Contribuenti, attenzione ai fornitori
5 Aprile 2017
Il Sole 24 Ore 29 Marzo 2017 di Laura Ambrosi
La ripartizione. Strategie differenziate a seconda che siano contestate operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti
L’aspetto più delicato e dibattuto in tema di fatture false concerne la ripartizione dell’onere della prova sulla fittizietà dell’operazione.
Nell’ipotesi di documenti relativi ad operazioni contestate come oggettivamente inesistenti, secondo la giurisprudenza di legittimità, in linea con i principi della Corte di giustizia, è l’amministrazione che deve provare come la transazione commerciale oggetto della fattura non sia mai stata posta in essere. A tal fine sono sufficienti anche solo presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
A questo punto il contribuente deve a sua volta dimostrare, con adeguata prova contraria, l’effettività dell’operazione. È il caso, ad esempio, della consegna/trasporto dei beni, della successiva rivendita a terzi, dell’esecuzione delle prestazioni, della conformità del corrispettivo stabilito e del pagamento eseguito.
Per le contestazioni sull’inesistenza soggettiva, l’amministrazione ha l’onere iniziale di provare, anche in via presuntiva, l’interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale commessa a monte da altri soggetti. Compete quindi al contribuente dimostrare l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale ingenerato dalla condotta del cedente.
In tale contesto il contribuente non può limitarsi alla sola esibizione dei mezzi di pagamento o dei documenti contabili, trattandosi di elementi normalmente regolari anche in capo a chi, partecipando alla frode, non vuole destare particolari sospetti.
Corte di giustizia e Corte di cassazione hanno fornito, in proposito, alcuni suggerimenti per la valutazione della sussistenza della buona fede dell’acquirente.
Innanzitutto, è necessario dimostrare che i rapporti siano intercorsi direttamente con l’impresa considerata “fittizia” ovvero con soggetti alla stessa riconducibili (mail, fax, lettere). Occorrerà poi provare l’esistenza della sede sociale, di locali adibiti all’impresa, della presenza di titolari e/o dipendenti presso l’impresa ecc.
Infine, è utile dimostrare che l’acquirente non abbia ottenuto alcun vantaggio o beneficio economico dalla eventuale frode cui ha partecipato il venditore (beni a prezzi inferiori, ristorno di parte dei pagamenti per contanti, ecc.)
Sarà poi il giudice a valutare, dagli elementi prodotti, la buona fede dell’acquirente nel contesto illecito dell’operazione. In altre parole, secondo i giudici di legittimità, esiste un obbligo di diligenza sostanziale nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del cedente (esistenza, struttura operativa; capacità di fornire i beni), senza tuttavia pretendere un dovere di indagine. Dovrebbe quindi essere sufficiente (il condizionale è d’obbligo perché non mancano anche sentenze della Cassazione più rigorose che escludono tale possibilità) la valutazione di elementi obiettivi che non possono sfuggire ad un contraente onesto e ad un imprenditore mediamente accorto. Si pensi all’assenza di pubblicità o giro di affari, di una clientela qualificata ecc.