Brani musicali, le regole d’uso nei prodotti audiovisivi

6 Agosto 2024

Il Sole 24 Ore 8 Luglio 2024 di Giulia Casamento e Andrea Rinaldi

Marchi, brevetti, diritto d’autore

Una piccola casa di produzione, che si occupa della creazione di documentari e serie televisive, ha sviluppato un progetto che prevede l’uso – come sottofondo nelle scene – di brani musicali di noti artisti.

Quali sono le implicazioni legali associate al diritto di sincronizzazione per l’uso di tali brani musicali nei lavori della casa di produzione?

La sincronizzazione è un’attività ampiamente diffusa nell’ambito del settore cinematografico e pubblicitario. Essa consiste nell’associazione tra un’opera musicale e un’immagine finalizzata a realizzare un’opera di carattere audiovisivo (per esempio film, medio-cortometraggi, reclame, spot pubblicitari).

In quanto forma di sfruttamento dell’opera, il diritto di sincronizzazione rientra nell’ambito dei diritti esclusivi riconosciuti all’autore. La normativa in tema di diritto d’autore stabilisce, infatti, che l’autore è l’unico soggetto legittimato a utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale e/o derivato (articolo 12 della legge 633/1941), nonché ad adattare e registrare l’opera su qualunque supporto (con qualunque tecnologia), riprodurla, distribuirla, noleggiarla e darla in prestito, eseguirla e comunicarla al pubblico (con qualunque supporto), in base all’articolo 61 della legge 633/1941.

La sincronizzazione di un’opera musicale necessita, pertanto, dell’autorizzazione specifica dell’autore (o dell’editore) titolare dei diritti sull’opera.

Unitamente a tale autorizzazione, è necessario ottenere il consenso da parte del produttore fonografico, o del soggetto (persona fisica o giuridica) che assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni provenienti da una interpretazione e/o esecuzione, e che, in quanto tale, detiene i diritti sul fonogramma, o sulla registrazione e/o fissazione dell’opera (articolo 78 della legge 633/1941 ).

Opera musicale e fonogramma sono, infatti, entrambi tutelati dalla legge sul diritto d’autore, che riconosce ai rispettivi titolari determinati diritti. I diritti riconosciuti al produttore fonografico ricalcano sostanzialmente i diritti riconosciuti all’autore e consistono, in particolare, nel diritto di riproduzione, distribuzione, noleggio, prestito, esecuzione e comunicazione al pubblico (articolo 72 della legge 633/1941).

In aggiunta a tali diritti, al produttore di fonogrammi è riconosciuto il diritto a un compenso per l’utilizzazione a scopo di lucro di ciascun fonogramma a mezzo della cinematografia, della diffusione radiofonica e televisiva, compresa la comunicazione al pubblico via satellite, nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi e in occasione di qualsiasi altra pubblica utilizzazione dei fonogrammi stessi (articolo 73 della legge 633/1941).

Al fine di poter procedere con l’attività di sincronizzazione è, pertanto, necessario individuare i titolari effettivi dell’opera musicale e del fonogramma. Tendenzialmente, il produttore fonografico e l’editore corrispondono a due entità giuridiche distinte, ma, tuttavia, possono anche fare capo a un’unica entità giuridica (circostanza che semplifica il processo di individuazione e di negoziazione dei diritti).

Nel caso prospettato dal quesito, l’uso di brani musicali ai fini della realizzazione di un progetto audiovisivo implica la necessità di ottenere licenze di sincronizzazione dell’opera musicale da parte dell’autore (o dell’editore) titolare dei diritti di sfruttamento sull’opera, nonché di un’autorizzazione da parte del produttore fonografico detentore dei diritti sul fonogramma.

Si segnala che, in aggiunta alla licenza per la sincronizzazione dell’opera musicale, in funzione degli sfruttamenti prefissati dal licenziatario (colui che richiede la concessione di una licenza), è opportuno considerare la necessità di ottenere un’ulteriore licenza, avente a oggetto i successivi utilizzi dell’opera sincronizzata – quali riproduzione, distribuzione, noleggio e prestito, esecuzione e comunicazione al pubblico – in assenza della quale l’opera non potrebbe essere compiutamente utilizzata

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Diritti, sostenibilità e clima: la direttiva Ue entra in azienda

6 Agosto 2024

Il Sole 24 Ore 6 luglio 2024 di Marina Castellaneta

Pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea di ieri (serie L) la direttiva 2024/1760 sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità che modifica la 2019/1937 e il regolamento 2023/2859.

La direttiva Csdd (Corporate sustainability due diligence directive) dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 26 luglio 2026. Tempi brevi, quindi, che impongono alle società di grandi dimensioni, con specifiche caratteristiche di fatturato e numero di dipendenti, di partire subito con l’attivazione delle procedure richieste per garantire il rispetto dei diritti umani e l’ambiente. Questo anche perché l’ambito di applicazione è ad ampio raggio in quanto coinvolge l’intera catena dell’attività, obbligando al rispetto della due diligence nella supply chain e nella gestione del rischio. Le società dovranno essere pronte anche coi piani di transizione climatica, in linea con l’accordo di Parigi.

Ci sono voluti due anni per arrivare a un’intesa tra il Parlamento Ue e il Consiglio, intervenuti in parte annacquando la proposta presentata dalla Commissione europea nel 2022.

Nessun dubbio, però, sulla rilevanza della direttiva che permette l’ingresso in un atto vincolante del contenuto di codici di condotta e atti di soft law indirizzati alla sostenibilità e alla tutela dei diritti umani e dei lavoratori e, in particolare, dei principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

Col nuovo sistema, le imprese di grandi dimensioni, con inizio temporalmente diversificato, dovranno rispettare nuovi obblighi per limitare gli impatti negativi in questi settori. In caso di violazione scatteranno misure per accertare la responsabilità delle imprese, incluse le attività delle filiazioni e dei partner commerciali parte della catena di attività della società.

Ambito di applicazione

Riguardo all’ambito di applicazione, la direttiva è rivolta alle società costituite secondo la normativa di uno Stato membro (e anche di Stati terzi con fatturato generato nell’Ue) che abbiano, in media, più di mille dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450.000.000 euro nell’ultimo esercizio di adozione del bilancio d’esercizio.

È stato possibile ampliare l’ambito di applicazione, seppur in modo più limitato rispetto agli obiettivi di partenza, anche alle società che non raggiungono i criteri previsti dall’articolo 2, lettera a, se si tratta di società capogruppo di un gruppo che ha raggiunto i limiti previsti o accordi di franchising o licenza nell’Unione «in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti se gli accordi garantiscano un’identità comune».

Processo in sei fasi

Le società destinatarie degli obblighi dovranno rispettare il processo di attuazione del dovere di diligenza in sei fasi: integrazione della due diligence nelle politiche e nei sistemi di gestione, individuazione e valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, la prevenzione, l’arresto o la minimizzazione degli impatti negativi effettivi o potenziali, il monitoraggio e la valutazione delle misure, la comunicazione e la riparazione. Inoltre, è previsto un sistema per azioni di risarcimento danni a vantaggio di persone fisiche e giuridiche, con l’obbligo per gli Stati di prevedere termini di prescrizione non inferiori ai cinque anni.

Sistema di controllo

È stato attivato un sistema ramificato di controllo: la Commissione dovrà istituire un help desk unico che lavorerà con autorità nazionali e Stati membri, i quali dovranno prevedere le autorità di controllo competenti a vigilare sul rispetto degli obblighi.

Tra i poteri delle autorità di controllo, la possibilità di avviare indagini di propria iniziativa o dopo segnalazione e di effettuare ispezioni, anche transfrontaliere, coordinandosi con gli altri Stati.

Dovranno poi essere predisposti meccanismi di notifica e procedure di reclamo, attivabili da persone fisiche o giuridiche colpite da un impatto negativo o che hanno motivo di ritenere che saranno colpite, da sindacati, altri rappresentanti dei lavoratori e organizzazioni della società civile.

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Residenza fiscale, nuove norme senza retroattività

6 Agosto 2024

Il Sole 24 Ore 19 luglio 2024 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Le nuove regole sulla residenza fiscale introdotte valgono dal 1° gennaio 2024 e non possono essere applicate retroattivamente, in quanto non si tratta di norme interpretative. Ad affermarlo è la sentenza 19843/2024 della Cassazione, depositata il 18 luglio.

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da un contribuente residente nel Principato di Monaco avverso un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio contestava la residenza fiscale in Italia, dal momento che aveva mantenuto sul territorio nazionale il centro dei propri interessi vitali. Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, ma la sentenza veniva riformata in appello. Il contribuente ricorreva così in Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l’errata applicazione delle norme in materia di residenza previste dal Tuir.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che l’articolo 2 del Dpr 917/1986 è stato di recente modificato, introducendo un concetto di domicilio valevole ai fini fiscali.

Più precisamente, prima della novella, la norma mutuava la nozione di residenza e domicilio dal Codice civile, secondo il quale per residenza si intende il luogo in cui la persona ha la dimora abituale e, per domicilio, il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

Con la modifica, solo la residenza è rimasta legata al Codice civile, mentre per il domicilio è stata introdotta una specifica nozione. Ora, infatti, per domicilio deve intendersi il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.

Tuttavia, la Cassazione ha rilevato che la decorrenza di tale modifica è stata individuata nel 1° gennaio 2024 ed il testo non fornisce alcun elemento idoneo a qualificare questa disposizione di interpretazione autentica.

Tanto più che di fatto la definizione di domicilio incide sulle condizioni fattuali che determinano la soggettività passiva e, quindi, sull’onere della prova, con l’evidente conseguenza che non può avere alcuna efficacia antecedente al 1° gennaio 2024. Solo da tale data, per l’individuazione del domicilio avranno rilevanza le relazioni personali in via principale.

Per il passato, secondo la Suprema Corte, in base ad alcuni orientamenti giurisprudenziali sia nazionali sia unionali, le relazioni affettive e familiari del contribuente non rivestono un ruolo prioritario, ma rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento riconoscibile dai terzi.

È stato così affermato il principio secondo cui il concetto di domicilio, nella versione applicabile fino al 1° gennaio 2024, coincide con il centro degli affari e degli interessi vitali della persona, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo priorità le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri.

Alla luce di questo principio, è stato rigettato il ricorso del contribuente: i giudici di appello, infatti, ritenevano che in Italia sussistessero interessi patrimoniali riconoscibili a terzi, individuati nell’esercizio fattivo di cariche sociali in diverse imprese, oltre che proprietà immobiliari gestite da terzi e comunque anche interessi personali e familiari.

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Influencer e content creator, braccio di ferro sui contributi Enasarco

6 Agosto 2024

Il Sole 24 Ore 21 luglio 2024 di Mauro Pizzin

Previdenza. Forte della sentenza del Tribunale di Roma che ne ha imposto il versamento l’ente spinge sul governo per allargare la base contributiva

La sentenza 2615/2024 del 4 marzo con cui il Tribunale di Roma, in seguito a un accertamento ispettivo di Enasarco, ha deciso che l’influencer il quale promuova stabilmente e con continuità in rete i prodotti di un’azienda è inquadrabile come agente di commercio ha posto sotto i riflettori la questione dell’inquadramento nella cassa di questa nuova categoria professionale (si veda il Sole 24 Ore del 24 maggio scorso).

L’ente di previdenza integrativa obbligatoria dei professionisti dell’intermediazione commerciale e finanziaria con contratto di agenzia o rappresentanza da tempo vorrebbe, infatti, portare gli influencer entro il suo perimetro contributivo. «Fondazione Enasarco – conferma il presidente Alfonsino Mei – ha la necessità di aumentare la propria base contributiva per la stabilità su una prospettiva di 50 anni, come imposto dai ministeri vigilanti, così da riequilibrare il rapporto tra contributori e pensionati. Ora come ora, perdiamo migliaia di agenti ogni anno anche per la crescita delle piattaforme commerciali. In questo contesto vorremmo coinvolgere anche gli influencer nella nostra base contributiva per includere anche i giovani e per fare ciò abbiamo bisogno di un intervento del Governo, con cui stiamo interloquendo».

All’ingresso in Enasarco sono contrarie sia Aicdc, l’Associazione italiana content & digital creators fondata nel 2023 e che conta oltre 700 membri, sia Assoinfluencer, costituita nel 2019 e inserita nell’elenco delle associazioni professionali di cui alla legge 4/2013, nonché nella rete nazionale di Confcommercio professioni. Si tratta di due importanti realtà associative attive in quel comparto della creator economy che si stima coinvolga 350mila professionisti, per un giro d’affari potenziale di 2,55 miliardi.

Molte le motivazioni sul no alla cassa previdenziale, «a partire – sottolinea la presidente di Aicdc, Sara Zanotelli – da una differenza sostanziale data dal fatto che l’attività degli agenti di commercio è orientata alla vendita, mentre quella del content creator a una rosa di obiettivi di cui la promozione commerciale è solo una parte. Gli agenti, inoltre, guadagnano sulla base di quanto vendono, mentre i creator non sono legati per il loro compenso a un raggiungimento preciso di un obiettivo di vendita, quanto alla promozione del prodotto presso la propria comunità di followers».

Secondo Aicdc esistono poi altre differenze più tecniche: «L’agente di commercio – continua Zanotelli – è un soggetto che deve possedere, in fase di apertura dell’attività, un certo numero di requisiti professionali che vanno preventivamente verificati e non è detto che gli influencer ne siano in possesso. L’agente, poi, viene insignito di un pacchetto clienti, ha un mandato all’incasso, può concludere operazioni per conto del committente e gode di un’indennità meritocratica: tutti parametri ritenuti inapplicabili per gli influencer, che non “gestiscono” alcun pacchetto clienti».

In attesa di un pronunciamento ministeriale (la situazione attuale, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, è di stallo) la partita sul pagamento di Enasarco si giocherà nei tribunali, in seguito agli accertamenti ispettivi della Fondazione, come è già successo nel caso del Tribunale di Roma, in un contesto in cui le imprese e gli stessi influencer hanno cominciato a richiedere assistenza legale per rivedere i contratti ed evitare sanzioni e ulteriori costi e a valutare se sia davvero necessaria l’iscrizione alla Cassa (si veda l’articolo pubblicato su Nt+Diritto il 24 giugno scorso).

Sul fronte giudiziario, la premessa di Aicdc è che la sentenza romana è formalmente corretta: se l’agente di commercio svolge la professione anche sui social è corretto che versi i contributi Enasarco. Ciò che l’associazione mette in discussione è l’interpretazione della sentenza, perché un agente di commercio può lavorare anche sui social, ma non è detto che un content creator che lavori sui social sia inquadrabile come agente di commercio.

Poco preoccupato della portata della decisione del tribunale romano si dice il presidente di Assoinfluencer, Jacopo Ierussi, secondo cui «una sentenza trova il tempo che trova. A mio avviso questo orientamento è figlio di una mancata o non completa comprensione del fenomeno. Peraltro, secondo la Cassazione l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente a effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine. Basandoci su questo presupposto di partenza, naturalmente confliggente con le dinamiche tipiche della content creation economy, è facile comprendere come far rientrare gli influencer nell’area Enasarco appaia una forzatura».

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Circolare nr 8 Ufficio Attività Economiche – Disciplina delle Attività Economiche

8 Luglio 2024

Dal 1° Luglio è entrato in vigore il Decreto Delegato nr 50 del 14 03 24 che ha semplificato e aggiornato la normativa di riferimento per l’avvio e la gestione delle attività d’impresa.

La Circolare  sintetizza i punti principali della normativa evidenziando, tra l’altro:

  • il superamento del termine di “licenza”  con la più generica definizione di “Autorizzazione ad Operare
  • la permanenza del Nulla Osta del Congresso di Stato in caso di una delle attività indicate nel D.D.58-2024  
  • l’attività di e-commerce come modalità di vendita ordinaria sia per l’ingrosso che per il dettaglio
  • il superamento del concetto di “sede esclusiva”

In calce vengono inoltre date comunicazioni procedurali importanti, di cui se ne raccomanda la lettura, nel caso di:

  • pratiche in corso al 30/6/24 
  • e-commerce esclusivo (da adeguarsi con nuova pratica gratuita entro il 01 09 24
  • nuova pratica per integrazione allegati

Circolare 8 UAE

DD50-2024+All 

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Il Moneyval promuove il lavoro di San Marino

8 Luglio 2024

San Marino Fixing 06/06/2024 di Alessandro Carli

“La Repubblica di San Marino ha migliorato le sue misure per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo” annuncia Moneyval in un rapporto di follow-up pubblicato nei giorni scorsi.

Il rapporto ha rilevato che il Monte Titano ha migliorato la propria conformità alla Raccomandazione 35 (sanzioni) della Financial Action Task Force.

Le modifiche introdotte nel 2023 alla legislazione antiriciclaggio hanno in gran parte affrontato le carenze precedentemente individuate riguardo al regime delle sanzioni. Di conseguenza, il Paese è stato rivalutato in base a questa raccomandazione da Parzialmente conforme a Ampiamente conforme.

Nel complesso, si legge nel report, “la Repubblica di San Marino ha compiuto progressi nell’affrontare le carenze di conformità tecnica individuate nel suo rapporto di valutazione reciproca del 2021”.

Delle 40 Raccomandazioni, la Repubblica di San Marino attualmente dispone di:

  • 18 raccomandazioni valutate conformi;
  • 18 raccomandazioni classificate ampiamente conformi;
  • 4 raccomandazioni classificate parzialmente conformi;
  • 0 Raccomandazione non conforme.

“Si prevede che la Repubblica di San Marino”, conclude Moneyval, “riferirà nel maggio 2028 sugli ulteriori progressi compiuti verso il rafforzamento del proprio sistema antiriciclaggio e di finanziamento del terrorismo”.

IL MONEYVAL

Moneyval è la denominazione ufficiale del Comitato di Esperti sulla Valutazione delle Misure Antiriciclaggio e sul Finanziamento del Terrorismo. È un organismo di monitoraggio permanente del Consiglio d’Europa con 35 stati membri e giurisdizioni di cui 32 valutate esclusivamente da Moneyval. Secondo l’articolo 2 dello Statuto, le valutazioni riguardano gli Stati membri del Consiglio d’Europa che non sono membri del GAFI (28 Stati). Attraverso le decisioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ne fanno parte anche due Stati non membri del Consiglio d’Europa (Israele, Santa Sede), nonché diversi territori delle cui relazioni internazionali è responsabile il Regno Unito (Regno Unito Dipendenze della Corona di Guernsey, Isola di Man e Jersey nonché territorio d’oltremare di Gibilterra del Regno Unito). Il processo di valutazione si basa sul modello e sugli standard della Financial Action Task Force e si basa su diversi cicli. Moneyval sta ora completando il quinto ciclo di valutazioni. Nel Consiglio d’Europa Moneyval fa parte della Direzione Generale dei Diritti Umani e dello Stato di Diritto (DG1), ed è incaricato di valutare il rispetto dei principali standard internazionali, per contrastare il riciclaggio di denaro (ML) e il finanziamento del terrorismo (TF) e l’efficacia della loro attuazione. Nel contesto dei suoi rapporti di valutazione reciproca, Moneyval formula raccomandazioni alle autorità nazionali in merito ai miglioramenti necessari per migliorare i loro sistemi.

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Riserva di utili da potenziare per il debito da dividendi

8 Luglio 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 10 giugno 2024 di Sergio Pellegrino e Lucia Recchioni

In base all’articolo 2949 del Codice civile, i diritti che derivano dai rapporti sociali, come ad esempio i dividendi, si prescrivono in cinque anni se la società è iscritta nel Registro delle imprese.

Ci si potrebbe quindi chiedere come deve essere trattata fiscalmente, in capo alla società, la prescrizione del debito da dividendi, e come questa debba trovare rappresentazione nel prospetto del capitale e delle riserve del quadro RS del modello Redditi.

Utili spunti possono essere tratti dalla sentenza Ctr Friuli Venezia Giulia 19/2020, riguardante un avviso di accertamento emesso nei confronti del socio per omessa dichiarazione di dividendi la cui prescrizione era stata rilevata contabilmente dalla società.

I giudici, nel ritenere non applicabile, nel caso in esame, la teoria dell’incasso giuridico, hanno evidenziato che «la prescrizione non fa emergere alcuna sopravvenienza attiva e correttamente la società ha registrato l’estinzione del debito tra le riserve di utili facenti parte del patrimonio netto: ciò sta a significare che solo in caso di distribuzione delle riserve di patrimonio netto, il socio sarà tenuto a versare l’imposta dovuta, diversamente si verificherebbe una doppia imposizione dello stesso reddito, in quanto l’utile già tassato una prima volta, verrebbe tassato una seconda volta quale sopravvenienza attiva».

Dovendo escludere, quindi, la rilevazione di un componente positivo di reddito a fronte della cancellazione del debito (come potrebbe avvenire per la prescrizione dei debiti nei confronti di soggetti diversi dai soci), si ritiene che la contropartita possa essere rappresentata, alla luce della sentenza citata, da una riserva di utili.

Dalla lettura del principio contabile Oic 28 si potrebbe desumere anche la possibilità di iscrizione di una riserva di capitali, nel caso in cui l’operazione, sostanzialmente assimilata a una rinuncia al credito (pur non potendo essere considerata pacificamente tale), mostrasse una volontà di rafforzamento patrimoniale della società. Tale finalità, tuttavia, si ritiene difficilmente dimostrabile nel caso della prescrizione, la quale presuppone il mancato esercizio dei diritti per un determinato lasso di tempo.

Pertanto, si ritiene che, a fronte dell’eliminazione del debito, debba essere incrementata una riserva di utili del patrimonio netto.

Continuando a concentrarsi sulla tassazione delle società, ci si potrebbe infine chiedere se può applicarsi l’articolo 88, comma 4-bis, del Tuir, in forza del quale la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Anche in tal caso si ritiene che la prescrizione non possa essere assimilata a una rinuncia, dovendo tra l’altro aggiungersi che non vi sarebbe alcuna corrispondenza con componenti negativi dedotti (o, comunque, deducibili) in precedenti esercizi.

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Immobile ereditato all’estero: plusvalenza esente in Italia

8 Luglio 2024

Il Sole 24 Ore 1 Luglio 2024 di Alfredo Calvano e Attilio Calvano

Un cittadino italiano, residente in Italia, realizza una plusvalenza per la cessione di una casa sita all’estero, ereditata da più di cinque anni dal padre, che era un cittadino italiano iscritto all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero).

Si chiede se la plusvalenza è soggetta a tassazione in Italia.

Si segnala l’operatività delle esimenti reddituali – di natura temporale o giuridica – riconosciute, in alternativa fra loro, dall’articolo 67, lettera b), del Tuir (Dpr 917/1986), in caso di vendita dell’immobile (fabbricato o terreno non edificabile) ancorché situato all’estero.

Pertanto, la plusvalenza realizzata nel caso descritto dal quesito non è imponibile, in quanto il bene è stato acquisito per successione ereditaria (questa esimente assorbe quella rappresentata dal possesso ultraquinquennale, rilevante in caso di acquisto oneroso), a prescindere dalla soggettività fiscale, nazionale o estera, del defunto, come pure dalla collocazione territoriale dell’immobile oggetto di vendita.

Tanto considerato, occorre, tuttavia, che venga valutato anche il regime impositivo dello Stato estero in cui è ubicato l’immobile, alla luce delle norme convenzionali contro le doppie imposizioni, che potrebbero disporre comunque la tassazione (solitamente esclusiva) della vendita nello stesso Stato estero.

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Riciclaggio, Montecarlo nella lista grigia dei Paesi sotto osservazione

8 Luglio 2024

Il Sole 24 Ore 29 giugno 2024 di Giovanni Parente e Valerio Vallefuoco

Sotto osservazione. Il Principato di Monaco (Montecarlo) e il Venezuela entrano in lista grigia antiriciclaggio. Lista grigia da cui escono invece Giamaica e Turchia. A stabilirlo è stato il Gafi (gruppo di azione finanziaria internazionale) nella sua riunione plenaria svoltasi a Singapore. Una decisione che per il Principato monegasco era nell’aria  e che è arriva nonostante i passi avanti riconosciuti dallo stesso Gafi: Monaco ha compiuto progressi significativi su molte delle azioni raccomandate, tra cui l’istituzione di una nuova unità combinata di informazione finanziaria e di vigilanza antiriciclaggio, rafforzando il suo approccio sull’individuazione del finanziamento del terrorismo ma anche applicando sanzioni finanziarie mirate e una supervisione delle organizzazioni senza scopo di lucro basata sull’analisi di rischio.

Con l’ingresso in lista grigia il Gafi adotta un monitoraggio rafforzato che di fatto servirà a verificare gli esiti lungo un percorso che prevede una serie di direttrici già definite. Gli aspetti su cui Monaco dovrà effettuare passi in avanti riguardano vanno dalla capacità di comprensione del rischio in relazione al riciclaggio di denaro e alle frodi fiscali sul reddito commesse all’estero all’aumento dei sequestri il sequestro di beni sospettati di derivare da attività criminali, passando anche dall’applicazioni di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate per il riciclaggio di denaro. Il governo del Principato ha assicurato in una nota il massimo impegno per un’uscita dalla lista secondo il calendario indicato e ha ricordato come sia stato messo a punto un calendario che si estende fino al gennaio 2026 che prevede due tappe intermedie, a maggio 2025 e settembre 2025. E il Principato conferma la sua «determinazione ad attuare le nuove raccomandazioni» indicate dal Gafi.

Ma quali sono gli effetti pratici dell’inserimento di un Paese nelle liste Gafi per gli operatori? Se il cliente proviene da un Paese compreso nelle liste Gafi o se l’oggetto dell’operazione ha tali Paesi come aree geografiche di destinazione, diventa opportuno almeno acquisire informazioni aggiuntive sul cliente e sul titolare effettivo, approfondendo gli elementi posti a fondamento delle valutazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto, intensificando la frequenza dell’applicazione delle procedure finalizzate a garantire il controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

In questi casi può essere quindi dovuta un’adeguata verifica «rafforzata» che prevede maggiori controlli e intensità degli stessi da parte dei soggetti obbligati. In generale, in questo caso è opportuno valutare se sussiste una valida ragione economica o legale che renda plausibile la tipologia di rapporto continuativo o di operazione richiesti dal cliente o se le necessità finanziarie del cliente possano essere più propriamente soddisfatte nel Paese di residenza o in cui il cliente ha sede.

Gli effetti che ne derivano si ripercuotono sul trattamento sanzionatorio. In alcuni casi, quando vengono omessi gli obblighi antiriciclaggio su operazioni e soggetti che provengono da Paesi inclusi nelle liste grigie, la violazione e la sanzione potrebbe essere considerata grave e quindi ricadere nelle ipotesi di contestazioni qualificate da parte delle Autorità. Tali sanzioni qualificate, oltre ad essere rilevanti dal punto di vista economico, comportano anche in alcuni casi la pubblicazione con ricadute in termini reputazionali.

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San Marino, pubblicata la decisione (UE) 2024/1733 del Consiglio

8 Luglio 2024

Dalla Redazione di San Marino Fixing del 24/06/2024

La Segreteria di Stato per gli Affari Esteri, rende noto che, in data 20 giugno 2024 è stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue, la Decisione 2024/1733 adottata dal Consiglio il 30 maggio scorso, che autorizza l’avvio dei negoziati per un Accordo tra l’Ue e San Marino relativo a vari aspetti nel settore della gestione delle frontiere.

Da un punto di vista politico, l’Unione europea ha così riconosciuto gli sforzi compiuti da parte della Repubblica di San Marino per affrontare un tema che, pur non rientrando nella sfera di applicazione del futuro Accordo di associazione, necessitava di un apposito Accordo per affrontare la “speciale situazione” della Repubblica nella gestione delle frontiere esterne dell’Unione.

Da un punto di vista tecnico, tale decisione si è resa necessaria anche in considerazione delle innovazioni introdotte recentemente dal legislatore europeo nell’ambito di Schengen, con particolare riguardo al nuovo sistema informatico autorizzato per la registrazione dei viaggiatori provenienti da paesi terzi che troverà applicazione dal prossimo autunno.

Grazie alla suddetta decisione, e sulla base delle linee negoziali confidenziali ricevute, la Commissione ha ottenuto il mandato a negoziare il testo dell’Accordo con la Repubblica di San Marino e Andorra.

Nei prossimi mesi si aprirà dunque una nuova fase negoziale per le autorità sammarinesi, a conclusione della quale i cittadini sammarinesi potranno trarre benefici in termini di maggiori agevolazioni dall’applicazione dalle nuove norme europee, scongiurando gli effetti negativi derivanti dalla loro mancata inclusione. Sarà anche l’alveo ideale per poter risolvere le problematiche incontrate dai cittadini di Paesi terzi non appartenenti all’Ue presenti a San Marino.

“Analogamente a quanto accaduto in occasione del negoziato per la firma dell’Accordo di associazione, – ha dichiarato il Segretario di Stato Beccari – questo ulteriore momento negoziale consentirà alla Repubblica di San Marino di concludere un ulteriore Accordo capace di rinsaldare ancor di più la cornice giuridica dei suoi accordi con l’Unione europea e di ribadire la volontà politica di maggiore integrazione con l’Ue”

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