Legge 30 Luglio 2018 nr 93 – Legge su crediti monofase e crediti d’imposta alle banche

3 Agosto 2018

Si allega testo completo della Legge 30 Luglio 2018 nr 93 il cui obiettivo è porre l’attenzione sui crediti monofase non recuperati negli anni dallo Stato per i quali ora  esercita azione di responsabilità.

L 93 del 30 Luglio 2018

 

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Fuori Iva l’auto extra Ue guidata dallo straniero

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 2 LUGLIO 2018 di Giorgio Emanuele Degani e Damiano Peruzza

DOGANE

Dazi e imposta non dovuti dal conducente che circola in Italia per meno di 6 mesi

Per i veicoli a uso privato immatricolati in un Paese extra Ue a nome di persone anch’esse stabilite fuori dal territorio doganale, è possibile circolare negli Stati membri in regime di ammissione temporanea e senza assolvere ai dazi doganali e all’Iva, salvo che l’agenzia delle Dogane competente fornisca la prova della mancanza dei requisiti richiesti dalla normativa doganale. Si è espressa in tal senso la Ctp di Varese 120/3/2018 (presidente Soprano, relatore Greco) che ha rilevato la temporanea importazione di una autovettura targata Svizzera, di proprietà di una persona fisica lì residente, condotta da un soggetto anch’egli svizzero.
Occorre innanzitutto rilevare che il reato di contrabbando nell’importazione di autoveicoli è stato depenalizzato dall’articolo 1, comma 1, Dlgs 8/2016, in linea con l’obiettivo di deflazione del sistema penale e l’introduzione di sanzioni proporzionate; ad oggi è prevista la sanzione amministrativa unica compresa tra 5mila e 50mila euro.
Con specifico riferimento agli autoveicoli ad uso privato, cioè destinati ad usi non commerciali, in base agli articoli 232 e 233 delle disposizioni di applicazione del Codice doganale comunitario (regolamento Ce 2454/93), per i mezzi immatricolati al di fuori del territorio eurounionale è prevista l’esenzione dal pagamento dei diritti di confine al ricorrere di due condizioni.
e Il veicolo deve essere immatrcolato al di fuori del territorio doganale unionale, a nome di una persona stabilita (rectius residente) non in uno Stato membro.
r Il mezzo deve essere utilizzato dall’intestatario, oppure da un congiunto entro il terzo grado di parentela parimenti stabilito al di fuori del territorio doganale unionale; da un’altra persona anch’essa residente extra Ue, purché debitamente autorizzata dal titolare; da ultimo, da una persona stabilita nel territorio unionale, a condizione che il titolare si trovi a bordo del veicolo.
Sussistendo ambedue le condizioni, il veicolo che varca la frontiera del territorio doganale unionale, si considera ammesso temporaneamente: ciò comporta l’applicazione del regime di temporanea importazione, senza dover assolvere i dazi e l’Iva.
La circolazione non è temporalmente illimitata, ma può avvenire per un massimo di sei mesi, anche non consecutivi, a decorrere dal primo ingresso.
Nel caso di specie, l’accertamento muove dall’errato assunto secondo cui il conducente del veicolo fosse residente in Italia, con la conseguente contestazione del delitto di contrabbando.
Tuttavia, nel corso del giudizio il conducente ha provato l’utilizzo occasionale del veicolo e l’assoluta inesistenza del collegamento con lo Stato italiano mediante la produzione delle movimentazioni giornaliere con carte di credito in territorio elvetico, nonché con la certificazione del Comune italiano con cui si comunicava che il conducente era completamente sconosciuto all’anagrafe.
Queste circostanze non sono smentite né contestate dall’agenzia delle Dogane e hanno portato all’annullamento dell’atto di contestazione da parte della Ctp di Varese.

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Oltre la presunzione: si può provare la residenza black list

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 27 LUGLIO 2018 di Marco Croce e Valerio Vallefuoco

CASSAZIONE

Sono elementi utili: il contratto di affitto e le spese per le utenze

La Corte di Cassazione (sentenza 19410 del 20 luglio 2018) ritorna a pronunciarsi sul delicato tema del trasferimento della residenza fiscale all’estero sancendo il principio secondo cui la presunzione di residenza italiana in caso di Paesi a fiscalità privilegiata in giudizio non regge se il contribuente fornisce validi elementi di fatto a prova contraria. Vediamo come.
Ai fini dell’articolo 2, comma 2 del Tuir «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile». Tuttavia, secondo il consolidato orientamento di prassi e giurisprudenza, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione all’Aire non è un requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio italiano.
Oltretutto, nei casi in cui la residenza venga trasferita in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (black list Dm 4 maggio ’99), la norma rubricata nell’articolo 2, comma 2-bis del Tuir introduce una presunzione legale di residenza in Italia, invertendo, altresì, l’onere della prova a discapito del contribuente. Ricordiamo, però, che tale presunzione, può essere sempre legittimamente superata, fornendo validi elementi di fatto, quali il contratto di affitto relativo a un appartamento nel Paese estero, la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze e contratti bancari, che possano essere positivamente valutati dall’Amministrazione.
È proprio sulla possibilità del contribuente di fornire elementi utili ad individuare la propria effettiva residenza che si fonda la sentenza 19410. La Cassazione ha, infatti, affermato che tutti gli elementi di fatto rilevanti, e attinenti ai legami personali e professionali dell’interessato, debbano essere presi in debita considerazione e la relativa valutazione espressa nelle motivazioni di merito.
I fatti discussi riguardano un tennista che dal 1998 aveva spostato nel principato di Monaco la propria residenza. Le Entrate avevano sottoposto il contribuente ad accertamento fiscale per l’anno 2000 proprio in virtù del comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir. I giudici di merito avevano sostenuto la tesi erariale. Con la decisione in commento, però, i giudici di Piazza Cavour hanno rimandato il giudizio ai giudici della Ctr, accogliendo, così, i motivi del ricorso presentato dal contribuente.
La Cassazione ha ritenuto, infatti, che l’insieme dei dati fattuali esposti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad una appartamento sottoscritto a nome dello stesso, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alla varie utenze in uso in detto appartamento, l’utilizzo da parte dello stesso delle strutture di allenamento Atp del principato, nonché l’evidenza che il principato fosse la base abituale dei trasferimenti del contribuente, frutto dell’espletamento della sua attività, fossero elementi decisivi al fine di individuare la residenza effettiva dello stesso.

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Abusiva la consulenza tributaria e aziendale senza abilitazione

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore 19 LUGLIO 2018 di P.Mac.

Commercialisti

Ininfluente l’avvertimento alla clientela di agire solo in base all’esperienza

Esercizio abusivo della professione di commercialista per il titolare di una società che svolge consulenza aziendale e tributaria senza abilitazione. La Cassazione (sentenza 33464/2018) respinge il ricorso contro la condanna a un mese di reclusione e al risarcimento danni in favore dell’Ordine dei commercialisti, parte civile nel processo a carico del “capo” di una Srl che esercitava abusivamente prestazioni per le quali era richiesta l’iscrizione all’albo.
La Suprema corte respinge tutte le obiezioni della difesa. Per l’imputato, la Corte d’appello ha illegittimamente sottratto la generica attività di consulenza tributaria e aziendale al raggio d’azione della legge 4/2013 che ha liberalizzato le professioni senza albo. Il criterio da individuare, per la regolamentazione dello svolgimento dell’attività, era dunque quello della libertà di iniziativa economica, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione, rispetto alla quale, sempre ad avviso del ricorrente, si doveva leggere la disciplina contenuta nell’articolo 33, quinto comma della Carta costituzionale, nella parte in cui subordina l’esercizio della professione al conseguimento dell’abilitazione. Un’ipotesi limitata soltanto alle professioni per le quali la legge prescrive l’iscrizione ad Albi a tutela della clientela.
L’attività contestata sarebbe invece rientrata tra quelle liberamente esercitabili, in linea con la legge 4/2013. L’imputato sottolinea anche di aver informato i suoi clienti di essere privo di abilitazione e di agire in virtù di un’esperienza maturata con gli anni, evitando così di violare l’affidamento dei terzi come interpretato dalle Sezioni unite con la sentenza 11545/2012. Per finire, a riprova della buona fede, c’era l’autorizzazione a operare nel servizio telematico dell’agenzia delle Entrate.
Tesi tutte respinte dalla Cassazione, che basa il suo verdetto proprio sui principi affermati dalle Sezioni unite nel 2012. Correttamente la Corte d’appello, per sostenere la rilevanza penale delle condotte contestate, ha analizzato i meccanismi con i quali lavorava la ditta. La Srl, priva di dipendenti e riconducile all’imputato, si relazionava direttamente con i clienti finali e nel suo centro studi aziendali non c’erano lavoratori abilitati. I giudici ricordano che l’abuso scatta in presenza di una pluralità di atti che, pur non riservati in esclusiva alla competenza specifica di una professione, «nel loro continuo coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di appartenenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela». In questo quadro è dunque ininfluente la pretesa, e non provata, avvertenza data ai clienti.
La Corte territoriale ha correttamente compreso le attività svolte dal ricorrente tra quelle tipiche in base al Dlgs 139/2005, sulla «costituzione dell’ordine dei dottori commercialisti» riserva a questi ultimi. Anche se per la Cassazione non c’è, nello specifico, differenza tra tipiche e riservate. Lo stesso vale per le norme sull’ordinamento dei consulenti del lavoro dettate dalla legge 12/1979.

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Stabile organizzazione, non rileva il conto intestato

3 Agosto 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 16 LUGLIO 2018 di Stefano Mazzocchi

FISCO INTERNAZIONALE

A fare la differenza è «il concreto e abituale svolgimento dell’attività»

Non rileva la residenza in Italia o meno del rappresentante dell’impresa estera ai fini della stabile organizzazione. A fare la differenza, invece, è la sua presenza sul territorio nazionale e «il concreto e abituale svolgimento dell’attività» per conto della società straniera. Lo afferma la Ctr Emilia Romagna 217/11/2017 (presidente Pugliese, relatore Chierici).
A definire i contorni della stabile organizzazione in Italia dell’impresa estera sono i criteri definiti dell’articolo 162 del Tuir, che a sua volta distingue tra l’ipotesi «materiale» (commi da 1 a 5) e quella «personale» (commi da 6 a 8). Con riferimento a quest’ultima, in particolare, la norma prescrive i seguenti requisiti:
il soggetto presente in Italia – anche se non residente – conclude contratti in nome dell’impresa nel territorio dello Stato;
l’esercizio di tale attività deve risultare abituale;
i contratti conclusi devono essere diversi da quelli di acquisto di beni;
il soggetto non dev’essere un mediatore, un commissionario generale o un altro intermediario che goda di uno status indipendente.
Secondo i giudici emiliani la residenza rappresenta un elemento neutro, mentre è importante il «concreto e abituale svolgimento dell’attività» per conto della società estera, in linea con quanto indicato dal sesto comma del richiamato articolo 162, laddove si prevede che il soggetto in questione possa essere indifferentemente residente o non residente in Italia.
Inoltre, il fatto che una parte dei pagamenti effettuati dai clienti dell’impresa estera avvenga mediante accrediti sui conti italiani intestati al suo amministratore non è idonea a dimostrare lo svolgimento in Italia da parte di quest’ultimo di una effettiva attività “stabile”.
In linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Ctr ha infine affermato che in sede di verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, occorre non soltanto adottare criteri di natura formale, ma anche analizzare questi aspetti sul piano sostanziale. La Cassazione 7682/2002 ha esteso il principio appena illustrato anche alla verifica dei requisiti relativi alla dipendenza e alla partecipazione alla conclusione di contratti in nome della società estera.
L’approccio è stato confermato anche nella recente sentenza 12237, depositata lo scorso 18 maggio, in cui la Suprema corte ha avuto modo di sottolineare che affinché si possa configurare una stabile organizzazione in Italia, occorre che un’entità sia in grado di produrre beni o prestare servizi, e quindi è richiesta una dotazione minima di personale e beni materiali. La pronuncia si fonda sull’articolo 5 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, sottoscritto in ambito Ocse, dedicato appunto al concetto di stabile organizzazione. Conclusione, questa, accolta anche dalla Corte di giustizia Ue.

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Decreto Legge 13 giugno 2018 nr 62

5 Luglio 2018

Proroga dei termini per la presentazione della domanda di concessione edilizia in sanatoria straordinaria di cui al comma 1 art. 33 L 7/8/2017 nr 94 come mod. dal c 5 art 95 L 21/12/2017 nr 147 ed adeg. termini correlati.

D.L. 13 giugno 2018 nr 62

 

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Decreto Delegato 25 giugno 2018 nr 68 – Settori di attività soggetti al nulla osta del Congresso di Stato

5 Luglio 2018

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Decreto Legge 28 giugno 2018 nr 76 – Disciplina del regime per la detassazione dei redditi derivanti da beni immateriali

5 Luglio 2018

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L’antieconomicità non è un dogma

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 27 GIUGNO 2018 di L. Gai.

SPONSORIZZAZIONI E CONSULENZE

Rimane censurabile il pagamento dei servizi extraimprenditoriali

Sponsorizzazioni, consulenze strategiche ed altri servizi no-core sono deducibili in quanto inerenti anche se di ammontare troppo elevato rispetto ai ricavi dell’impresa. L’orientamento che si sta consolidando in Cassazione sulla natura qualitativa dell’inerenza dovrebbe consentire di eliminare contestazioni sull’eccessiva onerosità, e dunque l’antieconomicità, di spese sostenute per attività diverse da quelle riguardanti il core business.
Costi sproporzionati per la pubblicità, la comunicazione aziendale o l’organizzazione di eventi vengono spesso disconosciuti – almeno in parte – sostenendo che non vi è una adeguata correlazione con i ricavi dell’impresa e ciò anche quando il plafond delle spese di rappresentanza (se l’onere rientra in tale definizione) risulta capiente. Se, come dice la Cassazione, la deducibilità è legata alla qualità della spesa, questi rilievi non dovrebbero più trovare accoglimento (salvo in caso di sovrafatturazioni fraudolente: basta che il contribuente dimostri che si tratta di attività rese nell’interesse generale dell’impresa e non dei soci o di terzi.
L’antieconomicità, nel senso di costi troppo elevati, è inoltre alla base di contestazioni per servizi strategici, di direzione e pianificazione o per la ricerca di investitori, resi all’interno dei gruppi (spese di regia). In queste situazioni, se i rapporti avvengono solo tra società italiane, dovrebbe ora essere sufficiente dimostrare l’effettività del servizio sottostante, fornendo adeguata documentazione del rapporto (contratti, analisi svolte), e il fatto che esso ha una relazione con l’attività aziendale, anche indiretta.
L’eccessiva onerosità, secondo quanto affermato dalla Cassazione nella ordinanza 450/2018 (si veda l’articolo qui sopra) continua ad avere rilevanza per la contestazione di indeducibilità dei costi ma solo come indizio di estraneità (appunto qualitativa) all’impresa. Quindi continuerà a poter essere censurabile un pagamento per il quale il fisco, partendo dall’incongruenza dell’importo rispetto a parametri di economicità, arrivi a dimostrare che si tratta di servizi extraimprenditoriali, vere e proprie liberalità o di attività a favore di socio o titolare per suoi fini personali.
Nel caso, infine, di riaddebiti intercompany da società estere, dopo la verifica della inerenza qualitativa, resterà sempre applicabile il criterio della valorizzazione secondo regole di libera concorrenza (Dm 14 maggio 2018) e dunque nei limiti – in questo caso sì – di un corrispettivo “congruo” in base alle funzioni svolte e ai rischi assunti dalle parti.

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Per la protezione dei dati serve il consenso, non basta la mail

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 9 GIUGNO 2018 di Franco Broccardi

No al silenzio assenso, serve acquisire l’autorizzazione

Nei giorni scorsi tutti si sono ritrovati a scrivere mail per poter mandare mail, moltissime nel mondo dell’arte. Tutti a mandarsi a vicenda mail sulla privacy come in un grande scambio di figurine e consensi. A partire dal 25 maggio è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) e il panico si è impossessato degli italiani. Meglio, degli europei tutti. Con l’entrata in vigore delle nuove norme sulla privacy, infatti, è necessario per chi tratta dati di altre persone fisiche applicare, minimizzando i rischi e integrando le garanzie, ogni possibile procedura al fine che l’acquisizione, la conservazione e il trattamento di tali dati (qualsiasi dato come anche le mail, appunto, e non solo i dati “sensibili” di cui alla precedente normativa ) siano adeguati ai principi cardine della normativa: riservatezza, integrità e disponibilità.
Per tutto quanto sopra è necessario procedere all’acquisizione del consenso espresso dei proprietari del dati (non vale, pertanto, un generico silenzio assenso) per ogni singolo tipo di trattamento effettuato (profilazione, commerciale, ecc….).
Il consenso non è però necessario in alcuni casi come per l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte, per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del medesimo o la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica.
Il senso del panico che ha colto anche le gallerie d’arte, è dato dalle decine e decine di mail ricevute. In molte, peraltro, il consenso viene dato per acquisito in caso inattività e senza altra comunicazione. Non è esattamente così e comunque questo non esaurisce gli obblighi. Non si può, infatti, configurare come consenso il silenzio, l’inattività o la preselezione di caselle. Non può esserlo certamente in caso di profilazione della clientela per la quale sarà opportuno acquisire la specifica autorizzazione.
È chiaro che la norma e i controlli non si concentreranno sull’invio di inviti a mostre a mailing list che per quanto polpose non potranno certamente essere considerate ‘massive’ ma, soprattutto, sulla consapevole conservazione dei dati. In questa fase però, in attesa di opportuni chiarimenti che specifichino meglio le diverse situazioni, è opportuno:
analizzare i rischi legati ai dati trattati (o anche solo “trattabili”) ponendo in atto procedure al fine di minimizzare i rischi e integrare le garanzie;
mettere a conoscenza della normativa, dei limiti e dei rischi connessi i dipendenti, i collaboratori e tutti i soggetti interessati ai processi interni di trattamento dei dati. Questo risulta molto importante ai fini delle responsabilità in caso di manomissione e violazione dei dati (anche, ad esempio, di cryptolocker o virus informatici, così come del trattamento della documentazione personale cartacea senza adeguata riservatezza);
portare a conoscenza di tutti i soggetti interessati di una informativa che spieghi più dettagliatamente possibile le procedure intraprese per garantire riservatezza, integrità e disponibilità dei dati trattati.
Ovviamente tutto questo sarà da rapportare alle dimensioni del soggetto che tratta i dati, ma non per questo anche i “piccoli” potranno dirsi esentati da alcuna norma. Non sono previsti controlli da parte dell’autorità garante prima del prossimo anno. Questo non vuol dire che in caso di violazioni delle norme queste non verranno sanzionate. Occorre pertanto dimostrare di essersi attivati nel solco di quanto sopra espresso evitando per quanto possibile manomissioni, perdite e furti da parte di terzi e, comunque, denunciando entro 72 ore eventuali violazioni dei dati. Il sistema dell’arte è avvisato.

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