L’amministratore di fatto della società evita le sanzioni per gli illeciti fiscali

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 8 OTTOBRE 2018 di Fabrizio Cancelliere e Gabriele Ferlito

ACCERTAMENTO

Per il decreto legge 269/03 paga la persona giuridica destinataria della rettifica

La Ctr Lombardia interpreta in chiave garantista le nuove disposizioni

L’amministratore di fatto non può rispondere, neanche a titolo di concorso, delle sanzioni per le violazioni fiscali riferibili alla società, in quanto la responsabilità ricade unicamente su quest’ultima. Lo ha affermato la Ctr Lombardia con la sentenza 2546/18/2018 (presidente Martorelli e relatore Grigillo).
La vicenda nasce da un atto di contestazione emesso dalla direzione provinciale di Milano, con il quale vengono irrogate ingenti sanzioni amministrative per l’anno 2009 nei confronti di una persona fisica ritenuta amministratore di fatto di una società destinataria di un accertamento fiscale. Il contribuente impugna il provvedimento lamentando tra l’altro di non essere mai stato amministratore – nemmeno di fatto – della società e che, comunque, non può sussistere alcuna sua responsabilità amministrativa ai sensi dell’articolo 7 del Dl 269/2003, il quale ha introdotto nell’ordinamento il principio di riferibilità esclusiva delle sanzioni in capo alla persona giuridica oggetto di accertamento fiscale.
I giudici di primo grado annullano l’atto impositivo e la sentenza è integralmente confermata dalla Ctr. I giudici d’appello, richiamando sul tema numerose sentenze della Cassazione (25284/2017, 4775/2016 e 12007/2015), ricordano che l’articolo 7 del Dl 269/2003 ha introdotto il principio per cui la responsabilità per le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società ed enti con personalità giuridica è posta solo a carico della persona giuridica.
Pertanto, con l’entrata in vigore di questa norma non sono più applicabili le regole originariamente introdotte dalla riforma del sistema sanzionatorio realizzata con il Dlgs 472/1997 che, accogliendo il modello afflittivo tipico delle sanzioni penali basato sul principio di personalità della sanzione, aveva optato per l’applicabilità della sanzione tributaria in capo all’autore materiale dell’illecito. In particolare, afferma la Ctr, il Dl 269/2003 non prevede alcuna eccezione al principio di riferibilità della sanzione amministrativa tributaria alla sola persona giuridica cui è indirizzata la rettifica fiscale. Anzi, conclude la Ctr, non solo non esiste alcuna eccezione esplicita con riferimento alla posizione di un eventuale amministratore di fatto della società accertata, ma una tale conclusione non si può desumere nemmeno sulla base dell’articolo 9 del Dlgs 472/1997 che disciplina l’istituto del concorso di persone nella violazione tributaria. Infatti il Dl 269/2003 non solo è stato introdotto in un momento successivo rispetto al predetto articolo (ciò che, nel ragionamento dei giudici, depone nel senso che quest’ultimo non costituisce una deroga al principio previsto dal primo), ma in ogni caso prevede l’applicabilità delle disposizioni recate dal Dlgs 472/1997 «solo in quanto compatibili». Ed evidentemente per i giudici l’istituto del concorso non è compatibile con il sistema di responsabilità sanzionatoria “esclusiva” introdotto per le società e gli enti con personalità giuridica dal Dl 269/2003.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il fornitore paga il conto Iva per il falso esportatore abituale

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 11 OTTOBRE 2018 di Rosanna Acierno

OPERAZIONI CON L’ESTERO

Contestata la responsabilità anche se si è ignari dell’intento fraudolento

Confermato ieri dal governo che il protocollo di ricezione non è un’autorizzazione

Operazioni con gli esportatori abituali nel mirino del Fisco. Sempre più di frequente, infatti, le verifiche da parte della Guardia di finanza e dell’agenzia delle Entrate si concentrano sulle cessioni effettuate nei confronti degli operatori commerciali che invocano il diritto all’acquisto senza addebito dell’Iva attraverso lettere di intento.
L’articolo 8 del Dpr 633/72 consente agli operatori commerciali che nell’anno solare o nei 12 mesi precedenti hanno effettuato cessioni all’esportazione superiori al 10% del volume d’affari dello stesso periodo («plafond»), di acquistare beni e/o servizi senza l’applicazione dell’Iva per evitare che i contribuenti, in qualità di esportatori abituali, si trovino sempre a credito di imposta. A tal fine, se fino al 31 dicembre 2014 era sufficiente che l’esportatore abituale presentasse al fornitore una mera lettera di intento, dal 2015, invece, è stato previsto in capo allo stesso l’obbligo di presentare al fornitore, unitamente alla dichiarazione di intento, anche la relativa ricevuta di trasmissione alle Entrate (articolo 20 Dlgs 175/2014). Tuttavia, nonostante la stretta sugli obblighi in capo agli esportatori abituali, sono ancora molte le frodi ideate proprio da alcuni operatori che presentano a fornitori “false lettere di intento” senza avere i requisiti per essere considerati esportatori abituali o “lettere di intento ideologicamente false” laddove, pur avendo effettuato nell’anno precedente operazioni utili alla costituzione del plafond, acquistano la merce in esenzione Iva non per esportarla, ma per venderla nel mercato interno a prezzi inferiori rispetto a quelli generalmente praticati. Questo peraltro anche alla luce della circostanza, emersa proprio ieri in sede di risposta fornita dal governo a una interrogazione parlamentare, che a oggi il protocollo di ricezione rilasciato dalle Entrate non equivale a un’autorizzazione e non presume alcun controllo preventivo sull’eventuale plafond disponibile o sulla reale qualifica di esportatore abituale. In questi casi, scoperta la frode, non riuscendo più a rivalersi sui finti esportatori perché, spesso, risultano essere cartiere che nel frattempo hanno cessato l’attività, il Fisco presenta il conto dell’Iva non addebitata in fattura ai fornitori che, ignari del piano evasivo, non capiscono le ragioni della pretesa erariale laddove per la merce venduta hanno ricevuto puntuali pagamenti mediante mezzi tracciabili.
In particolare, le contestazioni dei verificatori nei confronti dei fornitori muovono dal presupposto che, anche in assenza di un sistema di responsabilità oggettiva, il diritto alla detrazione Iva sugli acquisti di merci poi rivendute in esenzione di imposta può essere negato dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui si dimostri che il cedente sapeva o avrebbe dovuto sapere della sua partecipazione ad una frode, a nulla rilevando la circostanza che egli non ne abbia tratto beneficio. In sostanza, secondo il Fisco il fornitore è chiamato a rispondere dell’Iva non addebitata in fattura non soltanto nei casi in cui era pienamente consapevole della frode ideata dal finto esportatore, ma anche tutte le volte in cui avrebbe dovuto intuire l’intento fraudolento.
A sostegno di questa tesi, generalmente, l’Amministrazione cita alcune pronunce giurisprudenziali di legittimità secondo cui l’obbligo del fornitore di assolvere successivamente l’Iva sui beni ceduti in esenzione di imposta può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode. Pertanto, ove non riesca a provare la sua buona fede e di aver adottato un comportamento prudente e diligente, il fornitore rimane esposto al recupero dell’Iva, a prescindere dal conseguimento di un vantaggio economico o finanziario (Cassazione, sentenze 176/2015, 7389/2012, 12751/2011).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Nel 2018 raddoppiati i siti di polizze false

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 13 OTTOBRE 2018 di Federica Pezzatti
L’Ivass ha già individuato oltre 85 indirizzi internet pirata, contro i 50 scovati nell’intero 2017 Le frodi sono nell’Rc Auto
Continua la proliferazione dei siti pirata nel settore assicurativo. Dopo casi sporadici del 2015 e del 2016,nell’ultimo biennio il fenomeno sta diventando quasi virale. Giusto per dare un’idea, mentre stiamo scrivendo questo articolo c’è giunta in redazione la segnalazione dall’Ivass di altri tre siti farlocchi scovati dall’Authority. Questa volta si chiamano www.genialitaly.com, www.admiraassicurazionionline.com e www.assicurazione-airone.it. Il copione è sempre il medesimo, si clonano nomi noti per fare cadere in trappola consumatori che vanno su internet in cerca di risparmiare sulla polizza obbligatoria Rc Auto.
Fa il punto sul problema Roberto Copia, responsabile della divisione vigilanza intermediari Ivass, che fornisce anche uno spunto di riflessione, si domanda infatti: «quanti dei 2,8 milioni di veicoli immatricolati che nel 2017 risultavano sprovvisti di copertura assicurativa potrebbero in realtà essere assicurati da una polizza falsa acquistata via web con un intermediari irregolari?». Nella rete finiscono anche i cosiddetti Millennials, giovani con elevate capacità di interazione tramite strumenti informatici, ma del tutto a digiuno di conoscenze assicurative.
L’impatto economico e sociale del fenomeno è notevole. «I cittadini per risparmiare rischiano di perdere denaro e incorrere nelle sanzioni previste per assenza di copertura assicurativa (multa sequestro del veicolo e ritiro della patente) – spiega Copia –. Non solo, chi viene danneggiato da veicoli circolanti privi di valida copertura assicurativa deve chiedere l’indennizzo al Fondo di garanzia delle vittime della strada, alimentato da tutti gli assicurati (con quel 2,5% di ciascun premio Rc auto pagato sulle polizze)».
Ivass sta cercando di arginare il fenomeno: una volta che l’Authority appura che un sito segnalato non è riconducibile a un intermediario iscritto al registro Unico, pubblica sul proprio sito internet un comunicato stampa per informazione e tutela dei risparmiatori e contemporaneamente segnala il reato all’autorità giudiziaria. L’Authority segnala il caso anche al registro nazionale di domini e agli emittenti di carte nonché agli uffici commerciali e alle unità antifrode delle compagnie.Vi sono inoltre operazioni di sensibilizzazione e divulgazione operate in altri ambiti.
I consigli
Non mancano i consigli per i risparmiatori: in primis quello di rivolgersi al contact center (800.48.66.61) che fornisce pratici suggerimenti quando si hanno dei sospetti. Poi controllare il sito e insospettirsi nel caso in cui il pagamento del premio sia a favore di contonline o carte di credito intestate a persone diverse dall’intermediario iscritto al Rui. Controllare l’elenco dei siti irregolari sul sito internet Ivass. Infine una volta assicurati controllare il contratto facendo attenzione anche alle piccole imperfezioni o errori materiali. Infine controllare anche l’effettiva copertura del proprio veicolo rintracciabile sul sito www.ilportaledellautomobilista.it.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Stipendi in contanti, sanzioni per società e amministratore

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 15 OTTOBRE 2018 di Gianpaolo Giuliani

Nel caso di pagamento in contanti delle retribuzioni è perseguibile la società o l’amministratore?
F.D.TARANTO
Ad essere tenuto al pagamento della sanzione, che va da mille a 5.000 euro è il datore di lavoro e, dunque, la società. Sul piano concreto è però l’amministratore (unico, delegato, altra figura similare) a trovarsi investito dell’obbligo di osservare o fare osservare le norme e le disposizioni che regolano i vari aspetti del rapporto di lavoro. Di conseguenza sarà anche lui il destinatario del provvedimento sanzionatorio.
In ogni caso l’articolo 6, della legge 689/1981 dispone la responsabilità solidale. Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta. L’ultimo comma della norma indicata concede a chi ha pagato il diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione.

 

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Decreto Delegato 31 Ottobre 2018 n.138 – Semplificazione per la presentazione del Bilancio degli Operatori Economici

13 Dicembre 2018

Si allega testo completo del Decreto Delegato nr 138 del 31 Ottobre 2018 che semplifica le modalità di trasmissione del Bilancio degli Operatori Economici.

Dal 1° gennaio 2019 sarà infatti più facile presentare il Bilancio d’Esercizio e inviare lo stesso  in un unico  formato elettronico  (XBRL) direttamente all’Ufficio Attività Economiche (già Ufficio Industria Artigianato e Commercio).

D.D. 31 Ottobre 2018 nr 138

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Compensi al manager, la rinuncia va nel contratto

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 4 OTTOBRE 2018 di Angelo Busani

CASSAZIONE

Il mancato sollecito dei pagamenti non equivale a un rifiuto esplicito

Incarico di amministratore sempre a titolo oneroso salvo clausole statutarie

L’incarico di amministratore di società si presume a titolo oneroso; il compenso è dovuto all’amministratore a prescindere dal fatto che egli lo richieda; la gratuità dell’incarico può derivare da una apposita clausola in tal senso contenuta nello statuto della società o nel contratto con il quale viene conferito l’incarico di amministrazione; l’amministratore può rinunciare, anche tacitamente al compenso che gli sarebbe dovuto.
Questa serie di rilevanti principi viene enunciata dalla Cassazione nell’ordinanza n. 24139 depositata ieri che cassa la sentenza della Corte d’appello di Trieste che, a sua volta, aveva accertato la rinuncia, per «comportamento concludente», da parte di un amministratore di Srl, al compenso spettante per aver svolto il ruolo di amministratore per un quinquennio; e ciò, in difformità alla decisione del giudice di primo grado il quale, invece, aveva riconosciuto il diritto al compenso.
La Corte d’appello aveva negato il diritto al compenso rilevando che, per tutta la durata della sua permanenza in carica, l’amministratore non aveva mai chiesto alcun compenso e aveva anche omesso di convocare l’assemblea dei soci per deliberare il compenso a lui spettante; la richiesta di compenso non venne avanzata nemmeno quando questi aveva preannunciato le proprie dimissioni né quando le aveva in effetti rassegnate. Solo un paio d’anni dopo la cessazione dall’incarico, aveva preteso di essere retribuito.
Dopo aver ricordato che il mandato di amministrazione si presume oneroso, la Cassazione afferma che non vi è ragione di ritenere che il diritto a percepire il compenso rimanga subordinato a una richiesta che l’amministratore rivolga alla società amministrata durante lo svolgimento del relativo incarico: con l’accettazione della carica, l’amministratore di società acquisisce il diritto a essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Un’eventuale gratuità dell’incarico può derivare, di conseguenza, unicamente da una apposita previsione dello statuto della società interessata o da una apposita clausola del contratto di amministrazione.
Questo non toglie, naturalmente, che l’amministratore possa rinunciare al compenso (al riguardo, è utile rammentare che nella sentenza 18643/2018, la Cassazione, chiamata a decidere sulla questione della tassazione del compenso degli amministratori di società, ha ritenuto che la percezione di un compenso non si può presumere, ma deve essere dimostrata dal Fisco). Si tratta di una rinuncia che può essere sia formulata in modo espresso, sia manifestata attraverso un «comportamento concludente»: tuttavia, per il configurarsi di quest’ultima evenienza, occorre che il rinunciante tenga un atteggiamento «oggettivamente e propriamente incompatibile» con la volontà di mantenere il suo diritto.
Ebbene, non può considerarsi tale un comportamento solo omissivo, come quello di non richiedere il pagamento del compenso durante lo svolgimento dell’incarico: infatti, un comportamento solo omissivo non può integrare gli estremi di una rinuncia tacita in quanto esso è tutt’altro che inequivoco e, anzi, è particolarmente ambiguo. Basta pensare cha la mera inerzia ben può esprimere una semplice tolleranza del creditore o anche riflettere una situazione di pura disattenzione. Più in generale, vi è da constatare che conferire rilevanza alla mera inerzia del creditore significa ridurre indebitamente il termine di legge per la prescrizione del diritto.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Omessa iscrizione all’Aire sanabile con le convenzioni

10 Settembre 2018

Il Sole 24 Ore 28 AGOSTO 2018 di Marco Piazza

in caso di espatrio

Al giudice va ricordato che la forma può essere superata

Non cancellarsi dall’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr) quando si emigra può avere conseguenze fiscali molto gravi. Ma esiste un rimedio se fra l’Italia e lo Stato estero in cui il contribuente ha trasferito la propria residenza c’è una convenzione contro le doppie imposizioni. Occorre però che sia l’interessato a contestare in giudizio il comportamento dell’Ufficio che non abbia tenuto conto del trattato. Altrimenti si rischia di alimentare un filone, già piuttosto significativo di sentenze della Cassazione, che possono indurre, erroneamente, a ritenere che la norma interna prevalga in ogni caso quella pattizia.
In Italia, come nella maggior parte delle giurisdizioni, si applica il principio secondo cui i soggetti residenti nel territorio dello Stato sono soggetti a imposizione sui redditi ovunque prodotti (in Italia e all’estero), mentre i soggetti non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti in Italia (articolo 3, comma 1 del Dpr 917/1986).
Per determinare la residenza fiscale delle persone fisiche, si deve fare riferimento all’articolo 2, comma 2 del Testo unico, in base al quale si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta:
sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente (requisito formale);
oppure hanno nel territorio dello Stato, secondo il Codice civile, la residenza (cioè l’abituale e volontaria dimora), o il domicilio (cioè la sede principale dei propri affari ed interessi), requisiti che presuppongono accertamenti di fatto relativi ad elementi sia oggettivi sia soggettivi.
Inoltre, come stabilito dall’articolo 2, comma 2-bis, si considerano residenti, salvo prova contraria del contribuente, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori individuati nella black list di cui al Dm 4 maggio 1999. I tre requisiti individuati nel comma 2 sono tra loro “alternativi” e non concorrenti; sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.
È però frequente che, anche per semplice ignoranza delle procedure, soggetti residenti in Italia che emigrino definitivamente per motivi di lavoro o familiari, omettano di ottenere la cancellazione dalle anagrafi dei soggetti residenti e di iscriversi, se necessario, all’Aire.
In questi casi, il tenore letterale della norma non lascia scampo. Il soggetto continua ad essere considerato residente fiscalmente in Italia anche se ha tagliato tutti i ponti con il nostro Paese. L’effetto è, il più delle volte, che risulta essere soggetto a tassazione sia nello Stato di effettiva residenza, sia in Italia sui redditi ovunque prodotti nel mondo. La Cassazione sul punto è inflessibile. A partire dalla sentenza 1215/1998 si è consolidata la massima che l’iscrizione «nelle anagrafi della popolazione residente» deve ritenersi, in materia fiscale, dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta. In altri termini in materia fiscale la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico. A questa pronuncia si sono rifatte diverse successive sentenze dello stesso Collegio, fra le quali la 1783/99; la 9319/06, la 677/15, la 21970/15 e di recente l’ordinanza 16634 /18.
Ciò che lascia perplessi è che quattro di queste sentenze riguardano soggetti emigrati in Stati con i quali era in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni (Stati Uniti nella sentenza 1783; Svizzera (677); Romania (21970) e Regno Unito (16634) del tutto trascurata sia nella descrizione dei fatti sia nella motivazione e che probabilmente, se ne fosse tenuto conto, gli esiti del contenzioso sarebbero stati ribaltati.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Vantaggi fiscali anche per la holding «statica»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Luca Miele

Cassazione. Riconosciuta a una società francese, ritenuta di comodo dai giudici di merito, la posizione di beneficiario effettivo

L’interpretazione della nozione convenzionale di “beneficiario effettivo” dei dividendi percepiti deve tenere conto della natura e delle funzioni svolte dalle holding statiche di partecipazione. La sentenza della Corte di cassazione n. 27113 del 28 dicembre 2016 rappresenta un significativo tassello nell’ambito del tema del beneficiario effettivo, spesso oggetto di controversie fiscali e tuttora in cerca di stabilità a livello legislativo.
Il caso è quello di una società francese che percepisce dividendi dalla propria controllata italiana fruendo dei benefici previsti dalla convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia. I benefici sono contestati in quanto la società francese non sarebbe l’effettiva beneficiaria dei dividendi poiché controllata da una società Usa; l’entità francese costituirebbe quindi una società di comodo avente l’unica funzione di fruire dei benefici fiscali e di trasferire gli utili all’effettivo beneficiario in Usa. In altre parole, la società francese non disporrebbe, giuridicamente ed economicamente, dei dividendi percepiti e la destinataria reale sarebbe la società Usa il cui ordinamento non prevede analoghi vantaggi fiscali.
I giudici di merito individuano nella società francese una mera “scatola”, espressione di abuso del diritto, creata al solo scopo di beneficiare di vantaggi fiscali, constatando l’assenza di una reale organizzazione della società francese, la presenza di ingenti partecipazioni azionarie e modesti crediti operativi, mancanza di dipendenti, assenza di fatturazione per servizi gestionali alla controllata italiana e assenza in Francia di una direzione effettiva intesa quale sede amministrativa di reale svolgimento di attività gestorie.
La Cassazione respinge tale ricostruzione in quanto, in caso di holding o sub-holding statiche, gli indici sopra indicati, normalmente riferiti alle società operative, possono non essere significativi. Ciò che deve rilevare è «la padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo e indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattamento e impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)». Per le holding statiche, quindi, rileva il compito istituzionale di mero indirizzo e direzione unitaria, la partecipazione alle assemblee delle controllate e la riscossione dei dividendi. E nel caso della società francese, la qualità di beneficiario effettivo è dimostrata dal fatto che è la reale proprietaria della partecipazione e destinataria effettiva dei dividendi regolarmente iscritti in bilancio, aggredibili dai creditori e liberamente da essa utilizzabili.
Per quanto riguarda il requisito della direzione effettiva, secondo la Cassazione non si può parlare di fittizietà della sede francese in quanto la ricorrente ha sede legale e amministrativa in Francia, è assoggettata a imposizione in quel paese, gli amministratori persone fisiche risiedono in Francia e ivi vengono prese le fondamentali decisioni concernenti la società.
In conclusione, ciò che è necessario verificare è il luogo di effettiva adozione delle decisioni direttive, amministrative e di coordinamento delle partecipazioni possedute dalla società madre percipiente, secondo l’attività tipica di holding da quest’ultima esercitata.
La sentenza si innesta in un panorama interpretativo e legislativo in divenire, anche a livello internazionale, dalla lettura del quale non sempre si perviene a una univoca definizione del fenomeno. Anche perché il tema del beneficiario effettivo si sovrappone con quello delle forme di interposizione in cui il percettore del reddito ha l’obbligo di retrocederlo a terzi e con altre forme di abuso dei Trattati che non sono direttamente collegate al tema del beneficiario effettivo. E la stessa definizione di holding passiva e di costruzione artificiosa si ricava, anche indirettamente, in diversi provvedimenti a livello comunitario e internazionale, con forti incertezze.
L’instabilità legislativa (e giurisprudenziale) determina anche un non perfetto coordinamento della prassi amministrativa nazionale e degli approcci adottati dai verificatori (Assonime, Note e Studi n. 17/2016) con relative responsabilità dei sostituti d’imposta chiamati ad applicare norme “incerte”.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy