Compensi al manager, la rinuncia va nel contratto
13 Dicembre 2018
Il Sole 24 Ore 4 OTTOBRE 2018 di Angelo Busani
CASSAZIONE
Il mancato sollecito dei pagamenti non equivale a un rifiuto esplicito
Incarico di amministratore sempre a titolo oneroso salvo clausole statutarie
L’incarico di amministratore di società si presume a titolo oneroso; il compenso è dovuto all’amministratore a prescindere dal fatto che egli lo richieda; la gratuità dell’incarico può derivare da una apposita clausola in tal senso contenuta nello statuto della società o nel contratto con il quale viene conferito l’incarico di amministrazione; l’amministratore può rinunciare, anche tacitamente al compenso che gli sarebbe dovuto.
Questa serie di rilevanti principi viene enunciata dalla Cassazione nell’ordinanza n. 24139 depositata ieri che cassa la sentenza della Corte d’appello di Trieste che, a sua volta, aveva accertato la rinuncia, per «comportamento concludente», da parte di un amministratore di Srl, al compenso spettante per aver svolto il ruolo di amministratore per un quinquennio; e ciò, in difformità alla decisione del giudice di primo grado il quale, invece, aveva riconosciuto il diritto al compenso.
La Corte d’appello aveva negato il diritto al compenso rilevando che, per tutta la durata della sua permanenza in carica, l’amministratore non aveva mai chiesto alcun compenso e aveva anche omesso di convocare l’assemblea dei soci per deliberare il compenso a lui spettante; la richiesta di compenso non venne avanzata nemmeno quando questi aveva preannunciato le proprie dimissioni né quando le aveva in effetti rassegnate. Solo un paio d’anni dopo la cessazione dall’incarico, aveva preteso di essere retribuito.
Dopo aver ricordato che il mandato di amministrazione si presume oneroso, la Cassazione afferma che non vi è ragione di ritenere che il diritto a percepire il compenso rimanga subordinato a una richiesta che l’amministratore rivolga alla società amministrata durante lo svolgimento del relativo incarico: con l’accettazione della carica, l’amministratore di società acquisisce il diritto a essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Un’eventuale gratuità dell’incarico può derivare, di conseguenza, unicamente da una apposita previsione dello statuto della società interessata o da una apposita clausola del contratto di amministrazione.
Questo non toglie, naturalmente, che l’amministratore possa rinunciare al compenso (al riguardo, è utile rammentare che nella sentenza 18643/2018, la Cassazione, chiamata a decidere sulla questione della tassazione del compenso degli amministratori di società, ha ritenuto che la percezione di un compenso non si può presumere, ma deve essere dimostrata dal Fisco). Si tratta di una rinuncia che può essere sia formulata in modo espresso, sia manifestata attraverso un «comportamento concludente»: tuttavia, per il configurarsi di quest’ultima evenienza, occorre che il rinunciante tenga un atteggiamento «oggettivamente e propriamente incompatibile» con la volontà di mantenere il suo diritto.
Ebbene, non può considerarsi tale un comportamento solo omissivo, come quello di non richiedere il pagamento del compenso durante lo svolgimento dell’incarico: infatti, un comportamento solo omissivo non può integrare gli estremi di una rinuncia tacita in quanto esso è tutt’altro che inequivoco e, anzi, è particolarmente ambiguo. Basta pensare cha la mera inerzia ben può esprimere una semplice tolleranza del creditore o anche riflettere una situazione di pura disattenzione. Più in generale, vi è da constatare che conferire rilevanza alla mera inerzia del creditore significa ridurre indebitamente il termine di legge per la prescrizione del diritto.