Segreto professionale a protezione rafforzata
5 Aprile 2017
Il Sole 24 Ore 27 Marzo 2017 di Laura Ambrosi
Negli studi. Ricorso in via residuale al giudice ordinario
Una questione particolarmente delicata che si pone nel corso di controlli ai professionisti riguarda il segreto professionale. Il professionista infatti deve coprire, per legge, le notizie riguardanti i propri clienti e, in base all’articolo 200 del Codice di procedura penale, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione. La violazione è penalmente sanzionata (articolo 622 del Codice penale) con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 a 516 euro.
Nel corso del controllo al professionista, alcune informazioni gestite dal medesimo potrebbero venire a conoscenza dell’amministrazione. Si pensi al caso in cui i controllori, durante la verifica, ritengano importante esaminare i fascicoli cartacei o telematici dei clienti del professionista per poi riscontrare la regolare emissione di fattura per le prestazioni eseguite, venendo così a conoscenza di problematiche di interesse del cliente estranee al controllo del professionista (lettere, email eccetera).
Fermo restando che gli appartenenti all’amministrazione sono tenuti a loro volta al rispetto del segreto, è innegabile che resti il dubbio che alcune delle informazioni così acquisite possano poi essere utilizzate contro il cliente per effettuare anche nei suoi confronti un controllo. In questi casi, l’unica tutela consiste nell’eccepire il segreto professionale che impedisce sia l’esame dei documenti, sia l’acquisizione di notizie da parte dei terzi.
Se viene opposto il segreto, i verificatori possono procedere solo in seguito al rilascio dell’autorizzazione della Procura o dell’autorità giudiziaria più vicina. In queste ipotesi la dichiarazione va debitamente verbalizzata. L’autorizzazione dell’autorità giudiziaria ha valenza procedurale, non essendo necessari specifici requisiti per la relativa concessione. Si tratta così di una sorta di benestare che consente “l’accesso” a fascicoli coperti da segreto.
Il professionista che ritiene illegittima l’autorizzazione del Pm potrà proporre ricorso in Ctp se e quando verrà emanato l’atto impositivo; altrimenti, nel caso in cui non siano contestate violazioni fiscali, potrà rivolgersi al giudice ordinario. Questo principio è stato enunciato recentemente dalle Sezioni unite (sentenza 8587/2016). In precedenza si riteneva che l’eccezione fosse proponibile solo in occasione del ricorso presso il giudice tributario, con la conseguenza che mancando tale impugnazione (ad esempio per assenza di rilievi o per adesione ai medesimi) non era possibile tutelarsi dall’eventuale illegittima autorizzazione.
Le Sezioni unite, pur confermando la competenza esclusiva del giudice tributario anche per l’autorizzazione sull’opposizione del segreto professionale, hanno espressamente chiarito che se la verifica non sfocia in un atto impositivo o quando tale provvedimento non è oggetto di ricorso, l’autorizzazione in è autonomamente impugnabile dinanzi al giudice ordinario.