Provvigioni non inerenti: prova severa per il Fisco
15 Dicembre 2023
Il Sole 24 Ore lunedì 27 novembre 2023 di Marco Nessi e Roberto Torelli
La Cgt Campania ricorda che l’ufficio deve fornire ulteriori indizi oltre l’entità della spesa
L’impresa ha dimostrato che le somme erano legate all’attività e basate su contratti
In tema di deducibilità dei costi d’impresa, l’antieconomicità di un costo – intesa come sproporzione fra spesa e l’utilità che ne deriva rispetto alla produzione di ricavi – può costituire sintomo di difetto di inerenza. Pertanto, nel caso in cui il contribuente dimostri la riconducibilità dei costi all’attività d’impresa, l’ufficio deve fornire ulteriori elementi indiziari di inattendibilità della condotta del contribuente. Lo ha chiarito la Cgt della Campania nella sentenza n. 5124/16/2023 (presidente Pusateri, relatore Napoli).
La vicenda
Nel caso esaminato l’agenzia delle Entrate contestava ad una Sas la deducibilità fiscale (per presunto difetto di inerenza – ex articolo 109, comma 5, del Tuir) dei costi relativi alle provvigioni pagate ad un terzo in relazione ad un’attività di procacciamento d’affari. In particolare, il rilievo veniva giustificato in considerazione della mancata indicazione nelle fatture emesse di riferimenti specifici a rapporti contrattuali sussistenti tra le parti coinvolte, al numero dei clienti procurati nonché alla sussistenza di obblighi di pagamenti da effettuare “a vista”. Oltre a ciò, secondo l’Agenzia, l’accordo di mediazione commerciale sottoscritto prevedeva esclusivamente un accordo nel procurare nuovi clienti, senza alcun riferimento a corrispettivi dovuti a titolo di provvigione.
Il giudizio
Dopo un primo grado già favorevole al contribuente, anche in sede d’appello la Corte di giustizia di secondo grado ha confermato l’illegittimità dell’accertamento sulla base di una pluralità di motivazioni. Nel dettaglio:
1 l’avvenuta dimostrazione del pagamento delle fatture contestate così come risultante nei relativi estratti conti correnti bancari (a nulla rilevando la previsione di pagamento delle stesse “a vista”);
2 il deposito in giudizio del contratto (avente data certa) sottoscritto, consistente in un accordo di mediazione commerciale per procurare nuova clientela;
3 l’indicazione nel contratto di mediazione commerciale di un compenso stabilito, di volta in volta, in funzione della tipologia del cliente, del prodotto venduto o del servizio prestato (come confermato anche dalla corrispondenza intercorsa tra le parti contrattuali);
4 la giustificazione delle provvigioni pagate con la volontà di entrare in nuovi mercati con conseguente notevole incremento del fatturato;
5 l’assenza di indizi gravi, precisi e concordanti in merito alla presunta sproporzione (peraltro non rilevata in sede di accertamento) delle provvigioni pagate rispetto al mercato di riferimento e/o agli usi commerciali.
La sentenza in esame conferma l’orientamento, ormai consolidato, in base al quale l’agenzia delle Entrate è legittimata a sindacare la congruità dei costi appostati dal contribuente per la determinazione del reddito d’impresa solo in presenza di un comportamento che appaia manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico. I tempi dovrebbero essere ormai maturi per un’applicazione diretta di questo principio da parte dell’agenzia delle Entrate.