Servizi intragruppo, costi deducibili con analisi «pesanti»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 23 Gennaio 2017 di Massimo Bellini

Reddito d’impresa. Passo indietro della Ctp Milano

I costi per servizi intra-gruppo devono essere supportati da adeguata documentazione, anche se le operazioni sono poste in essere tra soggetti italiani. Il principio è espresso dalla sentenza della Ctp di Milano 5575/21/2016 (presidente Natola, relatore Marcellini), che ritorna sul tema delle management fees.
La pronuncia trae origine da una contestazione in base all’articolo 109 del Tuir, in merito alla deducibilità dei costi per servizi di natura direzionale, legale e finanziaria riaddebitati da una società controllante alla propria controllata, entrambe residenti in Italia e aderenti al consolidato fiscale.
Secondo i giudici milanesi la pretesa dell’ufficio è legittima in quanto il contribuente non è stato in grado di dettagliare e documentare la natura e l’utilità dei servizi ricevuti. In particolare ai fini della deducibilità fiscale sarebbe stato necessario verificare e documentare i requisiti di certezza, inerenza e congruità.
Il contribuente deve produrre documentazione attestante l’effettività dei servizi resi e non solo la loro contabilizzazione, in base alle ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova.
Quanto all’inerenza, va dimostrato il collegamento fra i servizi e l’attività svolta. In altri termini si deve provare che il servizio fornito genera un vantaggio per la società fruitrice e non solo (o comunque non prevalentemente) per il gruppo.
In aggiunta per supportare la congruità vanno analizzati (quanto meno) i seguenti fattori:
inclusione o meno del corrispettivo del servizio nel prezzo dei beni ceduti;
effettiva utilizzazione del servizio;
effettiva incidenza del servizio sulla riduzione dei costi;
rapporto tra l’utile di esercizio, la riduzione dei costi (in relazione alla prestazione resa) e il corrispettivo pagato;
vantaggi conseguiti.
I principi della sentenza fanno un “passo indietro” rispetto a molte delle recenti pronunce in tema di management fees che hanno adottato approcci più sostanziali, focalizzati sulla tipologia dei servizi resi e sul loro inquadramento all’interno dell’azienda, piuttosto che sul mero aspetto documentale (si vedano, ad esempio, le sentenze di Cassazione 6320/16 e 10319/15, e la Ctr Lombardia 123/36/15).
Il “passo indietro” risulta ancora più evidente, considerando che si tratta di operazioni poste in essere tra società italiane. La Ctp, infatti, richiede la predisposizione di analisi articolate e complesse, soprattutto per quanto riguarda le quantificazioni della riduzione dei costi, dell’impatto sull’utile e della prova che non vi è “duplicazione” nel prezzo dei beni ceduti. Concetti, peraltro, che richiamano principi di transfer pricing, anche se non direttamente applicabili trattandosi di operazioni domestiche.
Infine, non rileva il fatto che entrambe le società erano in perdita ed aderivano al consolidato. Essendo distinto per società il presupposto d’imposta che deriva dai servizi, non si verificano le condizioni per la doppia imposizione (articolo 163 del Tuir).

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Società dormiente, distacco falso

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 17 Gennaio 2017 di Cristina Petrucci e Stefano Taddei

Lavoratori stranieri. I casi esaminati dall’Ispettorato nazionale

Con la circolare 1/2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito indicazioni al personale ispettivo in materia di distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. La materia è stata riformata con il Dlgs 136/2016, emanato in attuazione della direttiva 2014/67/Ue ed entrato in vigore il 22 luglio 2016.
La circolare si sofferma sul campo di applicazione del Dlgs 136/2016, esteso anche alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la propria sede o unità produttiva in Italia, oltre che alle ipotesi di cabotaggio nel settore del trasporto su strada.
In particolare viene posta in evidenza la configurabilità delle ipotesi di distacco non autentico ogniqualvolta il datore di lavoro distaccante e/o il soggetto distaccatario pongano in essere distacchi fittizi per eludere la normativa nazionale in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale che deve essere applicata al lavoratore distaccato.
A titolo esemplificativo, viene individuato un distacco fittizio ove l’impresa distaccante sia una società a sua volta fittizia, ossia che non eserciti alcuna attività economica nel Paese di origine, ovvero ove l’impresa distaccante non presti alcun servizio ma si limiti a fornire solo il personale in assenza della relativa autorizzazione all’attività di somministrazione, ovvero ancora ove il lavoratore distaccato al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera distaccante già risieda e lavori abitualmente in Italia, mancando in tal caso l’elemento della transnazionalità.
La circolare precisa, infine, che la fattispecie di distacco non autentico può coincidere con le ipotesi di interposizione illecita individuate dal Dlgs 276/2003 (appalto, distacco e somministrazione illeciti/non genuini), ma non deve necessariamente identificarsi con queste ultime.
Da evidenziare che il distacco non autentico viene sanzionato dal legislatore con l’espressa previsione di una presunzione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore.

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«RW» PER AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ ESTERE

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 9 Gennaio 2017 di G.M.

L’ESPERTO RISPONDE (nr 76 – 369297)

Un soggetto, fiscalmente residente in Italia per i periodi d’imposta 2014 e 2015, avendo solo il compenso di amministratore di una società italiana, non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi. Però, dal 2014, egli ha assunto la carica di amministratore anche in una società svizzera con la delega sul conto svizzero della società, e con la possibilità di prelevare, e non soltanto di operare in nome e per conto della società stessa. Si ritiene, pertanto, che il soggetto residente dovesse presentare la dichiarazione per il solo quadro RW. È così? Per il 2015, presentando la dichiarazione per il solo quadro RW, con il ravvedimento operoso si potrebbe sanare la situazione. Ma per il 2014 si può adottare la stessa soluzione? Se sì, quale sanzione verrebbe applicata?
G.M.MILANO
Come specificato anche nelle istruzioni alla compilazione del quadro RW, «sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione», con l’ulteriore precisazione che «qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW, salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società». Su queste basi, parrebbe corretto che l’obbligo di compilazione del quadro RW non sussista nei casi in cui l’operatività sia strettamente correlata allo svolgimento del proprio incarico di amministratore, restando esclusa ogni altra ipotesi di detenzione “diretta” e per conto proprio della disponibilità sul conto corrente intestato alla società. Va tuttavia osservato che la circolare 27/E/2015, proprio con riferimento alla fattispecie riguardante gli amministratori di società di capitali, ha escluso l’obbligo di compilazione del quadro RW in ragione del fatto che il soggetto titolare effettivo delle attività estere, vale a dire la società, è un soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili. Trattandosi, nel caso di specie, di una società estera, non è da escludere che l’amministrazione finanziaria limiti la portata di questo passaggio alle sole società italiane. Seguendo questo comportamento, ispirato a ragioni di maggiore prudenza, l’amministratore può fruire del ravvedimento per sanare sia il 2015, versando una sanzione fissa di 250 euro, ridotta di un decimo o un nono a seconda che si tratti di dichiarazione tardiva o infedele, sia il 2014 (a condizione che la dichiarazione non sia omessa), versando la sanzione proporzionale del 3% sull’ammontare della giacenza media del conto corrente, anch’essa opportunamente ridotta a un settimo per effetto del ravvedimento. Questa modalità di autoregolarizzazione pare finanziariamente più favorevole rispetto a quella, altrettanto percorribile ma che prevede minori “sconti” sugli anni più recenti, prevista dalla “voluntary disclosure bis”.

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Vantaggi fiscali anche per la holding «statica»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Luca Miele

Cassazione. Riconosciuta a una società francese, ritenuta di comodo dai giudici di merito, la posizione di beneficiario effettivo

L’interpretazione della nozione convenzionale di “beneficiario effettivo” dei dividendi percepiti deve tenere conto della natura e delle funzioni svolte dalle holding statiche di partecipazione. La sentenza della Corte di cassazione n. 27113 del 28 dicembre 2016 rappresenta un significativo tassello nell’ambito del tema del beneficiario effettivo, spesso oggetto di controversie fiscali e tuttora in cerca di stabilità a livello legislativo.
Il caso è quello di una società francese che percepisce dividendi dalla propria controllata italiana fruendo dei benefici previsti dalla convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia. I benefici sono contestati in quanto la società francese non sarebbe l’effettiva beneficiaria dei dividendi poiché controllata da una società Usa; l’entità francese costituirebbe quindi una società di comodo avente l’unica funzione di fruire dei benefici fiscali e di trasferire gli utili all’effettivo beneficiario in Usa. In altre parole, la società francese non disporrebbe, giuridicamente ed economicamente, dei dividendi percepiti e la destinataria reale sarebbe la società Usa il cui ordinamento non prevede analoghi vantaggi fiscali.
I giudici di merito individuano nella società francese una mera “scatola”, espressione di abuso del diritto, creata al solo scopo di beneficiare di vantaggi fiscali, constatando l’assenza di una reale organizzazione della società francese, la presenza di ingenti partecipazioni azionarie e modesti crediti operativi, mancanza di dipendenti, assenza di fatturazione per servizi gestionali alla controllata italiana e assenza in Francia di una direzione effettiva intesa quale sede amministrativa di reale svolgimento di attività gestorie.
La Cassazione respinge tale ricostruzione in quanto, in caso di holding o sub-holding statiche, gli indici sopra indicati, normalmente riferiti alle società operative, possono non essere significativi. Ciò che deve rilevare è «la padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo e indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattamento e impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)». Per le holding statiche, quindi, rileva il compito istituzionale di mero indirizzo e direzione unitaria, la partecipazione alle assemblee delle controllate e la riscossione dei dividendi. E nel caso della società francese, la qualità di beneficiario effettivo è dimostrata dal fatto che è la reale proprietaria della partecipazione e destinataria effettiva dei dividendi regolarmente iscritti in bilancio, aggredibili dai creditori e liberamente da essa utilizzabili.
Per quanto riguarda il requisito della direzione effettiva, secondo la Cassazione non si può parlare di fittizietà della sede francese in quanto la ricorrente ha sede legale e amministrativa in Francia, è assoggettata a imposizione in quel paese, gli amministratori persone fisiche risiedono in Francia e ivi vengono prese le fondamentali decisioni concernenti la società.
In conclusione, ciò che è necessario verificare è il luogo di effettiva adozione delle decisioni direttive, amministrative e di coordinamento delle partecipazioni possedute dalla società madre percipiente, secondo l’attività tipica di holding da quest’ultima esercitata.
La sentenza si innesta in un panorama interpretativo e legislativo in divenire, anche a livello internazionale, dalla lettura del quale non sempre si perviene a una univoca definizione del fenomeno. Anche perché il tema del beneficiario effettivo si sovrappone con quello delle forme di interposizione in cui il percettore del reddito ha l’obbligo di retrocederlo a terzi e con altre forme di abuso dei Trattati che non sono direttamente collegate al tema del beneficiario effettivo. E la stessa definizione di holding passiva e di costruzione artificiosa si ricava, anche indirettamente, in diversi provvedimenti a livello comunitario e internazionale, con forti incertezze.
L’instabilità legislativa (e giurisprudenziale) determina anche un non perfetto coordinamento della prassi amministrativa nazionale e degli approcci adottati dai verificatori (Assonime, Note e Studi n. 17/2016) con relative responsabilità dei sostituti d’imposta chiamati ad applicare norme “incerte”.

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Esterovestizioni, costruzioni artificiose sotto tiro

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 10 Gennaio 2017 di Davide Cagnoni e Alessandro Germani

Sedi estere. Già la Cassazione aveva sottolineato la liceità dell’attività di direzione e coordinamento nei confronti di uffici oltrefrontiera

Nell’attuale economia globale i gruppi sono strutturati con headquarter molto articolati, che accentrano funzioni no core quali finanza, legale, audit, compliance e con strutture periferiche “leggere” nei mercati di sbocco. Spesso, poi, vi sono entità ad hoc in determinati Paesi dove si concentrano attività quali la ricerca e sviluppo. Tutto ciò genera molteplici transazioni intercompany, che richiedono la definizione di prezzi di trasferimento a valore di mercato. In questi casi, l’amministrazione fiscale tende a contestare l’esterovestizione di società estere appartenenti a gruppi italiani o la stabile organizzazione occulta di gruppi esteri con controllate italiane.
Per ciò che concerne il fenomeno dell’esterovestizione, i rilievi riguardano i due seguenti profili:
la residenza fiscale (articolo 73, comma 3 del Tuir) di società estere, con onere della prova a carico dell’amministrazione, ricondotte a tassazione in Italia in base alla sede di direzione effettiva (place of effective management);
l’esterovestizione vera e propria (articolo 73 comma 5-bis), con onere della prova a carico del contribuente, qualora la società estera controlli una società italiana e sia a sua volta controllata da soggetti residenti o amministrata da residenti.
In ambo i casi, la presenza di subholding passive, relegate ad una detenzione statica delle partecipazioni, determina la contestazione dell’attività di direzione e coordinamento della holding italiana. In tali ipotesi può essere di aiuto la prevalenza di asset esteri in portafoglio (Assonime n. 67/07). Tuttavia lo stesso rilievo viene talvolta utilizzato anche nei confronti di società operative. Ciò porterebbe al paradosso estremo che tutte le consociate di una multinazionale siano da considerarsi residenti nello Stato di stabilimento della capogruppo (Assonime nota 17/16). Nell’ambito del contenzioso relativo a queste tematiche è quindi da tenere in debita considerazione quanto affermato dalla Cassazione (sentenza n. 43809/15), che ha per la prima volta posto l’accento sulla liceità – e normalità – dell’attività di direzione e coordinamento (articolo 2497 Codice civile) introdotta con la Riforma Vietti. Pertanto, è del tutto fisiologico che gli impulsi sulla controllata non residente promanino dalla controllante italiana, in quanto ciò che rileva ai fini della contestazione di esterovestizione sono solo le costruzioni di puro artificio. Di conseguenza, la semplice nozione di ufficio che, ai sensi dell’articolo 162 del Tuir, ha i connotati per configurare una stabile organizzazione, potrà essere positivamente valutata altresì come luogo di effettivo esercizio dell’attività d’impresa.
Venendo, invece, alla stabile organizzazione, nei gruppi multinazionali si assiste sempre di più alla tendenza di insediarsi all’estero non attraverso strutture societarie (subsidiaries), bensì con stabili organizzazioni (branch), che rispondono all’esigenza di una maggiore flessibilità e semplificazione societaria. Questa è la situazione fisiologica che trova ampio riscontro. Differente è il caso patologico in cui un soggetto non residente nasconde la propria attività economica al fisco italiano, in quanto viene celato il soggetto passivo e la sua conseguente produzione di reddito in Italia. Nella pratica, la controllata residente mette a disposizione del soggetto non residente attrezzature e personale, ospitando al proprio interno una stabile organizzazione occulta come fosse una “enclave”.
Tra le due situazioni estreme esiste poi la normalità di subsidiaries svuotate di funzioni allocate nelle capogruppo o in altre entità (principal companies) deputate alla ricerca e sviluppo o alla gestione degli intangibles. Ciò, tuttavia, non deve condurre alla semplicistica conclusione che tutte le entità locali di un gruppo multinazionale siano stabili occulte (Assonime, nota 17/16). Occorrerebbe, infatti, considerare il livello di tassazione della controllante non residente, in quanto se la stessa non è localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata né beneficia di regimi agevolativi o di ruling, non vi è motivo per erodere la base imponibile italiana. Quindi, la semplice contestazione legata alla limitata autonomia e sostanziale dipendenza della controllata italiana non può essere sufficiente, di per sé, a configurare una stabile occulta. Né tantomeno basta l’individuazione di fumose funzioni ultronee rispetto al business (Cassazione n. 3773/12).
In un contesto che dovrebbe incentivare l’afflusso di investimenti esteri sarebbe, pertanto, opportuno un approccio che contrasti le sole costruzioni di puro artificio.

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La prestazione del professionista segue il fabbricato

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 27 Dicembre 2016 di Michele Brusaterra, Matteo Mantovani e Benedetto Santacroce

LA RICLASSIFICAZIONE DELLE PRATICHE

Le nuove regole sulle prestazioni relative ai beni immobili mettono definitivamente fuori gioco alcune interpretazioni nazionali tra cui quelle relative alle prestazioni dei professionisti collegate agli atti di compravendita, ovvero le attività di sorveglianza degli immobili ovvero alcune tipologie di contratti di deposito. Il regolamento 1042/2013 specifica che solo uno stretto e diretto collegamento con i beni immobili qualifica le prestazioni di servizio tra quelle per i quali l’Iva si applica nello Stato in cui il bene stesso è situato (articolo 7-quater, Dpr 633/72).
Le prestazioni
In base alla nuova disciplina e (Regolamento 1042/2013/Ue) si considerano relativi a beni immobili:
i servizi nei confronti dei quali il bene immobile è un elemento costitutivo del servizio ed è essenziale e indispensabile per la sua prestazione;
i servizi erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica di tale bene.
La definizione d’ordine generale è poi supportata nel regolamento attraverso una dettagliata elencazione, in positivo e in negativo, dei servizi riconducibili (o meno) alla categoria immobiliare. In termini pratici, è questa la parte più importante dell’intervento Ue ed è quello che evidenzia proprio i contrasti con l’interpretazione interna.
In particolare, il regolamento include fra le prestazioni immobiliari anche i servizi legali riguardanti cessione o trasferimento di proprietà di immobili (e connessi diritti), quali le pratiche notarili o la stesura di contratti di compravendita (anche se l’operazione non va a buon fine). Le Entrate, al contrario, nella circolare 37/E/2011 hanno adottato un approccio più restrittivo, escludendo tout court dalle prestazioni in questione – con implicito rinvio ai servizi generici – l’attività dell’avvocato relativa alla predisposizione dell’atto di vendita di un immobile o l’attività del tributarista relativa alla valutazione dei profili fiscali dell’operazione, ancorché riferiti a un immobile specificamente individuato; questo perché, in generale, esulano dall’ambito applicativo dell’articolo 7-quater del Dpr 633/72. Vanno considerati di natura immobiliare, inoltre, l’elaborazione di planimetrie per un fabbricato destinato a un particolare lotto di terreno, a prescindere dal fatto che lo stesso sia costruito; il rilevamento e la valutazione del rischio e dell’integrità di beni immobili e la loro valutazione, anche a fini assicurativi, nonché le opere agricole (in particolare servizi quali il dissodamento, la semina, l’irrigazione e la concimazione), i servizi di pulizia e i servizi di sorveglianza e sicurezza (ai quali, al contrario, nella circolare Assonime n. 1 del gennaio 2013, è attribuita natura generica).
La gestione
L’attività di gestione immobiliare è connessa all’immobile solo quando non è mera gestione del portafoglio di investimenti. Il regolamento consente di eliminare anche i dubbi attorno alla qualificazione delle prestazioni di deposito merci. Per le Entrate (circolare 28/E/2011) sarebbero sempre di natura generica, mentre l’Ue – in linea con la sentenza della Corte di giustizia C-155/12 – adotta un canone di valutazione connesso alle caratteristiche del contratto sottostante, per cui il deposito integra una prestazione relativa agli immobili laddove sia prevista l’attribuzione di una parte specifica dell’edificio ad uso esclusivo del committente/depositante ovvero, in mancanza di siffatta attribuzione, una prestazione generica.

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Tra Svizzera e San Marino scambio automatico delle informazioni

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 2 Dicembre 2016 di Paolo Bernasconi e Alessandro Galimberti

Lotta all’evasione. L’accordo sottoscritto ieri a Roma dalle delegazioni

Nel giorno in cui Svizzera e San Marino firmano (a Roma) un accordo per lo scambio automatico di informazioni fiscali, il governo di Berna annuncia che a breve (2019) estenderà lo standard di trasparenza tanto caro all’Ocse ad altri 19 paesi, da Andorra all’Argentina, a Barbados, Bermuda, Brasile, Cile, Groenlandia, Isole Caiman, Isole Faroe, Isole Turcks e Caicos, Isole Vergini britanniche, India, Israele, Maurizio, Messico, Monaco, Nuova Zelanda, Seychelles e Uruguay.
Per la piazza finanziaria alpina, e per migliaia di investitori italiani ancora “coperti” attraverso “veicoli” transitati dalla Confederazione verso i paradisi un tempo remoti, è un’altra notizia destabilizzante. Il Parlamento aveva già approvato lo scambio con i 28 dell’Unione Europea ed anche con l’Australia. Ora però, sensibilizzato dalla lista Falciani, il governo svizzero va ad aprire persino numerose piazze off shore caraibiche che hanno fornito migliaia di società paravento alle fiduciarie elvetiche, e persino quel Brasile da cui la marea di centinaia di milioni corruttori di Petrobras ha inquinato una quarantina di banche rossocrociate.
Stupisce la motivazione della apertura di “credito”: si tratterebbe di Paesi il cui sistema legale e amministrativo viene riconosciuto da Berna tale da fornire sufficienti garanzie di rispetto della confidenzialità e di protezione dei dati finanziari che saranno trasmessi tramite il fisco. In caso di violazioni, però, come potranno difendersi i clienti di banca sottoposti alla sovranità fiscale di Paesi spesso disamministrati e in testa alla lista dei corrotti ?
Ci si attendeva un periodo di sperimentazione dello scambio automatico, per sondare il meccanismo, almeno cinque anni di rodaggio, con gli Stati membri dell’Ue,dove figurano Paesi di rating CCC dal punto di vista dell’integrità ed efficienza della Pa.Ad accelerare il corso (o la rincorsa) di allineamento della Svizzera è forse l’ennesima minaccia da parte del Global Forum. La partita sembra chiusa, anche se qualcuno confida ancora nella proverbiale prudenza del Parlamento svizzero che dovrà ratificare ad uno ad uno questi accordi, sottoposti tra l’altro alla clausola referendaria popolare.
Il futuro della piazza bancaria svizzera, in ogni caso, sarà sottoposto alla difficile coesistenza fra le forme più diverse di cooperazione fiscale: scambio automatico, segnalazione spontanea o su domanda,comprese le domande raggruppate, cooperazione fra autorità autoriciclaggio, ma anche fra autorità penali nell’interesse di procedimenti penali esteri per riciclaggio del provento di frodi fiscali,oltre alle 500 rogatorie trattate ogni anno dalla Finma (la Consob svizzera).

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San Marino, stop all’invio per le fatture ricevute dal 2017

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 12 Dicembre 2016 di Giampaolo Giuliani

Comunicazioni Iva. Il Dl fiscale abolisce l’adempimento

Ha i giorni contati la comunicazione all’agenzia delle Entrate tramite il modello polivalente delle importazioni dalla Repubblica di San Marino per quanto riguarda l’Iva. La legge di conversione del decreto fiscale (Dl 193/2016) ha infatti introdotto una disposizione (articolo 7-quater, commi 21 e 22) che abolisce questo adempimento dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017».
In particolare, il decreto fiscale cancella l’articolo 16, lettera c), del decreto ministeriale del 24 dicembre 1993, che impone all’acquirente italiano, nel caso di importazioni da San Marino con fattura senza addebito d’imposta, di comunicare i dati della transazione all’agenzia delle Entrate utilizzando il modello di comunicazione polivalente e compilando il quadro SE. L’invio deve essere fatto telematicamente tramite il modello polivalente entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di annotazione nei registri.
L’abrogazione della comunicazione dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017» merita un approfondimento, perché, per come è formulato il decreto ministeriale del 1993, vi sono margini di incertezza su quando sarà operativa l’abolizione della lettera c) dell’articolo 16.
Il decreto che regola i rapporti di scambio con la Repubblica di San Marino non è stato aggiornato rispetto ai cambiamenti introdotti nelle disposizioni generali previste dal Dpr 633/72, e questo costringe spesso operatori e interpreti a trovare delle soluzioni “fai-da-te”. Così, in questo caso, si rilevano due discrasie nel decreto ministeriale che rendono necessario forzare l’applicazione delle vecchie norme.
Il primo problema riguarda l’articolo 16, lettera a), il quale prevede che gli operatori italiani corrispondano «l’imposta a norma dell’articolo 17, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 indicandone l’ammontare sull’originale fattura rilasciatagli dal fornitore sammarinese». Considerate le modifiche introdotte a partire dal 2010 all’articolo 17, è evidente che l’imposta non possa essere materialmente assolta secondo le disposizioni contenute nel terzo comma, ma sulla base di quanto stabilito nel secondo comma. Infatti, attualmente Il terzo comma disciplina l’istituto del rappresentante fiscale.
Il secondo problema riguarda le modalità di registrazione della fatture da cui dipende la compilazione del modello polivalente. L’articolo 16, lettera b), del decreto ministeriale del 1993 stabilisce infatti che le fatture siano annotate «nei registri previsti dagli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 e successive modifiche e integrazioni, secondo le modalità e i termini in essi stabiliti». Ma i termini di registrazione stabiliti nell’attuale versione dell’articolo 23 non contemplano quelli per le annotazioni di fatture emesse da fornitori non residenti per l’acquisto di beni. Si ritiene comunque di poter seguire le indicazioni generali dettate dal comma 1 dell’articolo 23, per cui «il contribuente deve annotare entro 15 giorni le fatture emesse nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione». Nel caso di acquisti da San Marino, la data di emissione è la data di ricevimento della fattura originale, munita del visto apposto dall’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e rilasciata dal cedente sammarinese.
In definitiva, chi ha effettuato acquisti da San Marino, senza che il fornitore abbia addebitato l’imposta, deve inserire nel modello polivalente, da inviare per l’ultima volta entro il 31 gennaio 2017, tutte le fatture ricevute entro il 31 dicembre 2016 che possono essere annotate nel registro delle fatture emesse entro il 15 gennaio, ma con riferimento al mese di dicembre. L’annotazione nel registro degli acquisti va effettuata prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale si detrae l’imposta.
Dovendo ricevere fatture originali munite di visto, l’acquirente italiano deve attendere il documento pervenuto tramite posta, corriere o consegnato dal fornitore o per suo conto. Non valgono copie inviate tramite fax o mail. Quindi, considerati i ritardi delle poste per le festività natalizie, è facile ipotizzare che molti acquisti effettuati nell’ultimo periodo dell’anno presso fornitori sammarinesi non dovranno essere oggetto di comunicazione.

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Direttiva madre-figlia alternativa alla convenzione

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 30 Dicembre 2016 di Giacomo Albano

Doppie imposizioni. Per i giudici della Suprema Corte i due istituti convivono ma non sono cumulabili

La direttiva madre-figlia, ancorché adottata dopo una convenzione contro le doppie imposizioni, non comporta il superamento della convenzione bilaterale; al contrario, direttiva e convenzione operano congiuntamente, ma secondo un regime di alternatività.
Lo ha chiarito la sentenza della Cassazione 27111/16 del 28 dicembre, con cui è stato respinto il ricorso di una società tedesca che chiedeva l’applicazione del regime di favore previsto dalla convenzione Italia-Francia in relazione ai dividendi distribuiti da una società italiana.
La controversia riguarda una società figlia italiana che aveva distribuito dividendi alla controllante tedesca in esenzione da ritenuta sussistendo i presupposti per l’applicazione della direttiva madre-figlia.
La mamma tedesca – incassato il dividendo – presentava istanza per ottenere il riconoscimento del credito d’imposta in base all’articolo 10, comma 4, lettera b) della convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni. La disposizione pattizia (non più applicabile a seguito dell’introduzione in Italia del regime di participation exemption) prevede che una società residente in Francia che riceve dividendi da una società italiana – e che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un soggetto italiano – ha diritto ad un pagamento pari a metà di tale credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista dalla convenzione stessa (5 o 15% a seconda dei casi).
Per la società tedesca la mancata concessione del regime del credito d’imposta anche alla mamma tedesca – soggetta ad in regime di tassazione sui dividendi analogo a quello delle società francesi – costituirebbe una violazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali.
I giudici di legittimità hanno respinto la tesi societaria, chiarendo anzitutto che – pur perseguendo analogo obiettivo – direttiva e convenzione prevedono modalità alternative per l’eliminazione della doppia imposizione e si trovano a convivere nell’ordinamento Ue e nazionale, senza che la direttiva implichi un automatico superamento delle convenzioni bilaterali. Con riferimento ai dividendi, in particolare, il contribuente può optare per la modalità più conveniente tra quelle previste dalle due fonti: esenzione da ritenuta e credito d’imposta.
Pertanto, è priva di fondamento la tesi secondo cui l’estensione, a favore di società madri Ue, del regime previsto dalla convenzione Italia Francia risponderebbe alla necessità di evitare benefici “speciali” alle società francesi, in quanto anche le controllanti tedeschi (e in generali Ue) possono fruire della direttiva. Al contrario, proprio la concessione del credito d’imposta – in aggiunto al regime di esenzione Ue – comporterebbe un cumulo dei benefici non consentito neanche ad una società francese.

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Scambio dati anche sulle attività finanziarie in trust

17 Gennaio 2017

Il Sole 24 Ore 31 Dicembre 2016 di Marco Piazza

Fisco internazionale. Analisi del gruppo di studio dell’Ordine dei commercialisti di Milano sugli obblighi di reportistica

Il ruolo dei trust nello scambio automatico di informazioni è un tema dal quale non si può ormai più prescindere per verificare la tenuta delle strutture estere di cui direttamente o indirettamente siano detentori persone fisiche residenti in Italia.
Da un comunicato stampa dell’Ocse del 22 dicembre risulta che 110 giurisdizioni hanno dato disponibilità ad aderire alla procedura di Common reporting standard; che entro marzo del 2017 saranno stipulati 1.459 accordi bilaterali che prevedono lo scambio entro settembre del 2017, con riferimento a dati relativi al 2016 (di questi 1.133 sono già stati stipulati); e che entro questa data dovrebbero essere anche perfezionati gli accordi bilaterali con gli Stati che si sono impegnati a scambiare le informazioni dal 2018 per il 2017.
Anche le informazioni sulle attività finanziarie detenute in trust saranno oggetto di scambio. I titolari effettivi residenti in Italia devono quindi dare per scontato che presto non potranno più confidare sull’anonimato e quindi devono chiedersi se il trust sia o meno interposto, se sia effettivamente residente all’estero e se l’interessato stia o meno applicando correttamente le disposizioni italiane sulla compilazione del quadro RW (che impongono ai titolari effettivi di indicare le attività detenute all’estero per mezzo di trust (approccio look through).
È quindi particolarmente tempestiva e utile l’analisi compiuta dal Gruppo di studio trust e common reporting standard presso l’Ordine dei dottori commercialisti di Milano (estensori Paolo Ludovici, Marco Salvatore, Andrea Tavecchio, Stefania Tomasini) sugli obblighi di reportistica dei trust e dei trustee secondo le linee guida Ocse sul Crs.
Il trust può essere coinvolto nella proceduradi scambio:
sia come «istituzione finanziaria», direttamente soggetta agli obblighi di reportistica;
sia come «entità non finanziaria passiva»; in questo caso le attività finanziarie del trust depositate, amministrate o gestite da altre istituzioni finanziarie sono oggetto di comunicazione da parte di queste ultime.
In entrambi i casi, la comunicazione è trasmessa allo Stato di residenza dei soggetti che siano i disponenti, i protettori, i trustee, i beneficiari e gli altri soggetti che esercitano un controllo effettivo sul trust. Si considerano sempre beneficiari i soggetti che hanno diritto di ricevere una distribuzione obbligatoria; i beneficiari che hanno diritto di ricevere una distribuzione discrezionale sono “comunicati” solo nell’anno in cui la distribuzione viene effettuata o è effettuabile nel caso in cui il trust sia una istituzione finanziaria, mentre nel caso in cui il trust sia una entità non finanziaria passiva solo qualora la legislazione domestica del segnalante abbia esercitato una specifica opzione.
Sebbene i soggetti da segnalare in entrambe i casi coincidano sostanzialmente, la qualificazione del trust come istituzione finanziaria o come entità non finanziaria passiva incide sulle informazioni che verranno comunicate, come evidenziato nelle tabelle riepilogative dello studio.
Il trust è un’«istituzione finanziaria» quando, congiuntamente:
il reddito del trust è prevalentemente attribuibile ad attività finanziarie, nei tre anni precedenti;
gli attivi del trust sono gestiti da una istituzione finanziaria (a questo proposito è il caso di ricordare che l’elenco delle istituzioni finanziarie è stabilito dalla legislazione attuativa di ciascun Paese e quindi può comprendere anche soggetti diversi dagli intermediari finanziari tipici, come le banche e le le società di investimento; per esempio, la legislazione di Singapore considera istituzione finanziaria qualsiasi trust company autorizzata).
Il trust è invece una «entità non finanziaria passiva» quando:
il suo reddito sia costituito per almeno il 50% da «passive income» (dividendi, interessi, affitti, canoni, plusvalenze derivanti da attività «passive») e
le attività detenute al termine dell’anno solare o di rendicontazione precedente sia costituito per almeno il 50% da attività «passive».
I cosiddetti «trust holding» non sono considerati entità non finanziarie passive quando detengono essenzialmente società controllate impegnate nell’esercizio di un’attività economica o commerciale a cui forniscono finanziamenti e servizi, salvo che non si tratti di veicoli di investimento la cui finalità sia di acquisire o finanziare società detenute come capitale fisso ai fini di investimento (un concetto che pare simile a quello di holding “passiva”, di mera detenzione di partecipazioni).

Doing business in San Marino

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