Criptovalute: ecco le sanzioni sul quadro RW non compilato

15 Dicembre 2023

l Sole 24 Ore 4 Dicembre 2023 di Rosanna Acierno

Accertamento e Riscossione

Nel 2020, ho acquistato criptovalute per un modico valore, che attualmente è pari a seimila euro. In caso di non adesione alla sanatoria – senza regolarizzazione, dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso – quali sono le sanzioni/conseguenze per le criptovalute non dichiarate?

In caso di mancata regolarizzazione successiva all’omessa compilazione del quadro RW, qualora il cosiddetto wallet non sia detenuto presso un intermediario residente, l’amministrazione finanziaria potrebbe – con un apposito atto di contestazione – comminare, innanzitutto, le sanzioni dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati per ciascun anno, a decorrere dall’anno di imposta 2020 (articolo 5, comma 2, del Dl 167/1990, convertito in legge 227/1990). Inoltre, a decorrere dall’anno d’imposta 2023, l’amministrazione finanziaria potrebbe, con un ulteriore atto impositivo, accertare la maggiore imposta sul valore delle criptovalute secondo l’aliquota proporzionale del 2 per mille annuo (in forza dell’articolo 19, comma 18, del Dl 201/2011, modificato dall’articolo 1, comma 146, della legge 197/2022, di Bilancio per il 2023), unitamente alla irrogazione di sanzioni dal 120% al 240% dell’imposta, oltre alla maggiore imposta di bollo, anch’essa con l’aliquota proporzionale del 2 per mille annuo, secondo quanto stabilito dall’articolo 13, comma 2-ter, della tariffa allegata al Dpr 642/1972. Si fa rilevare, infatti, che fino al 2022, le cripto-attività non erano soggette all’Ivafe (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero), come chiarito anche dalle risposte a interpello all’agenzia delle Entrate 24 novembre 2021, n. 788, 24 agosto 2022, n. 433 e 26 agosto 2022, n. 437. A partire dal 1° gennaio 2023, invece, anche le cripto-attività sono soggette all’imposta di bollo e a un’imposta sul valore delle cripto-attività che riprende per buona parte la normativa dell’Ivafe.

Infine, l’amministrazione finanziaria, sulla base dell’articolo 6 del Dl 167/1990, che prevede una presunzione di fruttuosità degli investimenti all’estero posseduti da un contribuente residente tenuto agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale, potrebbe accertare un maggiore reddito in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta e comminare le sanzioni dal 90 al 180 per cento. Come detto, le imposte e le sanzioni citate potrebbero essere dovute ove le cripto-attività fossero detenute presso un intermediario non residente, o se fossero archiviate su chiavette, Pc o smartphone. Non dovrebbe, invece, essere comminata alcuna sanzione, né verrebbe accertata alcuna maggiore imposta, ove il wallet sia detenuto presso un intermediario residente in Italia. Infatti, secondo quanto chiarito dalle risposte a interpello all’agenzia delle Entrate 24 agosto 2022, n. 433, e 26 agosto 2022, n. 437, le cripto-attività si considerano di fonte estera nella misura in cui il wallet non è detenuto presso un intermediario residente, con la conseguenza che non vi è alcun obbligo di monitoraggio qualora l’intermediario sia una società italiana.

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Informazioni non finanziarie, l’obbligo può attrarre i fornitori

15 Dicembre 2023

Il Sole 24 Ore 5 dicembre 2023 di Enzo Rocca
Richiesti dati sui rapporti commerciali a monte e/o a valle nella catena del valore

Le Pmi potranno essere chiamate a fornire informazioni non finanziarie sulle proprie attività aziendali già a partire dal prossimo anno, per soddisfare le necessità informative delle imprese clienti più grandi nell’ambito del rapporto di fornitura.

Dal 1° gennaio 2024, pubblicazione nel 2025, infatti, a partire dalle imprese già obbligate alla dichiarazione non finanziaria, inizierà progressivamente ad applicarsi la nuova direttiva sul reporting di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive o Csrd) che prevede, tra le principali novità, la richiesta di informazioni ambientali, sociali e di governance sui rapporti commerciali diretti e indiretti a monte e/o a valle nella catena del valore.

I dati delle imprese sono necessari al settore finanziario per consentire agli investitori di assumere consapevolmente le proprie decisioni in questa delicata fase di transizione verso un’economia più sostenibile, in coerenza con quanto richiesto dalle normative introdotte nell’ambito della strategia di finanza sostenibile dell’UE.

Il processo di adattamento, infatti, richiederà un aumento considerevole degli investimenti da parte di imprese, famiglie e settore pubblico. In questo contesto le banche saranno chiamate a svolgere un ruolo fondamentale per favorire la canalizzazione degli investimenti finanziari verso le attività economiche sostenibili.

Senza informazioni sufficienti, affidabili e comparabili relative alle società partecipate e finanziate, non sarà possibile per il settore finanziario orientare efficacemente i capitali verso tali investimenti, ne? individuare e gestire efficacemente i rischi che da essi derivano. La fase di transizione, infatti, potrebbe avere un carattere trasformativo nei processi di produzione e nei modelli di consumo, comportando inoltre una redistribuzione del capitale tra settori o tecnologie con effetti sulla rischiosità dei prenditori.

Inoltre, la disponibilità e l’accuratezza delle informazioni consente di prevenire il rischio di greenwashing ossia quello di fare affermazioni, dichiarazioni, azioni o comunicazioni che non riflettono in modo chiaro ed equo il profilo di sostenibilità dell’impresa sui cui si sta investendo. Pratica che può essere fuorviante per i consumatori, gli investitori o altri partecipanti al mercato.

Per questa ragione l’UE ha emanato rilevanti provvedimenti normativi come la tassonomia europea e la direttiva sul reporting di sostenibilità con i relativi standard Efrag che sono finalizzati a soddisfare questa esigenza informativa.

La Commissione europea stima che queste nuove regole di rendicontazione si applicheranno a circa 50mila grandi aziende e gruppi in tutta l’UE contro le attuali circa 12mila. Sono numeri importanti che diventano ancor più significativi se si considera che la direttiva amplia il perimetro di rendicontazione.

La Csrd, infatti, richiede informazioni sugli «impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connessi all’impresa attraverso i suoi rapporti commerciali diretti e indiretti nella catena del valore a monte e/o a valle». Questa richiesta determina il superamento del confine informativo, normalmente delimitato dall’area di consolidamento, introducendo un elemento di criticità connesso alla raccolta e alla verificabilità dei dati, in particolare delle Pmi che fanno parte della catena di fornitura.

La comunicazione di informazioni sulla sostenibilità di qualità da parte dell’impresa può arrecare benefici. Essa può ad esempio migliorare il livello di consapevolezza e comprensione dei rischi e delle opportunità legati al clima nel processo di transizione, una migliore gestione dei relativi rischi e, conseguentemente, un processo decisionale e una pianificazione strategica più informati.

Inoltre, essa può aumentare le opportunità di finanziamento e ridurre il costo del capitale, ad esempio in virtù dell’inserimento dell’impresa in portafogli di investimento a gestione attiva e in indici incentrati sulla sostenibilità, nonchè in virtù di rating del credito più alti per l’emissione di obbligazioni e di una migliore valutazione dell’affidabilità creditizia per i prestiti bancari.

Non va dimenticato, infine, che un dialogo più costruttivo con gli stakeholder, in particolare investitori e azionisti, migliora la reputazione dell’impresa.

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Presunzione di esterovestizione: test sulle partecipazioni in soggetti residenti

14 Novembre 2023

Il Sole 24 Ore 26 ottobre 2023 di Giacomo Albano

LE QUOTE DI CONTROLLO

Salvo prova contraria, si presumono residenti in Italia le società non residenti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti italiani se, alternativamente, è soddisfatta una delle due seguenti condizioni:

1 sono controllati, anche indirettamente da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

2 sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Lo schema di decreto conferma quindi la presunzione di residenza per le società non residenti che detengono partecipazioni di controllo in società italiane, introducendo delle modifiche di coordinamento per tener conto dei nuovi criteri di residenza; nella precedente formulazione, infatti, in presenza delle condizioni in questione, si presumeva esistente in Italia la sede dell’amministrazione, criterio non più applicabile con i nuovi parametri.

La disciplina è chiaramente finalizzata a contrastare l’esterovestizione, ossia la localizzazione all’estero da parte di soggetti residenti in Italia, di partecipazioni in società residenti in Italia, al fine di sottrarre alla potestà impositiva dello Stato i redditi relativi a tali partecipazioni (essenzialmente dividendi e plusvalenze).

La presunzione continua ad essere relativa, nel senso che determina un’inversione dell’onere della prova in ordine alla residenza del soggetto estero. Tale onere, contrariamente alla regola generale secondo cui spetta al fisco provare il fondamento della propria pretesa impositiva, viene trasferito sul soggetto “estero”, il quale dovrà dimostrare che, nonostante la sussistenza dei criteri di collegamento con il territorio nazionale indicati dalla disciplina presuntiva, la propria residenza fiscale non è localizzata in Italia in base ai (nuovi) criteri generali della direzione effettiva e della gestione ordinaria.

Va ricordato che la presunzione opera, ove ne sussistano i requisiti, nei confronti del soggetto estero a prescindere dalla sua configurazione quale holding, quindi anche nei confronti di società operative estere che possiedono partecipazioni di controllo in società italiane, ed a prescindere dal “peso” delle partecipazioni di controllo nelle società italiane rispetto ai restanti elementi dell’attivo; la presunzione, inoltre, prescinde dal livello di tassazione dello Stato estero in cui è ubicata la sede legale.

Da ultimo, lo schema di decreto riformula la norma che disciplina la residenza per gli organismi di investimento collettivo del risparmio. Il nuovo testo conferma che per tali soggetti rileva il criterio del luogo di istituzione. Viene altresì confermata la presunzione di residenza per i trust istituiti in Stati a fiscalità privilegiata in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti in Italia, con la possibilità di fornire la prova della effettiva residenza nello Stato estero.

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Il nuovo OIC 34 – Servizi – Ricavi rilevati a conto economico in base allo stato di avanzamento

14 Novembre 2023

Il Sole 24 Ore 5 ottobre 2023 di Alessandro Germani

Due le condizioni: misurazione attendibile del ricavo e maturazione del corrispettivo in proporzione alla prestazione eseguita

Una rilevante novità del principio contabile Oic 34, nell’ambito di una trattazione unitaria dei ricavi, la cui disciplina era in passato trattata in maniera asistematica all’interno degli altri principi contabili, è la distinzione delle caratteristiche delle due categorie rappresentate da cessioni dei beni e prestazioni di servizi.

In primo luogo, il paragrafo 22 si occupa della rilevazione, affermando che, dopo aver determinato il valore delle singole unità elementari di contabilizzazione, la società dovrà procedere con lo stabilire il momento in cui rilevare il ricavo in bilancio sulla base del principio di competenza economica. Questo principio resta alla base di tutto come cardine della rilevazione.

Poi il principio distingue le cessioni di beni dalle prestazioni di servizi. Il paragrafo 31 stabilisce che i ricavi per prestazione di servizi sono rilevati a conto economico in base allo stato di avanzamento, se sono rispettate entrambe le condizioni:

l’accordo tra le parti prevede che il diritto al corrispettivo per il venditore maturi via via che la prestazione è eseguita;

l’ammontare del ricavo di competenza può essere misurato attendibilmente.

Quindi la rilevazione richiede nella sostanza che si determinino contemporaneamente le due condizioni della maturazione del corrispettivo a mano a mano che la prestazione è eseguita e la misurazione del ricavo per competenza sia effettuata in maniera attendibile.

Il principio prosegue con lo stato di avanzamento che si può determinare con vari metodi e il redattore di bilancio che procederà con quello che conduce a una determinazione attendibile dei servizi prestati. Dopodiché i metodi possono essere rappresentati dalla proporzione:

tra le ore di lavoro svolto alla data di bilancio e le ore complessive di lavoro stimate per effettuare il lavoro;

tra i costi sostenuti alla data di bilancio e i costi totali dell’operazione stimati;

tra i servizi effettuati alla data di bilancio e i servizi totali previsti nel contratto.

Quindi lo stato di avanzamento è stimabile in base a criteri oggettivi che fanno leva sulle ore di lavoro, sui costi sostenuti o sui servizi effettuati. Esso richiama, nella sostanza, la determinazione dello stato di avanzamento prevista per i lavori in corso su ordinazione (Oic 23) al paragrafo 62. In questo principio sono richiamati sia il metodo del costo sostenuto sia quello delle ore lavorate, che sono proprio due fra quelli previsti anche in chiave Oic 34.

Esiste, infine, una previsione di chiusura in base al paragrafo 33 del principio contabile Oic 34. Infatti, nel caso in cui la società non possa rilevare il ricavo secondo il criterio dello stato di avanzamento, il ricavo per il servizio prestato è iscritto a conto economico quando la prestazione è stata completata.

Nelle Motivazioni alla base delle decisioni assunte si dà conto del fatto che, alla luce dei commenti ricevuti sul Discussion Paper del 2019, si è deciso che il principio sui ricavi dovesse confermare l’attuale distinzione tra vendita di beni e prestazione di servizi. Appare in ogni caso evidente la criticità legata alle modalità di rilevazione dei ricavi derivanti da prestazioni di servizi. Le motivazioni, in particolare, confermano che non era chiaro se questi ricavi dovessero essere rilevati solo dopo aver terminato la prestazione o se in alcuni casi potessero essere contabilizzati in proporzione al lavoro svolto.

Viene anche chiarito che il principio, coerentemente con quanto previsto dall’Oic 23 per i lavori in corso su ordinazione, prevede che i ricavi per prestazione di servizi siano rilevati in base allo stato di avanzamento se il diritto al corrispettivo per il venditore matura in proporzione alla prestazione eseguita e se l’ammontare del ricavo di competenza può essere misurato attendibilmente.

Appare quindi chiaro che la contabilizzazione del ricavo per prestazioni di servizi si rilevi a stato di avanzamento se le citate condizioni (maturazione proporzionale alla prestazione eseguita e attendibilità della misurazione) sono rispettate.

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Stretta anti-frode Iva sulle auto provenienti dalla Repubblica di San Marino

13 Novembre 2023

Redazione ANSA, 2 novembre 2023

Con la legge di bilancio arrivano controlli più stringenti per evitare che l’imposta venga evasa: chi vuole immatricolare in Italia auto e moto provenienti da San Marino e dallo Stato del Vaticano, all’atto della richiesta di immatricolazione dovrà produrre anche la copia del modello F24 che riporta il numero di telaio e l’ammontare dell’Iva assolta.

La relazione illustrativa della legge di bilancio spiega come “si è potuto constatare, a partire dalla fine del 2020, un incremento del numero dei veicoli immatricolati in Italia, formalmente provenienti dalla Repubblica di San Marino” sui quali, a differenza dei veicoli provenienti dagli altri Stati comunitari, “non è previsto alcun controllo preventivo all’immatricolazione da parte degli Uffici dell’Agenzia delle entrate”.

Dunque “con tale meccanismo, risultano aggirati gli obblighi in materia di Iva, non essendo prevista una verifica da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate”. Ma con la legge di bilancio si cambia, perché i controlli con gli F24 saranno obbligatori per tutti.

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Monitoraggio fiscale, il quadro RW setaccia conti e immobili esteri

13 Novembre 2023

Il Sole 24 Ore 23 ottobre 2023 di Alessandro Borgoglio

Adempimenti. Case oltrefrontiera, trading online e rapporti bancari, magari frutto di vecchi lavori all’estero, devono essere riportati nel modello

Conto fuori dall’Italia: doppia condizione per l’esenzione

Risiedo e lavoro in Italia, ma ho una nota carta di credito internazionale, molto usata anche in Italia, che si appoggia a un conto corrente in Germania, di cui quindi risulto intestatario. Ci metto sempre pochi soldi, per cui il saldo non è mai superiore a 3mila euro. Devo comunque dichiarare il conto corrente nel quadro RW? Non ci sono eccezioni al monitoraggio fiscale?

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi (quadro RW) previsti dal Dl 167/1990 non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi: si tratta, per esempio, delle attività detenute all’estero, ma tramite mandato fiduciario a un soggetto residente in Italia, nonché dei prodotti finanziari detenuti all’estero, ma tramite banche e altri intermediari finanziari italiani, che operano in qualità di sostituti d’imposta.

Inoltre, gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (anche per un solo giorno). Occorre però prestare attenzione in proposito, perché resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro RW laddove sia dovuta l’Ivafe: si tratta di un’imposta che, per i conti correnti e i libretti di risparmio, è dovuta in misura fissa pari a 34,20 euro, rapportati alla quota e al periodo di possesso, soltanto se la giacenza media del conto/libretto è superiore a 5.000 euro.

Per rispondere al lettore, quindi, se il conto corrente ha sempre avuto un saldo (giornaliero) inferiore a 15.000 euro e la giacenza media del periodo di possesso (generalmente, l’anno) è inferiore a 5.000 euro – come parrebbe desumersi dal tenore del quesito – non sussiste alcun obbligo dichiarativo in relazione al conto corrente tedesco.

L’immobile oltreconfine

non si ripete nel quadro RW

Sono un lavoratore dipendente, risiedo a Milano, ma ho un immobile in Spagna che utilizzo per le vacanze. L’ho già dichiarato nel quadro RW per l’anno d’imposta in cui è avvenuto l’acquisto immobiliare. Devo continuare a dichiararlo tutti gli anni nel quadro RW, visto che non sono tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi, avendo una sola Certificazione Unica?

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi di cui al Dl 167/1990 non sussistono per gli immobili situati all’estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’IVIE.

Nel caso del lettore, quindi, se non sono mai intervenute e fino a quando non avverranno variazioni (come può accadere, per esempio, per la percentuale di possesso), non vi è obbligo alcuno di compilare il quadro RW e, pertanto, nel suo caso specifico, il contribuente può anche non presentare alcuna dichiarazione dei redditi, non essendovi tenuto, secondo quanto affermato nel quesito .

Trading online su Cfd e Forex sempre “monitorato”

Ho un conto aperto presso una nota piattaforma di trading online che ha sede all’estero. Mi è arrivata una lettera di compliance dell’Agenzia delle Entrate, con cui mi si contesta l’omessa dichiarazione del conto nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, con applicazione delle relative sanzioni. Io, però, non ho mai avuto guadagni, ma solo perdite: perché avrei dovuto dichiarare il conto di trading?

Tralasciando la complessa questione della tassazione delle rendite finanziarie, ricordando soltanto che il contribuente deve dichiarare (e tassare) anche le eventuali plusvalenze e i redditi finanziari esteri (quadro RT, RM e RL del modello Redditi), il trading su piattaforme online estere solitamente viene effettuato in CFD o valute su FOREX, per acquistare o vendere i quali il cliente “appoggia” delle somme su un conto virtuale di una piattaforma online: non si tratta, però, in genere di conti correnti bancari (non hanno IBAN) e, quindi, non si applica alcuna esenzione dichiarativa. In sostanza, i conti di trading online (non conti corrente, perciò senza IBAN) presso piattaforme ubicate all’estero vanno sempre indicati nel quadro RW, anche quando l’attività di trading ha generato solo perdite.

In Svizzera vale ancora la sanzione a quota 6%

Ho una gestione patrimoniale in titoli finanziari in Svizzera, ma non l’ho dichiarata. Come posso rimediare?

Ai fini del solo monitoraggio fiscale (potrebbero essere dovute anche imposte sostitutive e Ivafe), se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi senza indicare le attività finanziarie detenute in Svizzera, può allora effettuare un ravvedimento operoso, trasmettendo una dichiarazione integrativa contenente le attività finanziarie omesse e versando la sanzione del 6% (per i Paesi black-list come la Svizzera; è del 3% per i Paesi non black-list) del valore totale delle attività finanziarie alla fine del periodo d’imposta o di detenzione, ridotta a un sesto o un settimo o un ottavo, a seconda di quando viene fatto il ravvedimento operoso ex articolo 13 del Dlgs 472/1997 (il Dm 20 luglio 2023 ha eliminato la Svizzera dalla black-list di cui al Dm 4 maggio 1999, ma l’efficacia di tale eliminazione è differita al 2024).

Diversamente, se il contribuente non ha proprio presentato a suo tempo la dichiarazione dei redditi originaria, non è possibile effettuare alcun ravvedimento operoso e, quindi, dovrà attendere l’eventuale atto di contestazione emesso dal Fisco.

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Software acquistato per rivendita non assoggettato a ritenuta

13 Novembre 2023

Il Sole 24 Ore 13 ottobre 2023 di Alessandro Germani

Circolare Assonime sul principio di diritto n. 5 dell’agenzia delle Entrate

L’inquadramento dei pagamenti connessi all’utilizzo del software appare controverso laddove si rischia di catalogare come canoni (soggetti a ritenuta) anche i pagamenti per l’acquisto di software destinato alla mera rivendita. Così Assonime nella circolare n. 27 di ieri che fa il punto sul principio di diritto n. 5/23.

A livello interno è stabilita sui pagamenti per royalties una ritenuta del 30% che può essere ridotta poi in via convenzionale (di solito fra il 4% e il 10%), generandosi comunque una tassazione concorrente del Paese della fonte (l’Italia). In questo quadro il recente principio di diritto n. 5 ha destato alcune perplessità fra le imprese perché sembra favorire una visione che abbraccia come pagamento di royalties anche gli acquisti effettuati con finalità di rivendita, per mera distribuzione. In realtà la ris. 169/97 escludeva dal novero dell’art. 12 del modello OCSE (e quindi da ritenuta) il software acquisito per mero utilizzo personale e commerciale. Ma la successiva ris. 128/E/08 andava a considerare come canone dell’art. 12 citato anche l’ipotesi di mera distribuzione, che rientrerebbe invece fra gli utili dell’art. 7 del modello OCSE (senza ritenuta). Ciò nonostante il fatto che il 17 luglio 2008 il commentario all’articolo 12 venne modificato introducendo il paragrafo 14.4 per stabilire che gli acquisti di software destinati alla rivendita siano configurabili come business income dell’articolo 7 (no ritenuta). Anche la recente risposta n. 361/23 ripercorre i precedenti di prassi ma non si sofferma sulle novità del paragrafo 14.4 del 2008.

Secondo l’Associazione dovrebbe essere chiaro che l’acquisto di software per mera rivendita costituisca utile e non royalty. Dovrebbero aiutare anche l’impostazione contabile, per cui nei bilanci IAS (ma ormai anche negli OIC con il nuovo principio 34) l’intermediario iscrive a conto economico la sola commissione. La Giurisprudenza di merito (CTR Lombardia n. 60/17) ha confermato tale tesi mentre per la Cassazione (ord. 11865/18) va fatta un’analisi caso per caso. La tematica vale anche al rovescio laddove il paese estero alla fonte preveda una ritenuta in uscita e l’Italia consideri il pagamento come business profit ex art. 7, perché in tal caso potrebbe non spettare il credito d’imposta estero (circ. 9/E/15) e l’unica strada sarebbe la richiesta di rimborso presso lo Stato estero come primo passo di una procedura amichevole. Vista la delicatezza delle tematiche Assonime auspica un intervento chiarificatore ad ampio raggio dell’Agenzia.

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Come uscire dalle liste di proscrizione dei cattivi pagatori

13 Novembre 2023

Il Sole 24 Ore  7 ottobre 2023 di Stefano Elli

REDENZIONE DEBITORIA

«Il credito verrà concesso dietro l’approvazione della finanziaria». Finiscono così molti claim pubblicitari trasmessi per radio. In pratica che cosa significa?

Che i pagamenti rateali per acquistare qualunque bene (ma anche mutui immobiliari) verranno o non verranno autorizzati sulla base di un preliminare esame condotto presso Crif, società privata il cui acronimo significa Centrale rischi intermediazione finanziaria, la principale attrice sul mercato italiano del credito. Esistono altre società private (i sistemi di informazioni creditizie, acronimo Sic) e poi c’è la Centrale rischi di Banca d’Italia che però ha funzioni di tutela del sistema creditizio.

Di fatto le centrali rischi private sono le lavagne dietro le quali vengono spediti i “cattivi” della classe, coloro che hanno tardato (o non hanno potuto) pagare un debito. Va detto che nell’elenco del Crif entrano anche i dati favorevoli al consumatore, ma quelli che interessano di più sono quelli negativi.

Finire dietro la lavagna è fin troppo facile. Uscirne in certi casi sembrerebbe automatico ma in realtà è complicatissimo. Che fare?

Si deve innanzitutto verificare che i dati sui mancati pagamenti non siano attribuibili ad errori nel rapporto tra banca e finanziaria e il cliente.

Per esempio se esista una discrasia tra un pagamento effettuato in tempo e la registrazione tardiva dell’avvenuto saldo nei sistemi informatici della banca. Oppure se il ritardo è stato causato da un disguido e il ritardo è stato sanato rapidamente.

In tutti questi casi anziché al Crif è preferibile rivolgersi direttamente a chi ha erogato il credito e fare richiedere a loro la cancellazione dal Crif. Questo in realtà vale per tutte le categorie di mancato o ritardato pagamento: anche perché il Crif per potere procedere alla auspicata cancellazione deve comunque rivolgersi agli istituti che hanno erogato il finanziamento.

Se invece il mancato pagamento è causato da malinconie patrimoniali di qualunque origine e natura il discorso è diverso. Se si tratta di ritardi nei pagamenti su massimo due rate con emissione di una sanzione di mora i dati si cancellano automaticamente dopo un anno dalla comunicazione del saldo, ma solo se le rate successive sono sempre state pagate regolarmente. Se le rate sono più di due i tempi salgono a due anni ma vale la stessa regola: le rate successive devono sempre risultare pagate regolarmente.

Nel caso invece di finanziamenti che non sono mai stati pagati, anche se il dato si cancella in automatico dal Crif dopo 36 mesi, l’onta di cattivo pagatore non viene sanata e viene trasferita su un altro canale: un’altra banca dati: l’albo (o registro) dei cattivi pagatori Crif. Questo perché chi non rimborsa un finanziamento o un mutuo, viene iscritto al Crif e può iniziare un’azione giudiziaria nei suoi confronti e la pratica spesso viene passata ad agenzie di recupero crediti. La prescrizione della segnalazione è di 5 anni. Come si vede la vita di un cattivo pagatore può diventare un inferno di dinieghi meritati o immeritati che siano. Meglio quindi non finire dietro le lavagne dei Sic.

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Società fiduciarie, dubbi sugli incarichi di trustee

6 Ottobre 2023

Il Sole 24 Ore 3 Ottobre 2023 di Angelo Busani

Una circolare impedisce l’uso dei contratti di amministrazione

Negata la possibilità di divenire proprietari dei beni oggetto di mandato

Le società fiduciarie svolgono un’attività che, per legge è «rigorosamente perimetrata» e pertanto, da un lato, non possono divenire proprietarie dei beni oggetto del mandato fiduciario e, d’altro lato, devono agire in base a specifiche istruzioni scritte impartite in occasione di ogni singola operazione.

Con queste parole (contenute nella circolare n. 10/V, prot. n. 255451 dell’11 agosto 2023) il Mimit ha negato alle società fiduciarie di poter operare in base a un modello contrattuale denominato «contratto di amministrazione fiduciaria di fondi speciali affidati» e cioè una derivazione del contratto di affidamento fiduciario (e della normativa sul cosiddetto «dopo di noi», di cui alla legge 112/2016) per adattarlo all’operatività specifica delle società fiduciarie.

Nell’argomentazione che il ministero delle Imprese ha utilizzato nella circolare, seppure il trust non sia mai espressamente menzionato, è impossibile non intravedere una avversione al fatto che le società fiduciarie assumano incarichi di trustee. È infatti considerazione persino elementare che il fulcro del trust consista:

nell’attribuzione al trustee del diritto di proprietà dei beni apportati al trust (seppur si tratti di una proprietà che il trustee deve orientare allo scopo per il quale il trust è stato istituito);

nell’attribuzione al trustee di un’ampia discrezionalità nella gestione del patrimonio vincolato nel trust;

nell’irrevocabilità della volontà del disponente circa la sottoposizione al vincolo di destinazione del trust del patrimonio che vi è apportato.

Ebbene, la circolare afferma che le società fiduciarie non possono agire che in base al mandato disciplinato dal decreto del ministro dell’Industria del 16 gennaio 1995 (la «fiducia germanistica») in base al quale:

  1. a)le società fiduciarie non diventano proprietarie dei beni oggetto del mandato, ma solo formali intestatarie dei beni stessi, al fine dell’amministrazione dei beni in questione;
  2. b)il fiduciante deve fornire alla fiduciaria istruzioni per iscritto prima di ogni singola operazione inerente al mandato fiduciario cosicché il bene “circola” sulla base delle indicazioni vincolanti che, di volta in volta, siano fornite dal fiduciante;
  3. c)in qualsiasi momento, il fiduciante può decidere di «ritirare dalla circolazione» il bene in questione, chiedendo alla società fiduciaria di rimetterlo nella sua disponibilità con la conseguenza che, in tal caso, torna a coincidere, in capo al fiduciante, la titolarità formale e la titolarità sostanziale di tale bene.

Insomma, non appartiene al sistema delle società fiduciarie italiane la «fiducia romanistica» e cioè il trasferimento temporaneo al fiduciario del diritto di proprietà di un dato bene affinchè questi ne disponga con discrezionalità (più o meno ampia) secondo un programma delineato dal fiduciante.

Quando dunque il Mimit afferma che il contratto di amministrazione fiduciaria di fondi speciali non è utilizzabile dalle società fiduciarie ed è incompatibile con la vigente normativa a esse applicabile, è difficile non intravedere un monito – riferito anche all’attività di trustee – relativo all’assunzione dell’occorrente «consapevolezza di tale incompatibilità» al fine di evitare, «sulla base di una errata lettura delle fonti disponibili… di ritenere conformi al vigente quadro normativo modelli contrattuali che non lo sono, così incorrendo, inconsapevolmente, in violazioni del quadro normativo medesimo».

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La Svizzera rinuncia al suo trust bocciato in pubblica consultazione

6 Ottobre 2023

Il Sole 24 Ore 19 settembre 2023 di Andrea Vicari

L’«avamprogetto » di legge respinto venerdì scorso dal Consiglio Federale

Secondo la Confederazione avrebbe comportato oneri senza adeguati benefici

Nessun futuro, al momento, per il trust “svizzero”: queste le conclusioni del Consiglio Federale nella seduta del 15 settembre. L’avamprogetto di legge presentato lo scorso anno mirava a introdurre nel codice delle obbligazioni un modello di trust differente rispetto ai modelli esistenti, sia di civil law (San Marino) che di common law, consentendo al disponente di mantenere un ruolo centrale nel funzionamento del trust e ampi poteri e diritti relativi alla sua amministrazione. Aspirava, inoltre, a superare l’attuale regime fiscale nel quale il trust non è mai trattato quale soggetto passivo d’imposta (dove i redditi dei beni in trust, dunque, sono sempre imputati a disponente o beneficiario), introducendo un sistema a “soggettività variabile”: alcune configurazioni di trust avrebbero goduto di soggettività passiva ai fini delle imposte, altre no.

I risultati delle consultazioni pubbliche sono stati determinanti nella decisione di stralcio: è stata contestata «la necessita? di introdurre un trust nell’ordinamento giuridico svizzero, poiché la cerchia potenziale dei beneficiari e? limitata» essendo «disponibili alternative» ed evidenziando che il proposto «trattamento fiscale del trust pone difficolta?».

In Italia il progetto del trust svizzero era stato accolto con grandi entusiasmi. Alcuni ritenevano che la legge svizzera sarebbe potuta diventare la legge di riferimento per i trust interni italiani, sostituendo la legge di Jersey e quella di San Marino, altri che il passo del legislatore svizzero avrebbe potuto addirittura indurre quello italiano a seguirlo nell’introdurre una disciplina interna dell’istituto. Pochi avevano colto il fatto che il modello svizzero riservava al disponente un ruolo importante e che questo fosse poco compatibile con le aspettative degli operatori italiani che, anche per ragioni fiscali, sono costretti a privilegiare modelli di trust nei quale il disponente deve uscire di scena. D’altra parte, il legislatore svizzero aveva indirizzato il proprio modello di trust guardando a una tipologia di disponenti internazionali, non appartenenti a uno specifico ordinamento, ignorando del tutto le esigenze di quelli italiani, a differenza di quanto aveva fatto il legislatore di San Marino. La decisione del Consiglio Federale della settimana scorsa spegne i facili entusiasmi ma offre anche fornisce preziosi stimoli di riflessione.

In primo luogo, il Consiglio Federale ha dato atto della «difficile attuazione, nonché del notevole onere amministrativo che ne sarebbe derivato» di un sistema impositivo del trust a “soggettività variabile”. In Italia, un simile sistema impositivo esiste ed è stato di fatto introdotto dalla prassi amministrativa con la creazione della categoria del trust interposto, impiegata per disconoscere il trust e la sua soggettività passiva: inizialmente solo in presenza di spregiudicati arbitraggi da parte dei contribuenti, ma poi anche in situazioni ordinarie; in principio solo ai fini delle imposte sui redditi, ora anche in materia di imposte di donazione e successione. Il tutto, in assenza di presupposti certi o di tassatività delle fattispecie impositiva. È oggi evidente la difficoltà per il contribuente di prevedere con precisione quale qualificazione fiscale verrà riservata allo specifico trust e ciò moltiplica le istanze di interpello e gli oneri amministrativi o i rischi di accertamenti imprevisti ed i contenziosi. Non appare allora azzardato pensare di abbandonare il vigente sistema italiano a “soggettività variabile” e di optare per uno basato sulla totale trasparenza del trust: più semplice, prevedibile e meno esposto ad arbitraggi.

Dalle consultazioni pubbliche svolte in Svizzera è poi emerso anche che la fondazione di famiglia sarebbe da molti considerata quale una «valida alternativa» al trust e che, per introdurla, sarebbe «molto più? semplice rivedere le norme vigenti in materia di fondazioni piuttosto che istituire un nuovo strumento giuridico».

A questo riguardo, basti pensare che in Germania, Lussemburgo, Danimarca, Liechtenstein, Olanda, Svezia e Austria già disciplinano le fondazioni di famiglia e che recentemente anche San Marino ha nominato un gruppo di esperti per introdurla. Modificare la disciplina delle fondazioni in Italia al fine di permettere l’uso della fondazione di famiglia sarebbe certamente più semplice che continuare a insistere in tentativi, del tutto vani dopo decenni di proclami, di introdurre una disciplina del trust.

Doing business in San Marino

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