Dazi, abuso del diritto con la delocalizzazione
12 Dicembre 2024
Il Sole 24 Ore 22 Novembre 2024 di Fabrizio Di Gianni Benedetto Santacroce
Per la prima volta la Corte di giustizia dell’Ue si è pronunciata in materia di abuso del diritto in ambito doganale. Con la causa C-297/23 P, infatti, ha fissato gli elementi interpretativi in base ai quali la norma antielusiva ex articolo 33 del regolamento delegato (Ue) 2015/2446, in materia di attribuzione dell’origine per le operazioni di trasformazione o lavorazione non economicamente giustificate, debba essere applicata.
La pronuncia in commento, che respinge definitivamente il ricorso proposto dalla società Harley-Davidson, segna un punto di svolta in chiave applicativa dell’articolo 33, in quanto l’esistenza di una pratica abusiva potrà essere rilevata se emerga da elementi oggettivi che lo scopo essenziale delle operazioni interessate sia quello di evitare l’applicazione di misure daziarie.
Il criterio decisivo è la finalità principale o dominante, sebbene non esclusiva, dell’operazione posta in essere. Infatti, la norma risulterebbe privata della sua efficacia ove fosse interpretata nel senso che non si applica per il solo motivo che una delocalizzazione delle operazioni, oltre alla finalità principale o dominante di eludere l’applicazione delle misure di politica commerciale dell’Ue, persegua anche altre finalità di ordine secondario.
Insomma, lo scopo essenziale delle operazioni, quale quello di ottenere un vantaggio daziario, deve risultare da un certo numero di elementi oggettivi ma, al tempo stesso, può non dirsi scopo esclusivo, purché dominante, e potrà essere affiancato da ulteriori scopi secondari, i quali non escluderanno l’applicazione dell’articolo 33.
La Corte interviene anche in tema di onere della prova. Dalla lettura dell’articolo 33, comma 1, è evidente come lo stesso risulti applicabile solo qualora gli elementi disponibili siano tali da dimostrare che lo scopo del comportamento dell’impresa sia quello di eludere l’applicazione della misura di politica commerciale. In questo caso, sarà sempre possibile per l’impresa dimostrare con ulteriori elementi di prova che lo scopo dell’operazione, nel momento in cui è intervenuta la decisione, non aveva come elemento principale il conseguimento di un vantaggio daziario.
In terzo luogo, la pronuncia trancia di netto qualsiasi collegamento interpretativo tra l’articolo 33 e con l’articolo 13 del regolamento Ue 2016/1036, in tema di elusione dei dazi antidumping: questa norma non è rilevante ai fini interpretativi dell’articolo 33, comma 1, poiché riguarda altra materia ed è redatta in termini profondamente diversi rispetto all’articolo 33, il quale non contiene né il termine «elusione» né la definizione dettagliata che l’articolo 13 fornisce di tale termine.
Occorre poi rilevare che la Corte ha ritenuto irrilevante il richiamo al concetto di «manipolazione», di fatto assente nel testo dell’articolo 33, riportato nel considerando 21 del regolamento delegato: quest’ultimo, ricomprende nel concetto di manipolazione un’ampia gamma di azioni volontarie che comportano un cambiamento di origine delle merci importate, tra le quali è necessario impedire solo quelle realizzate allo scopo di eludere l’applicazione di misure di politica commerciale.
In sintesi, il concetto di manipolazione non può in alcun caso consentire un’interpretazione dell’articolo 33 incompatibile con la sua formulazione e con il suo sistema.
Da ultimo, i giudici europei ritengono che la sussistenza di una «coincidenza temporale» tra la decisione compiuta dall’impresa, circa la delocalizzazione delle operazioni poste in essere, e l’intervenuto provvedimento sui dazi supplementari costituisca una presunzione secondo cui la delocalizzazione mira a evitare l’applicazione delle misure.
Appare chiaro che, laddove la decisione sia intervenuta temporalmente prima, sulla stessa non potrebbe aver inciso una procedura per l’applicazione di dazi supplementari non ancora avviata.