Valido il patto che vincola l’ingresso di nuovi soci

30 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 20 novembre 2020 di Mario Notari

Università Bocconi, presidente commissione Società del Consiglio notarile di Milano

DIRITTO DELLE IMPRESE

Massima dei notai di Milano interpreta il valore degli accordi parasociali

Gli statuti delle società di capitali possono subordinare l’ingresso di nuovi soci alla preventiva approvazione di un determinato patto parasociale, concluso in precedenza da altri soci. È questo il passaggio più significativo di uno dei nuovi orientamenti interpretativi del Consiglio notarile di Milano, che si pone nel solco di una serie di “massime” che hanno progressivamente attribuito rilevanza applicativa ai patti parasociali negli statuti di Spa e Srl.

A partire dalla riforma del 2003, infatti, è stata avvertita una forte esigenza di far emergere alla luce del sole gli accordi che sino a quel momento venivano riservati esclusivamente ai patti parasociali. Ciò per due motivi: da un lato, quanto meno per le Spa, è stato introdotto un limite di durata dei patti parasociali di cinque anni; dall’altro, si è via via cercato di rendere più vincolanti i patti parasociali, che tramite il loro inserimento nello statuto sociale acquisiscono la cosiddetta efficacia “reale”, diventando cioè vincolanti anche nei confronti della società e dei terzi acquirenti.

Di conseguenza, si è progressivamente ampliata la prassi di prevedere anche nello statuto i medesimi accordi che formano oggetto dei patti parasociali. Tutto ciò anche grazie alla maggiore elasticità del diritto societario derivante dalla riforma, nonché alle interpretazioni evolutive di diversi istituti delle società di capitali, alle quali ha fortemente contribuito anche la Commissione Società dei notai milanesi.

La massima citata (n. 194) prende in esame una via di mezzo tra gli accordi solo parasociali e quelli che assumono la natura di vere proprie clausole statutarie. In alcune circostanze, infatti, si riscontra l’esigenza, per un verso, di preservare la natura parasociale di tali accordi – anche solo per ragioni di riservatezza – e per altro verso di vincolare comunque tutti coloro che vogliono diventare soci ai contenuti di tali accordi. Ecco dunque che viene affermata la legittimità di clausole statutarie le quali, pur non recependo gli accordi parasociali, vincolano la circolazione delle azioni o delle quote all’accettazione di tali accordi da parte di coloro che intendono diventare soci. Viene così creato un “collegamento” vincolante tra lo statuto sociale e i patti parasociali, pur mantenendo la natura giuridica (e la riservatezza) di questi ultimi.

Analoghe esigenze stanno alla base di un’altra massima approvata dai notai milanesi ( 195). Si afferma infatti la validità di due frequenti clausole negli accordi di club deal o di investimenti di private equity o di joint venture: quella che prevede il “voto determinante” di un singolo amministratore nelle deliberazioni del cda e quella che richiede, per alcune particolari deliberazioni del cda, il voto unanime di tutti i consiglieri in carica. Anche in questo caso, sulla base di analitiche e rigorose argomentazioni, si giunge alla conclusione della ammissibilità di siffatte clausole, che avvicinano così il diritto societario alla moderna pratica degli affari.

Queste massime, insieme alle altre approvate contestualmente, verranno presentate nel corso di un webinar organizzato Consiglio notarile di Milano, in programma oggi, dedicato ai 20 anni della Commissione società.

 

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Il denaro non giustificato non equivale a riciclaggio

30 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 17 novembre 2020 di Valerio Vallefuoco

CASSAZIONE

Il reato presupposto va ben individuato, non basta il sospetto

Sentenza garantista della Cassazione, numero 32112 pubblicata ieri , in tema di sequestro penale di somme di denaro anche rilevanti detenute in modo ingiustificato.

Secondo la Suprema corte, essere in possesso di un’ingente quantità di denaro, anche se non si è in grado giustificarne la disponibilità e quindi la provenienza, non può delineare automaticamente il reato di riciclaggio e il conseguente sequestro del contante, anche se il soggetto che ne sia trovato in possesso, l’abbia occultata, sia considerato un nullatenente e abbia dei precedenti penali.

Nel caso di specie, il corpo dei Carabinieri operava il sequestro di una somma pari a 65.870 euro che era stata precedentemente nascosta da due soggetti, pregiudicati e nullatenenti.

Il Tribunale, investito della richiesta di riesame avverso il decreto di convalida del pubblico ministero, riteneva che la disponibilità ingiustificata di una somma di denaro di considerevole importo, le modalità di occultamento, la condizione di impossidenza dei proventi e i precedenti iscritti a loro carico costituissero validi elementi atti a dimostrare la provenienza illecita di quanto sequestrato, integrando il fumus del delitto di riciclaggio.

Di diverso avviso è stata la Suprema corte che ha ribadito, in via preliminare, la necessaria imprescindibilità, ai fini della corretta applicazione delle misure cautelari reali, della verifica delle risultanze processuali e dall’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti .

Il principio sostenuto dalla Corte di cassazione penale si basa sulla ricostruzione del reato di riciclaggio che prevede espressamente l’individuazione di un reato presupposto indicando in caso di sequestro l’origine del bene da sottoporre al vincolo in quanto di provenienza delittuosa .

Secondo i giudici non possono risultare sufficienti i richiami a meri indici sintomatici privi di specificità in ordine all’origine della disponibilità dei beni oggetto di sequestro e suscettibili di provare solo un semplice possesso ingiustificato di denaro.

Pertanto un sequestro preventivo di cose che si presumono pertinenti al reato di riciclaggio deve essere supportato da elementi di fatto acquisiti e scrutinati riferibili a un reato presupposto che dovrà almeno essere astrattamente configurabile e precisamente individuato. Per la Cassazione penale, pertanto, per giustificare un sequestro di somme non è sufficiente la sola supposizione dell’esistenza del reato presupposto dalla mera effettuazione di operazioni asseritamente sospette degli indagati ma serve una sostanza probatoria concreta. Secondo la Suprema corte non può essere considerata attività di riciclaggio il mero possesso di denaro, in quanto inidoneo a integrare da solo l’attività diretta alla sostituzione ed al trasferimento o ad altre operazioni intese a occultare la provenienza delittuosa del denaro.

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Sconti intercompany legittimi se ancorati a motivi commerciali

30 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore lunedì 9 novembre 2020 di Marco Nessi e Roberto Torelli

TRANSFER PRICING

Se contabilizzati rientrano nella base imponibile della società

L’amministrazione finanziaria non può riclassificare arbitrariamente gli sconti commerciali tra le componenti finanziarie sulla base di argomentazioni generaliste. Analogamente, il prestito di personale non può essere riqualificato in un trasferimento di asset materiali senza specifiche e concrete motivazioni. Sono questi i principi espressi dalla Ctp di Milano nella sentenza 1138/2/2020 del 9 giugno scorso (presidente Pilello, relatore Guidi).

Nel caso esaminato, l’ufficio aveva rilevato, nei confronti di una società italiana appartenente a un gruppo industriale cino/ungherese con sede a Shanghai, una maggiore Ires dovuta in relazione all’anno 2013, contestando l’indeducibilità di una parte dei costi sostenuti per acquisti di beni provenienti dalla casa madre. In particolare, dopo avere convertito gli sconti commerciali offerti alla casa madre in sconti finanziari correlati alla riduzione dei termini di pagamento, l’ufficio ha rideterminato ai fini dell’applicazione della disciplina del transfer pricing il margine operativo in diminuzione rispetto al margine mediano delle società comparabili, con conseguente aumento della base imponibile ai fini Ires.

Inoltre, è stata contestata l’esistenza di ricavi non tassati per riaddebiti (maggiorati da un mark up) effettuati dalla società nei confronti della casa madre per l’utilizzo di personale proprio messo a disposizione del gruppo all’estero in occasione di trasferte. Tale prestazione è stata riqualificata in un trasferimento di asset immateriali, con il riconoscimento da parte della casa madre del diritto di royalties sul fatturato complessivo invece che il mero riaddebito di costi sulle trasferte.

I giudici di primo grado hanno accolto il ricorso. Con riferimento alla prima contestazione è stato osservato che lo sconto commerciale praticato dalla società poteva trovare la sua logica in una motivazione di tipo commerciale, quale la volontà di favorire la vendita dei prodotti e aumentare le fette di mercato. Inoltre la normativa tributaria non prevede l’illegittimità degli sconti concessi a società del gruppo che operano in esclusiva. Al contrario, è lo stesso articolo 9 del Tuir, richiamato dall’articolo 110, comma 7, a fissare i principi cardine per l’individuazione del valore normale dei beni e servizi, prevedendo la necessità di tenere conto degli sconti d’uso, senza alcuna eccezione.

Inoltre, la società aveva adeguatamente evidenziato che la concessione degli sconti costituiva una prassi del mercato di riferimento e rispondeva a una logica commerciale. Infine, è stato osservato che, a prescindere dalle valutazioni in merito alla relativa natura, gli sconti in esame erano stati pur sempre contabilizzati come componenti positivi di reddito e avevano concorso alla determinazione della base imponibile Ires e Irap della società.

Sul secondo rilievo è stata sottolineata la genericità del fatto di avere individuato un prestito di personale ritenuto qualificato senza specifici e concreti approfondimenti. Per questi motivi il collegio ha ritenuto corretta l’adozione del metodo del cost plus in quanto in linea con i valori di mercato e tale da determinare una remunerazione dei servizi resi in linea con i valori di mercato.

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Procedura on line di comunicazione e deposito accordi di lavoro agile

29 Novembre 2020

L’Ufficio Attività Economiche, con Circolare nr 11 che si allega, ha reso noto la procedura on line da seguire sulla piattaforma  LABOR per la comunicazione e il deposito degli accordi di lavoro in smart working.

CIRCOLARE n 11-2020 Deposito Accordi di Lavoro Agile – Smart Working prot.119553

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Contratti validi anche se l’amministratore ha violato i limiti previsti dallo statuto

20 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore lunedì 9 novembre 2020 di Giovanbattista Tona

Nessuna conseguenza sull’efficacia degli accordi sottoscritti con terzi

Anche nelle Srl è possibile ripartire in moto diseguale i poteri di rappresentanza

Le limitazioni ai poteri degli amministratori delle società non sono opponibili ai terzi e quindi se l’amministratore stipula un contratto senza osservare le regole impostegli dallo statuto, l’accordo rimane comunque efficace e vincolante per la società. Anche nelle Srl è comunque possibile attribuire il potere di rappresentanza solo ad alcuni amministratori o comunque ripartirlo in modo diverso dal quanto stabilito dall’articolo 2475 del Codice civile.

Lo ha stabilito la sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Roma con una sentenza del 10 settembre scorso.

La ripartizione nelle Srl

Il caso riguardava un’azione promossa da alcuni soci di una società a responsabilità limitata che chiedevano dichiararsi inefficace un contratto stipulato dal presidente del consiglio di amministrazione con il legale rappresentante di un’altra società, perché ritenevano che costui non avesse il potere di impegnare la società in quell’accordo.

Lo statuto prevedeva per alcune tipologie di contratti (e tra queste vi era il contratto di cui si chiedeva dichiararsi l’inefficacia) l’obbligo della congiunta sottoscrizione del presidente del consiglio di amministrazione e di almeno uno dei due vicepresidenti.

Su questo aspetto i giudici romani hanno ritenuto possibile – anche nelle società a responsabilità limitata – attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ripartirlo in maniera diversa rispetto a quanto stabilito dall’articolo 2475-bis del Codice civile, secondo il quale esso spetta a tutti gli amministratori senza distinzioni e che troverebbe applicazione nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina.

I poteri di rappresentanza

In tema di rappresentanza, il tribunale ha, invece, dato concreta applicazione al principio introdotto dal decreto legislativo n. 6 del 2003 sui poteri di rappresentanza dell’amministratore sia per le società per azioni (articolo 2384 del Codice civile) sia per le società a responsabilità limitata (articolo 2475-bis dello stesso Codice).

Secondo queste norme, il potere di rappresentanza degli amministratori è generale e le limitazioni eventualmente fissate dall’atto costitutivo, dallo statuto, dall’atto di nomina o da una decisione degli organi competenti, anche se pubblicati, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che essi abbiano intenzionalmente agito in danno della società.

La regola generale

In materia di rappresentanza volontaria, vige in realtà la regola valida sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche, contenuta nell’articolo 1388 del Codice civile, secondo la quale il contratto concluso dal rappresentante in nome del rappresentato produce effetti direttamente in capo al rappresentato solo se è stato stipulato nei limiti delle facoltà conferitegli dal rappresentato.

Il contratto, concluso da soggetto che sia privo di potere rappresentativo o che abbia ecceduto i limiti del potere conferitogli, è quindi inefficace e potrà produrre effetti solo se lo ratifica l’interessato. Nel caso in cui non lo ratifichi, il contratto rimane inefficace e il terzo non può farlo valere direttamente nei confronti del “falso” rappresentato. Se invece lo ratifica gli effetti si dispiegheranno in modo retroattivo, perché il contratto era ab origine valido (ma non efficace) e la mancanza di potere rappresentativo da parte di chi lo aveva stipulato ne aveva fatto una fattispecie negoziale in itinere, che si perfeziona con la ratifica.

E quelle per le società

Nelle società invece il potere di rappresentanza non deriva da una investitura ad hoc, come nella rappresentanza volontaria, ma deriva da una qualifica legale.

Nelle società a responsabilità limitata esso spetta a tutti gli amministratori senza distinzioni e quindi deriva dalla legge, costituendo una qualità legale intrinseca dell’ufficio di amministratore.

Nelle società per azioni esso invece spetta solo agli amministratori ai quali il potere rappresentativo sia stato specificamente conferito in forza di statuto o di deliberazione del competente organo sociale.

Il rilievo dei limiti al potere rappresentativo si esaurisce però sul piano dei rapporti interni alla società e può giustificare la revoca dell’amministratore dall’incarico o l’azione di responsabilità nei suoi confronti o ancora la denuncia al collegio sindacale, se esistente.

Nessuna automatica conseguenza invece può produrre sui contratti stipulati con i terzi, che rimangono validi ed efficaci, poiché le limitazioni e le ripartizioni del potere di rappresentanza rimangono una mera scelta organizzativa non opponibile alle controparti negoziali.

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Decreto Legge 29 Ottobre 2020 nr 193 – Disposizioni per il contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19

9 Novembre 2020

In allegato il testo completo del Decreto Legge nr 93 del 29 ottobre 2020 del quale si evidenziano gli articoli più importanti. Si suggerisce la lettura integrale del documento in quanto reca indicazioni importanti sia per le imprese che per i cittadini:

Art. 1: Disposizioni generali

  • Obbligo contattare il medico di base in caso di sintomi (37,5°)
  • Obbligo di indossare CORRETTAMENTE mascherina in luoghi chiusi aperti al pubblico e luoghi aperti qualora non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di 1 metro. Il parafiato in plexiglass non è consentito.
  • Obbligo di avere sempre la mascherina con sé. Raccomandato l’utilizzo anche all’interno di abitazioni private se in presenza di non conviventi.
  • I locali aperti al pubblico hanno l’obbligo di mettere a disposizione gel igienizzante, garantire il distanziamento, l’utilizzo della mascherina e curare l’igiene degli spazi comuni.
  • Fortemente raccomandato limitare l’ingresso in modo da garantire la distanza interpersonale di 1 metro.
  • Ogni attività deve essere chiusa al pubblico dalle ore 24:00 alle ore 4:30
  • In tutti i locali nei quali vengono somministrati cibi e bevande è obbligatorio esporre con un cartello il numero massimo di clienti contemporaneamente ammessi in modo da consentire il mantenimento delle distanze di sicurezza. Possono essere serviti unicamente i clienti che trovano posto al tavolo, con un massimo di 6 persone per tavolo (numero superabile se sono conviventi). È ammessa la consumazione al banco ma solo se garantito il distanziamento. Vietato mettere a disposizione quotidiani, carte e giochi.
  • Conferenze, i congressi o similari, sono consentiti secondo le modalità presviste al comma 4 dell’articolo 1.
  • Vietate feste anche in luoghi privati al di sopra delle 6 persone, che può essere derogato unicamente nel caso in cui i componenti siano membri di un unico nucleo di conviventi.
  • Sono sospese tutte le discipline sportive collettive o individuali di contatto amatoriali e agonistiche; sono sospesi tutti gli eventi e le competizioni sportive. 
  • Per le palestre e piscine private, centri benessere, spa, scuole di ballo e scuole di danza è dato mandato agli uffici preposti di verificare con assiduità il rispetto delle misure di distanziamento interpersonale nonché delle misure di contenimento di cui all’Allegato 2 in assenza delle quali le forze dell’ordine procederanno con la inibizione temporanea dell’attività fino alla regolarizzazione.
  • Limitare l’accesso agli ascensori in modo da garantire la distanza interpersonale di 1 metro.
  • Gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto sono consentiti secondo le moadlità di cui al comma 16 dell’articolo 1.
  • Sono consentiti i mercati tradizionali ed i mercati tipici o specializzati nel rispetto dei protocolli sanitari definiti dal Dipartimento Protezione e Prevenzione dell’ISS.

Art. 2:  Distanziamento su mezzi di trasporto privati

  • Non è consento occupare il posto a fianco del conducente, a meno che entrambi i viaggiatori indossino la mascherina chirurgica oppure appartengano allo stesso nucleo di conviventi.
  • Sui sedili posteriori nelle ordinarie vetture, nel solo caso in cui i passeggeri non appartengano allo stesso nucleo di conviventi, possono venire trasportati due passeggeri qualora muniti di idonei dispositivi individuali di sicurezza.

Art. 3: Modiche ed integrazioni alle misure straordinarie Cassa Integrazione Guadagni

  • La Cassa Integrazione Causa 4) non è concessa qualora l’operatore economico sospenda l’attività ordinaria o, se trattasi di società di capitali, la richieda per l’intero orario di lavoro di tutti i dipendenti.
  • La CIG non è mai concessa per amministratori o dirigenti.
  • Non è possibile ricorrere alla CIG causa 4) qualora l’azienda nelle stesse giornate della richiesta, abbia assunto lavoratori in qualsiasi modalità per la stessa mansione dei dipendenti in CIG oppure usufruisca di solidarietà familiare. Queste disposizioni non si applicano se l’assunzione è dovuta per sostituzione di personale in malattia o dimesso e il lavoratore abbia mansioni superiori o comunque diverse e non assimilabili ai lavoratori in CIG.
  • Qualora l’Ufficio Attività di Controllo nell’ambito delle attività ispettive, sulla base della documentazione acquisita dall’operatore economico, rilevi un’attività lavorativa comunque svolta in modalità da remoto, quest’ultima rientra nelle fattispecie previste in caso di presenza sul luogo di lavoro di lavoratori in CIG di cui all’articolo 1 commi 18 e 19 del Decreto – Legge 27 luglio 2020 n.123.

Art. 4: Ulteriori disposizioni in materia di erogazione indennità Cassa Integrazione Guadagni

  • L’erogazione diretta della CIG da parte dell’ISS ritorna nelle modalità ordinarie, dunque con una penale del 15%.

Art. 6: Tutela della maternità

  • È facoltà della lavoratrice gestante richiedere l’astensione anticipata dal lavoro, solamente nel caso in cui non sia possibile attivare lo smartworking oppure il datore di lavoro non sia in grado di garantire le condizioni di sicurezza nello svolgimento delle mansioni previste.
  • Al termine del periodo di astensione anticipata, le gestanti per le quali non è ancora prevista la regolare astensione per maternità riprendono l’attività lavorativa.
  • Le modalità di richiesta e di revoca sono disciplinate dall’articolo 6 del Decreto.

Art. 7: Modifica di permesso parentale straordinario per nuclei familiari

  • Entro il 31/12/20 è possibile usufruire del permesso parentale straordinario per un periodo continuativo o frazionato in presenza di un minore di età non superiore ai 12 anni oppure una persona disabile o non autosufficiente qualora non sia possibile attivare le modalità di lavoro dal domicilio.
  • Il permesso è fruibile esclusivamente: a) nei periodi di sospensione ordinari dei servizi educativi e delle attività nelle strutture diurne per la disabilità; b) in caso di sospensione straordinaria anche nei casi in cui la sospensione sia limitata solamente alla singola classe; c) in caso di quarantena preventiva o di contagio del minore di 12 anni o della persona disabile o non autosufficiente, qualora il genitore o membro del nucleo di conviventi non sia sottoposto egli stesso al medesimo provvedimento di isolamento.

 Art. 8: Modifiche straordinarie alle prestazioni di Lavoro occasionale e accessorio

È consentito l’utilizzo di lavoro occasione in tutti i settori, nei seguenti casi:

  • Sostituzione urgente di lavoratori in malattia o quarantena
  • Sostituzione urgente di lavoratori in congedo parentale
  • In caso di sostituzioni urgenti di lavoratori assenti per malattia o per astensioni sino ad un massimo di 30 giorni
  • Sostituzione urgente di lavoratori dimissionari.

Non è consentito il lavoro occasionale nei seguenti casi:

  • Lavoratori in CIG con la stessa mansione
  • Se negli ultimi 6 mesi siano state avviate procedure di riduzione del personale o non siano stati rinnovati contratti a tempo determinato negli ultimi 3 mesi per la stessa mansione, o che abbiano stipulato accordi di solidarietà
  • Se vi sono lavoratori con orario ridotto nella stessa mansione

Tali disposizioni non si applicano per i lavoratori occasionali che abbiano mansioni superiori o comunque diverse ai lavoratori nei punti in cui non è ammesso il lavoratore occasionale. Sono definite le modalità di iscrizione alla lista di avviamento al lavoro per i lavoratori occasionali (comma 3).

Art. 10: Disposizioni per limitare il rischio di contagio nei luoghi di lavoro

  • Si invitano i datori di lavoro a privilegiare lo smart-working oppure l’utilizzo di ferie, congedi retribuiti dando priorità alle lavoratrici in gravidanza, ai lavoratori invalidi o disabili, ai lavoratori genitori.
  • I lavoratori che hanno già usufruito dello smartworking possono richiederne la riattivazione, salvo la possibilità per il datore di non autorizzare motivando tale scelta.

 Art. 13: Modalità per effettuazione di interventi d’urgenza presso i domicili di persone in isolamento o quarantena

È necessaria l’autorizzazione preventiva della Protezione Civile.

 Art. 14: Disposizione relativa all’attività giudiziaria

Si stabilisce che sino al 31 dicembre 2020 le attività processuali da compiersi nel giorno giuridico si svolgano il mercoledì e il giovedì.

 Art. 15: Rafforzamento delle misure di controllo inerenti ad assembramenti

  • Il personale in servizio nei locali aperti al pubblico ha il dovere di richiedere agli avventori il rispetto delle prescrizioni nell’area di pertinenza del locale che sia interna o esterna al medesimo.
  • Nel caso di assembramenti nelle immediate vicinanze del locale aperto al pubblico, il personale in servizio è tenuto ad avvertire le forze di polizia del mancato rispetto delle norme vigenti.

 Art. 16: Riunioni in modalità videoconferenza

  • Tutte le riunioni assembleari, di consigli di amministrazione e di direttivi di tutte le persone giuridiche ed enti anche in deroga alle disposizioni di legge vigenti e/o statutarie.
  • Sono in ogni caso escluse le assemblee che, a norma di legge, richiedono la forma dell’atto pubblico.

 Art. 17: Sospensione screening volontario

  • I test su base volontaria presso l’ISS sono sospesi. 
  • I laboratori di analisi privati che vogliono effettuare test devono essere autorizzati dall’Authority Sanitaria.
  • Nel caso di esito positivo al sierologico effettuato a pagamento, è necessario effettuare il tampone molecolare presso l’ISS.
  • Nel frattempo l’assistito deve sottoporsi alla quarantena domiciliare preventiva.
  • Tale periodo di quarantena è coperto da malattia comune solo nel caso in cui il tampone molecolare sia positivo, altrimenti il periodo è da considerarsi non retribuito.

 Art. 18: Sanzioni

  • Il mancato rispetto degli obblighi relativi ai dispositivi di protezione delle vie respiratorie è punito con una sanzione pari a 500,00 Euro.
  • Il mancato rispetto delle misure previste dal Decreto Legge è punito con una sanzione che va da 1.000 a 2.000 Euro.
  • In caso di reiterazione la licenza potrà essere sospesa in maniera temporanea e immediata per 15 giorni.

 Art. 19: Disposizioni transitorie

  • Gli eventi in corso di organizzazione, per i quali non sussistano i tempi di preavviso di cui all’articolo 1 comma 4, devono essere autorizzati dalla Gendarmeria.

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Made in Italy, scontro sui 20mila marchi clonati da imprese cinesi

9 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 3 Novembre 2020 di Michele Romano

IMPRESE SOTTO TIRO DISTRETTO CALZATURIERO

Made in Italy, scontro sui 20mila marchi clonati da imprese cinesi

Tosi: «Gli imprenditori calzaturieri hanno bisogno d’interventi del governo»

La denuncia dei produttori marchigiani di scarpe riguarda molti settori

Alta gamma.  Lo show room di un calzaturificio 

«La Cina non può essere il nuovo Eldorado. Per lo meno non lo è alle condizioni attuali, perché è un paese che non rispetta il copyright, i loghi, la manifattura italiana». Parlano i calzaturieri del fermano-maceratese, ma i problemi sono identici a quelli denunciati da altri produttori italiani del comparto e comuni anche a diversi settori del made in Italy: la Cina è un mercato dove le Pmi non riescono ad accedere, una sorta di labirinto per gli imprenditori alle prese con quella che è diventata una prassi diffusa: chi entra in quel mercato rischia di affrontare costose azioni legali che cancellano la maggior parte dei marchi tranne quelli cinesi. Dalle testimonianze di molti imprenditori risulta chiarissima la prassi di soggetti cinesi che depositano in malafede nel loro paese registrazioni di marchi (sono oltre 20 mila quelli certificati) e segni distintivi delle aziende italiane per il proprio business. «Per noi – spiega Dino Corvari, titolare del calzaturificio con sede a Montegranaro – è stato impossibile registrare il marchio perché secondo i cinesi assonante con un altro già registrato, ovvero “cor vari” (in due parole, ndr.). Inutile ogni trattativa». La verifica di anteriorità diventa così impossibile.

Il settore calzaturiero italiano fattura oltre 14,2 miliardi di euro e occupa 75 mila addetti (quello marchigiano pesava nel 2019 per circa il 32%) e l’85% della produzione è destinata all’estero, ma solo l’1,2% è diretto in Cina e riguarda principalmente i grandi gruppi della moda e chi produce per loro. Eppure, quella cinese è la più numerosa comunità high-spending a livello globale, numeri che avrebbero la forza di assorbire il crollo che il settore della moda, e in particolare la calzatura, hanno avuto in Russia e nei paesi Csi dopo vent’anni d’oro. «Se togliamo le grandi griffe, la Cina vale oggi per le Marche meno di quanto esportiamo in Austria, che ha solo otto milioni di abitanti», chiarisce Graziano Mazza, ceo di Premiata, fondata cento anni fa dal nonno, a Montegranaro nel Fermano, ed oggi brand mondiale delle sneaker. Ha più di un sassolino nelle sue scarpe e riguarda proprio la Cina: «Noi apriamo la Via della Seta e loro alzano barriere protettive». Lo ha sperimentato in prima persona.

Il marchio Premiata lo ha registrato in Cina per tutte le classi merceologiche, ad esclusione del prodotto scarpe, perché lo aveva già fatto un imprenditore di quel paese, portando una prova di utilizzo di 100 dollari. Una volta scoperta l’anomalia, l’azienda di Montegranaro ha iniziato la sua battaglia legale per difendere la proprietà del marchio. Un’odissea legale iniziata oltre 12 anni fa, costata finora 400 mila euro e segnata solo da verdetti contrari, in attesa dell’ultima sentenza, quella della Suprema Corte di Pechino. «Usurpano il marchio per poi copiare prodotti (scarpe, fondi, modelli e quant’altro, ndr.), immagine, modello di business», dice Mazza. Praticamente tutto, comprese le immagini del quartier generale di Montegranaro. La stima del volume di affari è di circa 300 mila paia scarpe per stagione (un business che vale 30 milioni di dollari) «tutte copiate dalle collezioni originali e poi vendute nei negozi monobrand Premiata, ovviamente abusivi, aperti dal gruppo cinese». Prove evidenti, ma non sufficienti per il sistema legale di quel Paese, che sta addirittura cancellando e invalidando anche i marchi già registrati e certificati dall’ufficio marchi-brevetti cinesi: oggi è tutto nelle mani del copiatore.

Non è un caso isolato. Giorgio Fabiani, titolare del calzaturificio omonimo Fabiani di Fermo, aveva un partner in Cina che acquistava le sue scarpe, per poi smettere per copiare i modelli e il suo marchio: «L’ho scoperto, ho dato mandato a uno studio legale italiano. Tempo e risorse per nulla: ho solo individuato dove si trovava la fabbrica. Ma la legislazione locale tutela solo gli autoctoni». In alcuni casi viene data la possibilità alle aziende italiane di reimpossessarsi del marchio, ma solo tramite transazione commerciale e pagando ingenti somme di denaro. «Esportavamo da tempo in Cina, quando ci hanno fatto notare che il nostro marchio era già stato registrato – racconta Mary Gestroemi, titolare del calzaturificio Mary di Fermo -. Quando abbiamo contattato l’interlocutore voleva rivendercelo per 50 mila euro». L’imprenditore fermano ha però rinunciato a quella che definisce “estorsione legalizzata” e non ha potuto utilizzare per cinque anni il suo marchio: ne è tornato in possesso solo perché in Cina non era stato mai utilizzato.

«Gli imprenditori calzaturieri hanno bisogno di un solerte e deciso intervento del nostro governo – dice Giuseppe Tosi, direttore di Confindustria Centro Adriatico -. Questa è l’unica strada per invertire questa situazione». L’esperienza americana insegna. Per far sì che New Balance, uno dei più grandi produttori al mondo di calzature sportive, si riappropriasse del proprio marchio in Cina, dopo lunghe e dispendiose battaglie legali perse, è intervenuto il governo americano e nel 2018 la situazione si è risolta. «Vogliamo più stato e non sentirci solo quando siamo all’estero», è l’appello finale di Mazza. C’è un’altra grana che rende debole il rapporto commerciale tra Italia e Cina e che vede in prima linea i calzaturieri marchigiani nel sollecitare una soluzione: la reciprocità dei dazi. Le imprese cinesi che possono importare i prodotti devono essere munite della licenza di commercio estero (Foreign Trade Rights), rilasciata dal ministero del Commercio estero (Moftec) per monitorare il flusso di merci in entrata e in uscita dal paese. In questo campo c’è una simbolica reciprocità: l’export italiano e l’import cinese hanno una tassa del 17%. «Ma c’è l’inghippo – spiega Valentino Fenni, presidente dei calzaturieri di Confindustria Centro Adriatico -: le imprese italiane che esportano le proprie calzature in Cina devono transitare attraverso gli importatori cinesi autorizzati con una maggiorazione sul costo effettivo del prodotto che fa lievitare la tassa al 30%: significa appesantire il nostro rapporto commerciale con Pechino, che è già al limite per via del costo della manodopera, della tasse e del prezzo dell’energia, dando un colpo definitivo all’export dell’intera fascia media della nostra produzione».

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Niente riciclaggio sulle somme restituite per false fatture

9 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 3 Novembre 2020 di Antonio Iorio 

La restituzione delle somme precedentemente pagate da parte di coloro che hanno ricevuto fatture false non configura il reato di riciclaggio in quanto tali importi non rappresentato il profitto del reato fiscale e quindi non possono considerarsi di provenienza delittuosa. A fornire questa interpretazione è la Cassazione con la sentenza 30206/2020 depositata il 30 ottobre.

Il giudice per l’udienza preliminare emetteva sentenza di proscioglimento nei confronti di alcune persone imputate di riciclaggio e reimpiego (articoli 648-bis e 648-ter del Codice penale). La contestazione traeva origine da alcuni assegni che un coimputato accusato di avere emesso fatture inesistenti consegnava agli imputati a giustificazione degli importi fittizi.

Secondo il giudice tali somme non costituivano il profitto del reato fiscale, che doveva invece essere individuato nel risparmio di imposta. Pertanto le condotte di “gestione” di tali assegni (riconsegna tramite girata o sostituzione con assegni circolari) non potevano integrare i reati di riciclaggio e reimpiego, dato che tali illeciti avrebbero dovuto avere come oggetto il “profitto” del reato fiscale.

La sentenza veniva impugnata dal pubblico ministero che non contestava l’individuazione nel solo risparmio di imposta nel profitto dei reati fiscali, tuttavia riteneva legittimo l’inquadramento giuridico ipotizzato dalla Procura essendo innegabile l’ausilio fornito dagli imputati alla consumazione degli illeciti tributari.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso. Secondo i giudici è incontestato che il profitto del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di false fatture (articolo 2 del Dlgs 74 del 2000) sia costituito dal risparmio di imposta e, segnatamente dall’utilità che si ricava dalla indicazione di tali fatture nella dichiarazione.

Non costituiscono invece il profitto le somme fittiziamente fatte pervenire per dare parvenza di effettività all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Di conseguenza, non trattandosi di somme di provenienza delittuosa, non è configurabile il reato di riciclaggio

La sentenza evidenzia poi che si tratta di un orientamento consolidato anche attraverso la pronuncia (Cassazione 41499/2013) secondo la quale non integra il delitto di riciclaggio l’operazione consistita nel versamento sul proprio conto corrente di un assegno bancario giustificativo del pagamento di una fattura ed il successivo prelievo di una parte della somma versata con la restituzione all’emittente il titolo, funzionale ad ostacolare l’identificazione del delitto di fatture per operazioni inesistenti. La Corte ha così rilevato la carenza del presupposto per ritenere configurabile il delitto di riciclaggio e cioè la provenienza da delitto del denaro versato sul conto

Nella specie le condotte contestate non si risolvevano nella manipolazione del profitto a fini di dissimulazione o di reimpiego (articoli 648-bis e 648-ter del Codice penale), essendo piuttosto funzionali a consentire la consumazione del reato previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74 del 2000. In astratto, sarebbe stato quindi ipotizzabile un concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta da escludere nella vicenda in esame stante il decorso del termine di prescrizione.

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Solo i nuovi frontalieri in Svizzera verso la tassazione in Italia

9 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 9 Ottobre 2020 di Roberto Bianchi

Nel corso del mese di ottobre dovrebbe prendere forma il nuovo accordo tributario tra Italia e Svizzera che andrà a rinnovare l’intesa del 3 ottobre 1974 (legge 386/1975), dal quale scaturirà la nuova tassazione dei lavoratori frontalieri oltre al nuovo corso dei ristorni riconosciuti agli Enti locali di confine.

Ogni cittadino italiano residente in qualsivoglia regione del territorio nazionale dispone della facoltà di richiedere e ottenere l’autorizzazione (permesso G) quale lavoratore frontaliere in Svizzera mantenendo, tuttavia, l’obbligo di fare quotidianamente rientro nel nostro paese. Tali elementi, che concernono l’ambito civilistico dei permessi di lavoro all’interno della Confederazione elvetica, necessitano di essere coniugati con gli aspetti tributari che afferiscono a tale lavoratore.

In base al paragrafo 4 dell’articolo 15 della Convenzione avverso le doppie imposizioni vigente tra Italia e Svizzera (legge 943/1978), il regime tributario applicabile ai redditi conseguiti dai lavoratori frontalieri dipendenti risulta essere disciplinato dal menzionato accordo tra Italia e Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine.

Vengono qualificati come «lavoratori frontalieri in Svizzera», ai fini della specifica disciplina convenzionale, i soggetti che risultano essere residenti in un Comune italiano il cui territorio risulti compreso, in tutto in parte, nella fascia di 20 chilometri dal confine con uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, ove si recano per svolgere un’attività di lavoro dipendente, sebbene non vi sia la necessità che l’attività venga prestata in un Cantone “frontista” rispetto al Comune di residenza (risoluzione 38/E/2017).

L’articolo 1 del richiamato accordo bilaterale del 3 ottobre 1974, prevede attualmente che «i salari, gli stipendi e gli altri elementi che fanno parte della remunerazione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta».

Al fine di “contemperare” tale aspetto, il successivo articolo 2 stabilisce che i Cantoni svizzeri confinanti con l’Italia sono tenuti a versare ogni anno, a beneficio dei Comuni italiani di confine, una parte del gettito fiscale proveniente dalla imposizione delle remunerazioni dei frontalieri italiani quale compensazione finanziaria delle spese sostenute dagli enti locali in Italia a favore dei frontalieri che risiedono nel loro territorio ma che svolgono l’attività di lavoro dipendente in Svizzera (assoggettata a tassazione esclusivamente nella Confederazione elvetica).

Il nuovo accordo, che supererà definitivamente quello menzionato, dovrà individuare un equilibrio tra i nuovi e i vecchi frontalieri e, per questi ultimi si prospetta l’introduzione di un regime speciale mentre per i nuovi frontalieri l’accordo dovrebbe prevedere il pagamento delle imposte in Italia.

L’intesa in fase di perfezionamento dovrà prevedere, pertanto, lo scambio delle informazioni afferenti i lavoratori frontalieri considerato che l’agenzia delle Entrate, al fine di governare lo specifico regime di tassazione che dovrebbe essere posto al centro del nuovo accordo, dovrà disporre di informazioni adeguate.

Attualmente la Svizzera comunica all’Amministrazione finanziaria italiana esclusivamente il numero dei lavoratori frontalieri suddivisi per singolo Comune di residenza.

Non va sottaciuto che, nel corso del mese di ottobre, il presidente del Governo di Bellinzona dovrebbe rappresentare al ministro federale dell’Economia la decisione ticinese di dar corso alla «clausola di uscita» in merito alla facoltà di rescissione unilaterale dell’accordo tra Svizzera e Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine.

La questione centrale è tuttavia rappresentata dalla capacità del nuovo accordo di continuare ad assicurare i ristorni agli enti locali di confine, senza i quali difficilmente l’intesa potrà garantire un equilibrio stabile tra i due Paesi.

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La rinuncia all’eredità cancella la responsabilità per i debiti tributari del defunto

9 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore 3 Novembre 2020 di Angelo Busani

La rinuncia all’eredità, per effetto della sua caratteristica retroattività al momento dell’apertura della successione (articolo 521 del Codice civile), rende il chiamato all’eredità non responsabile del debito tributario del defunto, anche se la rinuncia intervenga dopo che, in epoca successiva all’apertura della successione, venga notificato un avviso di liquidazione, il quale sia poi divenuto definitivo per mancata impugnazione: la ragione è che, per regola generale, la responsabilità per i debiti ereditari (compresi quelli tributari) grava su chi, accettando l’eredità, assume la qualità di erede e non grava sul “semplice” chiamato all’eredità.

Lo decide laCassazione nell’ordinanza 24317 del 3 novembre 2020, nella quale, altresì, vengono altresì sanciti alcuni altri importanti principi:
a) se l’Amministrazione intende far valere l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità (la quale impedirebbe l’esercizio della facoltà di rinuncia all’eredità), deve fornirne la prova (si pensi al caso del chiamato all’eredità che venda un bene ereditario o paghi un debito del defunto);
b) al chiamato rinunciante deve essere parificato il chiamato che non abbia accettato l’eredità, né espressamente né tacitamente, nei dieci anni successivi all’apertura della successione, poiché il decorso di detto decennio comporta la prescrizione del diritto di accettare l’eredità e, quindi, impedisce al chiamato di assumere la qualità di erede (rinunciare all’eredità dopo il decorso di tale decennio non produce alcun effetto e avrebbe solo una valenza meramente chiarificatoria);
c) all’eredità non può rinunciare il chiamato che decada dal diritto di rinuncia per effetto del possesso dei beni ereditari intrattenuto per un periodo superiore a tre mesi dopo l’apertura della successione, poiché, in tal caso, si produce un’irreversibile situazione di accettazione dell’eredità che non può essere posta nel nulla da una rinuncia (la quale, dunque, si rivelerebbe tardiva e anche in tal caso sarebbe improduttiva di effetto).

Tutto quanto fin qui riportato necessita di una precisazione quando il debito tributario sia quello afferente all’imposta di successione, in quanto, in questa ipotesi, per esigenze di certezza e di speditezza nella riscossione di detta imposta, è disposto che:
•i chiamati all’eredità sono esonerati dall’obbligo della dichiarazione di successione se, anteriormente alla scadenza del termine stabilito al termine per presentarla (di regola, un anno dall’apertura della successione) hanno rinunziato all’eredità e ne hanno informato per raccomandata l’agenzia delle Entrate (articolo 28, comma 5, del Dlgs 346/1990, il Tus, testo unico dell’imposta di successione);
•fino a quando l’eredità non sia stata accettata, i chiamati all’eredità rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti (articolo 36, comma 3, Tus);
•al fine del calcolo dell’imposta (e cioè per l’individuazione dell’aliquota e della franchigia eventualmente applicabile), vi è da osservare la regola secondo cui l’imposta è determinata, fino a quando l’eredità non è stata accettata, considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato (articolo 7, comma 4, Tus).

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