Senza confusione sì all’uso del domain name

31 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 24 Agosto 2017 di Patrizia Maciocchi

Cassazione. Il titolare del marchio registrato prima non può vietare l’utilizzo se i servizi offerti sono diversi

Roma

Il titolare del marchio registrato prima non può vietare l’uso del domain name, se non c’è rischio di confondere i prodotti o i servizi. La Cassazione, con la sentenza 20189 respinge il ricorso di una Spa, attiva nel settore immobiliare, teso a bloccare l’uso di un nome a dominio. Alla base del “veto” e della richiesta di riassegnazione in proprio favore del domain name c’era la titolarità del marchio Etnapolis precedentemente registrato. Un segno troppo simile al domain name, etnapolis.it e etnapolis.com la cui registrazione era stata chiesta da un imprenditore siciliano titolare di una virtual communication agency, che forniva alle imprese servizi gestiti direttamente on line. Il target di riferimento era vario: dallo svago allo sviluppo di software ed hardware.
Per la Corte d’appello l’oggettiva diversità della classi merceologiche non poteva essere superata né dal richiamo all’uso pubblicitario del marchio, fatto dal ricorrente, né dall’affermata, ma non dimostrata, rinomanza del segno preesistente a livello nazionale.
La natura forte o debole del marchio è, infatti, rilevante nel caso di contraffazione tra due marchi non identici, mentre nel caso esaminato vale la legittimità della registrazione del segno come nome a dominio.
Secondo la difesa del ricorrente l’uso del nome a dominio andrebbe invece considerato illecito, anche quando c’è solo la possibilità che il pubblico associ il titolare del domain name al titolare del marchio già registrato, rendendo di fatto impossibile per quest’ultimo utilizzare il brand originario su Internet.
I giudici ricordano che già la legge marchi (929/1942), in seguito alla riforma del ’92 prendeva in considerazione i segni “atipici” in grado di confliggere con quelli già in uso. La norma chiariva che i titolari dei marchi non possono vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del loro nome o del loro indirizzo purché l’uso non sia in funzione di marchio ma solo descrittiva. Previsione dalla quale si desume che anche un indirizzo può essere un marchio quando, come nel caso del nome a dominio, ne ricorrono i presupposti. Un’interpretazione che ha trovato conferma nel Codice della proprietà industriale (Dlgs 30/2005) che considera espressamente tra i segni distintivi anche il domain name.
Il titolare del brand originario non può far valere alcun automatismo nel vietare il diritto all’uso del nome a dominio. Sarà il giudice a decidere, basandosi non solo sull’identità dei segni e sulla loro confondibilità ma anche su identità e confondibilità dei prodotti, esclusa nel caso esaminato. La ricorrente non ha provato il rischio confusione e non si può ritenere che ogni marchio sia accompagnato dalla notorietà. Tale interpretazione sarebbe in contrasto con il principio di specialità del marchio e in conflitto con l’articolo 20 del Codice della proprietà industriale che fa scattare l’”esclusiva” solo in caso di segni identici per prodotti uguali o affini.

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Non concorrenza, patto «limitato»

31 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 21 Agosto 2017 di Daniele Colombo

Contratti. Le indicazioni della giurisprudenza stabiliscono i confini dell’accordo tra il dipendente e il suo ex datore di lavoro

Il corrispettivo deve essere congruo e l’oggetto circoscritto all’attività precedente

Corrispettivo congruo, oggetto circoscritto all’attività precedente, clausole che non vincolino troppo la libertà del lavoratore: sono alcuni dei limiti fissati dalla giurisprudenza al patto di non concorrenza. Si tratta di un accordo con cui il lavoratore dipendente si obbliga a non fare concorrenza al suo (ex) datore di lavoro per il periodo successivo alla cessazione del contratto.
In base all’articolo 2125 del Codice civile, il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Il patto di non concorrenza, quindi, in primo luogo, per essere valido, deve essere stipulato in forma scritta. La forma richiesta dal Codice civile è a pena di validità con la conseguenza che non saranno ammissibili altre forme (come quella orale). Il patto di non concorrenza, poi, deve prevedere un corrispettivo, oltre che essere limitato nell’oggetto, nel tempo e nello spazio.
Il patto può essere stipulato contestualmente alla conclusione del contratto di lavoro oppure anche durante il rapporto stesso non essendo previsto dalla normativa il momento in cui sottoscrivere il patto. Nella loro valutazione complessiva, in ogni caso, le clausole del patto di non concorrenza (oggetto, territorio, durata e corrispettivo) non devono comprimere «eccessivamente le possibilità di poter dirigere la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti» (Cassazione, sentenza 24662 del 19 novembre 2014).
Il corrispettivo da riconoscere per l’assunzione dell’obbligo di non concorrenza, secondo la giurisprudenza, deve essere «congruo» in relazione al sacrificio imposto al lavoratore nel periodo successivo alla conclusione del contratto di lavoro (Cassazione, sentenza 11104 del 15 maggio 2007). In altri termini, la congruità del corrispettivo deve essere valutata caso per caso alla luce delle mansioni espletate e dell’oggetto dell’attività lavorativa. Ad esempio, alcune sentenze di merito hanno ritenuto «congruo» un corrispettivo pari al 40% della retribuzione (Tribunale di Milano, 25 marzo 2011); mentre, in altri casi, è stata ritenuta sufficiente la percentuale del 10% (Cassazione, sentenza 7835 del 4 aprile 2006).
Quanto alle modalità di pagamento, alcune sentenze non ammettono il pagamento del compenso in corso di rapporto in quanto, tra le altre cose, il compenso non risulterebbe determinato, ma sarebbe aleatorio (Tribunale di Milano, 28 settembre 2010); in altre decisioni, invece (uniformi al risalente orientamento della Cassazione), si è ritenuto legittimo il pagamento in corso di rapporto sul presupposto dell’assenza di una disposizione normativa contraria (Tribunale di Roma, 11 aprile 2016).
Anche il limite territoriale e la sua possibile legittima estensione devono essere valutati caso per caso in relazione alle attività e all’oggetto del rapporto di lavoro. In questo senso, ad esempio, è stato ritenuto legittimo il limite del territorio italiano ed europeo (Cassazione, sentenza 13282 del 10 settembre 2003).
L’oggetto del patto di non concorrenza, inoltre, deve essere limitato ai prodotti oggetto dell’attività lavorativa del dipendente, mentre devono essere escluse, in quanto inidonee a integrare concorrenza, attività estranee al settore produttivo o commerciale nel quale opera l’azienda, ovvero al mercato nelle sue oggettive strutture, dove convergono domande e offerte di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi o fungibili, comunque parimenti idonei a offrire beni o servizi nel medesimo mercato (Cassazione, sentenza 24662 del 19 novembre 2014).
In base all’articolo 2125 del Codice civile, infine, la durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Qualora le parti prevedano una durata superiore questa è automaticamente ridotta al tetto massimo fissato dalla legge.

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Soggetta anche l’attività della società inglese

31 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore del 14/08/2017  di Antonio Iovine (L’Esperto Risponde)

Ho una società inglese che possiede due appartamenti in Toscana. Vorrei affittarli saltuariamente a turisti per brevi periodi. Non vorrei comunque aprire partite Iva, per evitare grosse spese amministrative. Devo comunque prendere una licenza base per affittacamere?
D.B.MONTELUPO FIORENTINO
Qualunque attività svolta da una società, prescindendo da ogni altro ulteriore requisito, costituisce per presunzione effettuazione di attività nell’esercizio d’impresa, ex articolo 4, comma 2, lettera b, del Dpr 633/1972, che menziona anche le società straniere. Pertanto, nella situazione in esame, posto che la prestazione è resa da una società, seppure di diritto britannico, essa si ritiene effettuata nell’esercizio d’impresa e, quindi, soggetta a Iva. La società britannica dovrebbe acquisire una posizione Iva in Italia ai fini di regolare l’applicazione dell’imposta sui servizi fatturati, qualora i committenti siano dei privati, come sembra emergere dal quesito.
Si segnala, infine, che nella circolare 12/E/2007 e nella successiva risoluzione 18/E/2012 l’agenzia delle Entrate ha chiarito che la locazione di abitazioni a turisti dev’essere considerata “prestazione alberghiera”, soggetta ad aliquota Iva nella misura del 10% (n. 120 della tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972), con conseguente riconoscimento della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.

Il Sole 24 Ore del 14/08/2017  di Antonio Iovine (L’Esperto Risponde)

Ho una società inglese che possiede due appartamenti in Toscana. Vorrei affittarli saltuariamente a turisti per brevi periodi. Non vorrei comunque aprire partite Iva, per evitare grosse spese amministrative. Devo comunque prendere una licenza base per affittacamere?
D.B.MONTELUPO FIORENTINO
Qualunque attività svolta da una società, prescindendo da ogni altro ulteriore requisito, costituisce per presunzione effettuazione di attività nell’esercizio d’impresa, ex articolo 4, comma 2, lettera b, del Dpr 633/1972, che menziona anche le società straniere. Pertanto, nella situazione in esame, posto che la prestazione è resa da una società, seppure di diritto britannico, essa si ritiene effettuata nell’esercizio d’impresa e, quindi, soggetta a Iva. La società britannica dovrebbe acquisire una posizione Iva in Italia ai fini di regolare l’applicazione dell’imposta sui servizi fatturati, qualora i committenti siano dei privati, come sembra emergere dal quesito.
Si segnala, infine, che nella circolare 12/E/2007 e nella successiva risoluzione 18/E/2012 l’agenzia delle Entrate ha chiarito che la locazione di abitazioni a turisti dev’essere considerata “prestazione alberghiera”, soggetta ad aliquota Iva nella misura del 10% (n. 120 della tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972), con conseguente riconoscimento della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.

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DECRETO DELEGATO 6 luglio 2017 n.77 (Ratifica Decreto Delegato 9 giugno 2017 n.58)

7 Agosto 2017

MODIFICA AL DECRETO DELEGATO 24 LUGLIO 2013 N. 93 – DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CREDITO AGEVOLATO A SUPPORTO DELLE IMPRESE

Art.1
1. L’articolo 3, comma 2, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“2. Inoltre non è ammesso alcun finanziamento, in base al presente decreto delegato, agli operatori economici beneficiari di agevolazioni fiscali in materia di imposte dirette ed in materia di aliquota dell’imposta sulle importazioni ai sensi del Decreto 20 luglio 2004 n. 100, sui medesimi beni o progetti già oggetto delle agevolazioni fiscali.”.
Art.2
1. Dopo l’articolo 5 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è aggiunto il seguente articolo:
“Art.5 – bis
(Finanziamenti per immobili di proprietà dell’Ecc.ma Camera)
1. L’operatore economico di cui all’articolo 5, commi 2, 3, 4, 5 e 6, che abbia già usufruito o stia usufruendo dei finanziamenti previsti dal presente decreto delegato, nella misura massima
concessa per il tipo di licenza intestata, per progetti di investimento volti alla realizzazione di immobili, ampliamento locali e superfici di lavoro nonché al loro ammodernamento o ristrutturazione al fine di migliorare i processi produttivi, o la sicurezza sul luogo di lavoro o la riduzione di emissioni inquinanti, qualora l’immobile oggetto dell’investimento sia di proprietà dell’Ecc.ma Camera, può avere accesso ad ulteriore credito agevolato per interventi sul medesimo immobile.
2. La richiesta deve essere effettuata ai sensi dell’articolo 6.
3. Il Comitato di Valutazione di cui al comma 1 dell’articolo 7 provvede all’istruttoria della pratica entro trenta giorni dal ricevimento della domanda, provvede al suo esame e ne riferisce, per il tramite della Segreteria di Stato per l’Industria, Artigianato e Commercio, al Congresso di Stato per le deliberazioni di competenza.
4. Il Congresso di Stato, vista la domanda ed il riferimento del Comitato di Valutazione, può deliberare la concessione del credito agevolato richiesto stipulando apposita convenzione con l’operatore economico, nella quale si stabilisce l’importo massimo finanziato, la durata e le modalità esecutive dell’erogazione del finanziamento, il termine di realizzazione del progetto, le garanzie sul finanziamento ricevuto nonché ogni altra prescrizione particolare. La delibera con la quale il Congresso di Stato nega la concessione del credito agevolato deve essere debitamente motivata.
5. Qualora si verifichino in fase di realizzazione del progetto di investimento variazioni significative rispetto alle previsioni del valore e delle caratteristiche del progetto stesso il Congresso di Stato, previo esame del Comitato di Valutazione tempestivamente informato dall’operatore economico autorizzato, può deliberare la variazione della convenzione di cui al comma precedente.
6. La convenzione stipulata tra il Congresso di Stato e l’operatore economico di cui al comma 4, nonché le eventuali modifiche successive, è sottoposta all’approvazione del Consiglio Grande e Generale.
7. Il contributo in conto interessi da parte dello Stato è pari al 70% del tasso convenzionato.”.
Art.3
01. L’articolo 8, comma 1, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“1. I finanziamenti possono essere concessi nella forma del contratto di mutuo, del contratto di locazione finanziaria o nelle diverse forme previste dalle convenzioni finanziarie di cui al successivo comma 3. In caso di locazione finanziaria, il contributo in conto canoni, corrisposto nelle percentuali previste nel presente decreto, viene corrisposto all’operatore economico nella misura che spetterebbe per l’acquisto dei beni medesimi.”.
1. L’articolo 8, comma 2, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“2. Il credito agevolato può essere concesso per un massimo di cinque o dieci anni ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5 ed il rimborso del prestito avviene mediante il pagamento di rate semestrali posticipate costanti comprensive della quota di interessi a carico del beneficiario, con scadenza 30 giugno e 31 dicembre di ogni anno; la prima rata scade alla fine del primo semestre successivo a quello in cui è avvenuta l’erogazione della prima parte del prestito. Le convenzioni finanziarie di cui al comma 3 possono prevedere differenti modalità e frequenza di rimborso e non può venir prevista frequenza inferiore a n.1 rata ogni dodici mesi.”.
Art.4
1. L’articolo 9, comma 2, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“2. L’Istituto di Credito convenzionato, disposto ad erogare i prestiti agevolati, in relazione alla specifica domanda di finanziamento, produce il relativo piano di rimborso del finanziamento e lo trasmette al Comitato di Valutazione indicando le garanzie di cui all’articolo 14.”.
Art.5
1. Dopo l’articolo 10 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è aggiunto il seguente articolo:
“Art.10 – bis
(Subingresso nel finanziamento)
1. E’ consentito il subingresso nel finanziamento, in tutto oppure in parte, di un altro Istituto di Credito convenzionato, il quale subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito.
2. Il subingresso di cui al comma 1 comporta il trasferimento dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di finanziamento, nonché dei relativi crediti, alle condizioni stipulate tra il beneficiario e l’Istituto di Credito intermediario. Il subingresso deve essere annotato nei pubblici registri con le modalità previste dalla normativa vigente.
3. L’istituto di Credito cedente ed il subentrante restano obbligati nei confronti dell’erario ai sensi dell’art. 11, comma 4, ciascuno per la quota di interessi erogata per il periodo nel quale era parte del contratto di finanziamento, salvo diverso accordo tra gli stessi Istituti di Credito.
4. L’accordo di subingresso deve essere comunicato al Comitato di Valutazione entro trenta giorni dalla stipula.”.
Art.6
1. Dopo l’articolo 10 – bis del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è aggiunto il seguente articolo:
“Art.10 – ter
(Cessione dei crediti derivanti dal finanziamento)
1. In caso di cessione del credito e delle garanzie che lo assistono ad un soggetto non convenzionato, dopo l’integrale erogazione del finanziamento, il contributo in conto interessi continua a essere erogato al beneficiario del finanziamento per il tramite dell’Istituto di Credito cedente, o da altro Istituto di Credito da questi designato.
2. L’Istituto di Credito cedente resta obbligato nei confronti dell’Erario per l’eventuale restituzione del contributo ai sensi dell’art. 11, comma 4, ivi comprese le quote di contributo erogate dopo la cessione del credito.
2-bis. La cessione di cui al presente articolo deve essere comunicata al Comitato di Valutazione entro trenta giorni dalla stipula.”.
Art.7
1. L’articolo 11 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“Art.11
(Decadenza dei benefici)
1. Decadono dai benefici del presente decreto delegato e sono tenute alla restituzione, entro centottanta giorni dalla dichiarazione di decadenza da parte del Comitato di Valutazione, del
contributo in conti interessi erogato dallo Stato in relazione al finanziamento accordato sino alla data di decadenza in proporzione alla durata del finanziamento rispetto al periodo di fruizione del contributo pubblico e secondo le modalità di cui al comma 3 del presente articolo:
a) le imprese che non hanno avviato o completato i progetti oggetto del finanziamento entro i termini stabiliti;
b) le imprese che non hanno rispettato in tutto o in parte i requisiti occupazionali previsti che per gli immobili si intendono riferiti al numero minimo che consente l’accesso al mutuo;
c) le imprese che non hanno comunicato tempestivamente al Comitato di Valutazione variazioni significative del progetto rispetto alle previsioni;
d) le imprese che successivamente all’approvazione della domanda si trovano in una delle cause di inammissibilità di cui all’articolo 4 ad esclusione dell’ultima condizione inerente le azioni esecutive ad opera del Dipartimento Esattoria ai sensi della Legge n.70/2004 e successive modifiche;
e) le imprese che danno luogo alla cessione dei beni oggetto degli investimenti di cui i progetti ammessi al finanziamento in violazione delle disposizioni;
f) le imprese che non rispettano le condizioni previste nel contratto di finanziamento per il rimborso delle somme finanziate per dodici mesi rispetto al piano di rimborso concordato;
g) le imprese che non forniscono, in base alle richieste del Comitato di Valutazione o dell’Ufficio Industria Artigianato e Commercio, i documenti e/o le informazioni necessarie a verificare la permanenza dei requisiti e l’insussistenza di cause di decadenza successivamente all’erogazione del finanziamento;
h) nel caso indicato all’articolo 9, comma 3.
2. Il Presidente del Comitato di Valutazione o in assenza il Vicepresidente, a tutela dell’interesse pubblico, informando i componenti del Comitato, provvede alla revoca di cui al presente articolo all’atto dell’accertamento dell’inadempimento.
3. L’importo di cui al comma 1 del presente articolo, si determina rapportando l’importo del valore totale dei contributi semestrali erogati, al periodo di durata del mutuo fino alla revoca e la durata stabilita del mutuo stesso.
4. L’Istituto di Credito erogante o la società concedente i beni oggetto del contratto di locazione finanziaria nei termini di cui al comma 1 sono tenuti a rifondere all’Erario la quota di interessi passivi pagata dall’Erario stesso. La decadenza dai benefici di cui al comma 1 e la conseguente rifusione della quota di interessi passivi dovuta all’Erario non determinano di per sé la decadenza del finanziamento, che è eventualmente dichiarata dall’istituto di Credito, in conformità alle disposizioni di legge e al contratto stipulato.”.
Art.8
1. L’articolo 14 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n. 93 è così sostituito:
“Art.14
(Garanzie)
1. I finanziamenti concessi in forza del presente decreto delegato, i relativi interessi e gli altri accessori, ivi compresi gli oneri ed i costi sostenuti a copertura dei rischi finanziari, sono assistiti da privilegio in favore dell’Istituto di Credito erogatore sui beni mobili ed immobili oggetto del finanziamento agevolato. In alcun modo i beni oggetto del finanziamento di cui all’articolo 5-bis del presente decreto possono costituire garanzia. L’entità delle garanzie deve essere tale da coprire oltre all’ammontare del prestito, l’ammontare complessivo degli interessi a carico dello Stato. Nel caso in cui il finanziamento avvenga in conto canoni come previsto al comma 1 dell’articolo 8, il
richiedente deve depositare presso la società, con la quale stipulerà il contratto di locazione finanziaria, le necessarie garanzie atte a coprire l’ammontare complessivo del contributo conto canoni a carico dello Stato, la quale ne darà comunicazione al Comitato di Valutazione ai sensi dell’articolo 9 del presente decreto ed in tale atto la società concedente i beni oggetto del contratto di locazione finanziaria si impegna al rispetto delle disposizioni previste dal presente decreto.
2. Il privilegio deve constare di apposita iscrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari o del Tribunale se trattasi di beni mobili.
3. Il credito nascente dai finanziamenti di cui al presente decreto delegato viene soddisfatto col valore dei beni mobili ed immobili oggetto del finanziamento, in preferenza di ogni altro creditore privilegiato, ipotecario e pignoratizio ai sensi degli articoli 25 e 26 della Legge Ipotecaria 16 marzo 1854.
4. Il privilegio di cui al primo comma può essere sostituito o integrato da fideiussioni bancarie, polizze fideiussorie o altre forme di garanzia all’uopo concordate con l’istituto di credito. Possono essere altresì erogati finanziamenti in assenza di garanzie, ma in tal caso l’istituto di credito è tenuto alla restituzione delle somme di cui al comma 6 del presente articolo qualora sia deliberata la decadenza di cui all’articolo 11 del presente decreto delegato.
5. L’iscrizione del privilegio o la costituzione di altre forme di garanzia, avviene a cura dell’istituto di credito erogatore, il quale ne trasmette certificazione al Comitato di Valutazione, con onere a carico dell’impresa beneficiaria.
6. Nel caso il debito relativo al finanziamento sia stato estinto, le garanzie di cui al presente articolo decadono dopo sessanta giorni correnti previa cancellazione presso l’organismo preposto da parte dell’istituto di credito. La stessa procedura si applica per le garanzie rilasciate nei contratti di locazione finanziaria quando questi siano estinti.”.
Art.8-bis
(Decorrenza norme introdotte con la ratifica)
1. Le nuove norme introdotte con il presente decreto hanno efficacia a partire dall’entrata in vigore del Decreto originario n.58 del 9 giugno 2017.

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DECRETO – LEGGE 11 luglio 2017 n.82

7 Agosto 2017

INTERVENTI URGENTI IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI E SOSTENIBILITÀ ALL’OCCUPAZIONE, E DI TRATTAMENTO PREVIDENZIALE ANTICIPATO

Art. 1
(Indennità di disoccupazione: disposizioni straordinarie)
1. Le prestazioni di cui all’articolo 23, comma 2, della Legge 31 marzo 2010 n. 73 sono prorogabili per tutti i cittadini sammarinesi, i residenti o titolari di permesso di soggiorno ordinario che abbiano già beneficiato dell’indennità economica speciale, i quali si trovino involontariamente disoccupati e che matureranno i requisiti per l’accesso al trattamento previdenziale entro il termine del periodo massimo di legge per fruire degli ammortizzatori sociali o al più nel semestre successivo alla scadenza di tale termine, nelle modalità di cui all’articolo 2 e nei termini di cui al comma 4.
2. L’indennità di disoccupazione di cui al comma 1 è erogata per un periodo massimo di nove mesi e calcolata secondo la percentuale prevista all’articolo 23, comma 1, lettera b), ultimo
capoverso della Legge n. 73/2010, per coloro che abbiano svolto attività negli ultimi due anni precedenti il licenziamento, da oltre 12 mesi a 24 mesi pari almeno a 243 giorni di contribuzione validi agli effetti pensionistici.
3. L’indennità di disoccupazione di cui al comma 1 è erogata per un periodo massimo di sei mesi e calcolata secondo la percentuale prevista all’articolo 23, comma 1, lettera a) della Legge n. 73/2010, per coloro che abbiano svolto attività, negli ultimi due anni precedenti il licenziamento, da oltre 6 mesi a 12 mesi pari almeno a 121 giorni di contribuzione validi agli effetti pensionistici.
4. Hanno diritto di accesso all’indennità di cui al comma 1 i lavoratori che soddisfano i seguenti requisiti:
a) essere soggetti ad accordo di mobilità sottoscritto a partire dall’1 luglio 2017 ed entro il 30 giugno 2018;
b) aver maturato il diritto alla pensione di anzianità ordinaria o di vecchiaia ordinaria al termine del periodo di erogazione della superiore indennità di disoccupazione straordinaria o al più nel semestre successivo;
c) aver compiuto, in riferimento alla pensione di anzianità ordinaria, almeno 56 anni e 9 mesi per i soggetti di cui al comma 2, o 57 anni per i soggetti di cui al comma 3, al tempo della sottoscrizione dell’accordo di mobilità.
d) aver compiuto, in riferimento alla pensione di vecchiaia ordinaria, almeno 62 anni e 3 mesi per i soggetti di cui al comma 2, o 62 anni e 6 mesi, per i soggetti di cui al comma 3, al tempo della sottoscrizione dell’accordo di mobilità.
Art. 2
(Profili applicativi)
1. Il lavoratore che al tempo dell’accordo di mobilità esprime la volontà di accedere alla pensione di anzianità ordinaria o di vecchiaia ordinaria prevista dalle norme vigenti nel corso o al termine del periodo per cui ha diritto agli ammortizzatori sociali o al più nel semestre successivo alla scadenza di tale termine e che non revochi tale volontà entro i 15 giorni successivi alla stipula dell’accordo, rinuncia alla possibilità di essere riavviato al lavoro e accede all’indennità di disoccupazione straordinaria di cui all’articolo 1.
2. La volontà espressa come sopra obbliga il lavoratore a presentare la domanda di pensione all’ufficio competente entro il 30 giugno 2018 che ne trasmette copia, ai fini del diritto all’erogazione dell’indennità di disoccupazione straordinaria di cui all’articolo 1 con gli effetti di cui al presente decreto – legge, all’ufficio a ciò deputato.
3. Ai sensi e per gli effetti di cui al comma 2, il lavoratore è posto in pensione d’ufficio al termine dell’erogazione degli ammortizzatori sociali o al più entro il semestre successivo ai sensi dell’articolo 1, comma 1.
4. In deroga al comma 3, il lavoratore è posto in pensione d’ufficio durante il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali qualora maturi i seguenti requisiti per l’accesso al trattamento: 60 anni di età e almeno 40 anni di contribuzione, ovvero 65 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione e, a decorrere dal primo gennaio 2019, 65 anni e sei mesi di età e almeno 20 anni di contribuzione; conseguentemente non ha più diritto a percepire gli ammortizzatori sociali di legge di cui stia beneficiando al tempo del pensionamento. Resta salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore di richiedere l’accesso al trattamento pensionistico, anche prima della maturazione dei superiori requisiti anagrafici e contributivi, qualora questi venga a soddisfare, durante il periodo di erogazione degli ammortizzatori sociali, i requisiti minimi per il diritto alla prestazione previdenziale di cui alla normativa vigente.
5. In ogni caso, il lavoratore durante il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali di legge e, successivamente, decorso il termine per il diritto all’indennità di disoccupazione straordinaria non può essere più riavviato al lavoro.
6. Dal momento di accoglimento della domanda di pensione di cui al comma 2, l’ufficio competente lo comunica all’Ufficio del Lavoro che procede alla cancellazione dalle liste di avviamento al lavoro e l’iscrizione in un elenco separato ai fini e per gli effetti di cui al comma 5.
Art. 3
(Accesso al trattamento previdenziale per anzianità anticipato)
1. Il presente articolo disciplina le norme per l’accesso al diritto al pensionamento in deroga alle disposizioni di cui alle Leggi 11 febbraio 1983 n.15, 8 novembre 2005 n. 157, 5 ottobre 2011 n. 158 ed all’articolo 51 della Legge 21 dicembre 2012 n.150 per i soggetti di cui all’articolo 1 che non siano stati, nell’anno precedente al termine dell’erogazione degli ammortizzatori sociali, titolari di un reddito complessivo, al netto delle detrazioni previste dalla legislazione vigente, di alcuna natura o provenienza di importo superiore a euro 12.000,00 (dodicimila/00) annui, oppure qualora il nucleo familiare di fatto dell’avente diritto sia composto da almeno due persone, il reddito pro-capite non deve superare l’importo annuo di euro 9.000,00 (novemila/00) al netto degli abbattimenti e delle passività dedotte analiticamente come previsto dalla legislazione vigente, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 151 comma 5, della Legge 16 dicembre 2013 n. 166. Dal reddito determinato a norma del presente articolo, non sono deducibili le passività di cui all’articolo 14, comma 1, alla lettera a) della Legge 16 dicembre 2013 n.166 (Smac Card).
2. Per accedere all’erogazione del trattamento previdenziale anticipato devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:
a) avere compiuto i 59 anni e sei mesi di età al termine dell’erogazione di tutti gli ammortizzatori sociali di legge, inclusa l’indennità di cui all’articolo 1, e almeno 40 anni di contribuzione, ovvero, in alternativa, almeno 35 anni di contribuzione. In tale ultimo caso vengono applicati i disincentivi di cui all’articolo 7 della Legge n. 157/2005 così come modificato dall’articolo 9 della Legge 18 marzo 2008 n. 47;
b) essere in possesso della cittadinanza sammarinese, della residenza nella Repubblica di San Marino o titolari di permesso di soggiorno ordinario.
3. Ai fini del calcolo della contribuzione di cui al comma 2, lettera a), sono cumulabili, a quelli sammarinesi, i periodi contributivi maturati nei sistemi previdenziali di Paesi con i quali la Repubblica di San Marino ha stipulato convenzioni o accordi in materia, ove sia prevista la totalizzazione degli stessi.
Art. 4
(Pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. In deroga ai disposti di cui all’articolo 6, comma 4, della Legge n. 157/2005 ed in presenza dei requisiti di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, ad esclusione della lettera a), è previsto l’accesso alla Pensione ordinaria di vecchiaia anticipata qualora siano presenti i seguenti ulteriori requisiti:
a) 65 anni di età, e dal primo gennaio 2019, 65 anni e sei mesi di età, al termine dell’erogazione di tutti gli ammortizzatori sociali di legge inclusa l’indennità di cui all’articolo 1;
b) almeno 20 anni di contribuzione.
2. Ai fini della maturazione del requisito di cui al comma 1, lettera b), sono cumulabili, a quelli sammarinesi, i periodi contributivi maturati nei sistemi previdenziali di Paesi con i quali la Repubblica di San Marino ha stipulato convenzioni o accordi in materia, ove sia prevista la totalizzazione degli stessi.
Art. 5
(Domanda del trattamento previdenziale per anzianità anticipato e della pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. Per accedere al trattamento previdenziale anticipato e alla pensione ordinaria di vecchiaia anticipata, il lavoratore, al tempo dell’accordo di mobilità, è tenuto ad esprimere la volontà di accedervi ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2.
2. I documenti necessari per la presentazione della domanda sono:
a) certificato di nascita – certificato di residenza – stato di famiglia;
b) copia dell’ultima busta paga percepita prima dell’accordo di mobilità.
3. I certificati di cui alla lettera a) del comma 2 possono essere sostituiti da autocertificazione di cui alla Legge 5 ottobre 2011 n. 159, da effettuarsi presso l’Ufficio Prestazioni Economiche dell’ISS. Per la documentazione di cui alla lettera b) del comma 2 l’ufficio ricevente accederà direttamente alle banche dati in possesso del settore pubblico allargato.
Art. 6
(Misure del trattamento previdenziale di anzianità anticipato)
1. L’importo del trattamento previdenziale anticipato viene calcolato sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della Legge n. 157/2005 ed all’articolo 17 della Legge n. 158/2011 e ridotto di una quota pari al 10% da destinare alla Cassa Ammortizzatori Sociali.
2. La pensione viene erogata per l’ammontare calcolato sulla base delle disposizioni previste dal comma 1, fino al compimento dell’età prevista per la pensione di anzianità. Dal primo giorno del mese successivo al compimento dell’età pensionabile, la pensione, se più favorevole, verrà erogata nella misura stabilita dal calcolo effettuato sulla base dell’articolo 3, comma 3, della Legge n. 157/2005, così come modificato dall’articolo 17, comma 1, della Legge n. 158/2011. Dalla stessa data non viene più applicata la riduzione di cui al comma 1.
3. Viene fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 8 della Legge n.157/2005 e successive modifiche.
Art. 7
(Misura della pensione ordinaria di vecchiaia anticipata)
1. L’importo della pensione ordinaria vecchiaia anticipata è calcolato sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della Legge n. 157/2005 ed all’articolo 17 della Legge n. 158/2011 e ridotto di una quota pari al 10% da destinare alla Cassa Ammortizzatori Sociali.
2. La pensione è erogata, per l’ammontare calcolato sulla base delle disposizioni previste dal comma che precede, fino al compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Dal primo giorno del mese successivo al compimento dell’età pensionabile la pensione, se più favorevole, viene erogata nella misura stabilita dal calcolo effettuato sulla base dell’articolo 3, comma 3, della Legge n. 157/2005, così come modificato dall’articolo 17, comma 1, della Legge n. 158/2011. Dalla stessa data non verrà più applicata la riduzione di cui al comma 1.
3. Viene fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 8 della Legge n.157/2005 e successive modifiche.
Dato dalla Nostra Residenza, addì 11 luglio 2017/1716 d.F.R

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Società estera fittizia? La dichiarazione diventa fraudolenta

7 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 28 Luglio 2017 di Antonio Iorio

Cassazione. Ricavi trasferiti fuori dall’Italia

La costituzione di società estere ritenute fittizie che fatturano in luogo di una impresa nazionale, trasferendo così i ricavi fuori dall’Italia, può integrare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. L’eventuale avvenuto pagamento delle imposte estere, che farebbe scendere al di sotto della soglia di punibilità l’importo ritenuto evaso, deve essere provato dall’imputato e non dall’accusa.
È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione sez. 3 penale con la sentenza 37422 depositata ieri
Il rappresentante legale ed i soci di una Snc erano condannati nei due gradi di giudizio perché ritenuti responsabili del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del Dlgs 74/2000). Nella specie, secondo la tesi accusatoria, gli imputati avevano costituito fraudolentemente delle società schermo con sede in Inghilterra che esercitavano l’attività imprenditoriale utilizzando l’organizzazione aziendale della società italiana ed omettendo di registrare nella contabilità dell’impresa nazionale tutti i corrispettivi, surrettiziamente attribuiti alle società estere.
Nel ricorso per cassazione, tra i vari motivi, la difesa eccepiva che la tesi contenuta nella sentenza, secondo cui le società estere sarebbero state create al fine esclusivo di ottenere un’agevolazione od un risparmio di imposta, integrava, al più, il diverso, e meno grave, reato di dichiarazione infedele ma non quello di dichiarazione fraudolenta. In particolare non era stato dedotto nulla sull’idoneità del mezzo ad ostacolare l’accertamento dell’evasione richiesto dalla fattispecie contestata. La costituzione delle società estere e l’imputazione ad esse di attività riconducibili all’impresa italiana non era infatti sufficiente ad integrare il delitto in questione. Non erano poi state considerate le imposte assolte in Inghilterra. La sentenza, infatti, riteneva onere degli imputati dimostrare il versamento di tali somme. Secondo la difesa, invece, poiché la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo del reato, doveva essere l’accusa a dimostrarne la sussistenza.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso.
Secondo la pronuncia non vi è dubbio che la nozione di mezzo fraudolento, che contraddistingue il delitto in esame, non possa identificarsi in mere condotte di mendaci indicazioni di componenti attivi, né in sottofatturazioni, pertanto è pacifico che la semplice violazione degli obblighi di fatturazione, per quanto finalizzati ad evadere le imposte, non integri il delitto di dichiarazione fraudolenta.
È invece necessaria la sussistenza di un quid pluris che consente di attribuire all’elemento oggettivo una insidiosità tale da costituire un ostacolo all’accertamento.
Nella specie, la simulazione realizzata attraverso l’interposizione fittizia delle società inglesi, appositamente costituite nella fatturazione alla clientela delle prestazioni aventi ad oggetto le attività svolte dall’impresa italiana, che così sottraeva ricavi all’imposizione, costituisce in campo penal-tributario l’artificio idoneo a indurre in errore l’amministrazione finanziaria ostacolando l’accertamento della falsità contabile.
Per quanto concerne, invece, la prova dell’avvenuto pagamento delle imposte al fisco inglese, da decurtare conseguentemente dalla imposta ritenuta evasa in Italia, secondo i giudici di legittimità l’onere incombente sull’accusa (relativo al superamento della soglia di rilevanza penale) era stato abbondantemente assolto.
Incombeva quindi sulla difesa, che invocava la minore entità di tale somme, provare gli importi versati all’estero eventualmente da decurtare.

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La donazione con bonifico senza notaio è nulla

7 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 28 Luglio 2017 di Angelo Busani Emanuele Lucchini Guastalla

Sezioni unite. Tracciato il confine tra la liberalità diretta, per cui serve l’atto pubblico, e quella indiretta che non richiede formalità

È una donazione nulla, per mancanza di atto pubblico, il bonifico di una somma di denaro effettuato per spirito di liberalità, e cioè senza che l’operazione bancaria sia motivata dal fatto di essere il pagamento di un prezzo di un bene acquistato o di un servizio ricevuto dal beneficiario del bonifico.
Lo affermano le Sezioni unite della Corte di cassazione con una sentenza 18725 del 27 luglio 2017 destinata a essere menzionata nei manuali universitari perché effettua una netta linea di demarcazione tra due situazioni il cui confine è spesso assai sfumato: la donazione «diretta», per la quale il Codice civile prescrive la forma dell’atto pubblico a pena di nullità, al fine di costringere il donante a pensare a ciò che sta facendo; la donazione «indiretta», con la quale si arricchisce il patrimonio del donatario senza formalismi. È, quest’ultimo, il caso classico dei genitori che pagano il prezzo dovuto dal figlio per comprare un appartamento.
Un’evidente conseguenza di una donazione nulla è che se poi il donante muore, i suoi eredi hanno diritto a farsi restituire la somma donata dal donatario, a prescindere dal fatto che la donazione sia, o meno, lesiva dei diritti di legittima: donazione nulla infatti significa che il bene donato non è mai uscito dalla sfera giuridica del donante e che, quindi, egli (o, appunto, il suo erede) ha il diritto di pretenderne la restituzione. Se invece si abbia una donazione valida – come accade nel caso della donazione indiretta o della donazione diretta stipulata con atto pubblico – occorre che essa sia lesiva della quota di legittima per poter essere contestabile dagli eredi del donante.
Si spera ora che della sentenza tengano conto anche i giudici tributari e i funzionari fiscali e che, dunque, non si abbiano più sentenze come quelle (ad esempio le sentenze di Cassazione 634/2012 e 22118/2010) che hanno ritenuto dovuta l’imposta di donazione nel caso di trasferimento informale di denaro tra nonni e nipoti (anche minorenni !) o tra genitori e figli: se la donazione è nulla per mancanza del prescritto requisito formale, nemmeno si può pretendere l’applicazione dell’imposta di donazione, per manifesto difetto di capacità contributiva.
Né si può affermare che l’imposta di donazione si deve applicare, come l’imposta di registro, anche agli atti nulli (articolo 38, Dpr 131/1986), in quanto queste imposte presuppongono appunto un “atto”, ciò che appunto manca nel caso del trasferimento di denaro mediante bonifico.
Per le Sezioni unite si ha dunque donazione “diretta” (e, pertanto, la necessità dell’atto pubblico) quando ci sia un «passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto a un altro»: questa situazione è evidente nel caso del bonifico bancario, nel quale la banca agisce come mero esecutore di un ordine impartito da un suo correntista.
Altra situazione nella quale è evidente il carattere diretto della donazione è quella della consegna brevi manu di un titolo al portatore (ad esempio, un libretto bancario o postale) oppure nella emissione di un assegno, bancario o circolare, a favore del donatario.
Si ha invece – secondo le Sezioni unite – una donazione indiretta, priva del requisito formale (la sentenza 18725/2017 ha infatti anche il merito di contenere una articolata elencazione di tutti questi casi, ben motivati uno per uno):
con il cosiddetto contratto a favore di terzo che si configura, ad esempio, versando una somma su un conto cointestato e, quindi, in sostanza, arricchendo il cointestatario che beneficia dell’altrui versamento;
con il pagamento di un debito altrui (si pensi al genitore che paga il mutuo del figlio);
con il pagamento di un prezzo dovuto da altri (si pensi al genitore che paga il prezzo dell’appartamento che viene intestato al figlio);
con la vendita di un bene a un prezzo irrisorio (che è una donazione per la differenza tra il valore del bene e il prezzo pagato);
con la rinuncia a un credito a favore del debitore.

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La fattura non conservata è «occultata»

7 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 19 Luglio 2017 di Laura Ambrosi

Cassazione. Anche solo la mancata stampata del documento è reato

Commette il reato di occultamento delle scritture contabili obbligatorie il commercialista che emette e consegna fatture attive a terzi, ma non le conserva e annota sui registri.
A fornire questa interpretazione è la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 35173 depositata ieri.
Un commercialista veniva condannato alla pena di 6 mesi di reclusione per aver occultato o distrutto le scritture contabili obbligatorie (articolo 10 Dlgs 74/2000).
La Corte di appello confermava la decisione del Tribunale e l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando che i giudici territoriali avevano erroneamente paragonato l’omessa esibizione dei documenti mai detenuti, all’eliminazione fisica degli stessi. Inoltre, mancava la prova del dolo specifico con la conseguenza che la condotta non poteva integrare la fattispecie delittuosa.
L’articolo 10 del Dlgs 74/2000 prevede che salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
La Suprema Corte, confermando sul punto la sentenza, ha innanzitutto rilevato che in tema di reati tributari l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari a causa della distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, non va intesa in senso assoluto. Sussiste, infatti, anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante.
Tale delitto tutela il bene giuridico della trasparenza fiscale ed è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni. Va escluso il reato solo quando il risultato economico può essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire ulteriori elementi di prova.
Nella specie la documentazione non era stata rinvenuta presso l’imputato, ma presso terzi, con la conseguenza che il reato risultava integrato.
Il contribuente aveva emesso delle fatture che non erano però state conservate e annotate, con la conseguenza che la contabilità obbligatoria era stata istituita, ma non era nella sua disponibilità.
I giudici di legittimità hanno precisato che anche la sola condotta di non stampare la documentazione, costituisce occultamento della stessa agli accertatori.
Particolarmente rigorosa poi la considerazione sulla sussistenza del dolo: la Cassazione, condividendo la decisione di merito, afferma che la professione di commercialista, in un simile reato, di per sé configura il dolo.

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Dividendi, il prelievo Irpef aumenta

7 Agosto 2017

Il Sole 24 Ore 12 Luglio 2017 di Marco Piazza e Chiara Resnati

Redditi di capitale. Il decreto del Mef pubblicato ieri in «Gazzetta» aggiorna le percentuali alla riduzione dell’aliquota Ires al 24%

Utili nell’imponibile dei soci per il 58,14% – Per plus e minus nuove regole dal 2018

Fissate le nuove percentuali di partecipazione al reddito imponibile degli utili e delle plusvalenze derivanti da partecipazioni, strumenti finanziari equiparati e contratti di associazione e cointeressenza con apporto diverso dalle opere e servizi conseguiti da soggetti diversi dalle società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia e da stabili organizzazioni di enti non residenti (Dm Economia 26 maggio 2017 pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri).
La rideterminazione delle percentuali si è resa necessaria a seguito della riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24% a decorrere dal 1° gennaio 2017, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2016. La percentuale è calcolata in modo tale che la somma dell’Ires pagata dalla società e dell’Irpef pagata dal socio sia pari al 43% del reddito della società al lordo dell’Ires. Questo, però, comporta un incremento del prelievo Irpef sul socio.
Per quanto riguarda i dividendi e proventi assimilati, le nuove percentuali si applicano a quelli formati con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 da parte della società che distribuisce il dividendo. In particolare concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 58,14%:
gli utili e proventi derivanti da partecipazioni “qualificate”, strumenti finanziari e contratti di associazione in partecipazione assimilati detenuti da persone fisiche non nell’esercizio di impresa; resta ferma l’imposta sostitutiva del 26% sull’utile lordo per le partecipazioni non qualificate;
gli utili derivanti da partecipazioni qualificate e non qualificate detenute da persone fisiche nell’esercizio dell’impresa, società in nome collettivo e società in accomandita semplice.
Sono confermate le vecchie percentuali di imponibilità per i dividendi formati con utili prodotti in esercizi precedenti ed è confermato che i dividendi distribuiti si considerano prioritariamente formati con utili prodotti dalla società o ente partecipato fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 (40%), e poi fino all’ esercizio in corso al 31 dicembre 2016 (49,72%).
Se il percettore degli utili è un ente non commerciale residente, la nuova percentuale di imponibilità passa dal 77,78% al 100% (matematicamente sarebbe stato il 104,17%, il che dovrebbe far riflettere sull’eccesso di severità del legislatore nei confronti di questi enti).
Per le plusvalenze e minusvalenze le nuove aliquote si applicano, invece, a quelle realizzate a partire dal 1° gennaio 2018; in caso di percezione dilazionata di corrispettivi derivanti da cessioni fatte prima di tale data, continua ad applicarsi la vecchie percentuale. In questo caso si è data rilevanza al momento del realizzo e non a quello della percezione del reddito, come normalmente accade quando cambia il regime fiscale dei redditi diversi di natura finanziaria.
Per le plusvalenze realizzate al di fuori dell’esercizio d’impresa, la nuova quota di imponibilità è la stessa applicata agli utili (58,14%).
Per quelle realizzate nell’esercizio d’impresa con i requisiti per l’applicazione della participation exemption è prevista una percentuale di esenzione del 41,86% (corrispondente all’imponibilità del 58,14%).
Il decreto stabilisce che in caso di utili e proventi equiparati erogate da società o enti non residenti, i dati sulla stratificazione degli utili devono essere forniti, all’intermediario eventualmente obbligato ad operare la ritenuta d’ingresso, dal soggetto partecipante residente, previa attestazione da parte della società o dell’ente estero; attestazione che sarà, in realtà molto difficile ottenere se l’emittente è una società ad azionariato diffuso.

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Il socio non è responsabile in solido

10 Luglio 2017

Il Sole 24 Ore 13 Giugno 2017 di D.D.

FOCUS. IL QUADRO DELLE DISPOSIZIONI

La responsabilità dei soci, cosi come quella dei liquidatori, per le imposte non pagate dalla società risulta fissata dall’articolo 36 del Dpr 602/1973.
Per i soci la responsabilità entra in gioco quando hanno ricevuto dagli amministratori, nel corso dei due periodi d’imposta precedenti alla liquidazione, denaro o altri beni sociali in assegnazione o se gli stessi soci hanno ricevuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione.
Va rilevato che la norma – che ha origine remote (Dpr 645/1958) – vuole evitare che l’Agenzia debba adire il giudice ordinario, attribuendo la competenza al “giudice che conosce meglio”, cioè al giudice tributario. Va anche considerato che la norma non attribuisce una responsabilità in solido dei soci e dei liquidatori con la società, ma si tratta di una responsabilità per fatto proprio imputabile a tali soggetti, come costantemente affermato dalla stessa Corte di cassazione (ex multis, Cass. 16446/2016).
Si tratta, difatti, di un debito distinto (la responsabilità non riguarda le sanzioni) dall’obbligazione tributaria dell’ente collettivo, anche se a questo commisurato. Ecco perché l’articolo 36 del Dpr 602/1973 stabilisce espressamente (comma 5) che l’atto nei confronti dei soci e dei liquidatori risulta un atto ulteriore e successivo rispetto a quello della società, tant’è che l’atto nei confronti dei soci e dei liquidatori deve risultare motivato circa la sussistenza dei presupposti stabiliti dallo stesso articolo 36 del Dpr 602/1973.
La responsabilità dei soci e dei liquidatori deriva, in sostanza, da un’obbligazione tributaria non assolta dalla società: il che può realizzarsi solo quando risulta notificato un atto valido nei confronti di quest’ultima. Ecco spiegato il motivo per cui l’articolo 28 del decreto legislativo 175/2014 ha voluto stabilire che un atto notificato nei cinque anni successivi all’estinzione della società risulta un atto valido: non tanto per agire, evidentemente, nei confronti di quest’ultima, ma per agire nei confronti dei soci e dei liquidatori sulla base di un atto valido.
Ma certamente non può risultare un atto valido quello notificato a una società che, di fatto, non può esercitare il proprio diritto di difesa (né i soci né gli ex liquidatori risultano legittimati processualmente), così che anche per le società che si sono cancellate dopo il 12 dicembre 2014 non può essere azionata alcuna responsabilità nei confronti dei soci e liquidatori per eventuali debiti tributari sopravvenuti dopo l’estinzione. Senza contare il fatto che la norma attribuisce la responsabilità verso soci e liquidatori in relazione a debiti sorti entro la cancellazione e non dopo.
Ad ogni modo, sotto il profilo fiscale, non può essere ritenuto valido l’accertamento nei confronti della società cessata notificato direttamente al socio. Per azionare la responsabilità fiscale di quest’ultimo occorre un altro atto rispetto a quello comunque “valido” della società. Altrimenti occorre cambiare la norma fiscale, che non risulta aggiornata dopo l’”evoluzione civilistica”.

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