Categoria: Dall’Italia
Canoni commerciali ridotti, l’accordo dev’essere registrato
8 Luglio 2024
Redditi di terreni e fabbricati
Nell’ambito di un contratto di locazione commerciale, il proprietario non ha percepito i canoni dal conduttore.
Per definire e chiudere la disputa con quest’ultimo, il locatore accetta una riduzione del canone e rilascia una dichiarazione liberatoria nella quale afferma di non avere alcunché da pretendere. In sede di dichiarazione dei redditi, il locatore stesso va a dichiarare l’importo effettivamente percepito dopo l’emissione della liberatoria?
È sufficiente tale dichiarazione liberatoria, qualora vi sia allegato l’assegno che dimostra quanto è stato effettivamente percepito?
Gli accordi intervenuti fra locatore e conduttore, in merito alla riduzione del canone di locazione commerciale che risulta convenuto nel contratto originario, non assumono efficacia nei confronti del Fisco senza una loro formale registrazione, da effettuarsi con il modello RLI e peraltro esente da imposte di registro e bollo (articolo 19 del Dl 133/2014).
Di conseguenza, fintantoché non venga posto in essere questo adempimento, nella dichiarazione dei redditi dovrà essere indicato e assoggettato a tassazione l’ammontare dell’intero canone pattuito all’inizio del rapporto di locazione, sebbene non percepito in tutto o in parte.
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No al software per calcolare i tempi delle attività
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 2 luglio 2024 di Giampiero Falasca
È illecito l’utilizzo, da parte di un datore di lavoro, di un software che monitora le prestazioni dei dipendenti in maniera dettagliata, registrando i tempi e le modalità di lavoro del personale nonché i tempi di inattività con le specifiche causali; è altrettanto illecito l’utilizzo di un hardware che regola l’accesso sul luogo di lavoro attraverso un sistema di riconoscimento facciale. Sulla base di queste considerazioni, il Garante Privacy ha comminato una pesante sanzione amministrativa a carico di un datore di lavoro che usava tali strumenti per migliorare la produttività interna (provvedimento 338/2024 del 6 giugno scorso).
Si tratta di un’azienda che si occupa di commercio e riparazione di autovetture, la quale ha deciso di installare un software (denominato Dms) e un hardware (X-Face 380) molto innovativi; un’installazione avvenuta senza accordo sindacale o autorizzazione amministrativa in quanto la società li considerava “strumenti di lavoro”.
Una scelta censurata in modo pesante dal Garante. Per quanto riguarda l’hardware che consente il riconoscimento facciale dei dipendenti, viene confermato l’indirizzo molto restrittivo già seguito in casi analoghi: è vietato perché realizza un trattamento illecito dei dati personali.
I dati biometrici rientrano nel novero delle cosiddette categorie particolari di dati e, quindi, il relativo trattamento è di regola vietato, salvo il caso in cui risulti necessario per assolvere degli obblighi ed esercitare dei diritti specifici in materia di diritto del lavoro e della protezione sociale (ipotesi che non si verifica nel caso in questione, essendo insufficiente l’esigenza di compilazione delle buste paga a integrare questo requisito). Il Garante, confermando anche qui il proprio consolidato indirizzo, sottolinea che nell’ambito del rapporto di lavoro il consenso manifestato dai dipendenti non può essere considerato idoneo presupposto di liceità, alla luce dell’asimmetria tra le rispettive posizioni delle parti.
Anche l’utilizzo del software gestionale viene sottoposto a numerosi rilievi critici.
Con questo sistema il datore di lavoro aveva imposto ai propri dipendenti, attraverso un codice a barre assegnato individualmente, di registrare le varie fasi dell’attività lavorativa, comprese le pause (con l’indicazione della specifica causale: ad esempio, riposo, attesa ricambi eccetera).
L’Autorità lamenta la mancanza di risposte del datore di lavoro sulla natura e la tipologia dei dati trattati, le modalità e i tempi di conservazione dei dati, che ha impedito di valutare l’effettiva necessità e proporzionalità del software rispetto alle finalità da perseguire. Non è bastata, quindi, la spiegazione fornita dalla società sul fatto che «il sistema non fa nessun controllo sulle attività svolte, ma esegue un semplice conteggio del tempo impiegato».
Carenza accentuata dal fatto che tali informazioni non sono state portate a conoscenza nemmeno dei dipendenti, ai quali è stata fornita un’informativa che risulta incompleta e inidonea a rappresentare compiutamente il trattamento effettuato.
Una violazione particolarmente grave, se si considera che nell’ambito del rapporto di lavoro l’obbligo di informare il dipendente è espressione del dovere di correttezza, come ricorda anche il Gdpr.
Per questi motivi, l’informativa rilasciata ai dipendenti viene considerata carente circa l’indicazione dell’idonea base giuridica che consente il trattamento, con la conclusione che il trattamento è stato realizzato dalla società in violazione dei principi di liceità, correttezza e trasparenza.
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Il Garante privacy: «Accertamenti fiscali dal web inesatti e rischiosi»
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 4 luglio 2024 di Andrea Carli
Gli accertamenti fiscali che si basano su informazioni “rastrellate” dal web sono inesatte e rischiose. L’interesse sociale delle intercettazioni non deve essere il gossip. E sul fascicolo sanitario si sono verificate criticità. Sono tre passaggi dell’intervento del presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, che ieri ha illustrato alla Camera la relazione sull’attività svolta nel 2023. Un documento che lancia l’allarme revenge porn, in preoccupante aumento: nel 2023 sono state 299 le segnalazioni di persone che temono la diffusione di foto e video a contenuto sessualmente esplicito, raddoppiate rispetto allo scorso anno. Ma la lente del Garante privacy si è soffermata sulle grandi questioni legate alla tutela dei diritti fondamentali delle persone nel mondo digitale.
Per quanto riguarda gli accertamenti fiscali, ad esempio, Stanzione ha ricordato che «basare le procedure accertative su informazioni “rastrellate” dal web, e come tali in larga misura inesatte, è estremamente rischioso, potendo avere effetti fortemente distorsivi sulla corretta rappresentazione della capacità fiscale dei contribuenti. Le garanzie di protezione dei dati rappresentano quindi, anche in quest’ambito, presupposti di efficacia dell’azione di contrasto dell’evasione fiscale».«I limiti del webscraping – ha continuato il presidente della Privacy – sono stati sottolineati anche rispetto alla riforma fiscale, nel cui ambito il ricorso all’intelligenza artificiale esige requisiti stringenti di affidabilità ed esattezza dei dati utilizzati per la profilazione del contribuente. Se addestrato su dati anche soltanto parzialmente inesatti, infatti, l’algoritmo restituirà risultati errati in proporzione geometrica, con bias che dalla base informativa si propagano lungo tutto l’arco della decisione algoritmica».
Il 2023 è stato l’anno della diffusione dell’intelligenza artificiale. Dopo un iniziale blocco di ChatGpt, per raccolta illecita di dati personali, e assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori, la piattaforma è stata riaperta garantendo più trasparenza e più diritti agli utenti.
C’è poi il nodo intercettazioni. «Il Ddl governativo – ha sottolineato il presidente dell’Autorità – rafforza sensibilmente, le garanzie di riservatezza dei terzi e, per altro verso, circoscrive l’ambito circolatorio dei contenuti captati, a tutela della privacy di tutti i soggetti le cui conversazioni siano acquisite. Ciò che si può auspicare, anche rispetto alla delega legislativa sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia in fase di indagini, è che si contenga la tendenza a scambiare l’interesse sociale della notizia con il gossip».
L’intelligenza artificiale è «ormai entrata a far parte del nostro orizzonte quotidiano di vita e sempre più ne sarà elemento costitutivo, con effetti della cui portata (in senso lato antropologica) non siamo, forse, del tutto consapevoli – ha concluso Stanzione -. Il diritto ha il compito di colmare questo vuoto di consapevolezza».
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Responsabilità solidale, serve la prova della frode
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 8 giugno 2024 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio
Per la responsabilità solidale in caso di cessione di azienda occorre l’individuazione degli elementi che dimostrino l’esistenza della frode e la partecipazione dell’acquirente.
Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 15948 depositata ieri. La vicenda trae origine da tre avvisi di accertamento notificati a un imprenditore che aveva acquistato la propria azienda da una società in liquidazione. Secondo l’Ufficio, sussisteva la responsabilità solidale dell’acquirente prevista dall’articolo 14 del Dlgs 472/1997 rispetto alle obbligazioni tributarie della società cedente per l’anno della compravendita e i due precedenti.
I provvedimenti venivano impugnati dinanzi al giudice tributario eccependo tra i diversi motivi che non c’era stata una cessione di azienda, ma dei trasferimenti di singoli beni e in ogni caso mancavano i presupposti per attribuire tale solidarietà.
Entrambi i giudici di merito confermavano l’intera pretesa. L’imprenditore ricorreva così in Cassazione lamentando sul punto una carente motivazione per l’applicazione nella specie della norma sulla responsabilità.
I giudici di legittimità accogliendo il motivo hanno offerto alcune precisazioni sulla speciale disciplina. Innanzitutto secondo la Suprema Corte i frazionati e numerosi trasferimenti degli elementi quali contratti, leasing, dipendenti, clienti, ecc. di cui si componeva l’azienda ceduta, dovevano essere riqualificati in una cessione di ramo di azienda.
La pronuncia evidenzia altresì che la società cedente era rimasta priva del suo patrimonio rimanendo titolare solo di debiti nei confronti dell’erario.
La Cassazione ha poi rilevato che la norma sulla responsabilità solidale (articolo 14 del Dlgs 472/1997) prevede due differenti ipotesi il cui discrimine è l’esistenza di intenti frodatori.
Più precisamente se la cessione è conforme alla legge è valorizzata la diligenza del cessionario nell’assumere prima della conclusione del negozio informazioni sulla posizione debitoria del cedente. In questo caso la responsabilità è sussidiaria e limitata al valore della cessione.
Se invece il trasferimento è avvenuto in frode al Fisco, la responsabilità del cessionario non ha limiti temporali ed è presunta quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di violazioni penalmenti rilevanti (tra le tante Cassazione 29722/2020).
Occorre così una ponderata valutazione da parte del giudice di merito. Nella specie, il collegio di appello non aveva indicato nemmeno nell’esposizione del fatto, da cosa far discendere la finalità frodatoria della cessione e la partecipazione del cessionario. La decisione è interessante perché rileva la necessità che siano individuati degli elementi che possano dimostrare l’effettivo intento di sottrarsi al pagamento dei propri debiti fiscali e peraltro, che tale finalità sia conosciuta anche dall’acquirente l’azienda.
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Influencer come agenti di vendita Avvocati al lavoro sui contratti
8 Luglio 2024
Il Sole 24 Ore 24 giugno 2024 di Massimiliano Carbonaro
L’inquadramento. Dopo la sentenza del tribunale di Roma aziende, agenzie e testimonial stessi chiedono di rivedere gli accordi e di valutare se è obbligatorio iscriversi all’Enasarco. Il rischio di aumento dei costi
La sentenza che assimila gli influencer agli agenti di commercio spinge aziende sponsor e testimonial a rivedere gli accordi contrattuali con l’assistenza dei legali. Sono gli effetti a cascata della pronuncia del Tribunale di Roma (n. 2615 del 4 marzo 2024) che si è abbattuta su questi rapporti, già soggetti a verifica dopo le linee guida dell’Agcom.
La sentenza arriva a confermare un’ispezione della Fondazione Enasarco effettuata nel 2022 che individuava nella promozione da parte di un gruppo di influencer della vendita online di integratori alimentari l’attività tipica degli agenti di commercio. In base a questo inquadramento, quindi, per il tribunale diventava necessario il pagamento dei contributi al Fondo di previdenza Enasarco e al fondo di indennità di risoluzione del rapporto. Secondo l’analisi degli avvocati, la sentenza in realtà sembra riferirsi solo agli influencer che lavorano con il meccanismo dell’affiliazione (o con il riconoscimento dei codici sconto) e non a quelli che percepiscono un compenso fisso per produrre contenuti e neppure a quelli, come i testimonial, che promuovono un brand senza che ci sia una vendita sottesa. Comunque la pronuncia introduce un nuovo problema: finora la principale preoccupazione per l’attività degli influencer era la correttezza dei contenuti e nei contratti ci si concentrava sulle modalità operative e il rispetto del brand. Ora in primo piano c’è l’inquadramento del rapporto. E questo rischia di avere riflessi in termini economici e sanzionatori.
«Bisognerà prestare attenzione ai prossimi pronunciamenti – spiegano Nicola Bonfante e Paola Tradati, entrambi equity partner, di Gatti Pavesi Bianchi Ludovici – ma intanto le imprese e gli stessi influencer hanno cominciato a richiedere assistenza legale per capire se l’attività degli influencer è riconducibile ad una vendita o se si tratta di contratti di sponsorizzazione. Agenzie e aziende che li utilizzano ci consultano sempre di più per rivedere i contratti ed evitare sanzioni e ulteriori costi e valutare se è davvero necessaria l’iscrizione all’Enasarco».
La presenza di alcuni elementi come un compenso parametrato alle vendite, il tracciamento digitale e l’uso di codici sconto dovrebbe spingere l’influencer ad iscriversi in Camera di commercio come agente.
Ma soprattutto l’impresa che si serve di queste figure professionali è chiamata ad attente valutazioni. «Dovrà gestire il venditore presso l’Enasarco, a prescindere dalla sua iscrizione al ruolo di agente – commenta Filippo Colonna, partner dello studio ColonnaCaramanti – facendosi carico anche dei contributi. La contribuzione si calcolerebbe su tutte le somme dovute all’agente. In questo caso, il committente sarebbe tenuto anche a versare periodicamente un’indennità di fine mandato alla Fondazione e ad accantonare in bilancio indennità aggiuntive a tutela dell’agente».
La sentenza quindi è un punto di partenza, potenzialmente di grande impatto. Per Piercarlo Antonelli, partner AMTF Avvocati, «il nuovo inquadramento potrebbe anche portare all’obbligo di riconoscere agli influencer le indennità di fine rapporto, con importi significativi, fino a un anno di provvigioni. Con il rischio di un effetto retroattivo sui rapporti già cessati».
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Legittimo licenziare chi fa un altro lavoro in congedo parentale
11 Giugno 2024
Il Sole 24 Ore 17 maggio 2024 di Giampiero Falasca
Il dipendente che, durante i permessi per congedo parentale, svolge un’attività lavorativa presso terzi, invece di occuparsi del figlio minore, abusa del diritto potestativo concesso dall’ordinamento. Pertanto, il licenziamento irrogato dal datore di lavoro che viene a conoscenza di questa condotta è legittimo. Con questo principio il Tribunale di Torre Annunziata (sentenza del 17 aprile 2024), confermando la decisione presa nella fase precedente del rito sommario, adotta un approccio rigoroso su un tema poco affrontato dalla giurisprudenza, quello degli eventuali abusi dei congedi parentali.
La vicenda riguarda un lavoratore che ha chiesto dieci giorni di congedo parentale per occuparsi di un figlio minore e di conseguenza si è assentato dal lavoro. Tuttavia i permessi non sono stati utilizzati per la cura del figlio, come accertato da un’agenzia investigativa che ha seguito il lavoratore, su incarico del datore. L’investigatore ha scoperto che il dipendente in congedo impiegava le giornate di permesso per svolgere l’attività di parcheggiatore in una vicina località balneare. In nessuno dei giorni di permesso il bambino si trovava nei pressi o all’interno del parcheggio. Venuto a conoscenza dei fatti, il datore di lavoro lo ha licenziato.
Il Tribunale ha ritenuto di convalidare il licenziamento partendo dalla considerazione che il congedo parentale è un diritto potestativo che consente al titolare di realizzare uno specifico interesse senza che il datore di lavoro possa opporsi; questa configurazione non esclude, tuttavia, la possibilità di verificare le modalità con cui il diritto viene esercitato, sia da parte di terzi, sia da parte del giudice.
In questa prospettiva, la sentenza chiarisce che una condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, può giustificare un licenziamento. Il datore di lavoro, nel caso specifico, tramite un abuso del diritto e senza un valido motivo si è visto privare della prestazione di lavoro del dipendente, oltre a subire una lesione del rapporto fiduciario per via dell’indebita percezione di un trattamento previdenziale non spettante. Pertanto, si verifica un abuso del congedo parentale ogni volta che il tempo non venga usato per la cura diretta del bambino ma per svolgere attività lavorativa o, in senso più ampio, per dedicarsi a qualunque attività che non sia in diretta relazione con questa esigenza di cura: non conta, secondo il Tribunale, quello che fa il genitore nel tempo da dedicare al figlio, quanto – piuttosto – quello che non fa durante questo tempo.
Una pronuncia coerente con l’indirizzo della Corte di cassazione che, in precedenti decisioni (sentenza 16207/2008 e 609/2018), ha affermato che si verifica un abuso del diritto protestativo di congedo parentale nel caso in cui il diritto sia esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere a altra attività di lavoro, sebbene quest’ultima possa poi incidere positivamente sull’organizzazione economica e sociale della famiglia.
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Via libera al pacchetto Ue contro il riciclaggio: tetto sui contanti a 10mila euro
11 Giugno 2024
Il Sole 24 Ore 31 maggio 2024 di Valerio Vallefuoco
Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato ieri delle nuove regole antiriciclaggio che hanno come obiettivo la protezione dei cittadini e del sistema finanziario Ue dal riciclaggio di denaro e dal finanziamento del terrorismo.
Questo gruppo di regole meglio conosciute come «Aml package» è costituito principalmente da un regolamento antiriciclaggio e dalla sesta direttiva antiriciclaggio.
Il regolamento estende le misure contro il riciclaggio di denaro a nuovi soggetti ed entità obbligate, come la maggior parte dell’intero settore delle valute virtuali, ma anche ai commercianti di beni di lusso (orologi, gioelli, metalli preziosi oltre 10mila euro, auto e moto oltre 250mila euro, aerei e yacht sopra ai 7,5 milioni di euro) e alle società sportive professionistiche e gli agenti sportivi del calcio.
Stabiliti requisiti di due diligence più rigorosi, specificati ulteriormente i criteri per l’individuazione della titolarità effettiva e fissato il limite di 10mila euro ai pagamenti in contanti. Istituita una nuova Autorità europea per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (Amla) che avrà poteri di supervisione diretti e indiretti su entità obbligate ad alto rischio nel settore finanziario. L’Autorità potrà imporre delle serie sanzioni pecuniarie alle entità obbligate selezionate.
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Fuori campo la provvigione per cessioni da San Marino
11 Giugno 2024
Il Sole 24 Ore 3 Giugno 2024 di Giampaolo Giuliani
Un commerciante italiano di auto usate riceve in conto deposito fiduciario, per l’eventuale vendita, autoveicoli usati e importati da una concessionaria con sede a San Marino.
Gli stessi autoveicoli vengono consegnati con regolare documento di trasporto al commerciante italiano, che immette l’auto nei registro di carico e scarico auto usate e nel registro agenzia di affari. Trovato l’acquirente Italiano, la concessionaria di San Marino provvederà a immatricolare l’auto.
Al commerciante Italiano verrà riconosciuta una provvigione sulla vendita. Questa provvigione è soggetta a Iva al 22 per cento, oppure non è territorialmente rilevante, ex articolo 7-ter Del Dpr 633/1972?
Quella descritta dal quesito è un’operazione fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale, ex articolo 7-ter del Dpr 633/1972. La prestazione dev’essere fatturata sulla base di quanto previsto dalla lettera b del comma 6-bis dell’articolo 21, dello stesso decreto.
Si segnala che il prestatore può emettere anche fattura elettronica e inviarla al sistema di interscambio (Sdi), che provvede a trasmetterla all’Hub dell’Ufficio tributario di San Marino, il quale a sua volta la trasmette alla società committente.
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Holding, la tassazione differita può mettere a rischio il reshoring
11 Giugno 2024
Il Sole 24 Ore 31 maggio 2024 di Alessandro Germani
In tema di fiscalità internazionale la residenza fiscale delle persone giuridiche va tarata sui nuovi concetti di sede di direzione effettiva e di gestione ordinaria, applicabili anche alle holding. In tema di reshoring occorre prestare attenzione allo stanziamento delle Dta (Deferred tax assets) in ingresso perché ciò può vanificare l’effetto positivo. Ma il reshoring dovrebbe essere consentito anche alle holding che svolgono direzione e coordinamento all’estero e decidono di rientrare in Italia. Questi gli spunti della circolare 1/2024 di Assoholding.
Il decreto legislativo 209/2023 in tema di fiscalità internazionale prevede che la residenza delle persone giuridiche (articolo 73, comma 3 del Tuir) si fondi su uno dei seguenti tre criteri alternativi, da soddisfarsi per la maggior parte del periodo d’imposta:
la sede legale, che è un elemento giuridico formale;
la sede di direzione effettiva, che riguarda la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche della società;
la gestione ordinaria in via principale che riguarda la gestione corrente della società.
Ora la direzione e coordinamento, generalmente svolta da una holding, è riconducibile al concetto di direzione effettiva ovvero all’assunzione di decisioni strategiche e gestionali a livello di gruppo. Mentre la gestione corrente si rifà ad attività quali la gestione finanziaria, la tenuta della contabilità, la gestione delle risorse umane e degli uffici. Tutto ciò richiama la tematica della residenza fiscale delle holding anche laddove le stesse svolgano attività di direzione e coordinamento. In presenza di soggetti esteri, infatti, in caso di una holding mista (o dinamica) bisognerebbe dare la prova che le attività principali e le decisioni strategiche siano assunte nel Paese estero.
Nel caso di holding pura che gestisce le partecipazioni ed eroga servizi alle partecipate occorre dimostrare che l’attività svolta dalla holding sia autonoma e indipendente da quella delle partecipate e che tale attività sia svolta all’estero.
Discorso più complesso riguarda le holding purissime (o passive) che si limitano a detenere le partecipazioni ed esprimere il voto in assemblea, qualora si intenda dimostrare che siano effettivamente residenti all’estero.
In tema di reshoring, invece, l’agevolazione è correlata al trasferimento in Italia di attività economiche svolte in un Paese estero extra Ue o See. Essa consente di ridurre a metà per sei anni la base imponibile Ires e Irap delle attività riportate in Italia. Esiste, tuttavia, un meccanismo di recapture per cinque anni a partire dalla scadenza dell’agevolazione, nei quali non si può riportare all’estero (nemmeno parzialmente) tali attività, pena il pagamento delle imposte non versate più gli interessi. Per le grandi imprese la recapture è ampliata a dieci anni. Quindi le attività devono restare in Italia per dieci o 15 anni per consolidare l’agevolazione. Inoltre, se si riporta in Italia qualcosa che originariamente era già in loco, è necessario che il trasferimento nel paese extra Ue o See sia avvenuto almeno ventiquattro mesi prima la data del rimpatrio.
Secondo Assoholding il reshoring va coordinato con le norme di exit ed entry tax introdotte in Italia nel 2015. Infatti, a fronte di un rientro di attività che all’estero potrebbe non aver subito exit tax, in fase di ingresso in Italia ai fini dell’entry tax si beneficerà del maggior valore di determinati asset che darà luogo a maggiori ammortamenti fiscalmente riconosciuti. Senonché poiché in questi casi vengono stanziate delle Dta legate al beneficio fiscale futuro, se in relazione ai cinque anni di reshoring si considera un’aliquota dimezzata, ciò è in grado di compromettere il beneficio fiscale del reshoring stesso. Motivo per cui nella pianificazione andrebbe posta la necessaria attenzione a tale aspetto.
Quanto alle holding, anche la mera attività di direzione e coordinamento presuppone lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, che può essere negata solo nel caso della holding “cassaforte”. Alla luce di ciò, una holding che esercita direzione e coordinamento e che trasferisce tale attività economica in Italia dovrebbe poter beneficiare dell’agevolazione del reshoring.
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Il ruolo del marketplace indirizza l’operazione Iva
11 Giugno 2024
Il Sole 24 Ore lunedì 3 giugno 2024 di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri
Molti operatori scelgono di proporre prodotti attraverso i marketplace, così da fruire dei loro servizi e sfruttarne la visibilità. Bisogna però fare attenzione nel gestire le procedure perché, a seconda del grado d’intervento della piattaforma, si possono configurare obblighi fiscali differenti.
La presunzione fiscale
Per prima cosa è bene fare chiarezza su un punto: la presunzione (fiscale) ex articolo 2-bis del Dpr 633/1972. In base a tale disposizione, la piattaforma si “intromette” (esclusivamente ai fini fiscali) nell’operazione – imponendo di fatturare a quest’ultima, che a sua volta fattura al cliente – solo per le vendite a distanza di beni di modico valore (non superiore a 150 euro) importati da Stati/territori terzi, ovunque sia stabilito il fornitore, e per le vendite all’interno della Ue (nazionali e intracomunitarie) ma solo se il fornitore non è stabilito nell’Unione.
Nell’ottica dell’impresa nazionale, pertanto, la presunzione opera solo per le vendite a distanza di beni di modico valore che siano importati da Stati/territori terzi per effetto della cessione. Al contrario, se i beni si trovano già nell’Ue, oppure sono di valore superiore a 150 euro, anche se la vendita è gestita attraverso un’interfaccia elettronica terza, questa resta estranea all’operazione.
L’azienda italiana che effettua vendite a distanza verso l’Ue deve quindi preoccuparsi (solo) di tenere monitorata la soglia di 10mila euro, superata la quale la tassazione (Iva) avviene a destino, con conseguente necessità di identificarsi o nominare un rappresentante fiscale nello Stato di destinazione. In alternativa, l’operatore può aderire all’Oss (opzionabile anche se non è superata la soglia) in modo da gestire le vendite a distanza direttamente attraverso l’identificativo italiano. L’eventuale iscrizione all’Oss ha un effetto totalizzante. Una volta aderito al regime, pertanto, tutte le operazioni, compresi i servizi che possono rientrarvi, devono confluire nella dichiarazione speciale Oss.
Oss e intervento del marketplace
Fatte queste premesse, si può puntare l’attenzione sul “livello” d’intervento del marketplace. Se la piattaforma si limita a fornire i servizi tipici della vetrina virtuale, come mero “espositore” dei prodotti, gestendo eventualmente gli ordini, l’operatore nazionale non deve fare altro che contabilizzare le vendite effettuate (magari sfruttando l’esonero da fatturazione/certificazione), come per qualsiasi vendita a distanza eseguita in Italia. Va tuttavia ricordato che, secondo la risposta 802/2021, le vendite in oggetto possono concorrere alla determinazione dello status di esportatore abituale e alla formazione del plafond solo se è emessa fattura (rinunciando così alle semplificazioni del regime).
Bisogna poi distinguere le operazioni in base alla destinazione dei beni: le vendite con consegna in altri Stati Ue rientrano nella dichiarazione Oss, mentre quelle verso l’Italia si riepilogano nella dichiarazione annuale Iva (restando soggette ai residui adempimenti ordinari).
La cosa si complica quando si fruisce anche dei servizi di logistica con trasferimento dei beni (che rimangono per il momento dell’impresa italiana) in magazzini gestiti dalla piattaforma in altri Stati membri. Lo spostamento dei beni costituisce infatti un “trasferimento a se stessi” che l’articolo 41 del Dl 331/1993 assimila a una cessione intracomunitaria. Significa che l’impresa deve conoscere la circostanza per poter aprire una posizione Iva in tale Paese ed emettere tempestivamente fattura alla propria partita Iva estera, indicando come importo il prezzo di costo.
Altra distinzione quando poi saranno realizzate le cessioni verso privati. Se si tratta di vendite a distanza intraUe – con spostamento dei beni da uno Stato membro a un altro, compresi i trasferimenti verso l’Italia dal Paese Ue cui sono stati prima inviati – queste rientrano nella dichiarazione Oss. Se i beni sono consegnati nello stesso Stato in cui già si trovano, si ha invece una cessione interna con applicazione delle relative regole.