FA PROVA IL MANDATO FIDUCIARIO IN FORMA SCRITTA

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 30 Gennaio 2017 di Silvia Giamminola
L’Esperto Risponde – Diritto societario [428][371226]

Una persona fisica (fiduciario) intende concludere un un preliminare di acquisto di quote di una Srl per una persona giuridica (fiduciante), da nominare utilizzando i denari da questa erogati sul conto corrente del fiduciario. Una semplice scrittura privata tutela il fiduciario da eventuali accertamenti del fisco per le somme transitate sul suo conto corrente per fare l’operazione?
F.C.CIVITANOVA MARCHE
Il mandato fiduciario non è espressamente disciplinato dal Codice civile; tuttavia, è possibile stipulare un apposito contratto sulla base dell’autonomia contrattuale disciplinata dall’articolo 1322 del Codice civile, secondo il quale le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Venendo al caso descritto dal lettore, la persona fisica potrà dimostrare la provenienza della provvista, a un eventuale controllo dell’amministrazione finanziaria, esibendo il mandato fiduciario, che per tali fini dovrà, pertanto, essere redatto in forma scritta.

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Servizi intragruppo, costi deducibili con analisi «pesanti»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 23 Gennaio 2017 di Massimo Bellini

Reddito d’impresa. Passo indietro della Ctp Milano

I costi per servizi intra-gruppo devono essere supportati da adeguata documentazione, anche se le operazioni sono poste in essere tra soggetti italiani. Il principio è espresso dalla sentenza della Ctp di Milano 5575/21/2016 (presidente Natola, relatore Marcellini), che ritorna sul tema delle management fees.
La pronuncia trae origine da una contestazione in base all’articolo 109 del Tuir, in merito alla deducibilità dei costi per servizi di natura direzionale, legale e finanziaria riaddebitati da una società controllante alla propria controllata, entrambe residenti in Italia e aderenti al consolidato fiscale.
Secondo i giudici milanesi la pretesa dell’ufficio è legittima in quanto il contribuente non è stato in grado di dettagliare e documentare la natura e l’utilità dei servizi ricevuti. In particolare ai fini della deducibilità fiscale sarebbe stato necessario verificare e documentare i requisiti di certezza, inerenza e congruità.
Il contribuente deve produrre documentazione attestante l’effettività dei servizi resi e non solo la loro contabilizzazione, in base alle ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova.
Quanto all’inerenza, va dimostrato il collegamento fra i servizi e l’attività svolta. In altri termini si deve provare che il servizio fornito genera un vantaggio per la società fruitrice e non solo (o comunque non prevalentemente) per il gruppo.
In aggiunta per supportare la congruità vanno analizzati (quanto meno) i seguenti fattori:
inclusione o meno del corrispettivo del servizio nel prezzo dei beni ceduti;
effettiva utilizzazione del servizio;
effettiva incidenza del servizio sulla riduzione dei costi;
rapporto tra l’utile di esercizio, la riduzione dei costi (in relazione alla prestazione resa) e il corrispettivo pagato;
vantaggi conseguiti.
I principi della sentenza fanno un “passo indietro” rispetto a molte delle recenti pronunce in tema di management fees che hanno adottato approcci più sostanziali, focalizzati sulla tipologia dei servizi resi e sul loro inquadramento all’interno dell’azienda, piuttosto che sul mero aspetto documentale (si vedano, ad esempio, le sentenze di Cassazione 6320/16 e 10319/15, e la Ctr Lombardia 123/36/15).
Il “passo indietro” risulta ancora più evidente, considerando che si tratta di operazioni poste in essere tra società italiane. La Ctp, infatti, richiede la predisposizione di analisi articolate e complesse, soprattutto per quanto riguarda le quantificazioni della riduzione dei costi, dell’impatto sull’utile e della prova che non vi è “duplicazione” nel prezzo dei beni ceduti. Concetti, peraltro, che richiamano principi di transfer pricing, anche se non direttamente applicabili trattandosi di operazioni domestiche.
Infine, non rileva il fatto che entrambe le società erano in perdita ed aderivano al consolidato. Essendo distinto per società il presupposto d’imposta che deriva dai servizi, non si verificano le condizioni per la doppia imposizione (articolo 163 del Tuir).

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Società dormiente, distacco falso

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 17 Gennaio 2017 di Cristina Petrucci e Stefano Taddei

Lavoratori stranieri. I casi esaminati dall’Ispettorato nazionale

Con la circolare 1/2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito indicazioni al personale ispettivo in materia di distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. La materia è stata riformata con il Dlgs 136/2016, emanato in attuazione della direttiva 2014/67/Ue ed entrato in vigore il 22 luglio 2016.
La circolare si sofferma sul campo di applicazione del Dlgs 136/2016, esteso anche alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la propria sede o unità produttiva in Italia, oltre che alle ipotesi di cabotaggio nel settore del trasporto su strada.
In particolare viene posta in evidenza la configurabilità delle ipotesi di distacco non autentico ogniqualvolta il datore di lavoro distaccante e/o il soggetto distaccatario pongano in essere distacchi fittizi per eludere la normativa nazionale in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale che deve essere applicata al lavoratore distaccato.
A titolo esemplificativo, viene individuato un distacco fittizio ove l’impresa distaccante sia una società a sua volta fittizia, ossia che non eserciti alcuna attività economica nel Paese di origine, ovvero ove l’impresa distaccante non presti alcun servizio ma si limiti a fornire solo il personale in assenza della relativa autorizzazione all’attività di somministrazione, ovvero ancora ove il lavoratore distaccato al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera distaccante già risieda e lavori abitualmente in Italia, mancando in tal caso l’elemento della transnazionalità.
La circolare precisa, infine, che la fattispecie di distacco non autentico può coincidere con le ipotesi di interposizione illecita individuate dal Dlgs 276/2003 (appalto, distacco e somministrazione illeciti/non genuini), ma non deve necessariamente identificarsi con queste ultime.
Da evidenziare che il distacco non autentico viene sanzionato dal legislatore con l’espressa previsione di una presunzione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore.

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Il venditore risponde della seconda cessione

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 12 Gennaio 2017 di Angelo Busani

Cassazione. Responsabile anche l’acquirente se consapevole della precedente promessa

Incorre in responsabilità contrattuale il promittente venditore di un immobile che, violando l’impegno assunto con la stipula di un contratto preliminare, venda l’immobile a un soggetto diverso dal promissario acquirente.
Il terzo che acquista l’immobile, a sua volta, incorre in responsabilità extracontrattuale verso il promissario acquirente non solo se sia partecipe di una dolosa preordinazione finalizzata a frodare il promissario acquirente ma anche se sia solamente consapevole della stipula di un precedente contratto preliminare e presti la sua collaborazione al promittente venditore nella violazione del diritto del promissario acquirente a rendersi titolare dell’immobile oggetto del contratto preliminare da lui stipulato.
L’entità del risarcimento dovuto al promissario acquirente dal promittente venditore che venda ad altri l’immobile promesso in vendita non è pari al valore dell’immobile ma alla differenza tra il prezzo convenuto e il valore di mercato del bene immobile nel momento in cui l’immobile è venduto a un soggetto diverso dal promissario acquirente.
Questi tre importanti principi sono stati affermati dalla Cassazione nella sentenza n. 20251 del 7 ottobre 2016, che è assai rilevante in quanto trasporta nel campo della contrattazione preliminare principi consolidati in giurisprudenza con riguardo alla contrattazione definitiva. Come noto, infatti, se Tizio vende un immobile prima a Caio e poi a Sempronio, acquirente dell’immobile diviene l’acquirente che per primo pubblichi il suo titolo d’acquisto nei registri immobiliari. Se dunque il primo acquirente si vede “superato” da un secondo acquirente, più veloce a realizzare la trascrizione del suo acquisto, sorge il problema della responsabilità del “doppio venditore” verso il primo acquirente e della eventuale responsabilità verso costui anche del secondo acquirente.
La giurisprudenza aveva affermato in passato la natura extracontrattuale della responsabilità del comune autore nei confronti del primo acquirente (Cassazione, sentenza n. 4669/1977), ma poi ha sposato la tesi della responsabilità contrattuale, ritenendo che il venditore, effettuando una doppia vendita, violi l’obbligo di garantire l’acquirente contro l’evizione (in questo senso Cassazione, sentenze 4090/1988, 1403/1989 e 11571/1998).
Quanto al secondo acquirente che trascrive per primo, in passato si riteneva che questi non avesse alcuna responsabilità, effettuando la sua trascrizione nell’esercizio di un suo diritto, non essendo rilevante la sua buona o mala fede. Questa tesi è poi però stata abbandonata, in considerazione dell’idea secondo la quale incorre in responsabilità extracontrattuale il secondo acquirente che, colposamente o dolosamente, viola il diritto di proprietà del primo acquirente e gli provoca quindi un danno ingiusto (Cassazione, sentenze 4090/1988 e 8403/1990).
Ebbene, secondo la sentenza 20251/2016, questi principi possono essere pari passu applicati al caso del promittente venditore che, in dispregio dell’obbligo assunto con un contratto preliminare, venda a un terzo l’immobile promesso in vendita al promissario acquirente.
Nonostante le responsabilità del doppio venditore e del secondo acquirente abbiano dunque una diversa natura (contrattuale nel primo caso ed extracontrattuale nel secondo caso), è opinione consolidata (Cassazione, sentenza 4090/1988) che l’obbligo di risarcimento a favore del primo acquirente sia caratterizzato da un vincolo di solidarietà tra il doppio venditore e il secondo acquirente.
Allo stato attuale della giurisprudenza, è abbastanza impensabile che il primo acquirente possa pretendere una “tutela reale” e cioè possa ottenere l’esecuzione in forma specifica (ai sensi dell’articolo 2058 del Codice civile) del suo diritto a divenire titolare dell’immobile promessogli in vendita, “prelevandolo” dalla sfera giuridica del terzo acquirente, nella quale frattanto l’immobile stesso è subentrato. Quindi, l’acquirente che subisca l’altrui maggiore velocità di trascrizione deve limitarsi ad avvalersi di una tutela obbligatoria, e cioè il risarcimento del danno.

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Dividendi a bilancio nell’anno di delibera

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Franco Roscini Vitali

Contabilità. L’impatto del principio Oic 15 in base al quale si iscrivono simultaneamente nello stesso esercizio debiti e crediti

La regola può essere applicata retroattivamente in rapporto a precedenti annualità

La versione aggiornata del principio contabile Oic 21 “Partecipazioni” contiene una novità che, in alcuni casi, impone alle società che detengono partecipazioni di cambiare la metodologia di rilevazione dei dividendi provenienti da società controllate.
La precedente versione del principio contabile prevedeva che, nel caso di dividendi da società controllate, la loro rilevazione potesse essere anticipata (facoltà) all’esercizio di maturazione dei relativi utili se il bilancio era stato approvato dall’organo amministrativo della controllata anteriormente alla data di approvazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante.
Inoltre, il principio precisava che le società controllanti, a condizione che avessero il pieno dominio sull’assemblea della controllata, potevano anticipare la rilevazione del dividendo anche sulla base della proposta di distribuzione deliberata dagli amministratori della controllata, antecedente alla decisione degli amministratori della controllante che approvano il progetto di bilancio.
Queste previsioni erano applicabili sino ai bilanci 2015, mentre le nuove disposizioni si applicano ai bilanci relativi agli esercizi finanziari che hanno inizio a partire dal 1° gennaio 2016.
Nella nuova versione del principio contabile è stata eliminata la possibilità di rilevare i dividendi da società controllate già nell’esercizio di maturazione degli utili se il bilancio della controllata è stato approvato dall’organo amministrativo della stessa anteriormente alla data di approvazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante: pertanto la controllante iscrive il credito per dividendi nello stesso esercizio in cui sorge il relativo debito per la controllata, in sostanza nell’esercizio della delibera assembleare di distribuzione. Medesima eliminazione riguarda la rilevazione anticipata nel caso di pieno dominio sull’assemblea.
La modifica, eliminando un’eccezione, allinea la rilevazione del credito con quanto prevede l’Oic 15 in materia di rilevazione dei crediti che, se originati da ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi, sono iscrivibili in bilancio se sussiste il titolo agli stessi, ossia se rappresentano effettivamente un’obbligazione di terzi verso la società. Infatti, il paragrafo 30 del principio Oic 15 precisa che i crediti che si originano per ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi (per esempio, per operazioni di finanziamento) sono iscrivibili in bilancio se sussiste “titolo” al credito, e cioè se essi rappresentano effettivamente un’obbligazione di terzi verso la società. Le disposizioni di prima applicazione del principio contabile precisano che le società che in passato hanno rilevato i dividendi in base alla precedente versione dell’Oic 21 possono applicare le nuove disposizioni retrospettivamente.
Per il principio contabile Oic 29 si ha “applicazione retroattiva” quando il nuovo principio contabile è applicato anche a eventi ed operazioni avvenuti in esercizi precedenti a quello in cui interviene il cambiamento, come se il nuovo principio fosse stato sempre applicato, e “applicazione prospettica” quando il nuovo principio è applicato solo ad eventi e operazioni che si verificano dopo la data in cui interviene il cambiamento di principio contabile.
Pertanto, sono possibili due comportamenti, uno più semplice e un altro più complesso. Con il primo comportamento, la società applica la nuova regola “prospetticamente”, ossia a partire dal bilancio 2016 e, pertanto, non contabilizza alcun dividendo in tale bilancio, perché quelli deliberati dalle controllate nel 2016 erano già contabilizzati “per maturazione” nel bilancio 2015. In tale situazione il conto economico 2016 non rileva alcun dividendo, limitatamente a quelli già rilevati “per maturazione”.
Con il secondo comportamento, la società applica la nuova disposizione “retrospettivamente” ( retroattivamente). Pertanto, elimina in sede di apertura dei conti al 1° gennaio 2016 l’effetto della contabilizzazione dei dividendi deliberati nel 2016 già effettuata nell’esercizio 2015: l’eliminazione avviene in contropartita con le voci del patrimonio netto. Successivamente, contabilizza nel conto economico dell’esercizio 2016 i dividendi la cui distribuzione è stata deliberata dalle controllate nel 2016. Medesima operazione nel bilancio “comparativo” 2015, riprendendo i dati del bilancio 2014. Ovviamente nulla cambia per le società che in passato non si erano avvalse della facoltà di rilevazione anticipata dei dividendi da controllate.

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Scudo, non punibilità esclusa per chi ha pagato in ritardo

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 30 Dicembre 2016 di Laura Ambrosi

Cassazione. La Suprema Corte ha ribaltato il giudizio del Tribunale

La presentazione della dichiarazione per avvalersi dello scudo fiscale ed il pagamento dell’imposta sostitutiva in data successiva all’avvio dell’attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria impedisce di beneficiare della non punibilità ai fini penali.
A precisarlo è la Corte di Cassazione, sezione III penale, con la sentenza 55106 depositata ieri.
La Procura della Repubblica ricorreva avverso la decisione del Tribunale della libertà di revocare il sequestro dei beni eseguito nei confronti di due persone imputate del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture, di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000.
Secondo i giudici del riesame, l’avvio della verifica fiscale in data successiva all’entrata in vigore della norma (3/8/2009) comportava l’applicazione della non punibilità penale in quanto gli interessati successivamente si erano legittimamente avvalsi della normativa sullo scudo fiscale presentando le relative dichiarazioni riservate.
La Procura ricorreva per cassazione avverso tale decisione, lamentando in sostanza che il Tribunale non aveva considerato l’esistenza di altre cause ostative alla fruizione dei benefici penali derivanti dall’adesione allo scudo fiscale.
In particolare il rimpatrio delle attività non produceva gli effetti premiali, allorchè, alla data della presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni fosse già stata constatata o comunque fossero stati avviati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento tributario o contributivo di cui gli interessati avevano avuto notizia.
Nella specie l’attività ispettiva nei confronti dei due imputati era iniziata l’11 agosto e l’11 settembre 2009 mentre le dichiarazioni riservate erano presentate il 30 settembre in un caso e il 26 novembre nell’altro, nessun versamento poi era stato eseguito.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura
Secondo i giudici di legittimità la normativa sullo scudo fiscale escludeva la punibilità per i reati tributari in caso di rimpatrio dei capitali cd. scudati e si perfezionava con il pagamento dell’imposta (art 13 bis del DL 78/2009).
Il rimpatrio non produceva gli effetti estintivi della punibilità quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, le violazioni fossero state già constatate o comunque fossero già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati avevano avuto formale conoscenza.
Nel caso in esame il procedimento penale non era sicuramente iniziato alla data di entrata in vigore della norma (3/8/2009) e quindi sarebbe stato possibile perfezionare il rimpatrio mediante il pagamento dell’imposta e non già con la mera presentazione della dichiarazione riservata, peraltro inoltrate tutte successivamente rispetto all’avvio ufficiale dei controlli. In sostanza, rileva la sentenza, non era stato eseguito il pagamento e le istanze erano pure successive all’inizio dei controlli. Da qui l’accoglimento del ricorso.

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La prestazione del professionista segue il fabbricato

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 27 Dicembre 2016 di Michele Brusaterra, Matteo Mantovani e Benedetto Santacroce

LA RICLASSIFICAZIONE DELLE PRATICHE

Le nuove regole sulle prestazioni relative ai beni immobili mettono definitivamente fuori gioco alcune interpretazioni nazionali tra cui quelle relative alle prestazioni dei professionisti collegate agli atti di compravendita, ovvero le attività di sorveglianza degli immobili ovvero alcune tipologie di contratti di deposito. Il regolamento 1042/2013 specifica che solo uno stretto e diretto collegamento con i beni immobili qualifica le prestazioni di servizio tra quelle per i quali l’Iva si applica nello Stato in cui il bene stesso è situato (articolo 7-quater, Dpr 633/72).
Le prestazioni
In base alla nuova disciplina e (Regolamento 1042/2013/Ue) si considerano relativi a beni immobili:
i servizi nei confronti dei quali il bene immobile è un elemento costitutivo del servizio ed è essenziale e indispensabile per la sua prestazione;
i servizi erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica di tale bene.
La definizione d’ordine generale è poi supportata nel regolamento attraverso una dettagliata elencazione, in positivo e in negativo, dei servizi riconducibili (o meno) alla categoria immobiliare. In termini pratici, è questa la parte più importante dell’intervento Ue ed è quello che evidenzia proprio i contrasti con l’interpretazione interna.
In particolare, il regolamento include fra le prestazioni immobiliari anche i servizi legali riguardanti cessione o trasferimento di proprietà di immobili (e connessi diritti), quali le pratiche notarili o la stesura di contratti di compravendita (anche se l’operazione non va a buon fine). Le Entrate, al contrario, nella circolare 37/E/2011 hanno adottato un approccio più restrittivo, escludendo tout court dalle prestazioni in questione – con implicito rinvio ai servizi generici – l’attività dell’avvocato relativa alla predisposizione dell’atto di vendita di un immobile o l’attività del tributarista relativa alla valutazione dei profili fiscali dell’operazione, ancorché riferiti a un immobile specificamente individuato; questo perché, in generale, esulano dall’ambito applicativo dell’articolo 7-quater del Dpr 633/72. Vanno considerati di natura immobiliare, inoltre, l’elaborazione di planimetrie per un fabbricato destinato a un particolare lotto di terreno, a prescindere dal fatto che lo stesso sia costruito; il rilevamento e la valutazione del rischio e dell’integrità di beni immobili e la loro valutazione, anche a fini assicurativi, nonché le opere agricole (in particolare servizi quali il dissodamento, la semina, l’irrigazione e la concimazione), i servizi di pulizia e i servizi di sorveglianza e sicurezza (ai quali, al contrario, nella circolare Assonime n. 1 del gennaio 2013, è attribuita natura generica).
La gestione
L’attività di gestione immobiliare è connessa all’immobile solo quando non è mera gestione del portafoglio di investimenti. Il regolamento consente di eliminare anche i dubbi attorno alla qualificazione delle prestazioni di deposito merci. Per le Entrate (circolare 28/E/2011) sarebbero sempre di natura generica, mentre l’Ue – in linea con la sentenza della Corte di giustizia C-155/12 – adotta un canone di valutazione connesso alle caratteristiche del contratto sottostante, per cui il deposito integra una prestazione relativa agli immobili laddove sia prevista l’attribuzione di una parte specifica dell’edificio ad uso esclusivo del committente/depositante ovvero, in mancanza di siffatta attribuzione, una prestazione generica.

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San Marino, stop all’invio per le fatture ricevute dal 2017

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 12 Dicembre 2016 di Giampaolo Giuliani

Comunicazioni Iva. Il Dl fiscale abolisce l’adempimento

Ha i giorni contati la comunicazione all’agenzia delle Entrate tramite il modello polivalente delle importazioni dalla Repubblica di San Marino per quanto riguarda l’Iva. La legge di conversione del decreto fiscale (Dl 193/2016) ha infatti introdotto una disposizione (articolo 7-quater, commi 21 e 22) che abolisce questo adempimento dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017».
In particolare, il decreto fiscale cancella l’articolo 16, lettera c), del decreto ministeriale del 24 dicembre 1993, che impone all’acquirente italiano, nel caso di importazioni da San Marino con fattura senza addebito d’imposta, di comunicare i dati della transazione all’agenzia delle Entrate utilizzando il modello di comunicazione polivalente e compilando il quadro SE. L’invio deve essere fatto telematicamente tramite il modello polivalente entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di annotazione nei registri.
L’abrogazione della comunicazione dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017» merita un approfondimento, perché, per come è formulato il decreto ministeriale del 1993, vi sono margini di incertezza su quando sarà operativa l’abolizione della lettera c) dell’articolo 16.
Il decreto che regola i rapporti di scambio con la Repubblica di San Marino non è stato aggiornato rispetto ai cambiamenti introdotti nelle disposizioni generali previste dal Dpr 633/72, e questo costringe spesso operatori e interpreti a trovare delle soluzioni “fai-da-te”. Così, in questo caso, si rilevano due discrasie nel decreto ministeriale che rendono necessario forzare l’applicazione delle vecchie norme.
Il primo problema riguarda l’articolo 16, lettera a), il quale prevede che gli operatori italiani corrispondano «l’imposta a norma dell’articolo 17, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 indicandone l’ammontare sull’originale fattura rilasciatagli dal fornitore sammarinese». Considerate le modifiche introdotte a partire dal 2010 all’articolo 17, è evidente che l’imposta non possa essere materialmente assolta secondo le disposizioni contenute nel terzo comma, ma sulla base di quanto stabilito nel secondo comma. Infatti, attualmente Il terzo comma disciplina l’istituto del rappresentante fiscale.
Il secondo problema riguarda le modalità di registrazione della fatture da cui dipende la compilazione del modello polivalente. L’articolo 16, lettera b), del decreto ministeriale del 1993 stabilisce infatti che le fatture siano annotate «nei registri previsti dagli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 e successive modifiche e integrazioni, secondo le modalità e i termini in essi stabiliti». Ma i termini di registrazione stabiliti nell’attuale versione dell’articolo 23 non contemplano quelli per le annotazioni di fatture emesse da fornitori non residenti per l’acquisto di beni. Si ritiene comunque di poter seguire le indicazioni generali dettate dal comma 1 dell’articolo 23, per cui «il contribuente deve annotare entro 15 giorni le fatture emesse nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione». Nel caso di acquisti da San Marino, la data di emissione è la data di ricevimento della fattura originale, munita del visto apposto dall’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e rilasciata dal cedente sammarinese.
In definitiva, chi ha effettuato acquisti da San Marino, senza che il fornitore abbia addebitato l’imposta, deve inserire nel modello polivalente, da inviare per l’ultima volta entro il 31 gennaio 2017, tutte le fatture ricevute entro il 31 dicembre 2016 che possono essere annotate nel registro delle fatture emesse entro il 15 gennaio, ma con riferimento al mese di dicembre. L’annotazione nel registro degli acquisti va effettuata prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale si detrae l’imposta.
Dovendo ricevere fatture originali munite di visto, l’acquirente italiano deve attendere il documento pervenuto tramite posta, corriere o consegnato dal fornitore o per suo conto. Non valgono copie inviate tramite fax o mail. Quindi, considerati i ritardi delle poste per le festività natalizie, è facile ipotizzare che molti acquisti effettuati nell’ultimo periodo dell’anno presso fornitori sammarinesi non dovranno essere oggetto di comunicazione.

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Direttiva madre-figlia alternativa alla convenzione

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 30 Dicembre 2016 di Giacomo Albano

Doppie imposizioni. Per i giudici della Suprema Corte i due istituti convivono ma non sono cumulabili

La direttiva madre-figlia, ancorché adottata dopo una convenzione contro le doppie imposizioni, non comporta il superamento della convenzione bilaterale; al contrario, direttiva e convenzione operano congiuntamente, ma secondo un regime di alternatività.
Lo ha chiarito la sentenza della Cassazione 27111/16 del 28 dicembre, con cui è stato respinto il ricorso di una società tedesca che chiedeva l’applicazione del regime di favore previsto dalla convenzione Italia-Francia in relazione ai dividendi distribuiti da una società italiana.
La controversia riguarda una società figlia italiana che aveva distribuito dividendi alla controllante tedesca in esenzione da ritenuta sussistendo i presupposti per l’applicazione della direttiva madre-figlia.
La mamma tedesca – incassato il dividendo – presentava istanza per ottenere il riconoscimento del credito d’imposta in base all’articolo 10, comma 4, lettera b) della convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni. La disposizione pattizia (non più applicabile a seguito dell’introduzione in Italia del regime di participation exemption) prevede che una società residente in Francia che riceve dividendi da una società italiana – e che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un soggetto italiano – ha diritto ad un pagamento pari a metà di tale credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista dalla convenzione stessa (5 o 15% a seconda dei casi).
Per la società tedesca la mancata concessione del regime del credito d’imposta anche alla mamma tedesca – soggetta ad in regime di tassazione sui dividendi analogo a quello delle società francesi – costituirebbe una violazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali.
I giudici di legittimità hanno respinto la tesi societaria, chiarendo anzitutto che – pur perseguendo analogo obiettivo – direttiva e convenzione prevedono modalità alternative per l’eliminazione della doppia imposizione e si trovano a convivere nell’ordinamento Ue e nazionale, senza che la direttiva implichi un automatico superamento delle convenzioni bilaterali. Con riferimento ai dividendi, in particolare, il contribuente può optare per la modalità più conveniente tra quelle previste dalle due fonti: esenzione da ritenuta e credito d’imposta.
Pertanto, è priva di fondamento la tesi secondo cui l’estensione, a favore di società madri Ue, del regime previsto dalla convenzione Italia Francia risponderebbe alla necessità di evitare benefici “speciali” alle società francesi, in quanto anche le controllanti tedeschi (e in generali Ue) possono fruire della direttiva. Al contrario, proprio la concessione del credito d’imposta – in aggiunto al regime di esenzione Ue – comporterebbe un cumulo dei benefici non consentito neanche ad una società francese.

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Scambio dati anche sulle attività finanziarie in trust

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 31 Dicembre 2016 di Marco Piazza

Fisco internazionale. Analisi del gruppo di studio dell’Ordine dei commercialisti di Milano sugli obblighi di reportistica

Il ruolo dei trust nello scambio automatico di informazioni è un tema dal quale non si può ormai più prescindere per verificare la tenuta delle strutture estere di cui direttamente o indirettamente siano detentori persone fisiche residenti in Italia.
Da un comunicato stampa dell’Ocse del 22 dicembre risulta che 110 giurisdizioni hanno dato disponibilità ad aderire alla procedura di Common reporting standard; che entro marzo del 2017 saranno stipulati 1.459 accordi bilaterali che prevedono lo scambio entro settembre del 2017, con riferimento a dati relativi al 2016 (di questi 1.133 sono già stati stipulati); e che entro questa data dovrebbero essere anche perfezionati gli accordi bilaterali con gli Stati che si sono impegnati a scambiare le informazioni dal 2018 per il 2017.
Anche le informazioni sulle attività finanziarie detenute in trust saranno oggetto di scambio. I titolari effettivi residenti in Italia devono quindi dare per scontato che presto non potranno più confidare sull’anonimato e quindi devono chiedersi se il trust sia o meno interposto, se sia effettivamente residente all’estero e se l’interessato stia o meno applicando correttamente le disposizioni italiane sulla compilazione del quadro RW (che impongono ai titolari effettivi di indicare le attività detenute all’estero per mezzo di trust (approccio look through).
È quindi particolarmente tempestiva e utile l’analisi compiuta dal Gruppo di studio trust e common reporting standard presso l’Ordine dei dottori commercialisti di Milano (estensori Paolo Ludovici, Marco Salvatore, Andrea Tavecchio, Stefania Tomasini) sugli obblighi di reportistica dei trust e dei trustee secondo le linee guida Ocse sul Crs.
Il trust può essere coinvolto nella proceduradi scambio:
sia come «istituzione finanziaria», direttamente soggetta agli obblighi di reportistica;
sia come «entità non finanziaria passiva»; in questo caso le attività finanziarie del trust depositate, amministrate o gestite da altre istituzioni finanziarie sono oggetto di comunicazione da parte di queste ultime.
In entrambi i casi, la comunicazione è trasmessa allo Stato di residenza dei soggetti che siano i disponenti, i protettori, i trustee, i beneficiari e gli altri soggetti che esercitano un controllo effettivo sul trust. Si considerano sempre beneficiari i soggetti che hanno diritto di ricevere una distribuzione obbligatoria; i beneficiari che hanno diritto di ricevere una distribuzione discrezionale sono “comunicati” solo nell’anno in cui la distribuzione viene effettuata o è effettuabile nel caso in cui il trust sia una istituzione finanziaria, mentre nel caso in cui il trust sia una entità non finanziaria passiva solo qualora la legislazione domestica del segnalante abbia esercitato una specifica opzione.
Sebbene i soggetti da segnalare in entrambe i casi coincidano sostanzialmente, la qualificazione del trust come istituzione finanziaria o come entità non finanziaria passiva incide sulle informazioni che verranno comunicate, come evidenziato nelle tabelle riepilogative dello studio.
Il trust è un’«istituzione finanziaria» quando, congiuntamente:
il reddito del trust è prevalentemente attribuibile ad attività finanziarie, nei tre anni precedenti;
gli attivi del trust sono gestiti da una istituzione finanziaria (a questo proposito è il caso di ricordare che l’elenco delle istituzioni finanziarie è stabilito dalla legislazione attuativa di ciascun Paese e quindi può comprendere anche soggetti diversi dagli intermediari finanziari tipici, come le banche e le le società di investimento; per esempio, la legislazione di Singapore considera istituzione finanziaria qualsiasi trust company autorizzata).
Il trust è invece una «entità non finanziaria passiva» quando:
il suo reddito sia costituito per almeno il 50% da «passive income» (dividendi, interessi, affitti, canoni, plusvalenze derivanti da attività «passive») e
le attività detenute al termine dell’anno solare o di rendicontazione precedente sia costituito per almeno il 50% da attività «passive».
I cosiddetti «trust holding» non sono considerati entità non finanziarie passive quando detengono essenzialmente società controllate impegnate nell’esercizio di un’attività economica o commerciale a cui forniscono finanziamenti e servizi, salvo che non si tratti di veicoli di investimento la cui finalità sia di acquisire o finanziare società detenute come capitale fisso ai fini di investimento (un concetto che pare simile a quello di holding “passiva”, di mera detenzione di partecipazioni).

Doing business in San Marino

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