Decreto Delegato 27 11 24 nr 179 – Modifica dell’allegato C al Decreto Delegato 14 marzo 2024 nr 50 – “Disciplina delle attività economiche”

12 Dicembre 2024

L’ultima modifica in tema di disciplina di Attività Economiche aggiunge  l’autorizzazione ad operare per imprese estere per l’esercizio dell’attività in forma individuale  relativamente al caso previsto dall’art. 26 c 6 del Regolamento di Banca Centrale ovvero i sub- intermediari assicurativi.

Si allega testo completo sia del Decreto Delegato 179 che del Regolamento di Banca Centrale.

DD179-2024

Reg.2024-02_Dist

 

 

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Accordo fiscale Italia-Cina sblocca il rimpatrio di utili e dividendi detassati

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore 8 Novembre 2024 di Lorenzo Riccardi

Il 5 novembre la Camera dei deputati ha approvato definitivamente la legge di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica popolare cinese per eliminare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni e le elusioni fiscali

Tra i principali obiettivi dell’accordo, siglato nel 2019 e approvato all’unanimità, vi sono la prevenzione dell’evasione e dell’elusione fiscale, la creazione di condizioni più favorevoli per le imprese italiane attive in Cina e un quadro normativo più stabile per gli investitori cinesi in Italia. L’intesa aggiorna la normativa bilaterale vigente sulla fiscalità diretta nelle relazioni tra i due Paesi.

L’approvazione dell’accordo fiscale ha avuto un iter di cinque anni, in cui sono variati quattro governi e due legislature e avviene appena prima della visita in Cina del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo e dei 20 anni di partenariato strategico globale tra Italia e Cina.

L’11 settembre 2024, il Senato italiano aveva già approvato il disegno di legge per la ratifica del nuovo trattato fiscale con la Cina, trasmettendolo successivamente alla Camera dei deputati. Il nuovo accordo contro la doppia imposizione fiscale (Dta), firmato a Roma il 23 marzo 2019, sostituirà l’accordo precedente del 31 ottobre 1986 e integra le raccomandazioni dell’Ocse/G20 relative al progetto Beps, mirate alla prevenzione dell’evasione fiscale.

Secondo la procedura legislativa italiana, la ratifica di un accordo fiscale internazionale richiede l’iter ordinario e l’approvazione finale da parte del Presidente della Repubblica, dopo l’autorizzazione del Senato e della Camera dei deputati attraverso una specifica legge di ratifica.

Il processo di ratifica dell’accordo firmato nel 2019 ha richiesto una nuova approvazione a seguito del cambio di legislatura nell’ottobre 2022, avvenuta il 15 aprile 2024 da parte del Consiglio dei ministri. Il trattato potrà entrare in vigore dal 1° gennaio 2025, grazie al completamento della ratifica a novembre 2024.

Per quanto riguarda i dividendi, è stata introdotta una riduzione dell’aliquota di ritenuta alla fonte rispetto al Dta del 1986, che passa dal 10 al 5 per cento in caso di dividendi di investimenti con partecipazione di almeno il 25 per cento del capitale, quindi con una tassazione dimezzata sui dividendi distribuiti dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo.

E’ prevista una riduzione all’8 per cento per gli interessi pagati agli istituti finanziari per prestiti di durata minima di tre anni finalizzati a progetti d’investimento, mentre gli interessi pagati o ricevuti da istituzioni pubbliche sono esenti da tassazione.

Relativamente alle royalties, il nuovo trattato fiscale mantiene un’aliquota standard del 10 per cento, con una riduzione al 5 per cento per le royalties su attrezzature industriali, commerciali o scientifiche. Si tratta di un risultato molto atteso dalle aziende italiane in Cina che potranno pianificare in modo diverso le politiche di reimpatrio degli utili, mentre più in generale l’entrata in vigore della nuova convenzione fiscale dal 2025 porterà a maggiori benefici per gli investimenti bilaterali Italia-Cina.

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No alla polizza straniera se si circola stabilmente in Italia con targa estera

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore 12 Novembre 2024 di Maurizio Hazan Pasquale Picone

Tra le deleghe per la riforma del Codice della strada contenute nell’articolo 35, comma 3 del Ddl che sta per diventare legge, una tocca il preoccupante fenomeno dei veicoli con targa estera circolanti abitualmente in Italia (regolarizzati iscrivendoli al registro Reve), eludendo i costi fiscali e assicurativi connessi alla targa italiana. La riprova è che il fenomeno è diffuso soprattutto nell’area di Napoli (oltre 35.000 iscrizioni al Reve, soprattutto con targa polacca), dove la Rc auto costa molto.

L’uso elusivo avviene perlopiù trasferendo la proprietà del mezzo da un italiano a società di noleggio estera, che li immatricola nel proprio Paese per poi locarlo al vecchio proprietario, che lo usa come prima, pagando un canone comprensivo di Rc auto stipulata a basso prezzo con un assicuratore locale.

L’immatricolazione all’estero, per l’articolo 13 della Direttiva Solvency II e l’articolo 1, comma 1, lettera fff) del Codice delle assicurazioni, identifica l’ubicazione del rischio nello Stato Ue di immatricolazione, rendendolo assicurabile solo da impresa ivi stabilita (od operante in regime di libera prestazione di servizio, Lps). E il Codice della strada (articolo 93-bis, comma 1), se il proprietario del veicolo prende la residenza in Italia, consente la permanenza con targa estera per tre mesi, dopi i quali deve reimmatricolarlo in Italia. A quel punto, per assicurarsi, non è possibile una copertura estera, se non con una compagnia in regime di stabilimento o di Lps.

Diverso è il caso di un veicolo di proprietà di un soggetto estero, condotto in Italia da un italiano in forza di un titolo (come noleggio e comodato): l’articolo 93-bis, comma 2 richiede solo l’iscrizione della targa estera al Reve, dopo 30 giorni anche non continuativi. Nulla dice sull’obbligo assicurativo, neppure legandosi all’articolo 125 del Codice delle assicurazioni, che consente sì di circolare in Italia con la carta verde, ma solo temporaneamente.

Se invece la circolazione è abituale in Italia, l’iscrizione al Reve non pare di per sé poter assolvere correttamente l’obbligo assicurativo tramite compagnie con sede nello Stato Ue di immatricolazione. A maggior ragione se il mezzo aveva targa italiana ed è noleggiato al precedente proprietario: parrebbe un negozio in frode alla legge, da ritenersi nullo (articolo 1344, Codice civile).

In ogni caso, c’è un vulnus al principio mutualistico e a regole e presidi (anche antifrode) della Rc auto. Con insidie per i danneggiati, obbligati a percorsi più tortuosi di quelli possibili con compagnie “italiane”. Quindi, ben venga il fatto che il Ddl di riforma preveda tempi massimi dopo cui il veicolo va immatricolato in Italia e dopo cui dovrà comunque essere coperto da una polizza conforme alle norme italiane.

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Contratto d’agenzia, spazio a modifiche unilaterali

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 18 Novembre 2024 di Attilio Pavone Matilde Battistella

Per le aziende che si avvalgono di agenti, variare periodicamente il contenuto economico del contratto di agenzia è tra le esigenze più comuni. Un esempio tipico è quello dell’agenzia in attività finanziaria: il 7 novembre la Federal Reserve ha annunciato un nuovo taglio dei tassi di interesse (dopo il primo avvenuto in settembre), allineandosi a una decisione simile presa dalla Bce a ottobre. Le fluttuazioni del costo del denaro sono una delle ragioni più comuni che determinano la necessità delle banche di apportare modifiche ai contratti con i loro agenti in attività finanziaria.

Questa necessità non riguarda solo gli istituti di credito (dove ci sono esigenze legate al mercato di riferimento), ma tutti i settori economici. È infatti naturale che, nel corso del rapporto di agenzia, sorga la necessità di apportare delle modifiche a zona, clienti, provvigioni e prodotti, per ragioni talvolta legate a scelte strategiche aziendali (si pensi ad esempio a una società che intende ridurre la zona di competenza di un agente, in favore di più agenti, in modo da consentire una più efficace gestione della clientela sul territorio).

Queste operazioni commerciali possono generare diverse criticità, mentre sono scarne le indicazioni fornite dalla giurisprudenza. È quindi necessaria una particolare cautela nell’attuare le variazioni al contratto d’agenzia.

In realtà, la possibilità, per una delle parti del contratto, di variarne unilateramente il contenuto si pone apparentemente in contrasto con un principio cardine del nostro ordinamento, stabilito dall’articolo 1372 del Codice civile, che richiede il consenso di entrambe le parti per apportare modifiche all’accordo concluso. Eppure, l’ammissibilità del cosiddetto ius variandi è contemplata dallo stesso Codice civile (come nel caso dell’articolo 1661, in materia di appalto, ovvero dell’articolo 2103 relativo al trasferimento del luogo di lavoro). Per il contratto di agenzia, tuttavia, non esistono norme ad hoc che contemplano lo ius variandi.

Sul fronte dell’elaborazione giurisprudenziale, alcune risalenti pronunce avevano dichiarato nulle, per indeterminatezza dell’oggetto, le clausole del contratto di agenzia che consentono al preponente di modificarne unilateralmente il contenuto (Cassazione, sentenza 11003/1997). In un altro caso, la nullità di tali clausole veniva dichiarata sul presupposto che esse costituissero una condizione meramente potestativa, vietata nel nostro ordinamento (Cassazione, sentenza 4504/1997).

La giurisprudenza più recente è concorde nel ritenere legittima l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole del contratto di agenzia. Ma perché tale facoltà non si traduca in un potere illimitato per il preponente, occorre che essa abbia dei limiti e sia esercitata con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede (da ultimo, Cassazione 9365/2023, che conferma Cassazione 29164/2021, 13580/2015 e 5467/2000).

Non è però immediatamente intuibile come riempire di significato la necessità di usare dei “limiti” e di realizzare la variazione secondo i principi sopra richiamati. I più noti accordi economici collettivi ne hanno dato una propria interpretazione, prevedendo un articolato apparato normativo che distingue le variazioni a seconda del loro impatto rispetto alle provvigioni percepite dall’agente nell’anno precedente la modifica.

Prendendo a esempio l’accordo economico del commercio, quest’ultimo distingue le variazioni di lieve, media e sensibile entità. Le prime riguardano modifiche comprese lo 0 e 5%, le seconde tra il 5 e il 20% e le ultime superiori al 20 per cento. Tutte queste variazioni possono essere realizzate dal preponente con il rispetto di un preavviso (diverso a seconda dell’entità della modifica e della tipologia di mandato), con la differenza, però, che al ricorrere delle modifiche di «sensibile entità», l’agente potrà manifestare l’intenzione di rifiutare la variazione, imputando la fine del recesso alla casa mandante, con importanti conseguenze in termini di diritto alle indennità di fine rapporto.

Nulla impedisce comunque alle parti di stabilire, di comune accordo, delle modifiche al contratto. In questo caso, il consenso prestato dall’agente sottrae l’operazione realizzata dalla disciplina delle variazioni unilaterali.

Il calcolo dell’impatto è basato sugli incassi dell’anno precedente

Nonostante il testo della disciplina collettiva sembri di facile applicazione, le modalità di calcolo dell’effettiva entità delle variazioni unilaterali nei contratti di agenzia generano nella prassi non pochi dubbi interpretativi, solo in minima parte risolti dalle scarse pronunce giurisprudenziali sul punto.

Una sentenza del Tribunale di Trento (la 16 del 30 gennaio 2024) fornisce tuttavia alcuni spunti. La decisione ricorda infatti come l’entità della modifica unilaterale vada determinata con riferimento all’anno civile (1° gennaio- 31 dicembre) precedente la variazione e, in particolare, applicando le nuove condizioni contrattuali ai risultati dell’anno passato.

Anche la Corte d’appello di Brescia (sentenza 324 del 12 gennaio 2024) ha avuto modo di precisare come la norma convenzionale metta in correlazione le variazioni del mandato con l’incidenza che la perdita di un determinato cliente o di una certa zona comporta sull’ammontare delle provvigioni maturate dall’agente nell’anno precedente la variazione.

Un’ulteriore pronuncia di merito del Tribunale di Vicenza (la 52 del 3 gennaio 2018) ha inoltre chiarito come per comprendere l’entità dell’incidenza delle variazioni unilaterali messe in atto dalla preponente, l’agente è chiamato ad adottare un criterio prognostico. Quest’ultimo dovrà infatti valutare i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla modifica delle condizioni contrattuali ex ante, e cioè sulla base dei dati a sua disposizione nell’anno precedente.

In buona sostanza, l’agente dovrà prendere come riferimento le provvigioni complessivamente maturate nell’anno civile precedente e valutare come queste ultime si sarebbero modificate per effetto della variazione unilaterale del contenuto economico del rapporto di agenzia (in termini di prodotti, clienti, zona o misura delle provvigioni) realizzata dalla preponente. Solo allora si potrà verificare se la variazione è, in base alle regole degli accordi economici collettivi, tale da legittimare il recesso dell’agente.

Alla luce delle indicazioni degli accordi economici collettivi e della giurisprudenza, è possibile concludere che il calcolo dell’impatto delle variazioni si risolva in una proporzione, come si legge nell’esempio riportato nella scheda.

L’incidenza delle variazioni è quindi il risultato di un calcolo tecnico e frutto di una valutazione prognostica “postuma”, che prende come riferimento l’anno precedente alla modifica e vi applica fittiziamente la variazione, senza tenere conto dell’eventuale cattivo andamento dell’anno successivo, che potrebbe anche non dipendere dalla variazione (ma che in realtà è spesso il motivo per cui l’agente decide di lamentare la variazione eccessiva decidendo di recedere dal contratto per causa imputabile al preponente).

Giova infine ricordare che, per determinare la sussistenza di modifiche di «sensibile entità», la contrattazione collettiva richiede di effettuare la sommatoria delle variazioni di lieve e media entità in un certo lasso temporale (generalmente differenziato a seconda della tipologia di mandato agenziale).

Inoltre, sempre ai fini della sommatoria, il Tribunale di Napoli (sentenza 1335 del 28 febbraio 2023) ha chiarito come appaia equo considerare unitariamente non solo le determinazioni che incidono negativamente sulle provvigioni dell’agente ma anche quelle che hanno un impatto positivo, che potrebbero dunque controbilanciare le variazioni negative.

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Dazi, abuso del diritto con la delocalizzazione

12 Dicembre 2024

Il Sole 24 Ore 22 Novembre 2024 di Fabrizio Di Gianni Benedetto Santacroce

Per la prima volta la Corte di giustizia dell’Ue si è pronunciata in materia di abuso del diritto in ambito doganale. Con la causa C-297/23 P, infatti, ha fissato gli elementi interpretativi in base ai quali la norma antielusiva ex articolo 33 del regolamento delegato (Ue) 2015/2446, in materia di attribuzione dell’origine per le operazioni di trasformazione o lavorazione non economicamente giustificate, debba essere applicata.

La pronuncia in commento, che respinge definitivamente il ricorso proposto dalla società Harley-Davidson, segna un punto di svolta in chiave applicativa dell’articolo 33, in quanto l’esistenza di una pratica abusiva potrà essere rilevata se emerga da elementi oggettivi che lo scopo essenziale delle operazioni interessate sia quello di evitare l’applicazione di misure daziarie.

Il criterio decisivo è la finalità principale o dominante, sebbene non esclusiva, dell’operazione posta in essere. Infatti, la norma risulterebbe privata della sua efficacia ove fosse interpretata nel senso che non si applica per il solo motivo che una delocalizzazione delle operazioni, oltre alla finalità principale o dominante di eludere l’applicazione delle misure di politica commerciale dell’Ue, persegua anche altre finalità di ordine secondario.

Insomma, lo scopo essenziale delle operazioni, quale quello di ottenere un vantaggio daziario, deve risultare da un certo numero di elementi oggettivi ma, al tempo stesso, può non dirsi scopo esclusivo, purché dominante, e potrà essere affiancato da ulteriori scopi secondari, i quali non escluderanno l’applicazione dell’articolo 33.

La Corte interviene anche in tema di onere della prova. Dalla lettura dell’articolo 33, comma 1, è evidente come lo stesso risulti applicabile solo qualora gli elementi disponibili siano tali da dimostrare che lo scopo del comportamento dell’impresa sia quello di eludere l’applicazione della misura di politica commerciale. In questo caso, sarà sempre possibile per l’impresa dimostrare con ulteriori elementi di prova che lo scopo dell’operazione, nel momento in cui è intervenuta la decisione, non aveva come elemento principale il conseguimento di un vantaggio daziario.

In terzo luogo, la pronuncia trancia di netto qualsiasi collegamento interpretativo tra l’articolo 33 e con l’articolo 13 del regolamento Ue 2016/1036, in tema di elusione dei dazi antidumping: questa norma non è rilevante ai fini interpretativi dell’articolo 33, comma 1, poiché riguarda altra materia ed è redatta in termini profondamente diversi rispetto all’articolo 33, il quale non contiene né il termine «elusione» né la definizione dettagliata che l’articolo 13 fornisce di tale termine.

Occorre poi rilevare che la Corte ha ritenuto irrilevante il richiamo al concetto di «manipolazione», di fatto assente nel testo dell’articolo 33, riportato nel considerando 21 del regolamento delegato: quest’ultimo, ricomprende nel concetto di manipolazione un’ampia gamma di azioni volontarie che comportano un cambiamento di origine delle merci importate, tra le quali è necessario impedire solo quelle realizzate allo scopo di eludere l’applicazione di misure di politica commerciale.

In sintesi, il concetto di manipolazione non può in alcun caso consentire un’interpretazione dell’articolo 33 incompatibile con la sua formulazione e con il suo sistema.

Da ultimo, i giudici europei ritengono che la sussistenza di una «coincidenza temporale» tra la decisione compiuta dall’impresa, circa la delocalizzazione delle operazioni poste in essere, e l’intervenuto provvedimento sui dazi supplementari costituisca una presunzione secondo cui la delocalizzazione mira a evitare l’applicazione delle misure.

Appare chiaro che, laddove la decisione sia intervenuta temporalmente prima, sulla stessa non potrebbe aver inciso una procedura per l’applicazione di dazi supplementari non ancora avviata.

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Legge 22 Ottobre 2024 nr 155 – Variazione al Bilancio di Previsione dello Stato e degli Enti Pubblici per l’esercizio finanziario 2024 e modifiche alla Legge 22 12 23 nr 194

12 Novembre 2024

Di seguito si elencano gli articoli più interessanti della Legge nr 155 del 22 10 24 riguardante l’ultimo assestamento alla Legge del Bilancio di Previsione dello Stato 2024

art. 2  ha per oggetto la definizione agevolata delle Cartelle Esattoriali  di Banca Centrale aventi scadenza entro 31 08 2024

art. 10 aggiunge un ulteriore requisito per ottenere lo status di “impresa ad alto contenuto tecnologico”

art. 11 prevede incentivi e benefici in caso di crisi d’impresa volti al salvataggio già a partire dall’esercizio 2024

art. 14 tra le varie proroghe e differimenti segnaliamo quella relativa alla sanatoria edilizia spostata al 30 Giugno 2025.

Si allega il testo completo e se ne raccomanda attenta lettura

L155-2024+All

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Decreto Delegato 31 Ottobre2024 nr 165 – Settori di attività soggetti a Nulla Osta del Congresso di Stato ai fini dell’autorizzazione ad operare di cui al Decreto Delegato 14 marzo 2024 nr 50

12 Novembre 2024

Si allega il testo completo dell’ultimo Decreto che aggiorna la lista delle attività soggette a Nulla Osta del Congresso di Stato ricordando come indicato all’art. 2 che sono abrogati i precedenti D.D. n.58 e n.121 di quest’anno ma sono fatti salvi gli atti e gli effetti compiuti durante la vigenza degli stessi.

art.1

Sono assoggettate a nulla osta del Congresso di Stato previsto dall’articolo 5 del Decreto Delegato 14 marzo 2024 n.50 le seguenti attività economiche e settori merceologici:
a) le attività economiche che rientrano nel campo di applicazione dell’Accordo tra la Repubblica di San Marino e la Repubblica Italiana sulla Regolamentazione Reciproca dell’Autotrasporto Internazionale di viaggiatori e merci, fatto a San Marino il 7 maggio 1997 e ratificato e reso esecutivo con Decreto 21 luglio 1997 n.73;
b) le attività economiche di stampa e produzione nel settore merceologico di prodotti e valori numismatici e filatelici;
c) le attività economiche nel settore merceologico di costruzione delle strade, qualora abbiano ad oggetto la formazione delle reti sottostanti inerenti alla opere di urbanizzazione primaria;
d) tutte le attività economiche nel settore merceologico della produzione e distribuzione dell’energia, dell’acqua, del gas, delle telecomunicazioni, del traffico telefonico, e delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica;
e) le attività economiche di smaltimento e trattamento nel settore merceologico dei rifiuti nonché le attività economiche nel settore dei rottami ferrosi;
f) tutte le attività economiche nel settore della vigilanza privata, effettuata anche attraverso l’uso di tecnologie e dell’investigazione privata;
g) le attività di commercio all’ingrosso di preziosi, ad esclusione dell’attività di commercio all’ingrosso di orologi;
h) le attività in settori per i quali il nulla osta sia previsto da leggi speciali.

Il nulla osta di cui al comma 1 può essere comunque richiesto e deliberato anche preventivamente alla costituzione della società.

Art. 2
(Abrogazione)
1. Sono abrogati il Decreto Delegato 19 marzo 2024 n.58 e il Decreto Delegato 12 agosto 2024 n.121. Sono fatti salvi gli atti e gli effetti conformemente compiuti durante la vigenza degli stessi.”

DD165-2024

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Le cripto-attività ora hanno i loro Regolamenti

12 Novembre 2024

Da San Marino Fixing del  9 Ottobre 2024 di Daniele Bartolucci

anche San Marino apre le porte a quelle che sono ufficialmente identificate come “tecnologie basate su registri distribuiti”, ma più comunemente note come crypto-attività. In verità, già con il Decreto Delegato 3 gennaio 2024 n.2, poi ratificato con Decreto Delegato 29 agosto 2024 n. 138, questa strada si era già ben delineata (e ancora prima con la delega prevista dal comma 6 dell’articolo 3 della Legge 15 settembre 2023 n.132), ma è solo dal 2 ottobre che sono entrati in vigore i due Regolamenti “attuativi” di Banca Centrale della Repubblica di San Marino e di San Marino Innovation, ovvero i detentori delle specifiche competenze previste dalla legge in questa partita (assieme ad AIF, che ne ha curato in collaborazione la stesura, va ricordato). Sono infatti i due enti citati ad avere la maggiore responsabilità in questa nuova esperienza, in quanto la norma prevede che le tecnologie basate sui registri distribuiti (DLT) assumano una forma

tokenizzata, distinguibile in due tipologie: i Token di tipo A {o cripto-attività), che rappresentano attività finanziaria in forma tokenizzata emessa nell’esercizio delle attività riservate e, pertanto, fanno riferimento alle procedure di autorizzazione e di vigilanza della Banca Centrale della Repubblica di San Marino; Token di tipo B, che rappresentano tutti i documenti informativi in forma tokenizzata diversi dalle cripto-attività e che sono di competenza di San Marino Innovation. Da qui l’elaborazione e la pubblicazione dei due distinti Regolamenti.

IL RUOLO E LE ATTIVITÀ DI BANCA CENTRALE

Innanzitutto, come spiegato già dal Segretario alle Finanze Marco Gatti in Consiglio Grande e Generale, il Regolamento di BCSM – quello più interessante e delicato quindi dal punto finanziario – è stato elaborato avendo come parametro di riferimento il Regolamento UE n. 2023/1114 (c.d. MiCAR), ed “è volto”, spiega lo stesso istituto, “a introdurre nell’ordinamento sammarinese un quadro normativo di vigilanza specifico con riguardo a quei token definiti cripto-attività (o token di tipo A) dal citato Decreto Delegato”, suddivise in tre tipologie: Cripto-attività collegate; Token di moneta elettronica; Cripto-valute”. Va comunque detto che “le rimanenti cripto-attività (attività finanziarie diverse emesse in forma tokenizzata nell’esercizio di attività riservate ai sensi della LISF nonché gli strumenti finanziari in forma tokenizzata) rimangono soggette, in coerenza al principio della c.d. neutralità tecnologica, alle regolamentazioni emesse dalla Banca Centrale ed applicate in via ordinaria”. Di fatto la novità è la disciplina concernente sia “le crypto-asset firm, nuova categoria di soggetti autorizzati allo svolgimento delle 2 nuove attività riservate introdotte nell’Allegato 1 della LISF con le lettere J-bis (servizi di emissione di cripto-attività collegata) e L-bis (servizi in cripto-attività) e, come tali, soggetti alla vigilanza della Banca Centrale, con particolare riferimento ai requisiti patrimoniali, organizzativi, di governance, sugli assetti proprietari, nonché sulla prestazione di tali servizi”. Sia “l’emissione, l’offerta e l’ammissione alla negoziazione delle sopra citate cripto-attività, stabilendo precisi obblighi informativi, anche tramite la pubblicazione del c.d. white-paper, soggetto a preventiva notifica alla Banca Centrale o ad autorizzazione di quest’ultima”.

LE IMPRESE DEL SETTORE E IL RUOLO DELLE BANCHE

Il Titolo II del Regolamento di BCSM disciplina quindi le “Attività esercitabili” e specifica che “la prestazione dei servizi di emissione di cripto-attività collegata e/o la prestazione di uno o più servizi in crypto-attività, è riservata alle crypto-asset firm, previa autorizzazione della Banca Centrale”.  Mentre “i servizi di emissione di crypto-attività collegata possono essere prestati anche dalle banche, previa specifica autorizzazione della Banca Centrale e nel rispetto delle disposizioni di cui al presente Regolamento”.

Non solo, perché “i servizi in crypto-attività possono essere prestati anche da imprese finanziarie diverse dalle crypto-asset firm, purché autorizzate ad almeno una delle attività riservate di cui alle lettere A), D), I) o J) dell’Allegato 1 della LISF, previa specifica autorizzazione della Banca Centrale e nel rispetto delle disposizioni di cui al presente Regolamento”.  Entrando nel dettaglio, “il rilascio dell’autorizzazione a prestare i servizi in crypto-attività è altresì subordinato alla valutazione della Banca Centrale della pertinenza e coerenza dello specifico Si servizio in crypto-attività che si intende prestare rispetto all’attività riservata svolta in via principale”.

Infine “la prestazione dei servizi di emissione di crypto-attività collegata e/o la prestazione di uno o più servizi in crypto-attività comporta ad ogni modo l’obbligo di preventiva iscrizione al Registro degli operatori DLT”. Registro pubblico che è invece tenuto da dall’Istituto per l’Innovazione della Repubblica di San Marino, o San Marino Innovation, che con il suo Regolamento ne ha definito i soggetti tenuti ad iscriversi, le informazioni pubblicate, le procedure di iscrizione e cancellazione, i diritti di pratica e di iscrizione”.

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Beni all’estero con più diritti reali: compilano RW tutti i contitolari

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 7 Ottobre 2024 di Stefano Vignoli

Spazio agli ultimi controlli sui modelli Redditi 2024 da inviare entro il 31 ottobre. Particolare attenzione, per chi ha asset all’estero, merita il quadro RW, talora fonte di difficoltà compilative anche per gli addetti ai lavori.

I soggetti coinvolti

L’obbligo di compilazione del quadro RW (W per chi presenta il 730) ricorre per persone fisiche (inclusi imprenditori individuali e lavoratori autonomi), enti non commerciali, società semplici ed equiparate (articolo 5, Tuir) residenti in Italia, per i beni detenuti all’estero a prescindere dagli importi e dai giorni di detenzione.

Sono esclusi dall’obbligo compilativo coloro che lavorano all’estero per lo Stato, o altri enti o organizzazioni internazionali cui aderisce il nostro Paese, con residenza determinata ex lege in Italia, e i frontalieri limitatamente agli asset detenuti nel Paese limitrofo, oltre a chi aderisce ai regimi dei pensionati (articolo 24-ter del Tuir) e dei neo-residenti (24-bis). Anche se, per questi ultimi, l’Agenzia ritiene necessario indicare le partecipazioni estere qualificate, in quanto potrebbero generare plusvalenze tassabili nei primi cinque periodi di imposta (circolare 17/E/2017, paragrafo 5.2).

I beni da dichiarare

Tra i beni all’estero che più frequentemente rientrano nell’obbligo dichiarativo vi sono opere d’arte, gioielli e metalli preziosi (anche se detenuti in cassette di sicurezza), gli immobili e i beni mobili suscettibili di essere iscritti nei pubblici registri in Italia: sono pertanto da dichiarare le imbarcazioni e le auto di lusso immatricolate all’estero (con il codice “16” quali beni mobili registrati).

Quando sul bene sussistono più diritti reali – caso frequente per quanto riguarda gli immobili con usufrutto e nuda proprietà – l’obbligo dichiarativo compete a entrambi i titolari: ma mentre il nudo proprietario compila il quadro RW solo ai fini del monitoraggio, avendo cura di barrare la casella 16, l’usufruttuario è tenuto al versamento dell’Ivie seppur limitatamente al valore dell’usufrutto.

Inoltre, l’indicazione in RW compete a tutti gli intestatari in caso di attività in comunione o cointestate, ma anche al soggetto che abbia “soltanto” delega di firma.

Per gli immobili all’estero, in assenza di variazioni, non sarebbe richiesta l’indicazione (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990): possibilità raramente colta dai contribuenti considerato che il quadro RW serve anche ai fini della liquidazione dell’Ivie, comunque dovuta.

Infatti, la compilazione del quadro è necessaria anche per determinare l’Ivie, l’Ivafe, e dal 2023 l’imposta (con aliquota dello 0,2%) sul valore delle cripto-attività detenute attraverso portafogli, conti digitali o altri sistemi di archiviazione o conservazione.

Insieme alle cripto-valute sono numerose le attività finanziarie da dichiarare, tra cui conti correnti e depositi esteri, valute, obbligazioni e partecipazioni comprese le stock option salvo il caso in cui non siano cedibili e non sia spirato il “vesting period” (risoluzione 73/E/2014).

I conti correnti sono oggetto di monitoraggio se superano, anche in un solo giorno, i 15mila euro; ma, anche sotto questa soglia, richiedono la compilazione del quadro RW ai fini Ivafe se la giacenza media supera i 5mila euro.

Sono inoltre oggetto di compilazione del quadro RW le forme di previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, salvo le somme versate per obbligo di legge come nel caso del “secondo pilastro svizzero” (circolare 38/E/2013, paragrafo 3).

Per gli investimenti all’estero rientranti in un unico rapporto finanziario è inoltre possibile dichiarare il valore iniziale e finale di detenzione della relazione finanziaria unitaria, non rilevando le variazioni nella composizione (circolare 12/E/2016, risposta 14.1). A tal fine, a partire da Redditi 2017 è stato istituito il codice attività 20 (“Conto deposito titoli all’estero”).

Finanziamenti e quote soci

Nel quadro RW occorre indicare anche i finanziamenti soci seppur non soggetti a Ivafe, come le valute estere, i metalli preziosi e le partecipazioni non rappresentate da titoli. Malgrado il dettato normativo, non dovrebbero essere soggette a Ivafe neanche le azioni (titoli) di società estere non quotate, coerentemente a quanto avviene con l’imposta di bollo per le azioni italiane.

Il socio di società di capitali italiana con partecipata all’estero non è tenuto a dichiarare la partecipazione se è il titolare effettivo (circolare 38/E/2013, esempio 3): ma su questo punto le istruzioni al modello dichiarativo lasciano qualche perplessità. Quando invece il socio detiene una partecipazione diretta nella società estera che, sommata a quella indiretta, gli permette di essere titolare effettivo, occorre dichiarare la somma dei due valori tenuto conto dell’effetto demoltiplicativo.

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Trasferte e rappresentanza: per la deduzione niente contanti

11 Novembre 2024

Il Sole 24 Ore 30 Ottobre 2024 di Luca Gaiani

Lotta all’evasione. Per imprese e professionisti dal 2025 obbligo di pagamenti tracciabili per i costi Rimborsi non tassati se le spese dei dipendenti saranno saldate con strumenti diversi dal cash

Per imprese e professionisti arriva, dal 2025, l’obbligo di pagare le spese di trasferta e di rappresentanza con carte di credito o altri mezzi di pagamento tracciabili. Chi non si adeguerà, perderà il diritto alla deduzione del costo, sia ai fini Ires che ai fini Irap, e per il dipendente che chiede il rimborso scatterà la tassazione in busta paga. La stretta è prevista dall’articolo 10 del Ddl di Bilancio per il 2025 e riguarderà spese di vitto e alloggio, nonché di trasporto con autoservizi non di linea. I contribuenti devono rapidamente attrezzarsi per adeguare le procedure dei rimborsi spese in vista nell’inizio del nuovo anno.

Spese di taxi e Ncc con carta di credito

L’intervento del Ddl di Bilancio sulle modalità di pagamento delle spese di trasferta (vitto, viaggio e alloggio) tende a contrastare, secondo la relazione tecnica, fenomeni di evasione generati, attualmente, dalla sotto-fatturazione da parte dei prestatori e dalla deduzione in capo ai committenti di costi non effettivamente sostenuti. In realtà, soprattutto nelle imprese piccola e piccolissima dimensione, vi è un ulteriore aspetto evasivo che si realizza attraverso il rimborso a dipendenti o amministratori di note spese di importo gonfiato o comunque non relative a oneri effettivamente pagati.

A fronte di queste situazioni, il Ddl di Bilancio introduce, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024, un generalizzato obbligo di effettuare pagamenti di spese di vitto, alloggio, viaggio, o trasporto con vettori diversi da quelli pubblici di linea di cui all’articolo 1 della legge 21/1992 (si tratta, in pratica, di taxi o noleggio con conducente, gli Ncc) attraverso bonifici bancari o postali, oppure con mezzi di cui all’articolo 23 del Dlgs 241/1997 (carte di credito e di debito, prepagate, assegni circolari e bancari).

Note spese ai dipendenti

Il primo intervento riguarda la disciplina dei rimborsi per spese di vitto e alloggio, nonché di trasporto e viaggio con taxi e Ncc, ai fini del reddito di lavoro dipendente e assimilato (Co.co.co. e amministratori di società). L’articolo 10 aggiunge un periodo al comma 5 dell’articolo 51 del Tuir prevedendo che i rimborsi ivi previsti non concorrono a formare il reddito solo se le spese sono pagate dal dipendente o dall’amministratore con mezzi tracciati. La norma si riferisce a tutte le spese regolate dal comma 5 e dunque non solo a quelle per trasferte fuori dal territorio comunale, ma anche alle spese per trasferte intercomunali (ancorché queste ultime siano già oggi integralmente tassate sul dipendente).

Dovranno essere chiarite le modalità di documentazione del pagamento tracciato da parte del dipendente, ad esempio fornendo copia fotografica degli scontrini dei Pos rilasciati dal taxista, non essendo ipotizzabile una raccolta cartacea di migliaia di documenti.

Limiti alla deducibilità

La norma interviene poi sulla deducibilità di queste spese in capo al contribuente che le sostiene. Per artisti e professionisti, il nuovo comma 6-ter dell’articolo 54 del Tuir stabilisce (fermi restando i limiti di deducibilità previsti dai commi 5 e 6, e dunque il 75% per alberghi e ristoranti, nel tetto massimo del 2% dei corrispettivi percepiti), le spese per prestazioni alberghiere o per somministrazione pasti, come pure quelle per trasporti a mezzo taxi e Ncc, che vengono addebitate analiticamente al cliente, nonché le spese rimborsate per trasferte svolte da dipendenti o lavoratori autonomi, sono deducibili solo se pagate con i richiamati mezzi tracciabili.

Anche per le imprese (articolo 95 Tuir), le spese di vitto e alloggio e i rimborsi analitici di spese di trasporto effettuati con taxi e Ncc diventeranno deducibili, dal 2025, soltanto se pagate con mezzi tracciabili e ciò sia se il costo è sostenuto direttamente, sia in presenza nota spese a piè di lista.

Infine, modificando l’articolo 108 del Tuir, si richiede il pagamento tracciato per dedurre (nei limiti delle soglie previste dal Dm 19 novembre 2008) le spese di rappresentanza sostenute dal prossimo esercizio.

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