertamento emesso dalle Entrate in rettifica della dichiarazione e sulla base dei dati esposti nel quadro RW, relativi a redditi di natura finanziaria per attività detenute all’estero.
Fra le varie eccezioni il ricorrente evidenziava che tra gli investimenti esteri indicati nel modello RW era stata esposta una polizza vita “unit linked”, sostenendo che a tali contratti di assicurazione sulla vita si applica il regime fiscale del rinvio della tassabilità al momento della scadenza o dell’eventuale riscatto anticipato.
La Ctp rigetta le doglianze del ricorrente ritenendo dirimente la corretta interpretazione del contratto ai sensi dell’articolo 1362 e seguenti del Codice civile, ovvero se sia da identificare come polizza vita o come strumento finanziario. Il Collegio propende per la seconda ipotesi perché:
nelle unit linked le prestazioni sono direttamente collegate al valore delle quote di Oicvm possedute dalle imprese di assicurazione che, a scelta dell’assicurato, investono in strumenti con diverso livello di rischio. In ogni caso il rischio dell’investimento rimane a carico dell’assicurato;
attraverso tale polizza l’assicurato realizza un investimento indiretto in azioni obbligazioni o altri titoli, in quanto il valore della polizza è collegato al valore delle quote Oicvm;
in una polizza vita il rischio è assunto dall’assicuratore, in uno strumento finanziario è per intero addossato all’assicurato;
il “rischio demografico” non ha rilevanza contrattuale; non è previsto un premio per il “caso morte”;
su tale polizza vengono riversati annualmente i rendimenti, possono essere fatti versamenti aggiuntivi ed eseguiti riscatti parziali, come fosse un conto corrente bancario;
la durata della polizza diviene irrilevante, attesa la possibilità di ottenere riscatti anticipati del valore corrente delle quote.

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