La Svizzera rinuncia al suo trust bocciato in pubblica consultazione

6 Ottobre 2023

Il Sole 24 Ore 19 settembre 2023 di Andrea Vicari

L’«avamprogetto » di legge respinto venerdì scorso dal Consiglio Federale

Secondo la Confederazione avrebbe comportato oneri senza adeguati benefici

Nessun futuro, al momento, per il trust “svizzero”: queste le conclusioni del Consiglio Federale nella seduta del 15 settembre. L’avamprogetto di legge presentato lo scorso anno mirava a introdurre nel codice delle obbligazioni un modello di trust differente rispetto ai modelli esistenti, sia di civil law (San Marino) che di common law, consentendo al disponente di mantenere un ruolo centrale nel funzionamento del trust e ampi poteri e diritti relativi alla sua amministrazione. Aspirava, inoltre, a superare l’attuale regime fiscale nel quale il trust non è mai trattato quale soggetto passivo d’imposta (dove i redditi dei beni in trust, dunque, sono sempre imputati a disponente o beneficiario), introducendo un sistema a “soggettività variabile”: alcune configurazioni di trust avrebbero goduto di soggettività passiva ai fini delle imposte, altre no.

I risultati delle consultazioni pubbliche sono stati determinanti nella decisione di stralcio: è stata contestata «la necessita? di introdurre un trust nell’ordinamento giuridico svizzero, poiché la cerchia potenziale dei beneficiari e? limitata» essendo «disponibili alternative» ed evidenziando che il proposto «trattamento fiscale del trust pone difficolta?».

In Italia il progetto del trust svizzero era stato accolto con grandi entusiasmi. Alcuni ritenevano che la legge svizzera sarebbe potuta diventare la legge di riferimento per i trust interni italiani, sostituendo la legge di Jersey e quella di San Marino, altri che il passo del legislatore svizzero avrebbe potuto addirittura indurre quello italiano a seguirlo nell’introdurre una disciplina interna dell’istituto. Pochi avevano colto il fatto che il modello svizzero riservava al disponente un ruolo importante e che questo fosse poco compatibile con le aspettative degli operatori italiani che, anche per ragioni fiscali, sono costretti a privilegiare modelli di trust nei quale il disponente deve uscire di scena. D’altra parte, il legislatore svizzero aveva indirizzato il proprio modello di trust guardando a una tipologia di disponenti internazionali, non appartenenti a uno specifico ordinamento, ignorando del tutto le esigenze di quelli italiani, a differenza di quanto aveva fatto il legislatore di San Marino. La decisione del Consiglio Federale della settimana scorsa spegne i facili entusiasmi ma offre anche fornisce preziosi stimoli di riflessione.

In primo luogo, il Consiglio Federale ha dato atto della «difficile attuazione, nonché del notevole onere amministrativo che ne sarebbe derivato» di un sistema impositivo del trust a “soggettività variabile”. In Italia, un simile sistema impositivo esiste ed è stato di fatto introdotto dalla prassi amministrativa con la creazione della categoria del trust interposto, impiegata per disconoscere il trust e la sua soggettività passiva: inizialmente solo in presenza di spregiudicati arbitraggi da parte dei contribuenti, ma poi anche in situazioni ordinarie; in principio solo ai fini delle imposte sui redditi, ora anche in materia di imposte di donazione e successione. Il tutto, in assenza di presupposti certi o di tassatività delle fattispecie impositiva. È oggi evidente la difficoltà per il contribuente di prevedere con precisione quale qualificazione fiscale verrà riservata allo specifico trust e ciò moltiplica le istanze di interpello e gli oneri amministrativi o i rischi di accertamenti imprevisti ed i contenziosi. Non appare allora azzardato pensare di abbandonare il vigente sistema italiano a “soggettività variabile” e di optare per uno basato sulla totale trasparenza del trust: più semplice, prevedibile e meno esposto ad arbitraggi.

Dalle consultazioni pubbliche svolte in Svizzera è poi emerso anche che la fondazione di famiglia sarebbe da molti considerata quale una «valida alternativa» al trust e che, per introdurla, sarebbe «molto più? semplice rivedere le norme vigenti in materia di fondazioni piuttosto che istituire un nuovo strumento giuridico».

A questo riguardo, basti pensare che in Germania, Lussemburgo, Danimarca, Liechtenstein, Olanda, Svezia e Austria già disciplinano le fondazioni di famiglia e che recentemente anche San Marino ha nominato un gruppo di esperti per introdurla. Modificare la disciplina delle fondazioni in Italia al fine di permettere l’uso della fondazione di famiglia sarebbe certamente più semplice che continuare a insistere in tentativi, del tutto vani dopo decenni di proclami, di introdurre una disciplina del trust.

Doing business in San Marino

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